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Autore: A lexie s    20/11/2014    8 recensioni
CaptainSwan spelling:
Scrivere flashfic o oneshot partendo dai seguenti prompt, la pubblicazione può avvenire in qualsiasi momento, l’unica regola consiste nel rispettare la sequenza senza saltare lettere.
-Chocolate&Comfort: Lui spostò la mano dalla sua schiena, facendole sentire la mancanza di quel calore, le toccò leggermente il labbro inferiore catturando una scia di cioccolata che era sfuggita al suo controllo e se la portò alle labbra.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Never give up

Captainswan – [Storm&Sadness; 1376 parole.]

“Perché continui a farmi questo, Emma?” Era arrabbiato, profondamente e giustamente arrabbiato. Non riusciva a capire cosa fare, lei un giorno sembrava volerlo nella sua vita ed il giorno dopo era fredda e scostante.
“Io, non lo so.” Sussurrò risentita, si voltò e fece per andarsene.
“Aspetta” la implorò, non voleva che andasse via e lo lasciasse lì di nuovo. Emma rimase ferma, le spalle rivolte verso di lui parvero curvarsi sotto al peso del suo senso di colpa, ed era vero che lo feriva con il suo comportamento ma lui non poteva fare a meno di preoccuparsi per lei, di lei. Si avvicinò e l’avvolse, le baciò il collo lentamente e fece scorrere il naso sulla sua pelle per annusare il suo odore fruttato.
Rimasero così per molto tempo quella notte.


 

Faceva freddo, un freddo pungente, uno di quelli che ti entra dentro le ossa e ti devasta piano. Il freddo non era nulla però confrontato al gelo che provava ogni giorno, l’anima logorata, le mani tremolanti e gli occhi stanchi e tristi.
Ogni sera si lasciava andare alla sua consueta passeggiata, non importava che stagione fosse, non gli importava del vento, della pioggia, della nebbia che non gli permetteva di vedere bene dove andare o di qualsiasi altra condizione climatica. Non importava nemmeno che stesse male, che soffrisse, che non riuscisse a respirare delle volte. Il dolore era sempre qualcosa che non poteva controllare, gli afferrava le viscere e le stringeva così forte ed allora il fiato cessava, gli occhi si appannavano e si ritrovava steso sull’asfalto come lo era stato molto tempo prima.
 
 
C’era aria di tempesta quella sera. Lei lo sapeva e lo sapeva anche lui.
Era così triste e sconvolta, più triste però.
“Mi dici cosa ti passa per la testa?” Gli aveva urlato contro, gli occhi furenti, le mani che cercavano di afferrare l’aria intorno a loro come a volerla spazzare via e dopo i pugni stretti, le nocche sbiancate e gli occhi sbarrati.
“Mi dispiace, amore. Volevo solo che non corressi rischi.” Si giustificò, chiudendo la distanza che c’era tra loro e bloccandogli i polsi con la mano e l’uncino.
“Sei così idiota, io non lo controllo, non mi controllo!” Esclamò frustrata, le sue mani si mossero da sole liberandosi e scagliando una scia di luce nella direzione opposta.
La preoccupazione le attraverso il volto, l’ansia le strinse lo stomaco così dolorosamente che per un attimo provò l’impulso di accasciarsi al suolo, “non mi controllo” sussurrò di nuovo, piano questa volta e poi si ritrovò in ginocchio.
“Va tutto bene, Emma, tutto bene” cercò di rassicurarla, abbassandosi per ritrovarsi di fronte a lei.
“Non va nulla bene, potrei ferirti, stammi lontano” ordinò perentoria, nascondendo con vergogna le mani dietro la schiena e cercando di rallentare il respiro agitato.
“Mi chiedi qualcosa che non posso darti, io farei di tutto per te, ma non questo. Non questo, non ti lascerò sola qui, sconvolta e spaventata.” Si fece di nuovo avanti, inginocchiandosi e passandole la braccia intorno alle spalle, catturò la sua mano e la strinse dolcemente, “tutto okay, Emma. Andrà tutto bene, starai bene, staremo bene.” La portò più vicino a sé e lasciò che lei nascondesse la testa nell’incavo del suo collo.


