Caserma
dei vigili del fuoco, martedì pomeriggio.
Era una giornata tranquilla: nessun incendio era scoppiato, nessuna zona
allagata e nessuno rimasto fuori di casa. L'unica squadra dell'abitato di Vecona non aveva nulla da fare ed era così da settimane. La
squadra era composta da dieci persone: due ingegneri, un geometra, un
caposquadra, quattro vigili e due dipendenti di supporto tecnico
amministrativo-contabile. Solo uno dei vigili si trovava nella palestra, in cui
non c'era nemmeno il materiale adatto per allenarsi, e si trattava di una
diciottenne: Evelyn Amelia Shadows, io, new entry della squadra. Ero giunta
pochi mesi prima dalla sede centrale, avevano deciso di mandarmi lì poiché
"è causa di difetto nella concentrazione agli altri allievi", chissà
poi cosa voleva significare, ma mi ero trovata subito bene, quel paesino mi
piaceva molto, anche se non c'erano i grandi incendi che scoppiavano in città,
e tutti si chiamavano per nome, tanto che all'inizio mi chiamavano Evelyn
Amelia mentre ora mi chiamavano solo Evy, come avrei voluto che mi avessero
chiamato anche i miei genitori. Avevo fluenti capelli castani raccolti in una
coda, occhi azzurri e una pelle molto pallida, tanto che molti temevano che
sentissi freddo o stessi male. Presi due maniglie attaccate al muro con delle
carrucole e, attaccate alle corde che tenevano le maniglie, c'erano degli
estintori vuoti che fungevano da pesi. Vidi un ragazzo di diciannove anni con
corti capelli castani a spazzola, occhi marroni e carnagione chiara entrare
nella palestra con un cacciavite in mano e cominciare a smontare una vecchia
bici, immaginai che ne avrebbe fatto una cyclette, siccome lì mancava quasi
tutto. Kokei era il suo nome, Kokei
Musashi, l'avevo conosciuto appena arrivata dalla
centrale.
- Sempre in allenamento, Evy?- mi chiese.
- Sì, non c'è molto altro da fare: tutti si stanno occupando dei propri lavori
e il mio l'ho già fatto.-
- Le solite scartofie d'ufficio, eh? L'anno scorso
era toccato a me.- rise il ragazzo.- E ora sono qui a fare
"l'inventore" per ideare come utilizzare le cose che abbiamo a
disposizione per costruire attrezzi ginnici.-
- Che liceo hai fatto, Ko? Un tecnico?-
- No, classico, anche se ti sembrerà strano. Tutti sono stupiti della strada
che ho voluto intraprendere. Tu che facevi?-
- Lo scientifico, sono una piccola chimica che ha sentito la
"chiamata" per entrare a far parte del corpo.- risposi, tenendo le
maniglie mentre appoggiavo gli estintori al suolo.- Ho un fratello che è
pilota, un padre programmatore e una madre fioraia, una famiglia di
diversificati nel lavoro.- aggiunsi con un sorriso.- Non uno che faccia il
mestiere dell'altro!-
- Mio padre traduce testi di latino e mia madre è professoressa di greco, era
inevitabile andare al classico.- disse lui.- Mi puoi tenere su la bici?-
- Certo.- risposi, prendendola in mano per il telaio e tenendola un po'
sollevata.
Il ragazzo sfilò la ruota posteriore e appoggiai la bici sul sostegno.
- Conoscete la casa dei McCarty?- chiese un uomo, comparso
all'improvviso dietro di Kokei.
- McCarty? No, qual è?- chiesi, vedendolo.
Era il caposquadra, un uomo dai corti capelli biondi, sui quaranta anni, occhi
azzurri e carnagione chiara, indossava una tuta arancione. Era finito lì trenta
anni prima e da allora "dimenticato" in quel luogo e si chiamava
Massimiliano Forese, anche lui originario della città. Era molto silenzioso nei
movimenti e molto preciso in tutto.
- È quella in fondo al vicolo dei Morti.- spiegò l'uomo.- Bisogna fare un
sopralluogo e voi dovete ancora farvi le ossa sul campo, dico bene, Kokei?-
- Tutti passano di lì almeno una volta nella vita, Evy.- mi spiegò il giovane Kokei.- Io sarei dovuto andarci l'anno scorso, ma non si va
mai soli in un luogo pericoloso, è contro ogni norma di sicurezza.-
- Non capisco; non sarebbe potuto venire uno degli altri, l'anno scorso?-
- Una volta e non più, ma ti vedo scettica: cosa non va?- chiese il
caposquadra.
