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Autore: Ormhaxan    23/11/2014    5 recensioni
Inghilterra, 2013. Dexter Freeman è uno scrittore da cinquanta milioni di copie, o almeno lo era prima dell'uscita del suo ultimo romanzo, - quello che è stato definito un "Fiasco" da pubblico e critica - prima del divorzio e prima dell'alcool. Disilluso e oppresso da quella grande metropoli che è Londra, Dexter decide di rimettere insieme i pezzi della sua vita e tornare a Richmond, nello Yorkshire, dove tutto ha avuto inizio. Qui, in una città apparentemente ostile, cerca di liberarsi dai propri demoni, primo tra tutti l'alcool, e ritrova una vecchia amicizia - la sorella di quello che un tempo è stato il suo migliore amico - che gli stravolgerà la vita e, forse, gli farà ritrovare quella passione per la scrittura e la poesia che sembra aver perso.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Dexter Freeman guardò la grande struttura grigia davanti a sé e sospirò pesantemente: non voleva farlo, una parte di lui avrebbe voluto girare i tacchi e andarsene, ma sapeva di doverlo fare. Doveva farlo per sua sorella Rose, che si era offerta di accompagnarlo in quella clinica privata appena fuori Richmond, per sua madre ignara di tutto, per lui stesso e per la sua vita, per uscire dal buco nero in cui era stato assorbito e tornare ad essere il ragazzo positivo e creativo che era stato un tempo. L’unico modo per rimettere insieme i pezzi era disintossicarsi dall’alcool e di conseguenza ricoverarsi in quella clinica in cui lo avrebbero aiutato con l’astinenza delle prime settimane, con l’incubo che lo stava aspettando in quel palazzone circondato da alberi e un giardino all’inglese perfettamente curato che da solo non avrebbe mai potuto affrontare e superare. Sospirò ancora, lasciando trapelare tutto il suo nervosismo, e si chiese se sarebbe stato in grado di farcela: non voleva fallire, non di nuovo, non dopo il fiasco professionale e personale che lo aveva travolto nell’anno appena passato. No, lui doveva dimostrare di essere migliore, di essere forte, un giovane uomo di cui la sua famiglia sarebbe andata nuovamente fiero, un esempio per il suo paese e per tanti altri ragazzi alcolizzati come lui.

“Sei pronto, fratellone?” chiese Rose, sorridendogli e stringendo la sua mano nel tentativo di tranquillizzarlo.
Dex tentennò, si inumidì le labbra appena screpolate, e preso un respiro profondo sospirò per l’ennesima volta nel giro di pochi minuti: “Sì. – rispose alla fine, annuendo lievemente e guardando con la coda dell’occhio la ragazza – Sono pronto, sorellina.”
“Molto bene. Allora forza e coraggio: andiamo a prendere a calci in culo l’alcolismo!”
 


**
 
 
Il Dottor Oliver Simpson si sfilò i sottili occhiali da vista quando la sua segretaria entrò nel suo studio dopo aver lievemente bussato con le nocche della mano destra e annunciò l’arrivo del nuovo paziente. Era un uomo sulla cinquantina, più vicino ai sessanta che ai cinquanta e da quasi trent’anni si occupava di casi di dipendenza da droghe e alcool, di disperati casi umani che si recavano da lui e vedevano nella sua distinta figura l’ultima chance, l’ultimo porto sicuro a cui rivolgersi prima della fine, dell’onda letale che li avrebbe travolti distruggendoli definitivamente.
Come tutti a Richmond, anche Oliver Simpson conosceva Dexter Freeman – la sua fama lo precedeva, dopo tutto – e come la maggior parte dei cittadini che popolavano quella città anche lui si era ritrovato con curiosità a sfogliare e leggere quei libri tanto acclamati dalla critica e dal pubblico di tutto il Regno Unito e l’Europa, senza però riuscire a capire cosa avessero di tanto speciale. Ma, dopo tutto, il Dottor Simpson non era mai stato il tipo da romanzi: lui preferiva i grandi classici della letteratura inglese – Dickens, Defoe, Sir. Walter Scott – a dei romanzi che avevano per protagonisti soggetti dal passato travagliato, persone le cui vicende rasentavano il paradossale, il clichè. No, Oliver Simposon proprio non era riuscito ad apprezzare i suoi lavori – non c’era da stupirsi che l’ultimo fosse stato un totale fiasco – ne tantomeno si era stupito nel ricevere la telefonata di Miss. Freeman, di venire a conoscenza delle condizioni disastrose e della dipendenza di suo fratello maggiore.
Celebrità, pensò mentre attendeva l’ingresso del suo nuovo paziente, tutte uguali: una massa di lussuriosi che giocano ad essere Dio, credono di essere superiori a tutto e tutti, irraggiungibili.
 