 
Quella notte non faceva nessuna eccezione, non sapeva perché continuava ad ostinarsi a ripercorrere i luoghi dove andava con lei. Luoghi di quiete dove stavano completamente in silenzio a riflettere, ognuno per conto proprio all’inizio, poi insieme. Altri che avevano percorso in cerca di avventura e pericolo, ed altri ancora dove si era consumata la loro passione, un sentimento così bruciante che non aveva mai provato prima.
Così percorreva le strade del porto ricordando che in quel luogo lei gli aveva chiesto di tenere suo figlio, si era fidata di lui, poi passava dal bosco per ricordare il bacio con cui gli aveva chiesto di dargli tempo. Passando in rassegna tutti quei luoghi in cui l’aveva salvato o lui aveva salvato lei, la centrale in cui lei gli aveva mostrato il suo passato, la brandina su cui avevano pomiciato una notte, passando poi – quando era buio abbastanza e nessuno poteva vederlo – nel cortiletto di Granny. Ed era allora che si risiedeva lì, il tavolo in cui tutto era iniziato, il luogo in cui si era scambiati il loro primo bacio consapevole e vero. Rimaneva lì una manciata di minuti, il tempo di bere un goccio di rum e rivederla uscire da quella porta e sedersi al suo fianco.
“Sei così bella” mormorava sempre, come se lei fosse lì davvero, come se potesse sentirlo o arrossire di quel complimento.
Poi si alzava ed andava via, riservando la fine di quelle serate sempre ad un unico posto.
La porta era sempre aperta, nessuno più viveva lì. Troppo dolore, troppi ricordi.
Avevano lasciato la casa subito dopo, ma lui non poteva fare a meno di tornarci e salire in camera sua. Tutto era ancora lì, tutto immutato perché spostare qualcosa significava che era reale e nonostante il tempo trascorso lui non poteva accettarlo.
Si avvicinava al grande armadio di castagno, lo apriva ed estraeva la sua giacca di pelle rossa. La prima che le aveva visto addosso, la stessa che le aveva sfilato in quella stessa stanza, in quel letto in cui si erano amati disperatamente. Si sdraiava lì, abbracciava la pelle anche se non era la pelle che voleva stringere e si lasciava andare al dolore, i ricordi riaffioravano sempre prepotentemente, ogni volta peggio di quella precedente, più intensi, più vividi, più strazianti.
Ogni maledetta sera.
 
 
“Va tutto bene” sussurrò piano, i capelli sparsi in modo scomposto sull’asfalto mentre cercava di sostenerle il capo, la mano poggiata sulla ferita grondante di sangue, era scuro, quasi nero e quello non era un buon segno.
“Fate qualcosa, guardatela” urlò a squarciagola, tutti erano in silenzio dietro di lui, la guardavano ma non sapevano cosa fare, nemmeno la magia poteva aiutare in quel caso, “fate qualcosa” ripeté più lentamente, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime e cominciava a dondolarsi convulsamente su se stesso.
“Hey, va tutto bene, non possono fare nulla.” Tossì piano, un fiotto di sangue le uscì dalla bocca e Killian lo asciugò prontamente con un polpastrello.
“E’ ridicolo no? La salvatrice che non riesce a salvare nessuno, nemmeno se stessa.” Soffiò piano, troppo stanca per dare la giusta impronta ironica alla sua voce, troppo stanca anche solo per tenere gli occhi aperti.
“Ma tu mi hai salvato, Emma. Mi hai salvato.” Le sussurrò, baciandole le labbra dolcemente e appoggiando la fronte alla sua.
Lei sorrise, riuscì a sentire le sue labbra che si piegavano in un sorriso mentre la baciava.
“Tu mi hai salvata” disse infine, prima di chiudere gli occhi. L’espressione rilassata, serena e non più triste.
Killian rimase lì per molto tempo, sdraiato sull’asfalto vicino al suo corpo, non era solo un corpo, lei era ancora la donna che amava ed era morta.
Forse era destinato a perdere qualsiasi cosa ci fosse di buono nella sua vita. Suo fratello, poi Milah e adesso Emma, li aveva persi e sostenuti nello stesso modo, aveva sofferto, era stato lacerato, squartato interiormente, ma nessun dolore era paragonabile a quello di vederla lì inerme. Il non poter vedere più le sue espressioni di disappunto o di disagio, gli sguardi dolci che gli riservava raramente ma che gli aprivano il cuore così tanto da lasciarlo con aria sognante, il modo in cui gli fissava le labbra prima di baciarlo e l’urgenza con cui sostituiva la dolcezza quando lo spogliava. La sua fierezza, il modo in cui cercava di essere dura, la paura che cercava di sopprimere, i suoi capelli scompigliati dal vento e le loro mani strette.
 

Nessun dolore era mai stato paragonabile alla sua assenza.
Ed ogni notte stretto alla sua giacca rossa poteva risentire il suo profumo, immaginare di accarezzarle di nuovo i capelli e quasi sentire la consistenza delle sue labbra che si modellavano a contatto con le sue. Ed era così doloroso sentirla vicino e non averla accanto davvero.
“Ma io sono al tuo fianco.”
“Non come vorrei, amore.”
“Ti amo.”
Non poteva rinunciarvi però, perché il dolore era l’unica cosa che lo faceva sentire reale e che gli ricordava che lei c’era stata e l’aveva amato.
 

Note:
Sono pronta a qualsiasi insulto o minaccia di morte. XD
A mia discolpa posso dire di avervi avvisati nello scorso capitolo. 
Mi sono lasciata trasportare e l'ho fatta fuori, ma sappiamo che non accadrà mai nel telefilm quindi consolatevi. 
Non ho molto altro da dire al riguardo, solo che non potevo scrivere solo cose felici, ci vuole un po' di sofferenza. 
In ogni caso, ringrazio chi continua a leggere e recensire la raccolta (spero non vogliate davvero farmi fuori XD), chi l'ha aggiunta alle varie categorie e chi partecipa all'iniziativa. Insomma ringrazio tutti!
Soprattutto le mie compagne di sclero! <3 
A presto :)




 
  
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