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Autore: Shewrites220898    22/11/2014    1 recensioni
Giulia è una ragazza come tutte, che divide le sue giornate tra scuola, casa, famiglia e amici. Tutto cominciò la sera della vigilia di Natale, quando ricevette dai genitori un regalo inaspettato che cambierà per sempre la sua vita ...
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fortunatamente, riuscii a non perdere l’anno: tornai a scuola il giorno dopo e riuscii a recuperare quasi tutte le materie in poco tempo mettendomi sotto con lo studio. Mi portai il debito a latino e storia, ma, d’altronde, cosa pretendevo? Avevo fatto un numero di assenze tali da meritarmi addirittura la bocciatura; ma, per fortuna, i buoni voti del primo quadrimestre e l’impegno durante i primi anni hanno fatto sì che le cose restassero in parte invariate. Ci volle un po’ di più, invece, per ristabilire il rapporto con i miei amici del gruppo: appena tornai a scuola furono tutti molto carini con me, mi salutarono, mi abbracciarono, mi chiesero come stavo e, subito, mi scusai con loro per non avergli dato retta; ricominciammo pian piano a rientrare in confidenza, anche perché ero molto impegnata con lo studio. Chiara si mise a piangere appena mi vide varcare la soglia della classe: mi corse incontro e mi travolse con un caloroso abbraccio.
-Mi sei mancata- Mi disse. Anche a me lei era mancata. Ma, soprattutto, mi era mancata la vita. Le professoresse e in particolar modo quella di matematica furono tutte molto contente di riavere la “prima della classe” con loro a lezione e furono davvero solidali e comprensive riguardo quello che mi era capitato (dopotutto la prof non sapeva di Heather, tutti, tranne i miei, pensavano che io avessi avuto una semplice “dipendenza” dal network). I nonni furono più che felici di vedermi così e mi riempirono di complimenti e di abbracci. Tornai a fare foto, tornai a mangiare i biscotti al cocco che mi piacciono tanto, a litigare con Bea, a spaventare Chiara alla fermata del bus. Insomma, avevo ritrovato la voglia di esistere che mi era mancata per tanto tempo. Filava tutto liscio come l’olio, ma … eh, già, perché c’è sempre il solito “ma”. In realtà, più che un “ma”, era un “perché”. E, dato che io voglio sempre arrivare al sodo e sono piuttosto curiosa, decisi di risolvere questo “perché” il più presto possibile: volevo capire qual’era il motivo per cui una ragazza, morta tanti anni fa, mi abbia scritto su un Mac e perché mi abbia rovinato in quel modo. Ero piuttosto arrabbiata quando pensavo a queste cose: dopotutto, è stato come se mi avesse ucciso. Ma poi, in seguito, è stata lei stessa, dicendomi di non scriverle più, a farmi “rinascere”. Volevo far luce sulla vicenda e capire una volta per tutte cosa stava succedendo. Era estate, precisamente i primi di Luglio, quando decisi, finalmente, di tirar fuori il Mac dalla sua custodia. In casa eravamo io e mamma, che oramai sapeva tutto, anche perché le avevo raccontato per filo e per segno ciò che era successo e ciò che avevo scoperto (io e lei abbiamo sempre parlato del più e del meno). Era un pomeriggio soleggiato, quando presi coraggio e aprii il computer. Mi sedetti alla scrivania, lasciandomi scappare un leggero brivido: la stessa scrivania sulla quale, per tanti mesi, giaceva il mio cadavere. Presi un respiro profondo e premetti il tasto di accensione. Non appena il monitor diede segni di vita non esitai un attimo a premere sulla tastiera:
-Rispondi- Scrissi –Rispondi, Heather! Non scappare, vigliacca! Devi dirmi qualcosa!
Come al solito, preferisco sempre giungere al dunque, e devo ammettere che ero piuttosto infuriata. Notai che Heather non rispose, anzi, passarono ben cinque minuti buoni prima che fui costretta a scrivere un’altra volta:
-E’ inutile che ti nascondi! Vieni fuori!
Ancora nulla. Ero esasperata al limite, volevo sapere, volevo capire perché. Perché voleva uccidermi. Lei che aveva promesso di amarmi per sempre, di rimanere per sempre. Bugiarda.
Il monitor del PC, dopo un quarto d’ora rimase esattamente come prima, quel colorito bluastro che lo corrispondeva. Aspettai. Volevo una risposta in quel preciso istante, non avrei atteso un altro giorno, o un’altra ora. Ero impaziente, e desiderosa di vendetta. Contro chi mi voleva morta, contro chi mi ha portato via da tutto e da tutti.
-Giulia, tu non capisci-
Non potevo crederci: finalmente il monitor cominciò a scurirsi, per poi diventare di colpo nero. L’unica scritta che vi si distingueva era quella giallognola dei messaggi di Heather. Mi scrisse che non capivo, che non avrei capito e che sarebbe stato troppo doloroso per me capire. Ma io volevo capire. Era l’unica cosa che volevo in quel momento.
