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Autore: Angelauri    23/11/2014    8 recensioni
A Miami è una splendida giornata estiva. Fa molto caldo e il team Austin e Ally si deve riunire. Il programma sarebbe quello di andare in spiaggia dopo aver discusso del nuovo video di Austin. Ma purtroppo succede qualcosa di inaspettato che trasformerà una bella giornata di sole e divertimento in un incubo per Austin, Ally, Trish e Dez. Come reagiranno i nostri protagonisti?
Dal testo:
"Pensai che al mondo ci sono diversi tipi di persone.
I simili, che vivono cercandosi a vicenda.
Gli opposti, che si attraggono come calamite.
Le anime gemelle, che si trovano sempre, anche se lontane.
E, infine, le persone come me ed Ally, che si cercano, si attraggono e si trovano nello stesso momento. Che sono simili, ma che sono anche agli opposti.
Quelle persone che sono complementari, fondamentali, indispensabili l'uno per l'altra.
Che da sole sono forti, ma che insieme sono indistruttibili, eccezionali.
E non importava se Ally non mi amava come l'amavo io, perché noi due eravamo quell'ultimo genere di persone.
Ci appartenevamo e nessuno avrebbe mai potuto cambiare questo."
Spero di avervi incuriosito e che leggiate questa mia prima fanfiction :-D
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ally Dawson, Austin Moon, Dez, Trish
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giochi di nuvole

