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Autore: _Garnet915_    29/10/2008    3 recensioni
Guarigione. Un concetto che può apparire tanto semplice. Ma per alcuni è una ripida strada di montagna che sembra non offra alcun sentiero sicuro. Percorrerla da soli sembra una tortura. Ma forse con qualcuno accanto, una sicurezza può essere trovata. {NOTA: il titolo della storia è lo stesso di una canzone incisa in Giappone e dedicata al pairing Inuyasha/Kagome - lo stesso principale di questa fic - Questo, però, non significa che la storia sia una sorta di song-fic}
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Kikyo, Sango
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ATTENZIONE! Prima di leggere il capitolo, leggete le note introduttive sottostanti!
Dunque, in questo capitolo si intravede Kagome in istituto! Prima di tutto, sappiate che, in Italia, l'istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori (abbrevviato I.N.T.) esiste per davvero, ha sede a Milano ed è, in barba alle cliniche private stile Veronesi, uno dei centri più importanti per la cura dei tumori a livello mondiale. Io l'ho inserito nel contesto della storia, non so se esiste veramente in Giappone un istituto oncologico con lo stesso nome! Sappiate che non l'ho inventato di sana pianta!
Inoltre, nel capitolo, viene accennato il funzionamento delle visite in ambulatorio: carte verdi, rosa, ecc... Per non rompere le scatole durante la lettura, vi spiego brevemente qui come funziona il tutto. Quando si arriva in ambulatorio, si ha con sè: tessera sanitaria regionale, impegnative per visita, emocromo ed altri esami firmati dai medici dell'istituto e recanti il timbro ufficiale dell'ospedale, tessera di esenzione (è una tessera che viene rilasciata a chi ha l'invalidità civile e che esenta dal pagamento del ticket per i trattamenti sanitari) e foglio rosa (foglio lasciato durante la visita precedente dal medico che ti ha visitato con su segnato cosa dovrai fare alla prossima visita, una sorta di promemoria). Ok, arrivi e prendi il numero per fare la fila all'accettazione, che inizia alle otto del mattino. Con l'accettazione, si ufficializza che il paziente si è presentato, gli si restituisce foglio rosa e gli si consegna un foglio identico a quello rosa, di colore verde: entrambi andranno consegnati durante la visita. Terminata l'accettazione, si aspetta di essere chiamati per l'emocromo e poi per la visita, dove fisseranno poi l'appuntamento successivo e daranno un altro foglio rosa per la volta dopo!
Ah, ultima cosa: vengono menzionati i bambini in ambulatorio. Questo perchè io mi riferisco all'ambulatorio pediatrico e al reparto di pediatria (per ovvie ragioni di età di Kagome!) E spesso i genitori portano doni come pasticcini e dolci ai medici e agli infermieri! Ovviamente, i pasticcini migliori, nella realtà, sono quelli che porto io! xD Ok, scusate il disturbo! XD Ci vediamo in fondo per le mie solite note!
5. Tachimukai buchiyaberu chikara awasete ~ We’ll face it, break trough it, our strength togheter


Correva.


Almeno così non sento freddo.


Era in ritardo il primo giorno di scuola. Come se gliene importasse più di tanto. Ci andava perché aveva fatto un patto con quell’uomo. Ancora due anni da sopportare. E poi sarebbe stato completamente libero.


Andare a scuola era un peso per lui. E non voleva rendere il tutto ancora più pesante arrivando in ritardo il primo giorno. Non gli andava di sentire le lamentele dei professori. In diciassette anni era bastato quell’uomo a fargli venire un’ulcera solo sentendo le parole “lamentela” e “rimprovero”.


Arrivò alla stazione con il fiatone.


Ma giusto in tempo per prendere il treno, che era appena arrivato.


Pigiandosi contro alcune persone riuscì a salire sul mezzo poco prima che le porte si chiudessero.


Bleah… Che schifo.


Odiava stare in mezzo a tanta gente.


Se poi erano tutti schiacciati come sardine la situazione era davvero insopportabile.


In quel momento si chiese come aveva fatto sua madre a sopportare la vita in quella città così caotica per tanto tempo.