- Max, non per contraddirti, ma sembra che abbiate paura che una trave vi cada
addosso.- feci, con le braccia conserte.- Siamo vigili del fuoco e dobbiamo
tenere sotto controllo le nostre emozioni per essere sempre al massimo
dell'efficienza e, siamo seri, avete paura dei fantasmi?-
- Lui non è come gli altri, bambina: non guardarlo mai negli occhi o ti porterà
con sé, nessuno è mai sfuggito alle sue grinfie né ora né mai.-
- Vado a prepararmi.- sospirai.- Senza dati scientifici non si possono
affrettare conclusioni. Ci vediamo lì davanti?-
- Davanti alla caserma tra cinque minuti.- precisò Kokei.
Davanti alla caserma, controllai lo zaino. Avevo tutto il necessario per mappare la casa ed eseguire qualche riparazione, avevo
portato con me anche una pala e molta corda, la prudenza, in fatto di
costruzioni pericolanti, non era mai troppa. Fantasmi… non esistevano né
ectoplasmi né nulla del genere, anche se il mio passatempo preferito era
leggere i tarocchi, ma era un passatempo, nulla più. Controllai la torcia e le
batterie, le avevo cambiate poco tempo prima, per quanto mi ricordavo. Tutto in
ordine, come sempre, sebbene l'ordine non fosse mai stato il mio forte, bastava
vedere la mia cameretta prima di entrare nel corpo.
- Pronta, Evelyn?- chiese Kokei, arrivandomi vicino.
Osservai il mio compagno. Aveva uno zaino enorme in confronto al mio
settantacinque litri, ma potevo immaginare quello che conteneva: tutto ciò che
poteva servire a contrastare creature sovrannaturali o aliene.
- Cos'hai lì?- chiese, accennando a un rigonfiamento dei miei pantaloni.
- Nulla, solo i miei tarocchi, preferisco non lasciarli mai da nessuna parte e
portarmeli sempre dietro.-
In realtà c'era qualcosa di più che mi legava a quei tarocchi, più di un
semplice passatempo, anche se preferivo definirlo così per non essere presa per
pazza: quando ero piccola e mi ero ritrovata nel mezzo di un incendio quegli
stessi tarocchi avevano creato un muro difensivo attorno a me e mi avevano
protetta dal caldo e dalle fiamme. Non avevo mai capito da dove fosse provenuta
tutta quell'energia, ma avevo giurato di non lasciare mai quei tarocchi da
nessuna parte.
- Questo è per te, è un amuleto e ti proteggerà.- disse, mettendomi al collo un
ciondolo d'oro.- Con questo il fantasma non riuscirà a vederti.-
- Non vuoi capirlo che il fantasma non esiste, vero?- sospirai.- Comunque
grazie, è molto bello.-
Il ciondolo aveva incisa una stella a cinque punte rivolta verso l'alto ed era
a forma di virgola ed era legato a una catenina per la parte più stretta. Lo
strinsi con la sinistra, recitando dentro di me alcune parole che l'avrebbero
reso sensibile a qualsiasi pericolo imminente.
- Su, andiamo, abbiamo una casa da mappare.-
- È molto grande, dubito che in una mezza giornata ce la faremo.-
- Se rimaniamo qui, no di certo.-
- Ho messo a posto anche la ruota del camion che ci porterà a destinazione: è
meglio che i vivi non tocchino il suolo di via dei Morti e che stiano a una
bella distanza dal suolo.-
- Come vuoi, Ko, sei tu il più anziano, qui.- dissi,
alzando le spalle e mettendomi in spalla lo zaino.