Ally

Un costante ticchettio, ripetitivo e fastidioso, era l'unico suono udibile nella mia camera; proveniva dalla sveglia, situata accanto a una piccola lampada sul mio comodino, e più cercavo di non sentirlo, più mi perdevo nell'ascoltare le lancette muoversi.
Oltre la finestra, regnava ancora il buio e la poca luce visibile proveniva dai lampioni nella strada.
Non sapevo neanche che ore fossero, ma non avevo chiuso occhio per tutta la notte, nonostante la stanchezza. Provare a svuotare la mente era stato inutile, perché avevo ottenuto l'effetto contrario, cominciando a ragionare su ogni più piccola sciocchezza. E così ero rimasta nel mio letto, sotto una coperta leggera e ruvida, continuando a fissare punti indefiniti nella camera in quel silenzio assordante. Forse era meglio così, senza incubi, anche se questo significava non dormire.
La realtà era che non sapevo proprio cosa fare...
Ero ancora innamorata di Austin, questo ormai mi era chiaro, ma lui cosa provava per me?
Non volevo complicare ulteriormente la nostra amicizia, non volevo e non potevo perderlo. Era troppo importante.
E se per averlo vicino avessi dovuto mettere da parte i miei sentimenti, l'avrei fatto.
Solo che sembrava talmente impossibile...
Presi il telefono da sotto il cuscino, per rischiarare quella stanza così buia, ma non si accese : la batteria era probabilmente scarica, dato che mi ero scordata di metterlo in carica. Sbuffai, accendendo la luce e mettendomi seduta : non aveva senso provare a dormire, perché mi era ormai chiaro che non ci sarei mai riuscita.
Guardai quelle quattro pareti bianche che mi circondavano. Erano così monotone e noiose, decorate solo da una manciata di fotografie e qualche poster, ma in un certo senso anche rassicuranti.
Se ci pensate, sin da piccoli ci è stato insegnato che il bianco è il colore della purezza, che infonde sicurezza e spensieratezza, perché rappresenta in qualche modo la luce, la limpidezza, la sincerità. Inoltre, il bianco faceva sembrare quella stanza più grande, classica e elegante.
E, in fondo, io ero stata così, come quelle pareti : chiara, semplice, sicura.
Ma ormai non lo ero più. Ero cambiata, l'insicurezza mi aveva cambiata.
In quel momento ero completamente diversa...
Nascondevo le mie paure ai miei amici, alla mia famiglia, non riuscivo neanche più a capire i miei pensieri, ero confusa, arrabbiata con me stessa, felice, preoccupata e un sacco di altre cose nello stesso momento.
E quelle pareti così bianche, così rassicuranti, mi davano fastidio, perché mi ricordavano tutto quello che avevo perso : la mia felicità. Non riuscivo neanche più a stare lì dentro. Decisi perciò di dover fare qualcosa.
Mi alzai dal letto, con addosso solo una camicia da notte azzurrina, e mi incamminai verso il piano di sotto. Scesi le scale con passo felpato, cercando di fare meno rumore possibile, dirigendomi poi verso lo sgabuzzino, che altro non era che il sottoscala. Aprii la porta, che scricchiolò leggermente, e cominciai la ricerca di ciò che mi serviva : un secchio, un pennello, dell'acqua e delle tempere colorate. Una volta trovati, tornai in camera mia, poggiando il tutto sulla scrivania.
Non era da me fare una cosa del genere, senza il permesso di papà, e, a dir la verità, non ci avevo pensato molto su.
Versai della tempera azzurra nel secchio, aggiungendoci del nero e dell'acqua, fino ad ottenere un blu scuro, quasi blu notte.
Che cavolo stavo facendo? Non lo sapevo neanche io, ma non mi interessava : avevo bisogno di sfogarmi e qualunque cosa sarebbe stata meglio che scoppiare.
Mi legai i capelli, in modo piuttosto disordinato, e intinsi il pennello nella pittura, cercando di non sporcare il pavimento di legno. Mi avvicinai alla parete più libera da foto, dannatamente bianca e pulita, e cominciai a dipingerla lentamente.
E quel bianco così asfissiante, cominciò a inscurirsi sempre di più, come era successo a me.
Così, continuai a colorare, provando a scrivere una parola ben precisa.
Ma io non ero molto alta, perciò non riuscivo ad arrivare molto in alto. Frustrata, bagnai nuovamente il pennello e con gesti rapidi del braccio, schizzai la pittura nella parte alta della parete.
Soddisfatta, ripetei il gesto più volte, con sempre più quantità di tempera, cercando di attenermi alla scritta. Ogni pittata riportava alla mente qualche pensiero, che solo così poteva emergere tra la massa confusa di ragionamenti a metà : gli incubi, i miei sentimenti verso Austin...
Già, ma non volevo pensarci. Perché stavo facendo qualcosa di irrazionale, avventato, ma davvero liberatorio.
Presi, infine, il secchio e versai la poca vernice rimasta per finire l'ultima lettera.
Mi allontanai dal muro, ammirando il risultato della mia idea impulsiva.
La parete era ancora bianca, rassicurante e limpida, ma con una scritta molto grande e blu nella parte centrale, che la rendeva anche misteriosa, confusa, complessa nei disegni che le varie pittate avevano creato. Apparentemente uguale a prima, ma per me completamente diversa.
Ora era come me ed io non mi sentivo più così fuori posto.
Indietreggiai, fino a raggiungere il mio letto e sedendomici sopra; mi accorsi solo in quel momento di aver sporcato di blu anche la camicia da notte e, in alcuni tratti, pure il pavimento.
Ma non mi importava, perché mi ero tolta un peso dallo stomaco e mi sentivo più leggera.
Mi stesi sul letto, fissando per l'ultima volta quella scritta, in alcuni tratti ben delineata, in altri più disordinata a causa di macchie di pittura, ma il significato rimaneva quello : Freedom.
Ero così confusa...
Penso che ci fosse una parte di me che sapeva benissimo cosa mi stesse succedendo, che riusciva a capire quello che provavo, mentre l'altra faceva finta di niente per poter vivere lo stesso, come se nulla fosse.
Chiusi gli occhi, immersa in quel silenzio non più così spiacevole. Ed ecco che udivo di nuovo il ticchettio della sveglia, costante come prima, ma un po' meno fastidioso; riuscivo anche a ignorarlo se smettevo di concentrarmi.
E, infatti, qualche minuto dopo, non sentivo più nulla, addormentata sulle mie ruvide coperte rosa.
 

Austin

Erano quasi le dieci e mezzo ed ero seduto sul divano, a guardare la tv, quando la suoneria del mio telefono, posato sul tavolo, invase il salotto. Non avevo tanta voglia di andare a rispondere, poiché, nella maggior parte dei casi, mi sarei addentrato in una noiosissima conversazione con un dipendente di qualche compagnia telefonica.
Mia madre, intanto, stava attraversando la stanza, canticchiando allegramente, con in mano la cesta dei vestiti da lavare.

- Che fai, non rispondi? - mi domandò.