Madre…





Erano le sette.


L’ambulatorio era ancora vuoto. Come al solito, erano arrivate per prime. Sua madre andò a prendere il numero per l’accettazione mentre Kagome si sedette al solito posto d’attesa: nell’angolo. Adorava stare contro due muri: se aveva sonno poteva sistemarsi per bene e appisolarsi un po’ mentre aspettava la solita, nauseante, visita.


A dirla tutta, era riuscita a dormire soltanto una volta, dopo che il liquido di contrasto iniettatole per un esame (più precisamente, una tac! Io mi addormentavo sempre per colpa del contrasto usato! ^^” NdA) l’aveva rimbambita parecchio. Le altre volte, per quanto sonno avesse, non si addormentava mai. Ogni volta aveva paura che la visita medica le riservasse qualche sorpresa sgradita. Le era successo più volte, infatti, di essere stata ricoverata dall’ambulatorio in reparto per alcuni effetti collaterali legati alla terapia, come innalzamento o abbassamento improvviso di valori del sangue che richiedevano terapie particolari e così via…


E poi c’era la paura della possibilità di sentire quelle parole…


Quelle parole…


La tormentavano giorno e notte, spesso passava le notti in bianco per la paura. Prendeva addirittura dei sonniferi, senza farsi vedere da nessuno, per dormire un po’. Non voleva di nuovo vivere in preda al nervosismo perché non dormiva la notte. Tre settimane le erano bastate ed avanzate.


Quando sua madre si sedette accanto a lei, Kagome la scrutò mentre sistemava, tutta concentrata, foglio rosa per le visite, impegnative, tessere di esenzione, numero...


Era tesa.


Lo leggeva nei suoi occhi.


Sua madre non era come lei, era un libro aperto.


Capiva benissimo quando sua madre stava bene, quando era triste o preoccupata.


Quel giorno era tesa.


E non voleva dirle il perché.


Ti odio quando fai così, maledetta stronza.


“Kagome!”


Due voci all’unisono la chiamarono.


Le riconobbe ancor prima di guardare in faccia chi l’aveva chiamata.


E quelle voci la sollevarono.


“Mai-san! Kae-san!” e sorrise.


Erano le due infermiere dell’ambulatorio. Due persone straordinarie. Kagome le adorava.


Mai-san era una donna sui quarant’anni, media statura, carnagione olivastra con occhi e capelli scuri. Kae-san, invece, era alta, bionda e di chiara carnagione. Senza contare che era alta il doppio di Mai. Come spesso cantilenavano, loro due assieme formavano l’articolo “il”.


Erano due persone con un gran cuore, amavano il loro lavoro e lo si poteva constatare con una semplice occhiata. L’unico momento che Kagome passava volentieri in ospedale era quello del prelievo: per lei non era una semplice pratica da due minuti, ma un rituale – che poteva durare anche mezz’ora – durante il quale parlava con Kae e Mai di come andasse a scuola, con gli amici… Non perdevano mai l’occasione per spettegolare un po’ sulle persone che venivano lì in ambulatorio e che Kagome notava spesso.


“Ma… quella donna lì… grassa, brutta, con i capelli ricci che vedo spesso…”

“La menosa, intendi?”

“Mai!”

“Eh ma è vero, Kae! Tanto lo pensi anche te!”

“Lo so, però dai!”

“Veramente, anche secondo me è una menosa incredibile!!”



Ma quello che la ragazza si divertiva di più a fare con loro due era prendere in giro i medici.


“Oh, Kagome! Tu ieri ti sei persa la scenata del dottor Tanaka appena arrivato!”

“Ha fiutato di nuovo l’odore dei pasticcini portati da qualcuno?”

“Certo! E non solo! Ha iniziato a litigarseli!”

“Fatemi indovinare! Con la dottoressa Oda?”

“Esatto!! E poi…”



E così via.


Per Kagome, parlare con loro rappresentava una sorta di svago. Voleva trovare la forza di ridere un po’ anche in quel posto. Kae e Mai l’avevano capito sin dalla prima volta che la videro.


A qualcuno poteva sembrare strano, ridere in un posto del genere.


