Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Ricorda la storia  |      
Autore: ___Page    23/11/2014    2 recensioni
Scendo rapidamente i tre scalini, lo sguardo puntato a terra per non inciampare e risollevo gli occhi solo una volta sul viottolo che collega la casa alla strada.
Mi blocco di colpo, trattenendo il fiato.
Non credo ai miei occhi.
I miei occhi che tornano a riempirsi in un attimo di lacrime mentre io vengo catapultata all’indietro, un viaggio nel passato, ricordi di sei anni fa.
L’ultimo anno di liceo, il corso di scrittura creativa.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Perona, Portuguese D. Ace
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 
BESAME, LUEGO TE EXPLICO





Estraggo l’ennesimo kleenex dalla scatola di cartone mentre appallottolo il precedente ormai ridotto a un cencio.
Quanto sto male!
Singhiozzo l’ennesima scarica abbracciando il cuscino.
Quello stronzo!
Come ha potuto farmi una cosa del genere?!
Dirmi una bugia del genere?!
Cosa si credeva che me lo sarei dimenticato?!
Solo un baka irrecuperabile come lui potrebbe credere che una donna possa dimenticare una cosa del genere detta in un momento del genere!
Se penso che ha avuto sei anni per rimediare e confessarmi la verità e invece ha lasciato che lo scoprissi così, io…
Conficco le unghie nella stoffa ripensando all’episodio di questo pomeriggio.
Ero così felice, stamattina, che i nostri giorni liberi coincidessero, non che avessi chissà che programmi, solo stare un po’ insieme, fare una passeggiata, magari un cinema.
Se fossimo rimasti a casa forse sarebbe stato meglio, non avrei mai scoperto di quella.
E ora forse sarei ancora all’oscuro di tutto ma almeno felice.
Sarei insieme a lui al cinema, stretta tra il suo braccio e il suo costato, con la testa appoggiata alla sua spalla a piangere per chissà quale assurda trama e non qui a innaffiare il mio letto da sola.
Mi basta evocare l’immagine di noi due stretti nel buio della sala che il dolore al petto decuplica di botto e si irradia in tutto il corpo.
Ma perché l’unica persona che può farmi stare meglio è proprio quella a causa di cui sto così male?!
Perché vorrei al tempo stesso ammazzarlo con le mie mani e perdermi tra le sue braccia?!
Decisa mi asciugo le guance e ricaccio indietro l’ennesima ondata di lacrime e singhiozzi, alzandomi dal letto e soffiandomi sonoramente il naso mentre mi avvicino alla finestra, con l’intenzione di aprirla e prendere una boccata d’aria.
Sento le lacrime seccarsi sulle mie guance umide aiutate dal vento tiepido e primaverile che soffia e chiudo gli occhi, mandando giù per calmarmi.
Il problema è che come lo faccio rivedo la scena di poche ore fa.
Rivedo me e lui davanti al tabellone dei film a leggere le trame per sceglierne uno che ci metta d’accordo e comprare i biglietti in anticipo prima di andare a cena.
Risento lei che lo chiama e rivedo lui che si gira, sgrana gli occhi e le va incontro abbracciandola.
Non mi è affatto sfuggito lo sguardo che gli ha lanciato, motivo per cui mi sono avvicinata e avvinghiata prontamente al suo braccio mentre ci presentava, così come non mi è sfuggito lo sguardo che ha lanciato a me quando Ace le ha detto nel discorso che stiamo insieme da sei anni.
O stavamo, non lo so più.
Invidiosa, era dannatamente invidiosa l’ho visto.
L’ha fatto per provocarmi, me ne rendo conto.
E non avrei creduto a una sola parola se l’espressione assunta subito da Ace non mi avesse confermato tutto.
Mi aveva detto che ero la prima.
La prima con cui lo faceva e invece…
Chi è adesso questa?!
Non me ne frega niente se sono stati insieme solo qualche mese e poi non l’ha più vista!