- Non mi va... - borbottai.

- E se fosse Ally? - aggiunse.

Mi alzai di scatto, precipitandomi verso il cellulare.

- Pronto? - dissi.

Sentì mia madre ridere, mentre si allontanava, e non potei che arrossire leggermente.

- Ciao Austin, sono Trish. - rispose - Volevo chiederti se hai parlato con Ally, oggi. -

- Mmm, no. Perché? - chiesi.

- La sto chiamando, ma non risponde. Pensavo che saremmo potuti andare al parco, visto che è una bella giornata. Che ne dici? - continuò.

- Va bene. Ci vediamo lì tra un'oretta? - proposi.

- Okay. - accettò - Ci pensi tu ad avvisare Ally? -

- Sì certo, a dopo. - conclusi.

Misi il telefono in tasca, decidendo di andare direttamente a casa dei Dawson. Mi diedi un'occhiata prima di uscire, controllando che la t-shirt blu e i pantaloni scuri fossero in ordine, e mi sistemai i capelli.

- Io esco! - urlai a mia mamma.

- Vai dalla tua fidanzatina? - disse lei ridendo.

- Ah ah ah, molto divertente. - ribattei uscendo.

Mi chiusi la porta alle spalle e mi incamminai per strada.
Il sole era alto nel cielo, caldo e luminoso, ma non faceva troppo caldo. Il classico clima estivo di Miami, accompagnato dal brusio delle macchine che correvano veloci per le strade e da un quasi percettibile odore di salsedine. Camminando sul marciapiede, all'ombra di qualche palma, provai a contattare Ally, ma ogni volta scattava la segreteria telefonica. Probabilmente aveva il telefono spento.
Il giorno precedente, dopo l'intervista, si era comportata in modo strano : era come sulle nuvole, persa nei suoi pensieri. Più del solito, intendo.
Eppure, era stata fantastica all'Helen Show : meravigliosa in quell'abito chiaro, aveva mostrato a tutti quel suo bellissimo sorriso, nonostante l'agitazione. E poi, mentre cantavamo, avevo provato quella sensazione così forte che solo con lei riuscivo a sentire. Perché mi bastava solo un suo sguardo per sentirmi al settimo cielo.
E mi faceva male vederla così distante, perché avrei solo voluto tenerla vicino a me.
Percorsi velocemente gli ultimi metri che mi separavano dalla sua abitazione e suonai il campanello, in attesa che qualcuno aprisse la porta. Dato che non arrivava nessuno, presi la chiave di scorta da sotto lo zerbino, che Ally aveva lasciato proprio per noi, ed entrai nella casa.

- C'è qualcuno? - chiesi ad alta voce.

Nessuno mi rispose, ma vidi un foglietto appoggiato sul piccolo tavolino vicino all'entrata; la scrittura era ordinata e chiara, quella del signor Dawson :

Ciao Ally, se ti sei appena svegliata sappi che sono al Sonic Boom.
Mi dispiaceva svegliarti, perciò ti ho lasciato dormire.
Riposati, mi raccomando.
Ti voglio bene!
Papà

Posai il biglietto, per poi salire le scale e arrivare fino alla camera di Ally, per vedere se fosse ancora nella sua stanza. Bussai, in attesa di una risposta.

- Ally? Ci sei? - domandai.

- Austin? - disse lei con la voce ancora impastata dal sonno - Che ci fai qui? -

- Io e Trish abbiamo provato a chiamarti, ma non rispondevi. -

Sentii dei passi leggeri venire verso la porta, che venne aperta qualche secondo dopo : Ally, ancora in pigiama, si stava stropicciando gli occhi e mi sorrideva ingenuamente.

- Buongiorno! - esclamai ridendo - Sei sveglia finalmente. -

- Perché, che ore sono? - ribatté lei..

- Le undici. - risposi, mentre mi faceva entrare nella sua camera.

- Davvero? - sorrise lei, mentre io annuivo.

Notai che nella sua camera c'era qualcosa di diverso : la parola “Freedom” appariva su una delle pareti, c'era un secchio appoggiato per terra e il pavimento era sporco di pittura blu.

- Ma che cosa hai fatto? - domandai curioso.