Ma per molti, ridere era l’unica cosa che li aiutava a tirare avanti.


Per Kagome non si trattava di semplici risate: per lei ridere, mostrarsi allegra era una forma di difesa dagli altri.


Non voleva assolutamente che qualcuno riuscisse a capire cosa provasse.


Non voleva che la gente scoprisse che sotto l’apparenza di una ragazza allegra, si celava una persona dal cuore lacerato.


Non voleva attirare troppa attenzione su di sé.


Non voleva la pietà altrui.


Non voleva sentire frasi del tipo “Oh, poverina” in nessun caso.


Era abilissima nel celare i suoi sentimenti.


Anche con Kae e Mai era la stessa cosa, sebbene la ragazza si fosse affezionata sul serio a loro.


Anzi, proprio perché si era affezionata non voleva né la loro pietà né che loro scoprissero il suo cuore sporco e lacero e rimanere deluse della scoperta.


“Ciao, Kagome! Ci vediamo dopo in infermeria!” disse Kae


“Adesso ce ne andiamo a prendere un caffè prima di aprire l’infermeria e il day-hospital! Altrimenti ci addormentiamo in faccia ai pazienti!” esclamò Mai, serafica.


Kagome rise.





“Quindi tua madre non ti ha detto niente del motivo di questa visita?” disse Mai, senza nascondere un filo di rassegnazione nel tono della voce, mentre procedeva con il prelievo tramite cvc.


“Già…” sospirò la ragazza.


Non era la prima volta che si lamentava con le infermiere. Pur sapendo che loro non potevano farci niente.


“Voi… per caso voi sapete perché mi è stata fissata questa visita extra?” sussurrò d’un fiato, facendo ben attenzione a nascondere la paura che l’attanagliava.


“… No, mi dispiace… noi infermieri, in generale, non sappiamo mai più del dovuto. Dovrai aspettare la visita medica per saperlo” affermò sconsolata Mai


Kagome sospirò


“Grazie lo stesso, Mai-san”





Altri due minuti di corsa e sarebbe arrivato.


Spero solo di non dover correre così tutte le mattine, maledizione.


Corse come un pazzo fino a quando l’edificio del liceo A. non fu ben visibile.


Vedeva alunni entrare.


Meno male, la campanella non è ancora suonata!


E rallentò il passo.





Erano le undici.


L’ambulatorio si era ormai riempito da un bel pezzo; le urla dei bambini che giocavano o che piangevano perché non volevano fare un prelievo o essere attaccati alla macchina per le terapie riecheggiava per tutta la sala d’attesa. Anche i genitori non erano da meno. Tutti riuniti in gruppetti, parlavano prima delle condizioni di salute dei loro figli, giusto due secondi, per poi cambiare completamente argomento. E, mentre la gente era lì, le visite erano iniziate ormai da un’ora e, poco alla volta, gli studi dei medici diventarono un via vai di pazienti, infermieri e tecnici di altri reparti.


Anche sua madre era in mezzo a tutto quel caos, tutta intenta a parlottare con due donne.


Lei no.


Non voleva partecipare a tutto quel caos, non voleva.


Vedere il dolore dipinto sui loro occhi… lo stesso dolore che lei sentiva ma che non voleva esprimere…


Le faceva ricordare in che razza di posto fosse.


Non voleva concentrarsi sull’ospedale.


O il suo cuore non avrebbe retto, mostrando a tutti le ferite che si era causato in quei mesi.


Come era solita fare, se ne stava nel suo angolo, con le cuffie nelle orecchie che sparavano musica a tutto volume per coprire il rumore dell’ambulatorio…


Hontou ni taisetsu na mono igai subete sutete (It would be nice if we could put away and throw out)

shimaetara ii no ni ne (everything except what really mattered)

genjitsu wa tada zankoku de (but reality is just cruel.)


Sonna toki itsu datte (In such times,)

me o tojireba (I see you laughing)

waratteru kimi ga iru (whenever I close my eyes)


Mentre si lasciava cullare da quella musica malinconica, scribacchiava un po’ sul suo quaderno di matematica, intenzionata a portarsi un po’ avanti con i compiti del giorno dopo.


