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Autore: avalonne    20/11/2014    0 recensioni
Un luogo arido e deserto verso cui scappare, un luogo inospitale dove rifugiarsi e uccellini e prati in fiore da cui fuggire. La protagonista affronterà il suo demone interiore per sapere da cosa sta scappando e soprattutto cosa desiderano il suo cuore e la sua mente.
Storia partecipante al contest "I miei luoghi oscuri" indetto da graceavery
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti/e!
Questa storia partecipa al contest "I miei luoghi oscuri" indetto da graceavery. Il tema come preannucia il titolo riguarda quelle parti di noi stessi che rimangono oscure, ma non in tutti casi l'oscurità è male.
Fatemi sapere se avete apprezzato.

 

Le rose di Atacama

 
Correva a perdifiato, scappando, oltre la fatica e il dolore alla milza, in un labirinto fatto di alte siepi spinose. Il terreno sotto i suoi piedi cambiava di passo in passo: alti spuntoni di roccia grigia si ergevano improvvisamente di fronte a lei costringendola a bruschi scatti laterali, mentre dirupi profondi si aprivano ai lati del suo cammino. Tutto senza un rumore. Sembrava che in quell’incubo dantesco fossero scomparsi tutti i sensi che non fossero la vista. Non provava né caldo né freddo, nonostante il vestito leggero e le vampate di fuoco verde che senza preavviso si levavano da cumuli di rocce apparentemente ignifughi. Il fumo non aveva odore, la goccia di sudore che le scendeva dalla fronte per terminare la sua corsa sulle labbra secche non aveva sapore. E su tutto l’assenza di rumore.
Si guardò alle spalle per scoprire da cosa fuggiva: immagini rassicuranti di prati in fiore con uccellini probabilmente cinguettanti, che non poteva udire, la inseguivano, macinando metri dietro di lei e prendendo il posto di quel brullo paesaggio senza sole. A tradimento, da un braccio laterale del labirinto comparve una delle sue più care amiche: le braccia spalancate in un abbraccio familiare pronte ad accoglierla e darle rifugio. Un ultimo scatto e le suole delle sue scarpe toccarono un terreno grigio e polveroso che si estendeva a perdita d’occhio dietro l’ennesimo spuntone di roccia.
Finalmente tutto si calmò. Di fronte a lei si stagliava una pianura arida e brulla, ad ogni suo passo leggere volute di polvere grigia si alzavano dal terreno secco e friabile, ma ancora su tutto dominava l’assenza di rumore. Il verde dei prati e il sole si erano fermati alle sue spalle, bloccati da una barriera invisibile.
Camminò silenziosamente fino a che i suoi passi tornarono a fare rumore, l’aria divenne fresca a causa delle nuvole che impedivano alla luce di giungere su quella terra desolata e un buon odore di caminetto acceso iniziò a spandersi. Il luogo, sebbene ancora arido e deserto, non sembrava più così ostile. All’improvviso si fermò, con la coda dell’occhio aveva percepito un movimento in un anfratto delle rocce.
- Chi sei? – Chiese con la sicurezza di un padrone di casa.
- Il tuo demone interiore – Fu la risposta. La voce era calda e rassicurante, come quella di un vecchio amico, ma era chiaro che non aveva intenzione di farle sconti: - Sai qual è il tuo più grande peccato?
- L’invidia. – Le parole le scivolarono fuori dalle labbra prima che riuscisse a fermarle. Certamente sapeva qual era il suo punto debole, quel piccolo mostriciattolo verde che le artigliava il cuore e le impediva di gioire del nuovo lavoro della sua amica mentre lei era ancora disoccupata, che la faceva guardare con astio l’altra amica con l’anello di fidanzamento al dito, che la faceva sospirare di fronte alla pelle perfetta delle moderne adolescenti.
Per tutta risposta dalla grotta provenne una risata roca, non spaventosa, non malevola, sinceramente divertita.
- Sai dove siamo adesso?
- All’interno del mio cuore? - Replicò avvilita.
- Più o meno. Mente e cuore non sono poi due entità così separate.
Sorrise suo malgrado. La risposta faceva appello alla sua parte razionale, quella che l’aveva sempre caratterizzata e che ormai si era un po’ persa per strada.
- Piuttosto spoglio per essere il centro dei desideri di una persona invidiosa, nevvero? Se il tuo peccato fosse davvero l’invidia sarebbe pieno di tutto ciò che hai sempre desiderato: un lavoro, il principe azzurro, tonnellate di quei vestiti che guardi in vetrina… invece è un deserto arido. Cosa provi stando qui? Angoscia? Tristezza?
Nulla di tutto ciò, realizzò. Stava bene. Si era alzata una lieve brezza calda che le accarezzava le spalle, all’orizzonte lame rosso fuoco dipingevano il cielo con furiose pennellate in un’imitazione di tramonto e, a guardare bene, quella landa non era così priva di vita: c’erano piante grasse disseminate un po’ ovunque e lei adorava le piante grasse. Si sedette su una grossa pietra nera lucente: ossidiana, riconobbe immediatamente, splendido simbolo di indipendenza e perfezione, così nera, dura e levigata.
- Sto bene qui. Finalmente mi sento in pace, ho trovato il mio posto.
Fece scorrere la terra polverosa tra le dita, era calda e le diede una sensazione di benessere.
Di nuovo dalla roccia si udì sgorgare la risata di gola.
- Ci credo che stai bene, questo è il tuo regno, la tua essenza. Hai provato a uniformarti alla massa, a credere che anche tu volessi un lavoro serio, mentre guardi la tua amica che torna a casa ogni giorno più abbattuta e provi pena per lei, hai pensato di volere che ti regalassero un anello, quando dentro di te hai sempre sostenuto che una donna deve essere in grado di comprarsi i gioielli che desidera, e non hai mai dato importanza ad un brufolo in più sul tuo viso. Questa è la tua essenza, senza fronzoli, ma fatta di veri valori. Non hai bisogno di arcobaleni e uccelli canterini, perché da bambina, mentre le tue amiche sognavano unicorni e principi azzurri, tu volevi solcare il mare come un pirata. Questo posto non è arido, è essenziale ed è pronto ad accogliere i tuoi desideri veri, quelli più profondi, che sbocciano dal deserto come rose.
“Le rose di Atacama[1]” pensò lei, ricordando un libro letto anni prima, una raccolta di storie di uomini e donne che hanno combattuto per i loro valori. Ma le rose di Atacama sono anche rose vere, che fioriscono nel deserto del Cile una volta l’anno, a ricordare che la bellezza si può trovare in ogni luogo.
- Hai capito adesso, vero? – Le chiese il demone.
- Sì, mi ero persa per un momento, ma ora mi sono ritrovata. Ho creduto di desiderare cose che non mi interessavano per sentirmi uguale a persone a cui non volevo assomigliare. Eppure a molte di loro voglio ugualmente bene…
- Non si devono amare solo i propri simili, l’importante è non perdere se stessi, ma adesso hai scoperto la strada per questo luogo e potrai tornarci ogni volta che tu vorrai. Buona fortuna e buon viaggio.
- Mi hai parlato sempre nascosto da quella roccia, perché non ti mostri?
Di nuovo la risata. Poi un debole fruscio e infine udì il rumore di terra e rocce smosse. Dal piccolo anfratto uscì un uomo, era uguale ai pirati che popolavano i suoi sogni da bambina.
- Sei bello per essere un demone. – Commentò.
- Questo perché tu non hai mai creduto che i demoni siano brutti.
Risero entrambi, prima che lei si incamminasse indietro.
 
 

[1] Libro scritto da Luis Sepulveda
  
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