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Autore: Touch the sound    23/11/2014    3 recensioni
Dei lunghi capelli neri su quella pelle così pallida, i suoi occhi erano chiari e belli. Gli occhi azzurri gli erano sempre piaciuti.
[Chris-Ricky]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4- Philosophy.
«Olson?» chiamò una voce maschile e un pò debole.
«Presente» rispose Ricky svogliatamente. Quel giorno il cielo era scuro, l'azzurro era stato completamente inghiottito da quelle enormi nuvole grigie e cariche di pioggia, la temperatura era probabilmente paragonabile a quella della Siberia, i visi delle persone erano stanchi e assonnati.
Ricky sbadigliò poggiando la testa sul banco. La noia si era impossessata di lui perchè la religione non era una materia che gli interessava particolarmente, ma più che noia sentiva una specie di disagio e tristezza. Ogni volta che gli chiedevano cosa c'era che non andava, però, diceva di stare bene. E lui credeva davvero a quelle parole, per Ricky tutto quel malumore nasceva col cadere della pioggia. L'inverno per lui significava solo pianti e apatia. Non sapeva se anche per gli altri fosse così, ma ogni cosa brutta sembrava capitare durante quei terribili mesi in cui il gelo e nebbia la facevano da padroni.
Riaprì gli occhi solo quando sentì la campanella. Era contento che quell'ultima ora fosse volata via, ma affrontare la pioggia per ritornare a casa non lo motivava di certo a correre fuori dall'edificio.
Si alzò e trascinò fuori se stesso e la sua borsa troppo pesante. 
Era arrivato a casa completamente bagnato e con una conclusione: gli ombrelli erano la cosa più inutile mai inventata.
Si fece subito una doccia e asciugò i capelli. Scese nel salone dove i suoi genitori erano già seduti e lo aspettavano per il pranzo. Mangiò in silenzio, non ascoltava i discorsi di suo padre -che stranamente quel giorno era tornato per pranzo- e nemmeno quelli di sua madre. Se ne stette solo lì finchè suo padre non disse che sarebbe uscito per ritornare a lavoro.
«Mi puoi accompagnare da Mike?» gli chiese Ricky.
«È la terza volta che ti porto da Mike nell'ultimo periodo, devo controllarti?»
Ricky roteò gli occhi. I suoi genitori erano abbastanza aperti e gli lasciavano fare un pò tutto, ma c'era un "no categorico" sui tatuaggi. Erano qualcosa di troppo permanente, dicevano. Lui era troppo immaturo per prendere una decisione simile, dicevano.
«Oh, hai ragione, dal collo in giù sono pieno di tatuaggi, perdonami per avertelo nascosto» rispose il ragazzo con un tono teatrale. Suo padre sospirò e gli disse di filare in macchina. Il trucchetto del dire la verità come se si stesse dicendo una bugia funzionava sempre.

Scese dalla macchina salutando velocemente suo padre e corse nel negozio.
«Ciao Mike» disse Ricky chiudendo la porta alle sue spalle.
«Hei Ricky, come mai sei qui? C'è qualcosa che non va nel tatuaggio?» gli chiese l'uomo quasi preoccupato. Non avevano un appuntamento nè il ragazzo l'aveva avvertito che sarebbe passato.
«No, va tutto bene» rispose Ricky guardandosi intorno. C'erano un paio di persone in attesa, e una ragazza stava sdraiata a pancia in giù sul lettino mentre Chip, chino su di lei, le stava tatuando qualcosa sulla parte bassa della schiena.
«Ehm... stavo pensando di fare un piercing» continuò mentre Mike si allontanava dal suo bancone, già intento a chiamare Grace. La donna arrivò subito nella sua esuberante pelliccia zebrata e negli immancabili stivali da cowboy. Dopo pochi convenevoli si spostarono alla postazione di Grace, Ricky si sdraiò sul lettino e si tolse la maglia.
«Come mai un piercing al capezzolo?»
«Perchè quello che ho fatto l'anno scorso si è chiuso» rispose lui tranquillamente. Grace non sapeva se crederci, ma eseguì il suo lavoro senza fiatare. Non sapeva bene che rapporto avessero lui e Mike, ma il suo capo pareva tenerci molto a quel ragazzino.
Quando Grace portò a termine il suo lavoro, Ricky si alzò e si rivestì.
«Grace, posso chiederti una cosa?»
