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Autore: La sposa di Ade    22/11/2014    2 recensioni
L’OOC l’ho inserito per sicurezza, se i personaggi diventeranno effettivamente OOC sappiate che non è voluto.
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“E Hisoka che significa?” L’uomo distolse lo sguardo dalla pioggia e puntò le sue pupille dorate in quelle blu di Amaya, per poi portarsi un dito alle labbra e sussurrare: “Segreto.”
La ragazza inclinò la testa di lato, non capendo se quello fosse l’effettivo significato del suo nome o se volesse semplicemente tenerglielo nascosto, come se fosse un qualche assurdo e importantissimo segreto… ah, quasi le venne da ridere, che altro si sarebbe dovuta aspettare da un pagliaccio?
“Perché sei vestito da pagliaccio?”
“Sono un prestigiatore, Amaya, non un pagliaccio.” Solo in quel momento la ragazza notò che la sua mano stava giocherellando con una carta da gioco.
“Allora fammi vedere qualche trucco.”
“Cosa mi darai in cambio?” Un sorriso spontaneo si dipinse sulle labbra della ragazza.
“Segreto.” Il pagliaccio, o prestigiatore, per Amaya non faceva alcuna differenza, le allungò il mazzo di carte sotto il volto, con un sorriso furbo appena accennato sulle labbra.
“Allora scegli una carta.”
Genere: Angst, Dark, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genei Ryodan, Hisoka, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Che tu sia spirito di salvezza o dannazione, che tu porti aliti di paradiso o miasmi d'inferno, che le tue intenzioni siano malvage o pietose, tu vieni con un aspetto così pronto alle risposte che io ti parlerò.



Ciò che le rimase nel momento in cui lasciò cadere la spada erano ricordi dolci e amari; aveva ancora i ricordi di suo fratello, aveva ancora il dolore della caduta e vaghi flash passati di persone e luoghi.
Nel momento in cui la lama raschiò a terra accanto al corpo morto di Cypher Amaya fu soddisfatta di ciò che aveva appena fatto.
Poi tutto nella sua mente svanì in una nebbia confusa e indolore.



Il tempo all'ovest era ostile esattamente come ricordava, seppur vagamente; la pioggia scrosciava con impetuosa violenza, senza dare mai tregua alla città. Ai lati della strada si ammassavano bancarelle colme di frutti e prodotti. Nei vicoli, in quelli più stretti, tavano ammassati gruppi di bambini, rannicchiati l'uno contro l'altro per combattere il gelo e la fame.
Amaya strinse il sacco di iuta che aveva preso a gocciolare, intriso d'acqua, prima di dirigersi verso una di quelle stradine laterali, strette e cupe.
Rannicchiata contro il muro stava una figura fasciata con un telo che una volta doveva essere stato bianco. La testa nascosta tra le braccia, incrociate sulle ginocchia, nel tentativo di mantere più calore possibile, nonostante si vedesse chiaramente il tremito del fagotto.
Allongò la mano e lasciò cadere ai piedi della figura il sacco di iuta. Quando questo cadde a terra si aprì e un paio di mele rosse e succulente rotolarono fuori. La figura sollevò lo sguardo, mostrando un paio di occhi del colore della pece e ciocche di capelli bianchi e neri.
"Qual'è il tuo nome?"
"Rebi." Rispose la ragazzina, tremante e vagamente impaurita dopo un istante di muta sorpresa.
"Rebi... e basta?"
"Komorebi." Lo disse in un sussurro vergognoso, perché le era sempre apparso come un nome del tutto inadatto lì, dove pioveva quasi ogni giorno.
"Hai un nome bellissimo." Era un nome che sapeva di sole tiepido sulla pelle, di passeggiate in mezzo agli alberi. Il suo nome parlava di terre lontane e luoghi sconosciuti.
Komorebi sarebbe potuta essere ciò che Amaya non era mai stata. Ma non sarebbero mai state neanche simili, se non per quelle esperienze che accomunavano loro due e altre mille creature abbandonte a se stesse, perché erano l'una l'opposto dell'altra.
Le porse la mano, come qualcuno aveva fatto una vita passata con lei, offrendole ciò che più desiderava e di cui aveva più bisogno.