Lo seguii. Com'era stato strano il caso… io, che dovevo essere una scienziata
rigida e che dovevo provare tutto prima di credere, mi affidavo al potere
magico di un mazzo di tarocchi… lui, che doveva diventare un professore o
qualcos'altro del genere faceva il pompiere e aveva paura di una casa vecchia e
scricchiolante…
Kokei salì sul camion e mi sedetti accanto a lui. Era
anche molto carino… ma non potevo pensare a quelle cose, mi ero ripromessa di
trattare gli uomini solo come amici e lo stesso per le donne, non volevo di
rischiare di diventare come i miei genitori, tutte le attenzioni su mio
fratello e nulla su di me, anzi, ero considerata una bambina piccola, una
mocciosa che doveva restare tale, non mi avevano mai dato molta responsabilità,
non mi avevano mai rimproverato di qualcosa e, all'improvviso, tre anni prima
si erano risvegliati, si erano ricordati che anch'io stavo crescendo e avevo
bisogno di essere regolata, ma era troppo tardi e non era possibile tornare
indietro.
- A cosa stai pensando?- chiese Kokei.
- A nulla.- risposi, con voce pacata, ma dopo mi accorsi di avere la mano
posata su quella del collega.
Tirai via subito la mano. Non potevo permettermi certe debolezze, non potevo
distruggere tutto quello che avevo creato, non potevo innamorarmi e rendere
vano tutti gli sforzi, dovevo controllarmi, celare le mie paure e le mie
debolezze per andare avanti e fare al meglio il mio lavoro.
- Ora siamo in via dei Morti, non scendere per alcun motivo: a quanto dicono
chi vi abbia posato piede non è più tornato indietro per raccontare cos'è
successo.- mi ammonì.
- Su, non dirmi che credi a queste sciocchezze?- ridacchiai.- Nessuno muore per
essere entrato in una via a meno che non si becchi un proiettile o qualcosa del
genere.-
- Una volta all'anno delle persone devono entrare, ma è molto raro che escano.
Questo camion è chiamato il "camion della morte" e i pochi che sono
sopravvissuti sono diventati pompieri.-
- Se quello che dici è vero, chissà che tanfo deve esserci lì dentro…-
commentai.- ci vorrebbero molti limoni per ripulire il luogo dalla puzza di
morto…-
Rimase in silenzio e guardai davanti a me. Sui marciapiedi erano sparsi qua e
là resti umani a diversi stadi di decomposizione, sembrava strano che con tutti
quei morti l'aria non fosse impestata e che non ci fossero malattie, forse
anche i germi morivano in quello strano ambiente, ma gli animali vivevano e si
muovevano con naturalezza. Focalizzai la mia attenzione su uno degli animali,
era un gatto nero, un gatto senza coda dagli occhi dorati e le orecchie dritte,
che mi stava fissando anche lui con pari intensità, dopo, con un agile guizzo,
saltò su un muro, scomparendo, e tornai a guardarmi avanti. C'era un cancello
arrugginito in mezzo alla strada che portava alla villa dei McCarty,
in cima di un colle che sovrastava l'altopiano la città. Chissà quali storie la
circondavano e come mai era in una posizione più elevata della città, che era
comunque a una bella altezza sul livello del mare. Erano i misteri ad
affascinarmi, non le certezze, e, a pensarci bene, era anche per quello che
portavo sempre con me i tarocchi…
Le barre del cancello terminavano con punte aguzze e vi erano saldate molte
decorazioni che ricordavano le sculture marmoree delle chiese, ma non erano
facilmente distinguibili a causa dello strato di ruggine che ne confondeva i
tratti. Sulle colonne che reggevano il cancello c'erano dei leoni seduti con
una zampa alzata, quasi a voler mendicare soccorso, la zampa dalla parte della
villa. Spinsi più in là il mio sguardo: la villa appariva nera con il sole a
ovest, poco più alto dell'orizzonte, avremmo avuto ancora un'ora o due di luce,
dopo il buio sarebbe caduto.
- Se moriremo qui il fantasma correrà per le vie del paese guidando il camion
mentre noi rimarremo insepolti per l'eternità.- mormorò Kokei,
più rivolto a sé stesso che a me.
- Non fare il disfattista, Ko, domani torneremo alla
caserma e non sarà successo nulla.- ribattei, scocciata da quei discorsi.
"Fantasmi… non esistono, non sono mai esistiti, sarà qualcuno che si
diverte a fare scherzi idioti sfruttando l'instabilità dell'edificio, mi
toccherà tenerlo d'occhio, non vorrei si facesse male."
Kokei fermò il camion davanti alla porta e scesi,
osservandola. Non era facile distinguere molto ma, da quel poco che si capiva,
c'erano immagini della caduta dei diavoli e di punizioni divine. Non era una
villa normale, bisognava far ben più attenzione di quanto pensavo necessaria e
cercare di non rovinare fregi e affreschi che si potevano trovare all'interno.