Mi ha mentito, spudoratamente, un attimo prima che io mi donassi completamente a lui ha avuto il coraggio di dirmi quella mastodontica bugia!
Mi giro di nuovo preda dell’ira e mi ritrovo a prendere a calci l’oggetto più vicino mentre impreco con voce acuta e incrinata.
-Stronzo… bugiardo… maledetto…-
Il movimento lento e morbido con cui Kumachi rotola sul pavimento contrasta la violenza dei miei calci e mi sciocca.
Mi blocco, osservando l’orso di peluche formato gigante che di solito giace in un angolo della mia stanza e ora invece è sdraiato inerme sul parquet.
Me lo ha regalato lui, lo ha vinto ai canestri la terza o quarta volta che siamo usciti.
Me la ricordo ancora quella serata al Sabaody Park.
Ma non è per questo che mi fermo, i singhiozzi si placano e solo le lacrime persistono silenziose nei miei occhi e sul mio viso.
Una domanda mi coglie alla sprovvista.
Perché?! Perché sono così arrabbiata?!
È davvero così importante per me essere stata la prima?!
No, non lo è.
Ace ha sempre avuto successo al liceo, era uno dei ragazzi più popolari, uno di quelli considerati irraggiungibili, uno di quelli che io ho sempre calcolato meno di zero per intenderci.
In fondo, non è poi così sorprendente che ci fosse già stato qualcuno prima di me, con tutte le ragazze che gli ronzavano intorno all’epoca.
È per la bugia?!
Sono arrabbiata all’idea che mi abbia mentito, è vero, e poi non è una bugia piccola ma risale a sei anni fa.
Chissà cos’aveva in testa in quel momento, quando me lo ha detto.
Di certo con me nuda sopra di lui, tanto lucido e presente a se stesso non poteva essere.
E allora perché mi fa così male?! Perché sono così arrabbiata?!
Mi porto una mano alla fronte per scostare la frangetta sudata che ci si è appiccicata e nel passaggio tampono anche le guance.
La verità è che ho paura.
Ho paura che il motivo per cui abbia mentito è che quella ragazza sia stata così importante per lui da non volermene parlare.
Così importante da non averla mai dimenticata.
Così importante da portarmelo via.
Il cuore prende a scalpitare contro la mia gabbia toracica a quest’ultimo pensiero e sgrano gli occhi in preda al panico.
Non posso permettere che accada, non posso perderlo!
Nella mia mente si affollano tutti i momenti della nostra vita insieme, le prime uscite, quando lui mi ha presentato ai suoi e io ai miei, le discussioni finite tutte con un bacio e coccole più intime per fare pace, gli anni di università a supportarci a vicenda, le risate, le vacanze.
Non posso permettere che tutto questo venga cancellato da una sciocca bugia.
Ma devo sapere se la mia teoria è esatta.
Devo vederlo, parlarci subito!
Per quanto ne so, potrebbe essere con lei ora.
Di certo un’occasione del genere quell’arpia non se la farebbe scappare.
Smetto di pensare e afferro la giacca di pelle ai piedi del letto, precipitandomi fuori dalla camera e verso l’ingresso.
-Papà, io esco! Avvisa la mamma!- lo informo mentre attraverso trafelata il salotto, dove mio padre è comodamente seduto a leggere il giornale come sempre.
-Una novità inimmaginabile- commenta atono senza staccare gli occhi dal quotidiano ma io lo ignoro mentre mi avvento sulla maniglia, spalanco la porta ed esco.
Scendo rapidamente i tre scalini, lo sguardo puntato a terra per non inciampare e risollevo gli occhi solo una volta sul viottolo che collega la casa alla strada.
Mi blocco di colpo, trattenendo il fiato.
Non credo ai miei occhi.
I miei occhi che tornano a riempirsi in un attimo di lacrime mentre io vengo catapultata all’indietro, un viaggio nel passato, ricordi di sei anni fa.
L’ultimo anno di liceo, il corso di scrittura creativa.
 