-No, tu non capisci Heather! Io voglio sapere il perché ero morta! Voglio sapere perché mi hai mentito! Perché tu sei morta! Perché proprio io? Perché mi hai fatto questo?-
-Soffriresti se te lo dicessi-
Oramai non mi importava più niente, avevo sofferto abbastanza. Avrei insistito fino a quando non avrei ottenuto ciò che volevo.
-Heather, dimmelo! Ti prego! Ho bisogno di capire! Fallo per me! Per la mia famiglia! So che anche tu hai avuto dei genitori una volta … non avresti voluto vederli soffrire, vero?-
Pensai che, con quelle parole, Heather si fosse ricreduta e avrebbe finalmente rivelato la verità. E avevo ragione. La conoscevo troppo bene per non sapere che l’avrebbe fatto.
-Ascoltami bene, perché non posso ripeterlo una seconda volta-
Mandai un pollice in alto, segno di approvazione.
-Sono in trappola, Giulia. Sono morta, e tu lo sai. Vivo in questo mondo di tristezza e di persuasione, vivo vedendo morire altre persone, vivo per farle morire-
Si fermò lì.
-Continua- Scrissi, sconvolta.
-Questo non è un computer come gli altri Giulia, questo è un malvagio, è un’entità tecnologica maligna che si è nutrita di me, che ha mangiato la mia anima, ha distrutto la mia umanità e mi ha uccisa. Giulia, tu ti sei salvata appena in tempo, saresti stata la sua prossima preda-
Ero completamente esterrefatta da ciò che leggevo: ero incredula di fronte al fatto di avere davanti a me un’entità che si nutre di persone e della loro umanità. Ma, a quel punto, non potevo fare altro se non credere alle parole di Heather.
-Io ho fatto ciò che potevo, ti ho aiutata, ma il mio compito era diverso: io dovevo ucciderti, Giulia! Dovevo portarti qui, in questo mondo, così avresti preso il mio posto e avresti continuato la successione, ma non l’ho fatto. Tengo troppo a te per vederti morire-
A quel punto, cominciai a piangere. Tremavo e non scrivevo bene, ma riuscii ad inviare un messaggio:
-Heather, io … io voglio aiutarti, voglio salvarti, ti voglio qui in questo mondo, viva!-
-Giulia, non c’è più nulla da fare ormai. E’ lui, si è impadronito di me, non posso fare più niente! Tra poco non mi permetterà più neanche di scriverti, poiché lo sto menzionando!-
Le lacrime continuavano a scendere, veloci, mentre tremavo sempre di più. Ero grata ad Heather, perché era stata lei a salvarmi: se non mi avesse respinto, io non sarei mai rinvenuta e, se sono ancora qui, lo devo in tutto e per tutto a lei. Volevo assolutamente ricambiarle il favore.
-Non dire così! Ci deve essere qualcosa che ti può salvare! Pensa, Heather, pensa! Ti prego!-
Mi alzai in piedi e unii le mani, come se stessi recitando una preghiera, continuando a piangere e a tremare come non mai. Passarono secondi, minuti, più di un minuto. Come lei stessa aveva previsto, cominciarono a farsi sentire le prime interferenze.
-No … per favore, no!- Dissi scuotendo il capo. Non in quel momento. Non ora che Heather aveva trovato una via di fuga per liberarsi da “lui”. Proprio nel momento prima che le interferenze si facessero più marcate, il messaggio arrivò. Riuscii a leggerlo. Le interferenze erano forti. Seconda riga. Le interferenza sono fortissime. Terza riga. Più che fortissime, Quarta riga. Il computer si spense. Quinta riga. Ero riuscita a leggere tutto il messaggio, ma non le ultime parole. Non ebbi neanche occasione di dirle addio. E lei non ne ebbe alcuna per dirlo a me. Ero tristissima e, se proprio in quel momento le lacrime si erano alleviate, ricominciarono, più forti di prima. La disperazione era tanta, lo sgomento di più, dopo quello che avevo scoperto. Essere la vittima di un’entità maligna. Essere morta. Essere riuscita a vincere contro “lui” ed essere rinata. Aver vissuto ciò che ho vissuto. I ricordi, i fatti. Era tutto assurdo. Troppo. Così tanto che a pensarci mi vengono i brividi. Non pensavo più, non ragionavo più. Passai l’intera serata in camera a rimuginare su cosa avrei dovuto fare, non senza l’aiuto di mamma. Fu lei a raggiungermi, mentre mi ero sistemata per terra, con un cuscino e una coperta sul tappeto, a mo’ di letto. Prese anche lei un cuscino e un plaid e, senza esitare, si stese accanto a me. Cominciammo a parlare. Avevo ancora gli occhi rossi. Le raccontai tutto, per filo e per segno. Lei mi capì. Come sempre.