Si sentiva come isolata da quel posto. La musica era l’unico sottofondo che sentiva e che voleva sentire. C’era solo lei in quel mondo ovattato. Non c’erano medici, né infermieri, né tantomeno macchine per la chemio e terapie di vario genere.


Solo io…


A riportarla nel mondo reale, però, fu sua madre che, tutta agitata, la chiamò scrollandola per le spalle.


“Kagome! Su, Kagome, forza! Ci hanno chiamato per la visita, sbrigati!”


E la vide raccattare con foga la cartelletta e tutti i documenti del caso, ancora più agitata.


Brutta strega.


“Chi ci ha chiamato?”


“La dottoressa Yamashita. Ora sbrigati!” disse sua madre mentre camminava a passo svelto verso lo studio medico, senza neanche guardare in faccia la figlia.


Oh, no!


Kagome non sopportava quella donna.


Aya Yamashita, quarant’anni, segni particolari: era una gran fifona ed eccessivamente scrupolosa. Se vedeva anche una minuscola macchia in una radiografia, subito si spaventava e mandava il paziente in questione a fare ulteriori esami per accettarsi che quella cosa non fosse niente di preoccupante.


Kagome entrò a passo lento, saluto la dottoressa con un cenno del capo e si mise a sedere su una sedia posta di fronte alla scrivania del medico. Sua madre si posizionò dietro di lei.


“Ciao, Kagome!” disse la Yamashita, sorridendo


“come stai?”


Secondo te come dovrei stare se sono qui, idiota?


“Sarò onesta” iniziò con tono seccato e senza perder tempo


“Fino a due giorni fa stavo bene, ma poi mia madre mi ha informata di questa visita extra senza nemmeno dirmi il motivo per il quale ora sono qui! Mi ha soltanto detto che era una visita come le altre, ma non sono così stupida da crederci visto che la mia solita visita era fissata per dopodomani”


E si zittì.


Sua madre non aveva battuto ciglio mentre la figlia parlava, si era solo limitata a posare una delle sue mani su una spalla della figlia che, prontamente, la ragazza scostò con una scrollata violenta.


“Voglio sapere perché sono qui.”


La dottoressa sospirò.


Si era raccomandata con quella donna di dire tutta la verità alla figlia; l’aveva fatto più volte, ma non c’era niente da fare. La madre teneva la verità nascosta alla figlia per proteggerla dalle sue stesse paure, era chiaro come il sole, ma non si accorgeva che così danneggiava la propria figlia invece che preservarla.


“Settimana scorsa hai avuto la visita dalla fisioterapista, giusto?”


“sì…” rispose la ragazza non nascondendo la sua confusione.


Che c’entra la fisioterapista? E’ per colpa sua se mi hanno chiamata qui? Parla, insomma!!


“Beh, ecco, ci ha fatto arrivare una sua relazione completa sulla scorsa visita.”


Si interruppe un attimo


“Non è per niente una bella relazione, lo sai?”


Kagome rimase di stucco


“Beh… sì… non mi aveva trovata benissimo… me l’ha detto. E mi ha raccomandato di non fare troppi sforzi e…”


“E poi hai fatto anche la risonanza magnetica di controllo alla schiena” la interruppe la Yamashita.


“Sì…” rispose


“Anche la fisioterapista ha voluto una copia del referto. Noi, dal punto di vista oncologico, abbiamo notato una situazione stabile. Per lei, invece, quel referto descriveva una situazione disastrosa. Ha notato, dalle immagini, che due vertebre della schiena, quelle toccate durante l’operazione, risultano saldate tra loro. E non è una bella cosa questa”


“E’… è per questo che, la scorsa settimana, se le toccava la schiena, mia figlia sentiva dolore? E’ per questo che non riesce a camminare ancora benissimo?” chiese la madre, visibilmente preoccupata


Cosa…?


“Come le ho già detto al telefono… sì, la fisioterapista l’ha trovata parecchio conciata, per dirla in gergo semplice.”


Come…?


“Ma… ma… anche dalla risonanza precedente le vertebre risultavano saldate! Io non… non capisco quale sia il problema!!”