-Ma è proprio lui?!-
-Sì, sì è lui! È Portuguese D. Ace!-
-Ma che ci fa al corso di scrittura creativa?!-
-Non ne ho idea! Però quanto è bello!-
Mando gli occhi al cielo, passando di fianco a Baby, Polluce e Valentina, impegnate a lanciare sguardi melensi e sciocchi cenni a quel bamboccio di Portuguese, mentre entro nell’aula dove si tiene il corso di scrittura creativa.
Si chiedono cosa ci faccia qui.
A me non interessa minimamente, ma non faccio fatica a immaginare che il suo non sia di certo genuino interesse.
Sarà qui perché gli servono crediti per passare l’anno.
È sempre stato una testa calda, lo sanno tutti, bravo solo in chimica, a sorridere alle nostre compagne di scuola e farsi bello davanti ai prof quando necessario.
Uno di quei soggetti la cui sola presenza mi infastidisce.
Non mi importa di essere considerata strana o una secchiona.
Sempre meglio che avere la segatura in testa come lui, che ora se ne sta appoggiato al muro in fondo all’aula a chiacchierare con Marco, il suo migliore amico, continuando a lanciare occhiate ammiccanti e sorrisi da dentifricio a quelle tre oche giulive che continuano a ridacchiare in modo fastidioso.
E detto da me, con la risata che mi ritrovo, è tutto dire!
Ignorando tutto e tutti, mi accomodo a uno dei primi banchi, posando la tracolla sotto la sedia di legno e tirando fuori blocco e penna.
Tamburello con le unghie sul banco, mentre lancio occhiate all’orologio e alla porta, sperando che arrivi qualcuno di sopportabile e che questo qualcuno si sieda accanto a me.
Mi rilasso nel riconoscere Koala, l’altra caporedattrice del nostro giornalino scolastico insieme a me.
Subito attiro la sua attenzione ma non fa in tempo a fare due passi nella mia direzione che una voce alle mie spalle mi coglie alla sprovvista.
-Tu sei Perona vero?!-
Mi giro a sopracciglia corrugate ritrovandomi faccia a faccia con il sorriso di Ace.
Accanto a lui Marco ha l’aria annoiata come sempre.
Lo scruto qualche istante, celando la mia sorpresa.
Mi conosce?!
Come fa a sapere chi sono?!
Non credevo che uno come lui sapesse anche solo dell’esistenza di una come me.
Koala mi si siede accanto e si gira a salutarli.
Ace ricambia chiamandola per nome ed è allora che realizzo che da quando siamo a capo del giornalino siamo diventate popolari anche noi.
Ma si tratta di una popolarità molto diversa, non voluta e comunque guadagnata, e l’ultima cosa che voglio è che lui pensi che ci considero parte di una stessa cerchia, ragion per cui mi limito a rispondere con un secco “Esatto” prima di tornare a voltargli le spalle.
Sgrano gli occhi quando mi accorgo che si è alzato per metà sulla sedia e addossato al banco per spingere il busto verso di me.
Ma che vuole?!
-Mi è piaciuto un sacco il tuo articolo sul consumismo nel numero del mese scorso!- afferma, sempre sorridente.
Cerco di contenere la mia sorpresa e il mio compiacimento, portando una ciocca rosa dietro l’orecchio.
-Oh… Beh mi fa piacere…- mormoro, senza girarmi verso di lui, guardandolo con la coda dell’occhio.
Lo vedo allargare ancora di più il sorriso.
Devo ammetterlo, è davvero da mozzare il fiato.
-Vuoi uscire con me?!-
Mi giro di scatto verso di lui, accigliata e a bocca spalancata.
Ma che, scherza?!
Ma me lo chiede così, come se fosse la cosa più normale del mondo?!
-Come?!?- reagisco io, incredula.
-Ho detto se vuoi uscire con me?!-
Lo scruto, notando una luce nei suoi occhi che mi fa innervosire.
È già convinto del suo successo, pensa di avermi già conquistata con uno sguardo.
Povero illuso!
Che si crede, che per aver letto un mio articolo abbiamo qualcosa in comune?!
Non ho niente da spartire con lui!
E non mi va di invischiarmi in una cosa così!
-No- rispondo acida.
-Perché no?!-
-Perché non mi va!- ribatto sgranando gli occhi di fronte alla sua insistenza.
-Eddai! Nemmeno un drink?! Un cinema?! Un gelato?!-
-No!-
-Però è un peccato!- mi fa notare, sollevando un po’ di più l’angolo destro e stortando il sorriso.
-Dammi un buon motivo per cui dovrei uscire con te!- lo freddo, alzando un sopracciglio.
Un guizzo divertito attraversa i suoi occhi mentre torna ad appoggiarsi con la schiena alla sedia senza mai tornare serio o staccare i suoi occhi dai miei.
 