- Emh... - disse lei guardandosi intorno, per poi rispondere poco convinta - Diciamo che ho avuto una specie di impulso artistico... -

- Ah, okay. È carino. - commentai facendola ridere.

- Beh, grazie. - sorrise.

- Noi volevamo andare al parco, ti va di venire? - continuai poi.

- Certo. - accettò - Aspetta che mi vesto. -

Mi spinse delicatamente fuori dalla camera e mi chiuse la porta in faccia.

- Grazie, eh! - borbottai.

Sentii una risata cristallina provenire dalla stanza e, istintivamente, sorrisi anche io, scendendo al piano di sotto.
 

Ally

Sorrisi senza motivo, appoggiandomi alla porta, per poi scivolare fino a terra.
Come facevo a dimenticare i miei sentimenti se lui mi faceva sentire così?
Come se, improvvisamente, non fossi più così sbagliata. Se c'era lui, tutto sembrava perfetto.
Sospirai, convincendomi che dovevo almeno provarci.
Mi alzai, dirigendomi verso l'armadio per scegliere qualcosa da indossare. Optai per una maglietta verde chiaro, decorata da una nota musicale bianca, e degli shorts, abbinati a delle ballerine bianche; mi sistemai i capelli e ordinai un po' la stanza.
Mi ero completamente dimenticata della scritta sulla parete e, dato che c'era ancora un forte odore di pittura, aprii la finestra.
Dopodiché, raggiunsi Austin, che mi aspettava vicino all'uscita, con in mano la chitarra che lasciavo sempre in salotto; stava suonando una nuova melodia, dolce e orecchiabile, che aveva creato da solo. Canticchiava a bassa voce parole che non riuscivo a sentire, ma quando mi vide smise di suonare.

- È una bella base. - commentai avvicinandomi.

- Dici? È da stanotte che ce l'ho in mente, ma lo sai che non sono bravo con i testi. - mi spiegò.

- Steal your heart” era bellissima però. - gli dissi.

- Dici così perché era per te? - mi punzecchiò.

- Cosa? - ribattei con la voce più alta di un'ottava.

- Stavo scherzando! - sorrise - Andiamo? -

Annuii e uscimmo di casa, avviandoci verso il parco.
Anche quel giorno, il cielo era limpido e quella tipica umidità che aleggiava dopo i temporali era svanita. Meglio per me che ancora soffrivo di asma. Inspirai quell'aria che sapeva di oceano, chiudendo leggermente gli occhi e sorridendo : sarebbe stata una giornata perfetta.

- Trish e Dez sono già lì? - chiesi.

- Sì, dovrebbero aspettarci all'entrata. - rispose.

Il parco di Miami non era molto lontano ed era forse uno dei posti più piacevoli in cui trascorrere il pomeriggio, soprattutto se non faceva troppo caldo; disponeva di vari campi da pallacanestro e da pallavolo, in cui tutti si divertivano a giocare, e anche di una vasta area pic-nic. C'erano spesso molti bambini e per questo c'era sempre un gran schiamazzio, tra urla e risate, ma era davvero un luogo rilassante. E, a differenza del giardino botanico, c'era forse più libertà, perché non c'erano piante rare o fiori da non calpestare, quindi tutti correvano liberi di qua e di là. Insomma, c'era sempre un clima divertente, anche perché ogni giorno c'era qualche band che suonava proprio nel parco, sopra una piccola impalcatura. Per non parlare poi del piccolo angolo bambini, ricco di giostre e attrazioni per giocare, e della bancarella dei libri, situata in mezzo al parco, che dava in prestito libri di ogni genere a coloro che volevano immergersi nella lettura. E, infine, il posto preferito di Dez : il chiosco dei gelati.
Appena vidi dei grandi alberi comparire infondo alla via, capii che eravamo arrivati; infatti, sotto il cartello “Miami's park”, si trovavano anche Trish e Dez, con in mano un cesto in legno da pic-nic.

- Ciao ragazzi! - esclamò Dez venendoci incontro - Indovinate chi ha pensato di organizzare un fantastico pranzo nel parco? -

- Hey, non rubarmi le frasi! - borbottò Trish.

- Mmm, forse tu, Dez? - gli risposi.

- Esatto! Come l'hai capito? - chiese.