La donna annuì.
«Ma quel ragazzo... quello che lavora qui... Chris» 
Abbassò lo sguardo e Grace subito intervenne.
«Oggi ha lavorato di mattina» disse.
«Poverino, Mike lo fa sgobbare» sussurrò fra se e se.
«Quindi tu potresti fargli avere... il mio numero?» chiese Ricky abbassando la voce mentre pronunciava le ultime parole.
«Perchè?» chiese la donna ormai incuriosita.
«Doveva farmi vedere una cosa qualche giorno fa, ma non si è fatto più sentire»
Grace gli disse che avrebbe provveduto a dargli il numero e Ricky la ringraziò.
«Comunque non credo che ti volesse dare buca, Mike lo fa stare qui fino a tardi e a volte vanno via insieme, sai gli sta insegnando a tatuare quindi fanno le ore piccole»
Ricky rimase piacevolmente sorpreso. Non era molto sicuro di voler lasciare il numero a Chris, infondo quattro giorni prima l'aveva aspettato per un'ora al freddo, ma la voglia di rivederlo era inspiegabilmente più grande dell'orgoglio e le parole di Grace l'avevano convinto che meritava un'altra possibilità.

Il cellulare squillò alle 22:17. Ricky scavò fra tutti quei libri che occupavano gran parte del letto. Era tardi, ma stava cercando di studiare perchè aveva passato tutto il pomeriggio a controllarsi il piercing, ad appisolarsi sul suo lato preferito del letto, a tenere sotto controllo il cellulare e ad aprire e chiudere i libri senza alcun risultato.
Trovò il cellulare sotto il voluminoso libro di filosofia. Non conosceva il numero e gli angoli della sua bocca si sollevarono automaticamente.
«Pronto» rispose velocemente.
«Ciao Ricky, sono Chris» sussurrò il ragazzo con un pò di incertezza.
«Ciao Chris» disse Ricky alzandosi dal letto. Aveva il brutto vizio di andare avanti e indietro mentre parlava al telefono, poi quella non era una chiamata come le altre. Sentiva una specie di formicolio nelle gambe e le guance gli bruciavano al solo sentirlo respirare. Gli piaceva il suono di quella voce.
«Scusa se ti ho chiamato a quest'ora, ho avuto delle cose da fare oggi»
«Non preoccuparti, stavo ancora studiando»
Ci fu un pò di silenzio , poi Ricky prese di nuovo a parlare.
«Perchè l'altro giorno non sei venuto? Ti ho aspettato» disse tentando di non fargli pena, non era quella la sua intenzione, voleva solo sapere se era successo qualcosa. Chris allora gli spiegò quello che era successo e Ricky gli fece capire che comprendeva la situazione.
«Però voglio vedere ancora i tuoi disegni» disse Ricky. Era entrato lentamente nella conversazione -era sempre così- e stava cominciando a sentirsi a suo agio.
«E io voglio farteli vedere, è solo che...» 
Ricky sentì Chris sbuffare.
«C'è qualche problema?» gli chiese.
«È solo che prevedo di non avere un minuto libero per i prossimi cinquant'anni» concluse Chris.
«Facciamo così, quando trovi dieci minuti mi avverti»
Chris sussurrò un "okay" quasi sforzato. Non avrebbe voluto dargli false speranze, per questo avrebbe tentato in ogni modo di trovare un pò di tempo da dedicare a Ricky.
«Bè, che hai fatto oggi?» 
Ricky sorrise e si toccò una guancia che era diventata rossa e calda. A Chris interessava quello che aveva fatto.
«Sono andato a scuola, mi sono annoiato, sono tornato a casa zuppo dalla testa ai piedi, poi ho dormito un pò e adesso stavo studiando filosofia»
«Che cosa si può pretendere da un mondo in cui quasi tutti vivono soltanto perchè non hanno il coraggio di suicidarsi?» sussurrò Chris.
«Schopenhauer» esclamò Ricky stupito. Chris rise.
«L'unico filosofo che ho studiato per bene, lui aveva capito tutto»
«E che cosa aveva capito? Che la vita di un individuo è solo il risultato del dolore proprio e altrui? Che il positivismo è solo una grande stronzata inventata da un francese schizzato con un cognome di merda?» chiese Ricky annoiato. Non gli piaceva per niente la filosofia, ma comunque doveva ammettere che fra i tanti filosofi Schopenhauer era il suo preferito.