Credevo fosse morta lì e invece…
 
-Eddai Perona! Esci con me! Solo una volta!-
-Dammi un buon motivo per cui dovrei uscire con te!-
 
Infastidita.
 
-Andiamo a vedere il film che è uscito sto weekend!-
-Con chi?!-
-Io e te!-
-No!-
-Perona…-
-Dammi un buon motivo!-
 
Incredula.
 
-Lo sai cosa sto per chiederti?!-
-Dammi un buon motivo!-
 
Divertita.
 
Avanti così, per sei settimane, due volte a settimane.
Dodici incontri, in cui ho imparato a conoscerlo e mi sono dovuta ricredere su di lui.
Dodici proposte.
Dodici rifiuti.
Non volevo stare male, avevo capito fin troppo bene che era molto di più di quanto mostrasse e volesse apparire.
Avevo capito che sarebbe bastata una minuscola spinta per innamorarmi di lui e non volevo soffrire.
Perché i Portuguese D. Ace non si innamorano delle Mihawk Perona.
O almeno così credevo.
Fu l’ultimo giorno di corso, uscii dall’aula un po’ triste che fosse finito ma sollevata di essere fuggita alla forza attrattiva che Ace aveva iniziato a esercitare su di me.
Da una parte mi rendeva malinconica rinunciare a quella strana confidenza e intesa che si erano venute a creare e dall’altra ero felice di non dover più vivere con tutti i sensi allertati per non rischiare di cascarci come una pera cotta.
Fu quella stessa sera.
Quando compresi che la povera illusa ero stata sempre e solo io.
Me lo ricordo alla perfezione, papà che mi avvisava che forse c’era qualcuno per me fuori casa, io che mi accigliavo e uscivo infilando il maglione e rimanevo senza fiato, scioccata e a occhi sgranati nel riconoscerlo lì, sul ciglio opposto della strada, accanto al muro con una bomboletta in mano e la pelle sporca di vernice spray.
E sulla superficie grigia quella scritta.
 

 
BACIAMI, DOPO TI SPIEGO
 
 
Non so dire quanto rimasi a fissarla.
Distolsi gli occhi solo un istante, per portarli su di lui e trovarlo felice di fronte alla mia reazione nella quale di certo aveva sperato.
Poi la sirena ci aveva fatto saltare su entrambi, proprio un attimo dopo che, riscuotendomi, ero riuscita a ricambiare il sorriso.
A tutto gas, la macchina della polizia aveva girato l’angolo e dal finestrino abbassato era spuntata la testa di niente meno che suo nonno Garp che gli gridava dietro i più originali insulti che avessi mai sentito in vita mia e sotto il mio sguardo divertito, accompagnato dalla mia assurda risata, aveva posato la bomboletta a terra prendendo a correre come un forsennato lungo la strada.
Papà non aveva fatto domande, coerentemente con il suo carattere discreto, né quando mi aveva accompagnato alla centrale per pagargli la cauzione, né quando mi aveva vista gettargli le braccia al collo e baciarlo come se il suo respiro fosse la sola aria che potesse tenermi in vita.
E ora, sei anni dopo, eccoci qui.
Stessa strada.
Stesso muro.
Stessa scritta.
 