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Epilogo. Pioggia e Sole

Resta a sospirare di pena in questo nostro crudo mondo, per raccontare la storia, vera, di me.

Si era preparata una strada, un lungo lastricato di sangue e morte, vendetta e rancore.
Sono certa che l'abbia percorsa, quella strada, ma solo fino a un certo punto. Nessuno può reggere un tale peso, nemmeno lei, o semplicemente qualcosa è andato storto, non lo so di preciso, ma posso immaginare che ormai quella strada sia irrimediabilmente interrotta.
Non so se esserne felice, per lei o per me, non lo so, davvero. Mi trovo in una di quelle situazioni di cui non ti capaciti, in cui ci sono troppe cose che bisognerebbe conoscere per realmente capirci qualcosa. E ormai neanche lei può spiegarmi come sono andate realmente le cose, per filo e per segno.
Ha fatto qualcosa, qualcosa che forse non avrebbe mai voluto fare, o che forse desiderava fare da troppo, e la sua mente ne è uscita così.
Sono certa che prima non fosse così, sono certa che un animo del genere viene a formarsi solo dopo gravi traumi, forse un po' come quelli che avremmo potuto vivere noi, ai lati della strada, o a causa di grandi poteri. Quelli a cui lei ogni tanto fa riferimento quando cerca di spiegarmi come sono andate le cose, quelli troppo grandi da anche solo sperare di controllare.
La verità è che non lo ricorda più neanche lei, frammenti di vita sono andati completamente persi, la vedo ogni tanto, mentre mi parla, corrugare la fronte e interrompersi, cercando di ricollegare fatti slegati fra di loro, perché qualche pezzo manca sempre, nei suoi racconti. C'è sempre qualcosa che non riesce a dirmi, ferite e cicatrici che non riesce a ricordare, nonostante passi intere notti insonni a fissare con sguardo truce le sue armi, in cerca di qualcosa che non potrà mai riavere indietro.
C'era una parola che le danzava spesso sulle labbra, la pronunciava con orrore e rispetto. È una parola che non conosco, che non avevo mai sentito, ma che sa d'inverno e di brividi gelidi sulla schiena.
E poco importa se conoscessi o meno quel nome, perché la volta in cui lei provò a materializzarla di nuovo, quella spada, perché era quello che era, magari per avere delle risposte, e vidi l'aspeto di quell'arma, decisi di non volerci avere niente a che fare.
Poco dopo mi disse che era stata quella l'arma che l'aveva ridotta così, perché ricordava fin troppo bene come funzionava, aveva intuito di averla usata in modo stupido e disperato, ma non ricordava contro chi, né per quale motivo.
Io tremai, quando mi disse quelle cose, che era da cose come quelle, poteri come quelli a cui dovevo prestare più attenzione, in modo da non finire come lei. Pensai che un'arma come quella era mostruosa, che non sarebbe dovuto esistere uno strumento in grado di cancellare frammenti di vita, in grado di rendere chi la utilizzava come un sacchetto vuoto.
Tuttavia doveva esserci un motivo se aveva deciso di rinunciare ai suoi ricordi, forse c'era qualcosa che non desiderva più, nella sua mente, qualcosa di troppo grave da sopportare per continuare a vivere normalmente. E quello quasi lo capivo.
Ricordavo, ogni tanto, quei miserabili giorni passati sotto la pioggia, ad attendere che il mondo andasse avanti e che, magari, in qualche modo, le cose cambiassero. Ricordavo che pensavo alla morte come una possibilità, neanche tanto remota, e che non avevo paura. C'erano giorni che quasi l'aspettavo con ansia.
Le cose sono cambiate moltissimo da quando ho incontrato Amaya.