«Comte era un idiota, Schopenhauer invece se ne fregava dell'amore, del romanticismo e del progresso, aveva ragione quando diceva che noi smettiamo di lamentarci delle sofferenze della vita solo quando moriamo, che consoliamo le pene della vita pensando a quelle della morte e viceversa, che noi ci aggrappiamo ad una volontà immotivata di vivere perchè nessuno di noi è davvero in grado di esistere» spiegò Chris quasi incantato dalle sue stesse parole. La sua professoressa di filosofia era stata brava a fargli comprendere quei ragionamenti filosofici spesso molto complessi. Sorrise pensando che probabilmente, sentendolo parlare in quel modo, sarebbe stata fiera di lui.
«Lui voleva far capire che l'uomo soffre di solitudine perchè è incapace di accettare la felicità... non siamo in grado di fare altro, ci autodistruggiamo fisicamente e moralmente, ci mettiamo in catene quando invece potremmo aprire le ali, ci lamentiamo in continuazione, ma senza tutto questo dolore saremmo indescrivibilmente vuoti e annoiati e saremmo capaci di lamentarci anche di questo»
Ricky rimase in silenzio per qualche istante. Quel momento era così perfetto e quelle parole l'avevano colpito. In effetti era la stessa cosa che gli spiegavano a scuola, ma detto da Chris risultava più interessante... o forse più sentito. E ancora una volta si ritrovò a pensare che Chris avesse la voce più bella che avesse mai sentito.
«Non ci appaga sapere che quel poco che abbiamo può renderci felici» sussurrò. Non sapeva bene cosa dire per non risultare uno stupido.
«Già, basterebbe accontentarci, così tutti vivremmo in un'assoluta libertà» disse poi Chris.
«Abbiamo un animo cupo che è consapevole di tutto ciò, ma che decide lo stesso di restare in solitudine»
Chris sorrise e poi prese un grande respiro mordendosi il labbro delicatamente.
«Ricky, mi stai facendo fare un discorso sull'animo umano a quest'ora, dopo una giornata estremamente stressante... devi avere qualcosa di speciale»
Ricky si sentì di nuovo arrossire. Quelle parole sembravano talmente sincere che Ricky stentava a credere che fossero rivolte a lui. Non voleva sembrare un montato, ma pensava davvero di avere qualcosa di profondo che aspettava di venire fuori con l'aiuto di qualcuno.
«Non credo» rispose per non sembrare, appunto, un montato. Essere Richard Olson poteva facilmente precipitare in qualcosa di estremamente artificioso, qualcuno poteva pensare che accettare subito un complimento fosse sinonimo della totale consapevolezza di essere il migliore. Nella sua mente scaturiva tutto dal fatto che era ricco sfondato, ma non sapeva nemmeno se Chris era al corrente della sua situazione economica. Lui stesso pensava che ostentare la propria ricchezza di tanto in tanto l'avrebbe messo in una posizione scomoda; era uno di quelli che non sopportava l'idea di sembrare un ragazzino ricco e viziato perchè non lo era affatto.
«Credo proprio che lo troverò un pò di tempo per te» disse Chris distraendo Ricky dai suoi pensieri che avevano preso il sopravvento sulla chiacchierata mettendo a tacere le parole.
«Non vedo l'ora» rispose con una voce calma. Si sentiva eccitato all'idea di vederlo, avrebbe aspettato una sua chiamata come si aspetta il calore del sole dopo una giornata rigida. Poteva sentire già l'ansia crescere.
«Allora ci sentiamo presto, okay?» chiese Chris quasi timoroso. Non capiva da dove nasceva quella paura, non c'era motivo di averne, Ricky non aveva ragione di dirgli di no.
«Sì» rispose l'altro, poi si salutarono e Ricky si lasciò cadere sul letto con un sorriso alquanto ebete sul volto. La prima idea che gli venne fu quella di avvisare tutti i suoi amici, ma mentre stava per digitare il numero di Ryan -che conosceva a memoria-, si ricordò che non poteva farlo, doveva limitarsi a parlarne con Angelo. Aspettò al telefono per un minuto, poi sentì la voce di angelo dire:«I Parente non sono in casa, lascia un messaggio se vuoi dirci qualcosa di interessante altrimenti non ci rompere più le scatole e vaffanculo»
Ricky scoppiò a ridere. Il messaggio della segreteria telefonica era di proprietà di Angelo. 