Ridemmo, per poi entrare nel parco, che sembrava immenso. In effetti, era uno dei più grandi della città e, anche se ci ero stata molte volte, non ero mai riuscita a vederlo tutto. Nonostante avesse piovuto molto qualche giorno prima, l'erba non era bagnata e anche tutte le varie giostre erano perfettamente funzionanti; l'aria era fresca e si stava davvero bene.
Ci sistemammo sotto un albero molto alto e folto, che offriva una grande zona all'ombra, e stendemmo per terra una grande coperta rossa e arancione che Trish aveva portato, per poi posarci sopra il cestino. Intorno a noi, le fronde sovrastanti, illuminate dal sole, creavano complessi giochi e disegni di luce, che donavano un qualcosa di magico al parco.

- Che facciamo? - chiese la riccia.

- Non lo so, potremmo fare qualche canestro. Che ne dite? - rispose Austin.

- Va bene, però vi avviso : sono un campione! - disse Dez.

- Sì certo. - commentò Trish con tono ironico.

- Io però non sono molto brava... - spiegai.

- Non ti preoccupare, ti aiuto io. - mi rassicurò Austin, con un sorriso.

- Dai, allora andiamo! - continuò il rosso entusiasta.

Così ci dirigemmo verso il campo, che era nella zona più assolata del parco e che era davvero grande, con il pavimento in gomma arancione scuro e le classiche righe bianche e spesse che delimitavano le varie aree. Il canestro era molto più in alto rispetto a quelli che usavamo a scuola, che per me erano comunque inarrivabili.
Non ce l'avrei mai fatta, ne ero sicura.

- Facciamo così : chi fa più canestri, su un totale di dieci, vince. Che ne dite? - propose Dez.

- Okay, ma sta sicuro che ti straccerò! - lo sfidò Trish.

- Ah davvero? - ribatté lui - Lo sai che sono stato capo cheerleader per quasi un mese proprio per le mie doti atletiche? -

- Lo sai che non è una cosa di cui vantarsi? - commentò lei.

- Vedremo... - continuò l'altro.

Era impossibile che non litigassero! Ma, in fondo, questo faceva parte della loro amicizia : bisticciavano e si punzecchiavano in continuazione, ma si volevano comunque bene.

- Comincio io! - esclamò Austin.

Prese uno dei palloni a disposizione per i visitatori, situati nel mezzo del campetto, e iniziò a lanciarlo. Uno dopo l' altro, fece nove canestri su dieci, come se fosse la cosa più facile del mondo.
Era sempre stato un eccellente atleta, soprattutto a pallacanestro, e un bravissimo ballerino, ma la cosa più impressionante era proprio come facesse sembrare qualsiasi cosa semplicissima, nonostante ci volesse grande pratica. E poi, non si vantava mai di quello che sapeva fare, anzi cercava sempre di migliorarsi.
Interruppi i miei pensieri, dicendomi che se avessi continuato ad ammirare tutto quello che faceva, sarebbe stato impossibile non innamorarmi ancora di più.
Una volta finito, Austin passò il pallone a Dez, per poi avvicinarsi a me, con quel suo splendido sorriso sul viso.
 

Austin

Anche Dez era molto bravo a basket, dato che riuscì a fare sei canestri con molta facilità.

- Ah! - esultò sorridendo - Prova a fare di meglio Trish! -

- Con piacere. - ribatté lei.

Iniziò così a lanciare il pallone, dimostrandosi davvero brava, ottenendo infatti il risultato di sette punti su dieci.

- Ti ho battuto! - esclamò entusiasta.

- Ma... - borbottò Dez, con espressione un po' imbronciata - Beh, ecco, io ti ho lasciato vincere... -

- Cosa? Ammettilo, ti ho battuto! - protestò lei.

- Mai! -

E così, Trish cominciò a rincorrere Dez per il parco, mentre lui urlava impaurito.
La scena era piuttosto comica, considerato che tutti i bambini nella zona giochi li guardavano in modo strano : alcuni preoccupati, altri ridendo, altri ancora allontanandosi un po' per la paura.
Ally, vicino a me, li osservava ridendo, contagiando anche me.

- Ammettilo! - urlava intanto Trish.

Ma Dez non ne voleva sapere.