Qualche giorno fa si è fatto vedere un ragazzino biondo vestito di strani abiti, è stato strano rendersi conto che cercasse proprio Amaya. Pensare che qualcuno la stesse cercando, qualcuno della sua vita Prima che le cose cambiassero così tanto, volesse forse parlarle... quasi non ci credevo, l'avevo sempre vista come una creatura indipendente e profondamente sola.
Tuttavia la nostra delusione, mia e del ragazzo, qundo ci siamo accorti che lei non sarebbe stata di alcun aiuto non ci fece demordere. Il ragazzo aveva insistito, menzionando una certa Brigata; a quanto pare lui stava cercando qualcuno, qualcuno che Amaya aveva dovuto conoscere bene, un tempo. Ignorando il fatto che lei lo osservava come se fosse uno sconosciuto nonostante sapessero l'uno il nome dell'altro. Inutile dire che quando lui se ne fu andato e le chiesi di chi si trattasse lei riuscì a darmi solo delle vaghe risposte, niente di realmente signficativo.
È passato molto tempo dopo quell'episodio, lei mi ha addestrato, mi ha insegnato a difendermi, mi ha trasmesso conoscenze che niente avrebbe potuto cancellare, perché intrinseche nell'animo e non nella mente. Ora so maneggiare una katana nel modo giusto, riesco a impugnare quell'arma e a donarle l'onore per cui è stata forgiata, o almeno è quello che mi piace pensare. E così con tante altre, ho anche trovato l'arma con cui mi trovo meglio.
Mi ha insegnato che il rancore è la cosa peggiore in cui io possa imbattermi, che la vendetta rovina la vita e l'anima, che è giusto prendere le cose come arrivano. Perché la vita è così; cupa e giusta, in quache modo. Toglie e da, in uguale misura.
Peccato che tutto quello ebbe poca importanza per i fatti che avvennero poco dopo.
Arrivarono da est, muovendosi nella città come avvolti da una bolla da cui tutti si tenevano ben lontani. L'uomo alto, quello con i capelli rossi e lo sguardo affilato, aveva accompagnato al donna fino a noi; li riconobbi entrambi, nel senso che conoscevo i loro nomi e poco più, stando a ciò che mi aveva raccontato Amaya, se non che avevo visto diverse volte quello vestito in modo biazzarro aggirarsi per la città, non avrei mai immaginato che fosse lì per Amaya.
Il tizio con gli occhi che sembravano monete d'oro doveva aver raccontato la situazione alla donna, a quanto pare era davvero rimasto in città per studiare la situazione. La ragazza con i capelli rosa aveva discusso a lungo con Amaya, dubitando lei stessa che potesse aver dimenticato così tante cose e tentando quasi di farle tornare in mente qualcosa.
Aveva detto che la vendetta era una cosa inutile e avevo visto chiaramente la sorpresa sbigottita dei due individui. La ragazza l'aveva afferrata per il colletto e sollevata di peso, mentre lo sguardo dell'altro si faceva più cupo, gli occhi dorati che correvano da una donna all'altra, non sembrava molto contento della situazione.
Amaya era rimasta impassibile, come ormai accadeva per ogni cosa, anche quando la donna le riversò addosso tutto il suo odio con insulti e minacce, ricordandole che aveva fatto -che si era fatta- una promessa. Quella di essere lei a uccidere l'assassina di Nobunaga e degli altri suoi compagni. Amaya aveva inclinato appena la testa, mostrando di non sapere assolutamente di cosa loro stessero parlando.
A quel punto la donna l'aveva lasciata andare, con negli occhi un'espressione che non so descrivere, forse un misto tra rabbia e pietà.
Anche allora avevo provato a chiederle chi fossero quegli individui. Tuttavia non ricevetti risposte molte diverse da quelle vaghe che mi aveva dato la volta precedente. Mi aveva detto di ricordare meglio l'uomo, piuttosto che la donna a cui sapeva di aver rotto le mani con incredibile determinazione, mi aveva detto che tra loro due doveva esserci stato un legame particolare, e niente più. Dopo quella volta quasi mi rassegnai, nonostante un mucchio di domande continuassero a tormentarmi. Da quando mi ha raccolto ai lati della strada mi sono sempre chiesta perché l'avesse fatto, perché caricarsi di un tale fardello? Quella fu comunque una cosa che non ebbi mai la forza di chiederle.
Capii molto dopo che quella per lei doveva essere un'espiazione. Un tentativo di fare almeno una cosa buona nella sua vita irrimediabilmente rovinata.