«Cretino, sono Ricky, chiamami» disse riagganciando. Circa tre secondi dopo il cellulare di Ricky squillo.
«Scusa, era troppo pigro per rispondere, ma per te ho fatto un'eccezione» disse Angelo con una voce assonnata. Ricky già sapeva che si era alzato dal divano -lo si poteva trovare sempre lì- e si era trascinato verso il telefono, tipo bradipo.
«Domani vieni a pranzo da me, vero?»
«Ehm... vero» rispose Angelo un pò spaesato. 
«Bene, ti devo parlare» 

La ricreazione era appena cominciata e Ricky, come sempre, aspettava i suoi amici seduto sul muretto in marmo. Vide Ryan correre verso di lui.
«Non fare domande» gli disse appena fu abbastanza vicino. Ricky non capì e l'altro se ne accorse.
«Non te lo posso spiegare, ma capirai presto e comunque non fare domande»
Ricky annuì mentre Ryan si sedeva accanto a lui. Subito dopo Josh e Angelo uscirono dall'edificio seguiti da Devin che camminava a testa bassa. Quando arrivarono accanto ai sue ragazzi, Devin si sedette un pò più in disparte, nessuno diceva niente, lo sguardo di Ricky era fisso sul viso di Devin. Più che sul suo viso, si stava concentrando sui lividi che portava. Non riusciva a capire perchè Ryan gli avesse detto di non chiedere nulla, voleva sapere se c'era qualcosa che non andava, soprattutto se riguardava uno dei suoi migliori amici.
Quando Devin sembrava distratto, Ricky rivolse uno sguardo interrogativo a Josh e lui rispose alzando le spalle e scuotendo la testa. 
«Ehm...Ricky mi accompagni al bar?» chiese Ryan e l'altro annuì alzandosi e seguendolo nell'edificio fino al secondo piano. Stettero in silenzio finchè non arrivarono al bar della scuola. Ryan comprò una busta di patatine e poi uscirono dalla porta finestra e si affacciarono dal balcone. La visuale era quella di una strada asfaltata male e oltre a quest'ultima solo tante piante. Se ne andavano lì se avevano voglia di fumare, nessuno li avrebbe visti o disturbati.
Ryan aprì la busta di patatine e Ricky tirò fuori le sigarette offrendone una al suo amico.
«Cosa diavolo è successo a Devin?» gli chiese, ma Ryan rispose dicendo che non ne sapeva niente.
«Non dire stronzate, mi hai detto di non fare domande e dopo due secondi mi ritrovo Devin con la faccia piena di lividi, tu devi sapere qualcosa»
Ryan sospirò.
«Non posso dirti niente»
«Ah, non puoi? Non puoi dirmi chi diavolo l'ha ridotto così? È stato suo padre?»
«No» rispose Ryan evitando lo sguardo indagatore di Ricky.
«E allora chi?» 
A quel punto Ryan scoppiò, come un vulcano in eruzione, come l'acqua che trabocca dai margini di un fiume durante una piena.
«Maledizione Ricky, non te lo posso dire, non posso, se Dev è venuto a dirlo a me e non a te avrà i suoi buoni motivi che io non conosco, ti ho detto di non chiedergli niente perchè so che l'avresti solo messo in imbarazzo, ma se tu sei così incapace di farti i cazzi tuoi allora vai a chiedere spiegazioni a lui»
Proprio in quell'istante comparve Josh che si schiarì la voce per richiamare l'attenzione dei due. Non si erano per niente accorti della presenza del loro amico.
«Ryan, una certa Cheryl ti sta cercando»
«Chi è Cheryl?» chiese l'altro spaesato.
«Che cazzo ne so, ti cercava»
Ryan sembrò rifletterci un pò, poi fu come se gli si fosse accesa una lampadina.
«Oh, sì, Cheryl... dovevo aiutarla per il compito di matematica» disse recuperando la sua borsa e le patatine, poi lasciò la sigaretta a Josh e guardò Ricky per qualche secondo prima di andare via senza nemmeno salutarli.