- Pessimo segno…- mormorò Kokei, venendomi vicino.
- Quale? Un'opera d'arte che si sta corrodendo?- chiesi, cercando di scherzarci
su.
- Un limone marcio.- rispose, indicandomi l'agrume.
- Che significa, allora?- sbuffai. "Sì, come no, un limone marcio come
segno di morte e di presenza di fantasmi, bella questa, devo segnarmela e
ripeterla, prima o poi."
- Che siamo attesi all'interno, dovremo passare la notte qui prima di poter
tornare indietro, se mai vi torneremo.- rispose, nervoso.
- Se non ci mettiamo subito al lavoro, ci metteremo anche due giorni.-
sbuffai.- Ko, mettiti il casco e andiamo.-
Mi misi il mio e controllai il portatile, ma sembrava non voler rispondere a
nessun comando.
- Ci mancava solo questa.- sbuffai piano.- Anche il computer che non vuole
funzionare, ma ora gli faccio vedere io: control, alt, canc.
E vediamo che hai da dire, ora!-
Lo schermo divenne nero e non si riavviò in alcun modo. Computer di ultima
generazione che funzionava dappertutto, avevano detto i miei quando me lo
avevano dato, sì, come no…
- Non sono mai funzionati gli aggeggi elettronici, quassù.- disse Kokei.
- Onde elettromagnetiche…- dissi.- Ok, carta e penna e andiamo.-
Allacciò alla mia cintura un moschettone e alzai lo sguardo su di lui: per la
prima volta che eravamo lì, in quella proprietà, sorrideva. Mi strinse a sé.
- Non voglio perderti, Evy.- mormorò.
- Non mi perderai, a meno che non mi crolli una trave addosso. Andiamo, Ko, prima iniziamo e prima finiamo.- risposi, spingendolo
un po' e mettendomi i guanti.
Mi diressi verso la porta, abbassando la visiera, e la aprii, una folata
c'investì subito e Kokei cadde indietro, seduto sul
posto in cui era, anche se si rialzò quasi subito. Immaginai cosa gli passasse
per la testa: non poteva fare pessima figura davanti a me.
- Solo amici.- sussurrai, rivolta a me, entrando nella villa.
Non dovevo distrarmi, non potevo farlo altrimenti un innocente ci avrebbe
rimesso la vita: quella villa era stata creata apposta per qualcuno come me,
qualcuno che non avesse paura di creature inesistenti. Saggiai il pavimento e
misi un piede, dopo ne saggiai un altro, ma la copertura si sbriciolò sotto i
miei piedi. Il ciondolo non emise alcun segnale, in quel momento e in quelli
successivi.
- EVY!- urlò Kokei, tentando di recuperare la corda
che mi teneva legata a lui.
Mi voltai e caddi indietro, presa da qualcosa. Dovetti sbattere la testa perché
non vidi più nulla e non ebbi più segnali dall'esterno…
Aprii gli occhi, il sole entrava da una finestra e c'era una figura seduta su
una sedia a dondolo, che ondeggiava lentamente. Vidi la persona osservarmi e mi
alzai, vedendo le mie mani, ancora coperte dai guanti, attraverso la visiera.
- Lei è un'abitante di Lago Senza Acqua, vero?- mi chiese la figura, con una
voce maschile baritonale.
- Lago Senza Acqua?- chiesi.- No, mi chiamo Evelyn Amelia Shadows e vivo nella
caserma dei vigili di fuoco di Vecona.-
L'uomo rise.
- Ecco spiegata l'origine dei suoi strani abiti, madamigella Shadows, mi
permetta di offrirle qualcosa di più adeguato.-
- Vi ringrazio, ma preferisco declinare l'offerta: sto bene con la divisa. Voi
non mi avete ancora detto chi siete.-
- Mi chiamo Ezechiel McCarty,
ultimo discendente della famiglia McCarty, inviato
qui dalla propria famiglia per conservare il tesoro della famiglia fino alla venuta
di una giovane cartomante dal futuro.-
Riuscii a vedere l'uomo in tutti i suoi particolari: indossava una palandrana
nera e ciabatte in pelo, aveva corti capelli biondi, occhi azzurri e una pelle
molto chiara, quasi quanto la mia e il viso era pulito.