Che significa…?


“In questo periodo devi esserti sforzata troppo, Kagome. Abbiamo deciso di chiamarti qui due giorni prima soltanto per dirti questo. Volevo dirtelo di persona, però io dopodomani non sono di turno qui, ma in reparto. Avendo parlato io con la fisioterapista, abbiamo ritenuto opportuno che fossi io a parlarti e, già che c’eravamo, ti abbiamo fatto i soliti controlli. Quelli vanno bene, l’emocromo è stabile, ti sei ripresa bene dalla terapia di settimana scorsa.”


Che… cosa… significa…?


“Il problema, per ora, è la schiena. Non puoi fare troppi sforzi”


Le sue mani iniziarono a tremare.


“Tua madre mi ha informata che, a inizio dicembre, avrai una gita di cinque giorni con la scuola a Osaka”


Che… diavolo… c’entra, ora…?


La dottoressa sospirò, dispiaciuta.


“Mi dispiace dirtelo, ma nelle tue attuali condizioni la gita è uno sforzo troppo grosso.”








“… Non potrai parteciparvi…”


!!


Un minuto di silenzio.


Due minuti di silenzio.


La madre di Kagome non aveva detto una sola parola, la dottoressa osservava Kagome che, con i pugni chiusi e tremanti, tratteneva a stento le lacrime.


Erano lacrime di dolore?


Erano lacrime di rabbia?


Erano lacrime di sconforto?


Kagome ormai era talmente abile nel celare i suoi sentimenti che nessuno avrebbe potuto mai capirla del tutto.


Nessuno


Nemmeno chi era nella sua stessa situazione…





In macchina non aveva aperto bocca, a tavola per il pranzo era muta come un pesce, ignorava il cellulare posto accanto a lei che continuava a vibrare ogni volta che riceveva un sms o una chiamata. Si limitava ad osservare lo schermo quando si illuminava e a leggere il destinatario, poi tornava con lo sguardo fisso sul suo piatto.


Si sentiva vuota.


Possibile…


Possibile…


Possibile… che… non possa più fare niente?



Aveva da poco consegnato a scuola l’iscrizione per la gita e già progettava con Sango e Kikyo quello che avrebbero fatto e non fatto in quei giorni.


Contava felice sulla punta delle dita le settimane e i giorni che ancora la separavano dalla partenza.


Si sentiva normale mentre faceva progetti, immaginava, discuteva e parlava con le sue amiche circa la gita.


Si sentiva normale, come tutti…


Ma io non sono normale…


Cercava di dimenticarlo.


Ma ogni volta c’era qualcuno che le schiaffava la realtà in faccia, violentemente e senza esitare.


Odiava la sua vita.


Voleva semplicemente essere come gli altri.


Si sforzava di apparire normale, serena.


Ma c’era sempre qualcuno pronto a vanificare i suoi sforzi.


A cosa serve… a cosa serve sforzare di contenere tutta la propria rabbia e il proprio dolore fino a farsi mancare il respiro se poi non ottengo niente?


Però se provo ad esternare ciò che provo, qualcuno si incazza e mi dice “no, non devi pensare così! Non devi dire così!”


Io…


Io…


Io…


Cosa devo fare…?


Come devo comportarmi?


Come cazzo devo comportarmi?!?!



Si alzò di scatto da tavola, cacciando fuori un urlo liberatorio.


Un urlo carico di disperazione.


Un messaggio di aiuto.


“Kagome!!” sua madre e suo nonno si spaventarono


“Kagome, cosa c’è?” suo nonno


“Kagome! Kagome!” sua madre


Lasciatemi…


“Kagome, per favore…”


Lasciatemi… stare…


“Kagome, non fare così!”


Lasciatemi stare!!!


Urlò di nuovo.


“Andate a fanculo!!”


E uscì di casa senza prendere nemmeno il cellulare e il cappotto, sbattendo forte la porta e percorrendo ad una velocità impressionante i gradini in discesa.


Una fitta alla schiena.


“Non devi fare sforzi”


Un’altra ancora


“non puoi andare in gita”


Si fermò, una volta terminati i gradini, per prendere fiato e per calmarsi.