- Quei due andranno per le lunghe... - commentai - Vuoi provare a fare qualche lancio? -

- Te l'ho detto, non ne sono capace. - rispose lei sorridendo.

- Guarda, devi fare così. - le spiegai dandole una dimostrazione - Devi metterti a qualche metro di distanza dal canestro, poi pieghi leggermente le gambe, prendi la mira e, dandoti uno slancio, lanci il pallone. -

Feci quello che le avevo appena detto e tornai accanto a lei.

- Non è difficile, ce la puoi fare. - la incoraggiai.

- Per te è facile... - disse - Sei praticamente un professionista! -

- Non è vero. - risi - Prova. -

Lei si sistemò dove ero io qualche secondo prima ed eseguì i vari procedimenti, ma mancò il canestro di parecchi centimetri.

- Visto? Non ne sono capace... -

- Dai, ti aiuto. - continuai.

Mi avvicinai a lei e le presi le braccia, facendole vedere come doveva fare; notai che era leggermente arrossita e non potei non sorridere. Sempre con le mie mani sulle sue, lanciammo il pallone, facendo canestro.

- Emh... Okay, ho capito. - disse lei un po' imbarazzata - Ci riprovo? -

Annuii, lasciandole più spazio, e lei continuò a fare qualche tentativo.
Era adorabile, così concentrata nel cercare di farcela, con un espressione leggermente corrucciata.
E, ogni secondo che passava, capivo di amarla sempre di più.
 

Ally

Era già la quinta volta che sbagliavo e cominciavo davvero a irritarmi. Sbuffai rumorosamente, mentre mi mettevo per l'ennesima volta in posizione. Sentivo il sole, sempre più caldo, battermi sulle spalle e sulla testa in modo davvero fastidioso, ma volevo riuscire a fare canestro almeno una volta.

- Prova a non pensarci troppo, fallo e basta. - mi disse Austin - Prova a chiudere gli occhi. -

- E poi come faccio? - domandai.

Lui mi venne più vicino e mi sorrise dolcemente.

- Ti fidi di me? - mi chiese. Annuii, senza pensarci due volte.

- Allora provaci. - aggiunse sistemandosi dietro di me.

Feci quello che mi aveva consigliato, svuotando la mente, e lanciai il pallone, per poi aprire leggermente gli occhi.
E, finalmente, feci il mio primo canestro.

- Austin! - esultai sorridendo - Ce l'ho fatta! -

Cominciai a saltellare sul posto, come una bambina che ha appena ricevuto un regalo. Mi girai di scatto, finendo però tra le braccia di Austin.

- Emh, io... - balbettai arrossendo - Grazie. -

- Figurati. - rispose lui sorridendo.

Era così bello stare lì, praticamente abbracciata a lui, con il cuore che batteva all'impazzata per l'emozione. Incrociai il suo sguardo, imprigionata in quei suoi occhi magnetici. Quegli occhi che mi avevano fatto innamorare, quegli occhi che, a pensarci bene, erano come il mare : se non sapevi affrontarli, rischiavi di affogarci dentro.
Cercai di staccarmi da lui, ma sentii la testa girare e le gambe cedettero improvvisamente.
Per fortuna, Austin mi prese in tempo.

- Ally! - esclamò preoccupato - Tutto okay? -

Non risposi, annuii solamente, confusa da quello che stava succedendo. Lui mi aiutò a rialzarmi, senza però togliere le sue braccia possenti dalla mia vita.

- Vieni, andiamo a sederci. - aggiunse.

Sempre sostenendomi, ritornammo al telo da pic-nic, non molto lontano.
Non capivo cosa fosse successo, ma sicuramente non andava bene : forse era stata una ricaduta della sincope che avevo avuto o forse mi ero stancata troppo. Non lo sapevo ed era questo quello che mi preoccupava : le gambe erano instabili, la testa mi faceva male, come se tutto si stesse ripetendo per la seconda volta.
Trish e Dez, che erano appena tornati, erano seduti sulla coperta, preparando alcuni tramezzini, e alzarono lo sguardo appena ci videro.

- Eccovi, finalmente! - cominciò lui - Non avete idea di quanto Trish mi abbia fatto correre! Io... -

- Ally, cosa è successo? Sei pallida... - lo interruppe la riccia.