Josh non sapeva che fare, ma non poteva andarsene visto che aveva sentito la chiacchierata, o almeno quello che aveva detto Ryan. Si avvicinò all'altro ragazzo e fumarono in silenzio. Ricky era confuso. Non riusciva a capire cosa fosse successo a Devin e perchè Ryan sapeva e non voleva parlare. Era da apprezzare la fedeltà che aveva nei confronti di Devin, ma se aveva dei problemi, se loro potevano aiutarlo in qualche modo, non capiva perchè non dovessero esserne al corrente tutti.
«Che cazzo gli è successo, Josh? Chi l'ha ridotto in quel modo?»
«Non lo so, ma ho intenzione di scoprirlo»

Le voci di Ricky e Angelo rimbombavano fra le pareti di casa Olson. Erano intenti a giocare alla PlayStation, i loro occhi erano praticamente incollati al televisore mentre si scuotevano e si prendevano a gomitate seduti sul divano. Avevano pranzato da soli -i genitori di Ricky non c'erano di nuovo- e da circa un'ora se ne stavano lì a perdere tempo. Sulla strada del ritorno avevano parlato per tutto il tempo di Devin, ma ogni discorso era svanito insieme al fumo che fuoriusciva da quel groviglio di spaghetti al sugo che avevano mangiato.
«Ho vinto» esultò Ricky saltando sul divano e ridendo della sconfitta del suo amico.
«Ti ho lasciato vincere, è diverso» disse Angelo amaramente.
«Non è vero, sei un perdente» protestò Ricky puntandogli il dito contro.
«Solo perchè una volta su dieci vinci tu non significa che io sia un perdente, bastardo» disse tirandolo giù dal divano.
«E non puntarmi con quel dito orribile che ti ritrovi» continuò Angelo. La litigata si prolungò per almeno cinque minuti, poi Angelo decise di rinunciarci. Se ne stettero per qualche minuto in silenzio, ognuno assorto nei proprio pensieri, finchè Ricky non si decise a parlare.
«Si chiama Chris, ha un sorriso bellissimo, è intelligente e lavora da Mike» disse tutto d'un fiato. Angelo invece di fiato sembrava non averne più. Non poteva crederci, aveva già trovato qualcuno che gli interessava? Come diavolo era possibile?
«Non dici niente?» gli chiese Ricky intimorito da quel silenzio.
«Sto solo... sto tentando di capire»
Ricky aspettò per pochi secondi poi cominciò a raccontargli tutta la storia: dalla prima volta che aveva visto i suoi occhi, a quando lui gli aveva offerto il caffè, a quando non si era presentato all'appuntamento. Tutto, fino alla telefonata della sera precedente.
Angelo non poteva fare a meno di stupirsi di tutta quell'enfasi che Ricky metteva in quel racconto.
«Wow» sussurrò Angelo e Ricky assunse uno sguardo ricco di delusione.
«Non mi dici altro?»
Angelo inspirò quanta più aria possibile e si mise più comodo sul divano girandosi verso l'altro ragazzo.
«È che non so che dire, è strano»
«Ma guarda che ti ho solo detto di aver conosciuto un ragazzo» cominciò Ricky sentendosi un pò a disagio.
«E non mi sto costruendo castelli in aria come stai pensando tu, quel ragazzo ha qualcosa di interessante e... e poi sei stato tu a dirmi di andare avanti senza paura, no?»
Angelo annuì pentendosi di quello che gli aveva detto. Sapeva che Ricky prendeva sempre alla lettera tutto.
«Bene, allora se deve succedere qualcosa, succederà»
«Okay, ma stai attento, non sai niente di lui»
«Hai ragione, non lo so se gli piacciono i maschi» disse Ricky quasi incattivito da quel commento.
«Sai che non intendevo questo... cioè, non solo questo»
Angelo cominciava a non riuscire a spiegarsi. Odiava quando sapeva bene cosa voleva dire, ma non trovava le parole giuste.
«Ho capito, Angelo, non c'è bisogno che vai avanti... ma se io gli dovessi piacere, tu saresti contento per me?» chiese ingenuamente.
«Ma certo, cretino, perchè non dovrei?» 
I due si sorrisero, poi Angelo pose una domanda a cui Ricky non seppe dare risposta.
«Chris sta per Christian o Christopher?»




Eccomi con un enorme ritardo, mi dispiace moltissimo ç.ç non succederà più (spero). Comunque io mi sono divertita tanto a scrivere questo capitolo, sarei felice di sapere se a voi è piaciuto tanto quanto è piaciuto a me *-*
Alla prossima, un bacio grande a tutti!
  
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