 
BACIAMI, DOPO TI SPIEGO
 

A essere diverse sono le nostre espressioni.
Io non riesco a trattenere le lacrime, anche se ora sono di sollievo.
Lui non sorride, il suo volto è contratto in una smorfia tra il sofferente e il preoccupato.
La scritta è la stessa ma il significato è diverso.
So che davvero è qui per spiegarsi ma ha bisogno di sapere che non è troppo tardi, che non ha rovinato tutto.
Ha bisogno di un bacio.
Sorrido mentre mi asciugo una lacrima con un dito, senza riuscire ad arginare quelle che seguono.
Razza di baka, pensi davvero che potresti perdermi per così poco?!
Scatto in avanti, attraversando la strada di corsa, continuando a piangere ma facendo riecheggiare la mia risata per tutto il quartiere.
Non m’importa più niente di quella ragazza.
Non m’importa chi sia stata, cos’abbia rappresentato.
Lui ama me, è questo che conta.
Con uno slancio mi butto tra le sue braccia, già pronte ad accogliermi e mi stringo a lui mentre le nostre labbra si incontrano e ci assaporiamo con un contatto vecchio ma sempre nuovo.
Mi attira di più a sé, aumentando la presa sui miei fianchi e mordendomi il labbro inferiore, prima di staccarsi e portare la fronte contro la mia.
-Perona, io…- comincia.
-Ace, non importa. È tutto a posto- mormoro flebile, portando le mani che stringono i baveri della sua giacca a circondargli il viso.
-No- insiste lui, sebbene in un sussurro -Io… voglio che tu lo sappia. Non ho mentito. È vero non sei la prima con cui ho avuto un rapporto ma sei la prima con cui ho fatto l’amore- mi soffia sulle labbra, mozzandomi il fiato.
Ecco, questa è un’altra cosa di cui sicuramente non mi dimenticherò mai.
Mi mordo il labbro inferiore, decisa a non cedere più alle lacrime.
Ho già pianto abbastanza e poi mi ha detto una cosa così bella, non voglio farlo stare male.
Sorrido senza riserve mentre torno a sollevarmi sulle punte dei piedi.
-A me importa soprattutto di essere l’ultima- mormoro e finalmente anche la sua bocca si increspa in un sorriso.
Torniamo a baciarci e io mi lascio andare tra le sue braccia, sentendo che mi sto già perdendo in lui, quando un suono distante ma perfettamente udibile e riconoscibile raggiunge le nostre orecchie obbligandoci a separarci.
-Una sirena?!- domando roca e perplessa, accigliandomi.
-Woopslap! Sicuro che è stato lui a chiamare il nonno!- esclama, un po’ esasperato, prima di prendermi per mano e mettersi a correre lungo la strada.
-Ace! L’altra volta ti ha raggiunto lo stesso, non è meglio se entriamo in casa da me?!- gli faccio notare e subito si ferma e mi riabbraccia, portando una mano a palmo aperto sulla mia guancia.
-I tuoi sono fuori?!- mi domanda e io nego con il capo, mentre annego nelle sue iridi scure -Allora preferisco scappare e andare da me a fare pace come si deve!- conclude, dandomi un rapido bacio a fior di labbra.
Non posso fare a meno di ridacchiare quando mi riprende per mano e ricominciamo a correre lungo il marciapiede.
-Portuguese D. Ace!!! Sei la vergogna del tuo sangue, dannato ragazzino!!! Vedrai se non impari la lezione stavolta, dopo tutti i pugni che ti…-
-Ace!!!- lo avviso, mentre la volante gira l’angolo e la voce di Garp risuona per il quartiere, sovrastando persino la sirena.
-Non ti preoccupare, me la sono studiata meglio e ho trovato una scorciatoia!- mi dice senza fermarsi e girandosi un attimo a guardarmi.
E io non posso fare davvero a meno di scoppiare a ridere, lasciando rimbalzare il mio “Horo horo horo” contro i muri delle case mentre svoltiamo in un sentiero che non so neppure dove porta. 






 
Image and video hosting by TinyPic


 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: ___Page