Mi sedetti, mentre Austin mi guardava con espressione molto preoccupata.

- È tutto okay ragazzi. - sussurrai debolmente.

- Mi spiegate cosa è successo? - ripeté Trish preoccupata.

- Ho avuto solo un giramento di testa. - minimizzai - Ma ora sto meglio... -

- Sicura? - domandò Austin.

- Sì, tranquillo. - sorrisi debolmente.

- Tieni bevi qualcosa. - disse Dez porgendomi una bottiglietta d'acqua.

C'era una atmosfera diversa dal solito, come se fossimo tutti in attesa di un qualcosa, che però non sarebbe mai arrivato, sospesi in quell'insolito silenzio che riempiva lo spazio tra di noi.
È strano, sapete, il silenzio.
Nella mia vita è sempre stato difficile trovarlo, forse perché la musica è sempre stata fondamentale per me e con essa tutto quello che mi ha portato : il Sonic Boom, il team Austin & Ally, tutte le canzoni composte in segreto nel mio diario...
Insomma, il mio tutto. Pensandoci bene, è impossibile che la musica e il silenzio coesistano, perché una non permette l'altro, ma questo non mi è mai dispiaciuto.
Eppure, non vi è mai capitato di desiderare cinque minuti di sweet nothing?
Quei momenti che ci permettono di concentrare le idee, di pensare, ragionare, sognare, senza nessuno che possa metterci freni.
Ma quel silenzio, in quel momento, significava tutt'altro : preoccupazione, ansia, attesa.
E più passavano i secondi, più sentivo che tutta quella atmosfera era soprattutto colpa mia. Io che avevo passato la notte in bianco, dormendo sì e no qualche ora, io che non avevo seguito i consigli della dottoressa, io che non avevo neanche fatto colazione prima di uscire di casa... E tutto ciò confermava la mia ipotesi.
Bevvi a piccoli sorsi l'acqua, mentre sentivo lo sguardo degli altri su di me.

- Va meglio? - chiese Trish dolcemente.

Annuii, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

- E se mangiassimo qualcosa di dolce? - propose Dez - Ad esempio un gelato... -

- È una buona idea. - commentai sorridendo.

Erano davvero dolcissimi, ma non volevo che si preoccupassero così tanto di me. Non volevo essere un peso.

- Allora andiamoli a comprare! - continuò il rosso - Trish, mi accompagni? -

Lei accettò e, così, li vidi allontanarsi verso il chiosco dei gelati, nella parte opposta del parco rispetto al nostro angolino all'ombra. Continuai a vederli camminare, fino a quando una serie di alberi non me lo permise più.
Mi lasciai cadere sulla coperta, supina, con lo sguardo rivolto al cielo e i capelli disordinatamente sistemati a ventaglio sul tessuto arancione.
Sapevo benissimo della presenza di Austin, ma non sapevo proprio cosa dirgli.
Per fortuna, lui è sempre stato meno razionale di me.
Si distese di fianco a me, ma invece di guardare quella limpida volta azzurra sopra di noi, girò la testa verso la mia direzione. Spalla contro spalla, vicinissimi, forse troppo, ma separati da una barriera di verità incomplete e sentimenti inespressi.

- Scusa... - mi sussurrò Austin.

Non comprendendo il perché di quella parola, mi voltai verso di lui, accorgendomi troppo tardi di quella che sarebbe stata la piccolissima distanza tra le nostre labbra.

- Per cosa? - domandai.

- Se non fosse stato per me, che ho insistito a farti giocare, magari non sarebbe successo nulla. - mi spiegò tristemente.

Gli sorrisi, sciogliendomi per la sua dolcezza.

- Non dire cavolate. - ribattei - Grazie a te mi sono divertita tantissimo, anche oggi. -

- Sì, ma... - cominciò lui.

- Niente ma. - lo interruppi - Ho dormito pochissimo stanotte, non ho fatto colazione, il sole era rovente nel campetto, e potrei elencarti un sacco di alte cose, ma la conclusione è sempre la stessa : non è assolutamente colpa tua. -

Lui mi sorrise, posando per un nanosecondo lo sguardo sulle mie labbra, per poi tornare a incastonare i suoi occhi nei miei. Poi, come se si fosse appena ricordato di qualcosa, tornò serio.