“Lei deve essere Dexter Freeman! – esclamò con falso interesse il Dottore, alzandosi dalla grande sedia di pelle su ruote e sporgendosi in avanti per stringergli la mano – Da queste parti è una celebrità.”
“Invece lei deve essere il mio aguzzino. – scherzò a sua volta con sarcasmo Dex, stringendogli la mano – Vorrei dirle che è un piacere conoscerla, ma in effetti non ne sono così sicuro.”
“Non si preoccupi, me lo dicono in molti – il Dottore fece cenno di sedersi – Accomodatevi, prego.”
“Grazie.” Risposero in coro i due fratelli, scambiandosi un occhiata tra il divertito e l’imbarazzato.

“Dunque, – riprese il Dottor Simpson, posando il mento contro i dorsi delle mani, rivolgendosi a Dex – se non le dispiace, Mr. Freeman, inizierei con alcune domande di routine.”
“Non mi dispiace affatto, Dottore. – rispose Dex, apparentemente tranquillo – Proceda pure, sono pronto.”
“Molto bene. – l’uomo annuì lievemente e si schiarì la voce – Perché è qui, Mr. Freeman?”
“Perché sono un alcolizzato e ho bisogno di aiuto per uscirne.” Rispose in modo calmo ma deciso il biondo, intrecciando le dita delle mani.
“E da quanto pensa di esserlo, – un alcolizzato, intendo – Mr. Freeman?”
“Non so dirle quando è iniziata, temo. Credo sia stata una cosa consequenziale alla fama; sa, le feste, i party esclusivi pieni di ottimo champagne francese da 100£ a bottiglia.”
Per un istante Dex provò nuovamente quell’ebbrezza scaturita ogni volta che varcava la soglia di quei locali esclusivi, di uno quei grandi alberghi a cinque stelle in cui veniva puntualmente invitato per discutere del suo libro, sponsorizzarlo, quando la vita gli sorrideva e tutto era grandioso e sfavillante attorno a sé, quando lui era ancora una celebrità, l’uomo da cinquanta milioni di dollari e non il Fiasco di Londra.
“Sa, – riprese, abbozzando un lieve sorriso – sin da ragazzo l’alcool mi ha attratto: la mente leggera, il corpo disinibito. Era tutto perfetto con un bicchiere di vino in corpo, dopo una birra o uno shot di vodka; tutto era possibile, e io mi sentivo forte, spavaldo, capace di compiere cose straordinarie. Poi è arrivata la fama, e con essa le feste: bere era la routine, una cosa normale, ma solo dopo…” Dex si fermò bruscamente, aggrottò le fronte. Era difficile parlare della sua lenta e inesorabile caduta, del fallimento e della solitudine.
“Dopo? – lo incoraggiò il medico, continuando ad osservarlo – Immagino che sia arrivato il conto da pagare.”
“Immagina bene, Dottore: il mio ultimo libro, come tutti sanno, è stato un fiasco e mia moglie mi ha lasciato. L’alcool era il mio solo amico, la bottiglia di whiskey l’unica compagna che mi faceva compagnia nelle notti insonni.”
“E quanto, quanto è solito bere di preciso? Una, due, tre bottiglie.”
“Dipende dai giorni. – rispose lui, muovendosi sulla sedia improvvisamente scomoda – Mai meno di una bottiglia, sempre meno di tre.”
“Capisco.” Il Dottor Simpson annotò i dati su di una cartella, inforcò nuovamente gli occhialetti per focalizzare meglio le lettere.
“Nel suo caso, – proseguì – consiglierei un ricovero di un paio di settimane, il tempo di passare le prime fasi di astinenza; dopo di queste, procederei con le sedute settimanali con gli altri pazienti. Due volte alla settimana, almeno, e una seduta a settimana con la nostra psicologa, Miss. Barnes.”
“Sedute, psicologa? – Rose prese per la prima volta la parola, rivelando una voce piena di ansie ed insicurezze – Ma è proprio necessario?”
“Temo di sì, Miss. Freeman, temo proprio di sì.”
“Non preoccuparti, Rosie – la tranquillizzò il fratello, posando una mano su quella di lei – me la caverò, come sempre. Inoltre, credo che le sedute non potranno che farmi bene e, chissà, anche ritrovare l’ispirazione.”