Amaya non parlava molto, questo lo ricordo, a dire il vero non sembrava neanche più un essere umano, solo uno spettro del passato, tormentato da fatti e fantasmi.
Forse fu prorpio perché non ero stata l'unica a pensarlo che quell'uomo si era presentato di nuovo, con un intento che solo ora riesco a comprendere, nonostante il dolore sordo al cuore non accenna ad andarsene neanche ora, che sono passati anni.
In fondo Amaya è stata tutto quello che ho avuto e l'unica su cui potevo fare affidamento.
Poco prima di andarsene Amaya mi aveva detto un'ultima volta che la vendetta era inutile. Quella era una cosa che non si stancava mai di ripetermi. Forse si aspettava che sarebbe andata a finire così, per quello forse mi aveva fatto promettere di andare avanti con la mia vita e di non cercarla più.
Non viva.
Perché la sua non era stata vita, perché sembrava non aspettare altro che potersi riunire al fratello di cui parlava con tanto amore e che le donava quel briciolo di umanità in più ogni volta che faceva il suo nome.
Forse in fondo era giusto così, le tempeste, per quanto forti, prima o poi sono destinate a terminare, e le pioggie notturne a lasciare il posto ai raggi del sole.
Ed è strano, perché ricordo di avere sempre odiato la pioggia notturna, era sempre stata così gelida, crudele, nel suo insinuarsi nei miei abiti leggeri, quando ancora non avevo un tetto sopra la testa.
Lei mi ha scaldato; mi ha donato quel poco calore che le era rimasto, tutta l'umanità che non aveva perso.
E mi ha insegnato tanto; ha fatto di me una vera persona, non più uno straccio abbandonato ai lati della strada.
Adesso osservo la pioggia notturna con occhi nuovi.



Fine

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Note: Komorebi è una parola intraducibile in italiano (come Weltschmerz) ed è usata per indicare i raggi del sole che filtrano attraverso le fronde degli alberi. E ricordatevi che il significato del nome Amaya è pioggia notturna :)
Le citazioni a inizio e fine capitolo sono prese dall'Amleto di Shakespeare.

Non ho voluto inserire quela prima parte nel capitolo precedente perché Komorebi per me è sempre apparsa come una comparsa (molto a sorpresa) da capitolo finale :)
Sono negata a scrivere in prima persona, tuttavia continuo a provarci, ogni tanto ^^'
L'ho uccisa? Beh, sì. Alla fine sì. Amaya è stato uno di quei personaggi estremamente poveri (non a livello caratteriale), che si trova a vivere nella miseria e a portare avanti un intento, un progetto che lo è altrettanto. Destinato a portare solo rovina. Per questo le citazioni all'Amleto di Shakespeare ci stanno tanto bene, secondo me. C'è un finale tragico, anche se venato di una vaga speranza, ma comunque giusto, perché ristabilisce l'ordine delle cose.
Shikacloud ci ha azzeccato in pieno nella recensione che mi ha lasciato la volta scorsa: Amaya è come un incendio, distrugge e divora tutto sul suo passaggio, tuttavia è una cosa che accade di rado, e che comunque è destinata ad estinguersi dopo aver dato spettacolo della sua forza.
Quindi siamo giunti alla fine. Ammetto che inizialmente mi è piaciuto moltissimo scrivere questa storia, e allo stesso modo sono stata contenta di ricevere l'approvazione e i consigli preziosi dei lettori. Nonostante nella parte finale (l'asta e il finale, escluso l'epilogo, che bene o male era sempre stato così nella mia testa) ci sia stato un... calo(?) da parte mia. Ciò che mi ha fregato sono stati gli episodi a cui dovevo andare dietro e che non riuscivo a rendere abbastanza (per questo tornerò a scrivere originali ^^'). Ma sono comunque contenta di essere arrivata alla fine e che, in qualche modo, questa storia vi sia piaciuta :) E spero che, ora che è finita, mi facciate sapere consa ne pensate.
Arrivederci! 
  
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