- Hai di nuovo dormito male? - mi chiese.

Abbassai lo sguardo, sentendomi in colpa per tutte le cose che avrei dovuto raccontargli e per quella mia assurda mancanza di coraggio che non sapevo come ritrovare.

- Ally, io sono solo tremendamente preoccupato per te. - aggiunse - Lo sai che di me ti puoi fidare, vero? -

- Sì. - risposi, senza riuscire a continuare il discorso.

Voltai di nuovo la testa verso il cielo e anche Austin, dopo un leggero sospiro, ricopiò il mio gesto.
Passò non so quanto tempo, forse secondi o forse minuti, in assoluto silenzio : solo il rumore del vento o lo schiamazzio dei bambini in lontananza turbava di tanto in tanto quella dolce armonia che si riusciva a creare nel parco.

- Guarda! - esclamò Austin, alzando il braccio per indicare un punto preciso nel cielo - Quella nuvola assomiglia a una barca a vela! -

Sorrisi, nel solo sentire quel suo tono di voce così allegro, come quella di un bambino che ha appena imparato qualcosa di nuovo, e cercai con lo sguardo la nuvola presa in considerazione.

- Ti sbagli. Quello è sicuramente un vaso di fiori! - precisai sorridendo.

Lo sentii ridere, una di quelle risate vere che ti fanno sentire meglio solo ad ascoltarle.

- Scusami tanto, ma non capirò mai con quale criteri, voi del club “osserva nuvole”, distinguete una cosa da un'altra. - si giustificò con tono ironico.

Risi anche io, pensando a quante volte delle sue semplici parole riuscissero a farmi stare meglio.
E continuai a sorridere, scrutando quella nuvola bianca che a causa del vento cambiava sempre di più forma, fino a quando sentii la mano di Austin intrecciata alla mia.
Mi voltai istintivamente verso di lui e lui fece la stessa cosa.

- Io ci sarò sempre e comunque per te. Capito? - mi disse con tono serio - Non importa cosa succederà, io semplicemente non posso starti lontano. Ti voglio troppo bene. -

In risposta, gli sorrisi, sussurrandogli un “grazie” sincero. Appoggiai la mia testa sulla sua spalla, sospirando per quel mio cuore che non riusciva a smettere di battere all'impazzata. Perché, nonostante tutte quelle ragioni che mi dicevano di dimenticarlo, volevo solo stare con lui.
Ridere, piangere, giocare, vivere con lui.
Non potevo ignorare quello che il mio cuore urlava a squarciagola, ma la testa voleva solo ignorare quei sentimenti. La scelta, però, rimaneva sempre mia.
Rischiare o andare sul sicuro?
Istinto o razionalità?
Amore o amicizia?
Cuore o testa?
Dannata indecisione...
In fondo, la vita è sempre così : un bivio continuo. Ma prima o poi bisogna scegliere se andare a destra o sinistra, anche se sembra impossibile. Perché, forse, la decisione peggiore è quella di non decidere affatto, vivere impassibili di fronte al susseguirsi degli eventi.

- Secondo me, però, è una barca a vela... - insistette Austin.

Scoppiammo a ridere, di nuovo.
Forse non c'era bisogno di scegliere proprio in quel momento.
Perché, lì, quella mattina, stavo finalmente bene, nonostante tutto, tra l'azzurro del cielo limpido e il verde del prato profumato, tra risate vere e giochi di nuvole.
 

Angolo Autrice

Ciao a tutti cari lettori! Come state? Come va la scuola?
Anche voi contate i giorni mancanti alle vacanze di Natale? Ahahaha ;)
Nonostante il grande ritardo, eccomi qui con il quindicesimo capitolo della storia!
Spero che vi piaccia :D !
Ci tengo moltissimo a ringraziare tutti i lettori e le lettrici, coloro che recensiscono e anche chi ha messo la storia tra le preferite, le ricordate e\o le seguite.
Non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza!!!
Grazie mille a tutti, siete dolcissimi!
Se vi va di dirmi cosa ne pensate del capitolo o volete farmi delle correzioni, potete scrivermi attraverso le recensioni, ma questo già lo sapete :) .
Vi voglio bene!!!
Baciiii
 

   
 
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