Tutto il suo corpo tremava impazzito, i suoi occhi erano offuscati dalle lacrime, la vista era annebbiata, le orecchie, come tappate, fischiavano.


“Kagome!”


La ragazza non sentì nemmeno le voci che la chiamavano e tenne lo sguardo fisso a terra.


Si sentì prendere per le braccia.


Alzò il viso per vedere chi diavolo le stava rompendo le scatole e, a malapena, riconobbe Kikyo.


La sua amica si stava recando al tempio per lavorare.


La sua amica normale…


La sua amica che poteva fare tutto…


Anche andare in gita e sforzarsi quanto vuole.


La ragazza, in uno scatto d’ira, la spintonò via, urlando ancora con tutto il fiato che aveva in gola.


“K-Kagome!” Kikyo non l’aveva mai vista così e non sapeva proprio come affrontarla.


“Vattene al diavolo!!” urlò.


“Andatevene tutti al diavolo!”


E corse via





Perse la cognizione del tempo.


Incurante del freddo pungente che le pizzicava la pelle sotto il tessuto della sua maglia, aveva girato a zonzo per il centro per tutto il pomeriggio, senza nemmeno pensare a dove metteva i piedi e a dove fosse diretta.


Aveva assolutamente bisogno di calmarsi.


Camminare un po’ con la testa altrove l’aiutava. Era sempre stato un ottimo modo per calmarsi.


Quando la vista iniziò ad essere più nitida e le lacrime scomparse, decise di riconnettersi con il mondo reale.


Si fermò su un cavalcavia per prendere una boccata d’aria e osservare un po’ le macchine che sfrecciavano veloci sotto i suoi piedi, provando ad immaginare dove fossero dirette.


Tutti…


Tutti hanno la loro vita…


Tutti hanno degli alti e dei bassi…


Ma nonostante tutto… la loro è una vita normale…


La vita che voglio io…


Normale…



Era immersa nei suoi pensieri mentre lasciava che il vento le accarezzasse, con le sue fredde dita, il viso e i capelli, spettinandoli.


Osservò un attimo il suo orologio da polso, per prendere coscienza almeno di che ore fossero.


Le sei…


Tornò a guardare le macchine.


Era stata in giro davvero tanto.


Quattro ore come minimo le aveva passate.


Chissà la mamma e il nonno come saranno preoccupati…


E Sota si sarà spaventato non trovandomi a casa?


E Kikyo?


E Sango?


Si saranno preoccupate vedendo che non rispondevo al cellulare?


E Kikyo soprattutto… l’ho trattata male.











Forse mi conviene tornare…


Tornare… a casa…



“Ehi…”


Un flebile sussurro.


“Ehi…”


Ancora.


Si girò di scatto ma non vide nessuno.


“Cosa…?”


“Ehi!”


Eh?


“Alcina!”


Sobbalzò.


Quel nome…


Quel pupazzetto…


Quel ragazzo dai capelli corvini!


Kagome, sorpresa, trovò davanti a sé il ragazzo dell’altro giorno, avvolto in un cappotto marrone chiaro.


“Ehilà!” sorrise e poi la scrutò velocemente


“Ma come! Siamo a novembre e tu giri senza cappotto? Cavoli, complimenti, ne hai di resistenza, Alcina!”


La ragazza rimase senza parole.


In tutta Tokyo… incredibile… in tutta la città… ho incontrato proprio lui!


“Ehiii! Terra chiama Alcina! Terra chiama Alcina! Rispondi!” canzonò il ragazzo, vedendo che Kagome non rispondeva.


La ragazza abbozzò un sorriso per risposta.


“Cavoli” disse con tono più calmo


“Che occhi rossi e gonfi che hai!”


Sorrise


“Cos’è successo? Giornata storta?”


Kagome non aprì bocca.


Non voleva aprirsi con nessuno e, nonostante gli facesse piacere vederlo, non voleva parlare nemmeno con lui. Era come se le parole le morissero in gola, ancor prima di uscirle dalla bocca.