“Prego, una firma qui e un’altra qui.” Oliver Simpson gli porse dei fogli, indicando con una ics il punto in cui firmare.
“E’ il foglio di ricovero, vero?” chiese retoricamente lui, sospirando quando il dottore annuì e gli passò la penna. “Molto bene, allora.”
Dexter Freeman firmò ogni singolo punto senza indugiare oltre: se avesse pensato, se avesse concesso alle sue paure e alle sue debolezze di farsi avanti tutto sarebbe andato in malora, probabilmente sarebbe scappato lontano, molto lontano.
“Perfetto! – esclamò con un falso sorriso stampato in viso Oliver Simpson – Da questo momento in poi, Mr. Freeman, può considerarsi a tutti gli effetti un nostro paziente. Vedrà, non si pentirà della scelta fatta e tra due settimane ringrazierà sua sorella per averla portata nella nostra clinica e il nostro staff per averla liberata dai suoi demoni.”


 
**
 
 
Passato anche l’ultimo conato di vomito, Dexter tirò lo sciacquone e si lasciò cadere sulle piastrelle fredde del bagno della sua stanza. Il suo corpo era madido di sudore, le sue mani tremavano: era nel mezzo di una crisi di astinenza da alcool e faceva schifo. Si inumidì le labbra secche, socchiudendo gli occhi e cercando di ignorare gli spasmi del suo stomaco dolorante. Era là dentro da solo una settimana, eppure per lui sembravano passati mesi e mesi dall’ultima volta che aveva visto sua sorella Rose, assaporato un goccio di prelibato whiskey scozzese, camminato per le strade di Londra in cerca di una qualche ispirazione.

Fanculo! – esclamò con voce impastata a causa della bocca dal retrogusto di vomito, fissando il soffitto bianco come bianche erano le pareti della sua stanza – ‘Fanculo la mia vita, Londra; ‘fanculo Richmond, questa situazione di merda e soprattutto vaffanculo questo posto di merda!”
Avrebbe voluto tornare a casa – casa, certo, ma dov’era casa? Non a Londra, certo, ma neanche a Richmond. – trovare un posto dove sentirsi vivo, un posto dove sentirsi voluto, amato. Certo, c’era sua madre, la sua casa d’infanzia ma non era la stessa cosa: quel posto era la fonte dei suoi ricordi, il nido che aveva lasciato tempo prima, ma non era davvero suo. Non lo era più da quando aveva deciso, a 18 anni, di partire per l’università per seguire il suo sogno di fare lo scrittore, sogno che si era realizzato a 25 anni, quando aveva pubblicato il suo primo romanzo, il suo grande successo.
“Fanculo!” disse nuovamente, mentre con gran fatica si alzava dal pavimento e sbandando appena raggiungeva il letto, quel piccolo rettangolo morbido su cui si buttò a peso morto e si addormentò stravolto l’istante successivo.
 

**



Charlotte guardò l’orologio appeso sulla parete destra della sua pasticceria e imprecò mentalmente: era tardi, e nel giro di mezz’ora sarebbe iniziato il suo settimanale incontro con altri ex alcolisti come lei. Nonostante fosse completamente sobria da quasi quattro mesi, quelle riunioni riuscivano sempre a farla star meglio, a zittire la vocina fastidiosa che ogni tanto – nei momenti più bui, quando si lasciava andare ai ricordi, ricordi oscuri, dolorosi, ricordi che avrebbe voluto cancellare per sempre – ritornava a farsi sentire. In quelle due settimane, inoltre, Charlie aveva spesso pensato e ripensato a Dexter Freeman, al migliore amico di suo fratello Matt, a quel ragazzo adesso uomo che non vedeva da anni ma di cui aveva sempre seguito la vita e la carriera attraverso magazine e i suoi libri, dei libri in cui aveva ritrovato dei richiami autobiografici, piccoli elementi che le avevano fatto ripensare a suo fratello e allo stesso Dexter quanto entrambi erano poco più che adolescenti e si ritrovavano nella stanza di Matt a strimpellare la chitarra e fumare di nascosto sigarette e chissà che altro quando i genitori erano a lavoro.
Sorrise al ricordo di quei momenti così lontani nel tempo, al ricordo di suo fratello, della sua giovane vita piena di promesse e speranze tragicamente spezzata da un incidente stradale, un incidente di cui lei stessa era stata testimone, dal quale era uscita quasi del tutto incolume fisicamente ma devastata psicologicamente.