- Devo dedurre che anche lei è venuta qui dal futuro, visti i suoi abiti, anche
lei alla ricerca del tesoro di famiglia?- chiese.
- Affatto, dovevo solo mappare la casa indicando i
posti in cui è più instabile.- risposi schietta, tenendo in una mano la penna e
nell'altra le planimetrie.- Se mi può aiutare mi dà solo che una grande mano.-
- Certo, venga qui.-
Mi avvicinai a lui e vidi un grande lago privo d'acqua poco fuori le ringhiere
che delimitavano il possedimento. Allora "Lago Senza Acqua" era Vecona, se quella era proprio la villa che dovevo mappare, chi l'avrebbe mai detto: gli abitanti che andavano
ogni anno lì, secondo quello che mi aveva detto Kokei,
erano solo vili cercatori di tesori e quell'uomo sulla trentina era il
guardiano.
Il fantasma! Certo, era chiaro come la luce del sole che mi illuminava, la
leggenda del fantasma era derivata da una deformazione temporale che si doveva
trovare nella casa e che doveva riportare a circa duecento anni prima, a vedere
gli abiti di quell'uomo.
- Se lei non è chi serve, sarò costretta a eliminarla.- sussurrò, stringendomi
la vita con un braccio.
Mi sciolsi da lui, voltandomi.
- Ho con me i miei tarocchi che mi hanno protetto fin dalla più tenera età, ma
non sono una cartomante: sono una vigile del fuoco, nulla più.-
Presi dalla tasca il mio mazzo di tarocchi e lo tirai fuori dalla custodia, la
prima carta era quella in cui mi potevo rispecchiare: il decimo arcano
maggiore. Per i tarocchi normali rappresentava la ruota, ma io avevo una
"variante" che veniva detta "dei druidi" e raffigurato sul
decimo arcano maggiore vi era la Dea della Battaglia, Boadb,
la cui terribile profezia chiudeva le saghe celtiche.
- Sei la discendente di colei che doveva essere mia sposa.- sospirò.- Ci sono
voluti secoli e ora eccoti qui: ora posso raggiungere l'aldilà e colei che amo
ancora nonostante la morte.-
Non capivo. Cosa significavano quelle frasi?
Svenni e, quando potei risvegliarmi, vidi che nella villa era entrato il sole e
Kokei era accanto a me, preoccupato, con un foglio in
mano.
- Non morirà più nessuno.- gli dissi.
Qualche tempo dopo eseguii una ricerca su quella casa: la famiglia McCarty aveva costruito quella villa trecento anni prima
del mio viaggio nel passato per controllare il paese di Lago Senza Acqua che
regolarmente andava a scavare durante la notte per cercare un fantomatico
tesoro che, secondo le voci, doveva trovarsi all'interno della proprietà. Il
tesoro non era mai stato trovato, ma, centottanta anni prima della mia entrata,
Ezechiel era stato accusato dalla famiglia di aver
messo incinta e amato una donna del popolo e l'avevano obbligato a vivere in
solitudine finché una discendente della famiglia non fosse tornata indietro.
Era stato solo un caso che io fossi stata quella discendente che tanto
attendeva per poter raggiungere l'amata, uccisa dopo aver messo al mondo la
creatura. Ah, riguardo al gatto senza coda, anche lui era stato maledetto a
controllare che il padrone non cercasse di sfuggire alla sua pena e a uccidere
chiunque entrasse, ora lo sto accudendo nella villa, che dicono sia diventata
di mia proprietà in quanto discendente di Ezechiel.
Ora vivo lì sola con il gatto e l'ho riportata all'antico splendore grazie
anche alla tranquillità che regna qui, i miei genitori non li ho più sentiti e
così per mio fratello. Ora sono libera! Kokei ogni
tanto passa di qui, ma si vede che ha ancora paura di questo posto e, mi
dispiace, non posso fare nulla per scemare la sua paura. È un bel e bravo
ragazzo, ora lo posso dire.
Mi viene da ridere quando dicevano che qui ci fosse un fantomatico tesoro; un
tesoro c'è: è la pace che vive qui a Vecona, qui a
Lago Senza Acqua, e che regnerà in qualsiasi modo venga chiamato in futuro.