“Beh… a tutti può capitare! Pensa, a me oggi, in negozio, hanno comunicato che dovranno dimezzarmi lo stipendio perché le spese da sostenere per il proprietario sono troppe ed ora sono costretto a trovarmi un altro lavoro oltre a quello, altrimenti a fine mese non potrò pagare l’affitto!”


Perché?


Perché mi parli dei tuoi problemi se nemmeno mi conosci? Io non riuscirei a fare lo stesso…



Il ragazzo intuì che Kagome non era dell’umore adatto per parlare con uno sconosciuto.


Osservò le sue guance pallide per l’aria fredda.


Si sfilò il cappotto e lo pose dolcemente sulle sue spalle.


“Eh? Cosa?” ripeté lei.


“Te lo lascio. Se non ti copri ti prenderai un malanno!”


“Ma... no… dai…”


“Insisto! Me lo ridarai la prossima volta! Così magari riuscirai a dirmi altro, oltre a Eh? Cosa? Ma! E mi dirai il tuo nome! Ciao Alcina!”


E corse via senza nemmeno dare a Kagome il tempo per reagire.


Quando non riuscì più a vederlo, si infilò per bene il cappotto e si strinse nelle sue stesse braccia per infondersi un po’ di calore.


Riusciva anche a sentire il leggero profumo del ragazzo sul colletto del cappotto.


Senza dire niente, si incamminò piano verso casa.





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Contò i gradini, come era solita fare.


Arrivò alla soglia di casa e lì si fermo un attimo.


Devo… scusarmi…


Aprì piano la porta.


“Sono… sono a casa!” riuscì a dire.


Non fece in tempo a finire la frase, che si trovò tra le braccia di sua madre e di suo nonno che urlavano dalla gioia, contenti e sollevati che fosse tornata a casa.


Sentiva anche le voci di suo fratello, di Kikyo e di Sango che urlavano di gioia, quasi non fossero capaci a trattenersi.


Mi hanno aspettata tutti…


Terminati i convenevoli, Kagome venne accompagnata in salotto e fatta sedere.


Sua madre la sentiva fredda e si fece in quattro per scaldarla: pigiama in pile bello pesante, una cioccolata e una coperta. Suo nonno e suo fratello le chiedevano cosa avesse fatto, che nessuno era arrabbiato con lei, che, nonostante fossero tutti preoccupatissimi per lei, sapevano che fosse una ragazza con la testa a posto, che aveva solo bisogno di sfogarsi un po’ e che, alla fine sarebbe tornata a casa. Kikyo e Sango non parlavano, ma la fissavano sorridenti.


“Tutti… tutti… mi avete aspettata? Nonostante… il mio comportamento…?” sussurrò appena


I suoi occhi erano secchi, non una lacrima li bagnava.


Quelle le aveva già piante tutte mentre era in giro.


Si sentiva circondata d’affetto.


E lei si sentiva un’ipocrita, a mantenere il suo cuore sporco e lacero nascosto a tutti.


Ma non voleva perdere quell’ondata di affetto a causa delle sue ferite, del suo animo.


Cacciò di nuovo tutti i suoi pensieri dentro di sé, decidendo di comportarsi come al solito.


Perché non poteva fare altro…





Il giorno dopo, come tutte le mattine, trovò ai piedi degli scalini del tempio Kikyo e Sango per andare a scuola insieme a loro.


Durante la passeggiata da casa a scuola, nessuna delle due citò quanto accaduto il pomeriggio precedente.


“Sai, Kagome, ieri nella nostra classe è arrivato un nuovo studente!” esclamò Sango


“Davvero?! E com’è? Carino? Alza un po’ la media pietosa dei maschi della nostra scuola?”


“Altroché! E’ davvero un ragazzo fantastico! Ha i capelli neri, lunghi e i capelli color ambra! E’ davvero fantastico!”


“Scusa, Sango… ma tu un ragazzo già ce l’hai! Ti ricordi? Miroku, state insieme da un anno e mezzo!” si intromise Kikyo


“Eeeeeh! Suvvia, il fatto che io sia fidanzata non vuol dire che non posso guardare gli altri ragazzi!”