“Non farai tardi?” la voce di Cole, chiara e squillante, la destò dai suoi ricordi.
Cole era l’unico che sapeva delle riunioni, delle sedute dallo psicologo, ogni suo più piccolo segreto; lui era il suo migliore amico, sapeva leggerla come un libro aperto e con il moro al suo fianco Charlie riusciva sempre a parlare di ogni problema, di ogni suo più piccolo pensiero. Era fortunata ad averlo nella sua vita, ne era consapevole, e anche se lui avrebbe voluto qualcosa di più di una semplice amicizia e notti occasionali di passione nel suo letto, gli era grata per non averle mai messo pressione, per aver rispettato i suoi tempi, le sue necessità.
“Temo di sì – rispose lei, storcendo la bocca – Ti dispiace finire tu qua? Io ho davvero bisogno di andare e…”
“Sai che non mi dispiace, piccola.” Cole si avvicinò a lei e con una delle sue grandi mani calde le portò una ciocca dispettosa dietro l’orecchio.
Charlie sorrise imbarazzata: i suoi gesti così dolci e carini la mettevano sempre a disagio, non sapeva mai come reagire, cosa dire o fare.
“Grazie, sei sempre il migliore.” Lo abbracciò, gli permise di stringerla forte contro il suo fisico imponente e gli diede un bacio veloce prima di portare le mani dietro la schiena e iniziare a slacciare il grembiule.
“Allora lascio tutto a te. – proseguì, intenta ad infilarsi cappotto e sciarpa – Ci vediamo domani, e grazie… credo che sarei persa senza di te.”
“Sempre pronto a servila, mia dolce pulzella di marzapane.”




 
**
 

Charlotte arrivò con il fiatone e palesemente in ritardo alla riunione. Sperando di non dare nell’occhio, aprì piano la porta che collegava il corridoio della struttura in cui per alcune settimane era stata ricoverata per disintossicarsi dall’alcool con la grande stanza in cui erano state disposte in senso circolare molte sedie blu e grigie, sgusciando al suo interno con passo felpato e raggiungendo una delle sedie ancora vuote. La responsabile della riunione, Mrs. Robinson, una donna dal fisico robusto e dal volto simpatico, le lanciò un occhiata di rimprovero e, non perdendo l’occasione per rimproverarla, la riprese ad alta voce davanti a tutti.
“Miss. Harrison, quale onore! – esclamò con sarcasmo – Finalmente si è unita a noi: prego, prego, si sieda.”
“Scusi Mrs. Robinson, non accadrà più.” Charlie abbassò il capo, sentendosi piccola, una bambina colta con le mani nella marmellata, e si strinse il cappotto e la borsa posata sulle gambe al ventre, continuando a fissare la punta dei piedi come se fosse la visione più interessante dell’universo.
“Lo spero. – concluse la donna, tornando a rivolgere l’attenzione verso il nuovo paziente della clinica, il bello e famoso scrittore che stava per iniziare la sua prima seduta di terapia presso gli alcolisti anonimi. – Prego, mio caro, continua pure.”
“Sì, dunque… - Dex si alzò con atteggiamento goffo dalla sedia, si guardò attorno e cercò di pensare ad altro, di ignorare tutti quegli sguardi puntati su di lui – M-mi chiamo Dexter Freeman, ho 32 anni e sono un alcolista.”

Sentendo quel nome, il suo nome, Charlotte Harrison alzò lo sguardo, incontrando gli occhi azzurri di Dexter Freeman: per la prima volta in quasi dieci anni si guardarono con la consapevolezza di chi fosse l’altro, - lui il migliore amico di suo fratello, lei la sorella minore del suo migliore amico – e ritrovarsi là, in quella stanza dalle mura spoglie e fredde, insieme, fu destabilizzante.
Come aveva fatto quella dolce ragazzina, si chiese Dexter, a diventare un alcolista? Cosa l’aveva spinta in quel baratro? A tanto l’aveva portata la perdita del suo unico fratello? Avrebbe voluto chiederglielo, avrebbe voluto sedersi con lei, magari davanti ad un caffè e ad un’ottima fetta di torta preparata da Charlie con le sue mani e ascoltarla, parlare per ore delle loro vite in quegli anni, dei loro sogni infanti, delle loro gioie, dei loro fallimenti, delle loro perdite.
Avrebbe voluto, certo, ma non lo fece: tutto ciò che fece fu guardarla negli occhi ancora per un attimo, abbassare il capo e sospirare malinconicamente. Sarebbe stata una lunga settimana quella che aspettava Dexter, ma il pensiero di vedere un volto amico durante le dannate riunioni di alcolisti anonimi la rendeva un po’ meno lunga.



*



Angolo Autrice: Rieccomi con il nuovo capitolo. Dex sta affrontando i suo demoni, e non sarà facile. Ha scoperto il segreto di Charlie, e Charlie ha scoperto il suo, e questo segnerà notevolmente il loro rapporto futuro. Le cose si faranno interessanti, dal prossimo i due protagonisti inizieranno ad interagire realmente e presto si scopriranno i segreti di Charlie, quelli che solo Cole conosce.
Grazie, come sempre, a tutti voi che seguite la storia e recensite. Mi raccomando, lasciatemi vostri pareri, non importa di che tipo. Non mordo, giuro! :3
Alla prossima,
V.
  
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