-E ora cosa intendi fare?- Mi chiese a un tratto. In effetti, non avevo affatto pensato alle ultime parole che Heather mi scrisse. Ci pensai solo in quel momento.
-Mamma- dissi guardandola in faccia.
-Dimmi amore-
-Te la senti di aiutarmi a fare una cosa?- le chiesi.
-Io ti aiuterò sempre, sappilo. Per qualsiasi cosa, io sono qui.-
Mi prese la mano e la racchiuse tra le sue, riscaldandola. Finalmente, il sorriso era tornato sulle mie labbra. Non del tutto, ma era tornato.
Il giorno dopo, infatti, io e mamma ci recammo insieme al Centro di smaltimento rifiuti, vicino alla discarica. Portammo il Mac con noi. Lo mettemmo nel portabagagli, per evitare di guardarlo, in quanto fonte di troppa tristezza. Il tragitto sembrò più lungo di quanto non lo fu in realtà, e arrivammo giusto in tempo per la chiusura del centro.
Ancora non potevo credere che finalmente avremmo liberato Heather. Mamma scese dall’auto e prese la busta con dentro il Mac. Subito dopo scesi anch’io e, insieme, andammo allo sportello d’entrata, dove c’era un uomo tozzo e basso, che ci accolse con un “buongiorno” e ci chiese:
-Bene, bene, cosa abbiamo qui?-
Mamma non disse una parola; si limitò a porgere all’uomo la busta di plastica rigida.
-Mmmh, un bel Mac! Nuovo di zecca, a giudicare dalle intarsiature, ultimo modello direi!-
Il signore prese in mano il computer e ridiede la busta a mia madre, che la ripiegò e la mise in borsa; poi l’uomo fece un’analisi accurata del Mac, illustrandoci, come se non lo sapessimo, i vari usi e funzioni e dicendo quanto siamo stupidi a buttar via un “gioiellino” del genere.
-Siete proprio sicure che lo volete scaricare qui?- Chiese infine, facendo una faccia come per dire che eravamo due pazze. Io e mamma ci guardammo negli occhi, sospirando.
-Se proprio non lo volete, ragazze mie- Continuò l’uomo, abbassando la voce -potrei prendermelo io, eheh!-
A quel punto, mi feci avanti:
-No! Non è il caso signore! E’, è … completamente difettoso, n-non è affatto affidabile!- Dissi scuotendo la testa per convincerlo.
-Va bene, se proprio insisti … - disse, alzando le mani in alto -Innanzitutto, dovete staccare il monitor dalla tastiera-
-Fai tu?- Chiese mamma guardandomi con aria interrogativa. Sospirai. Avrei dovuto rompere il computer.
-Va bene- dissi. Presi in mano il Mac e, con tutta la forza che avevo lo spezzai in due, separando lo schermo dai tasti. Probabilmente fu solo un’illusione, ma mi parve di sentire un urlo. Anzi, non proprio un urlo. Delle risate. Risate di una ragazza.
-Perfetto! E ora, mettiamolo al suo posto!- Disse il signore, prendendo il monitor con una mano e la tastiera con l’altra e mettendoli l’uno sul mobiletto dietro di lui e l’altro in un cassetto di alluminio. Incredibile, no? Ciò che ti ha distrutto ti ha anche salvato. Beh, possono esserci varie versioni della storia, da qui a questa parte, ma io ho raccontato la mia. La storia di una ragazza come tutte, Giulia, che ne ha vissute tante. E tante ancora ne ha da vivere. Perché è questo che vuole fare lei: vivere. In quel preciso istante, in cui il signore abbandonò la postazione, per consegnare la tastiera agli addetti, tornò il sorriso di tanti mesi fa. Non avrei saputo dire, tuttora, da cosa fu dato quel sorriso, ma una cosa è certa: tuttora, lo so. Heather era finalmente libera. Io ero finalmente libera. Eravamo entrambe libere, dopo tanto tempo. Dopotutto, ce lo meritavamo. Il suo addio non fu sufficiente, ma, in quel momento, in quell’attimo, riuscii finalmente a capire cosa ci fosse stato scritto in quella quinta riga. Il monitor giaceva, come fosse morto, sul mobile. Ma una cosa. Una cosa sola lo rendeva vivo. Una scritta giallognola in inglese, piccola e disturbata dalle interferenze, che riuscii a scorgere mentre mia madre mi abbracciò, dando le spalle alla postazione. Mi stringeva forte, come se fossi tornata da un lungo viaggio. Io guardavo fisso davanti a me, gli occhi puntati sullo schermo. Cosa c’era scritto sul monitor? “Thank you”.
   
 
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