“ehm…” Kagome si schiarì la voce


“Quello che Kikyo intende dire… è che tu che già hai un pesce che ha abboccato all’amo devi lasciare gli altri pesciolini dell’acquario a noi! Giusto?”


“Giusto!”


E scoppiarono tutte e tre a ridere.





Liceo A., aula della quarta classe del primo anno.


Mancano dieci minuti al suono della campana.


Kagome, entrando, viene subito attratta da una persona.


“Ah, Kagome! Guarda, il nuovo studente è quello!” disse Sango, indicando nella direzione verso la quale Kagome stava già guardando.


Non ci credo…


Non ci credo…


Non ci credo!



Era lui! Era proprio lui!


I capelli corvini, gli occhi color dell’ambra.


Seduto al suo posto, in disparte, con lo sguardo abbassato sul banco.


Kagome l’avrebbe conosciuto tra mille.


Il ragazzo di ieri!! Il ragazzo del negozio e del cappotto!!


Nota dell'autrice: *puff* ce ne ho messo, eh? ^^" Però mentre stendevo questo capitolo mi sono venute in mente un sacco di idee per la storia ed ero troppo presa a inserirle nella storia per continuare questo capitolo! XD E non vedo l'ora di mettere tutto nero su bianco! Dunque, vi do ufficialmente il benvenuto nel mondo "Psicanalizziamo Kagome Higurashi versione Aoki"! XD In questo capitolo Kagome potrà sembrare parecchio ambigua, che si fa problemi per niente... ma, giuro, tutto quello che ho scritto ha un filo logico, che svelerò pian piano! E ora che entrerà in scena anche Inuyasha... aggiungerò misteri su misteri! ^_^ Poi, che dire... ah, i nomi delle infermiere, "Mai" e "Kae" non sono stati scelti per caso, ma rispecchiano la personalità dei modelli a cui mi sono ispirata! Ma questo discorso si spiegherà più avanti! ^^ Insomma, continuo ad aggiungere misteri! Aspettate che mi metta a psicanalizzare Inuyasha e poi saremo a posto! XD Ah, mi ero dimenticata una cosa nelle note iniziali: nel capitolo viene menzionato il "cvc": questa sigla sta per "catetere venoso centrale". Per spiegarvi cos'è vi rimando a questa pagina, dove c'è una spiegazione molto semplice! :D Bene! Mi scuso se il capitolo non vi piace! ;__; Università permettendo, spero di pubblicare il prossimo entro due settimane!


L'autrice risponde ai commenti!

ryanforever: eheheh, ora che Inuyasha è comparso, una cosa è certa... iniziano i casini! XD
roro: sei la prima persona che si commuove per qualcosa che ho scritto *-* Uuuh, grazie, grazie! E, per quanto riguarda Kikyo... sai, neanche io amo molto questo personaggio però non sopporto proprio chi le affibbia tutte le caratteristiche negative esistenti su questo mondo! ._.
KaDe: meno male, le note non hanno infastidito! ^^" Temevo il contrario, sai? Comunque, ora che c'è anche Inu, l'autrice si divertirà un mondo! XD *risata malefica* eheheh!
Kagome19: ciao!! Evviva, una nuova lettrice! Anche te ti sei commossa! *-* Ragazzi, così farete commuovere anche me! Piangiamo tutti insieme, sigh sigh! ;_; Ehm, ok, scherzi a parte... spero continuerai a seguirmi! ^_^
mel_nutella: deduci bene su Inuyasha! ^_^ Anche lui avrà i suoi grattacapi! Sono proprio contenta che sia riuscita a farti immedesimare nel personaggio di Kagome! Il mio obiettivo è proprio quello di portare voi lettori dal punto di vista dei personaggi! Grazie, grazie per i commenti!!


In generale, grazie davvero di cuore! Le vostre recensioni mi fanno letteralmente sciogliere! *_* Grazie!! E grazie anche a chi legge soltanto! Ormai ogni capitolo è stato letto più 150 volte e le letture continuano ad aumentare! Grazie di cuore! Tengo davvero tanto a questa storia e sono proprio contenta che vi stia piacendo! Un bacio a tutti, al prossimo capitolo!!
  
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