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Autore: Iridium    23/11/2014    0 recensioni
'D’improvviso mi resi conto di quanto la famiglia, il nostro legame come fratelli e come Figli del Diavolo, mi avesse oscurato la mente. Ero sempre stata così fedele alla nostra missione da non prendere nemmeno in considerazione l’idea che qualcuno dei miei compagni si allontanasse da essa o addirittura la tradisse. Ma ciò che più mi gelava il sangue nelle vene era il fatto che fosse stato Taygher. Lui era il mio gemello, la mia faccia speculare per natura, c’eravamo sempre stati l’una per l’altro più che con qualsiasi altro del gruppo. Eravamo indistruttibili, insieme.'
[Dal capitolo II ]
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4: Affare fatto?

Tenni un coltello stretto in una mano che nascosi dietro la schiena e aprii senza far rumore la porta da cui sapevo essere provenuto il suono. Mi intrufolai dentro e rimasi ferma. Quella era la sala musica, così la chiamava sempre Tay, ma non ci andava mai nessuno di noi. C’erano alcuni strumenti e al centro della stanza un pianoforte a coda nero e lucido, posto proprio di fronte ad una vetrata da cui si vedeva tutta New York. L’atmosfera era suggestiva, dovevo ammetterlo, e forse invitava anche a suonare ma nessuno di noi fratelli lo faceva più da anni. Un po’ per mancanza di tempo e un po’ per mancanza di voglia, solo Azar ogni tanto si dilettava strimpellando qualche nota con una chitarra ma nulla di più. La musica era sempre stata la passione di nostra madre, ci aveva insegnato a suonare. Le piaceva da morire quando, da piccoli, improvvisavamo un concertino facendo finta di essere una grande orchestra. Ovviamente il risultato era penoso e alquanto imbarazzante ma il sorriso che aveva lei nel guardarci suonare era qualcosa di impagabile. Quel pianoforte, in teoria, era stato portato lì per me perché era lo strumento musicale che più avevo amato ma non l’avevo mai toccato da quando vivevamo lì. Eppure in quel momento proprio da quello uscivano nuove note. Una melodia che non avevo mai sentito.  A suonarla era l’ultima persona che mi sarei immaginata, il giovane Guardiano. Mi dava le spalle e guardava davanti a sé, inconsapevole della mia presenza. Guardai le sue mani muoversi suo tasti, erano agili e si vedeva che gli riusciva come cosa naturale. Il pezzo che stava suonando era sereno e aveva un sottofondo allegro, ricordava i primi giorni di primavera. Lo lasciai finire perché avevo provato io stessa quanto fosse frustrante essere interrotti, non rinfilai il coltello, però, lo tenni stretto. Non appena alzò le dita dalla tastiera sospirò. 
-Come sei entrato qui?- Lui si voltò all’improvviso, spaventato e sorpreso. Quando mi vide gli si gelò lo sguardo. 
-Ehm..- Si portò una mano dietro alla nuca e si arruffò un po’ i capelli. Era un sintomo che si mostrava sotto pressione di solito eppure gli avevo fatto una semplice domanda. -In verità dovevo raggiungere il salone in cui siamo entrati, ho lasciato lì una borsa. Uno dei tuoi fratelli mi ha spiegato come fare ma mi sono perso. Ho provato una porta a caso e mi sono ritrovato qui.-
-Non sei a casa tua, lo sai questo?-
-Ho visto il pianoforte e mi è venuta voglia di suonare. Era un pezzo che di solito suono a Coleen, la mette di buono umore.- Immaginai fosse il nome di sua sorella. –Come sta?- Chiese alzando gli occhi e puntandoli nei miei. I suoi erano verdi, una tonalità particolare, quella degli alberi che hanno appena dato le foglie nuove, piene di vita e pronte per la bella stagione. 
-Ha superato la mattinata ed è già qualcosa. Cosa vi hanno detto esattamente?-
-Poco e niente, paradossalmente tu sei stata la più loquace. Uno dei tuoi fratelli, biondo scuro, con un tatuaggio sul braccio, era incazzato e ci ha portato ai nostri alloggi in completo silenzio.- Sicuramente Azar, inconfondibile. Quando era arrabbiato si chiudeva in sé stesso ed era capace di non dire una parola per giorni, per fortuna aveva la sua tecnologia. Annuii seria. 
-Non dovresti stare qui, ti accompagno all'ingresso così potrò tenerti d’occhio mentre recuperi la tua borsa.- Non volevo che cercasse di fregarci e scappasse, anche se così facendo avrebbe messo in moto tutti i sistemi di sicurezza che aveva installato Azar nell'intero palazzo.
-Il pianoforte è un po’ scordato, forse dovreste rimetterlo in sesto, così è un peccato.-
-E’ mio e non lo suono mai, non vedo perché dovrei sistemarlo.- Mi guardò sorpreso. 
-Con una vista così io suonerei tutti i giorni.. Non sai farlo?-
-So come si fa ma non ho intenzione di riprendere a suonare. Su, sbrigati. Non ho tutto il giorno e devo tornare in palestra.- Ci avviammo in corridoio. Solo allora misi a posto la piccola lama che avevo tenuto tra le dita, d’altronde se si fosse presentata la remota possibilità che lui tentasse la fuga non ero male nemmeno nello scontro corpo a corpo, pur essendo una donna.
-C’è anche una palestra qui dentro? Avete pensato proprio a tutto!- A quel punto gli feci una domanda che mi sorse spontanea, senza trattenermi.
-Voi no?- Lui mi guardò e scoppiò quasi a ridere, poi smise subito notando la mia espressione seria. 
-Con chi credete di avere a che fare? Lasciamo a voi il ruolo di ninja. Noi siamo solo i protettori degli umani. Li proteggiamo in altri modi, non con le armi.- Rimasi basita ma cercai di non darlo a vedere assumendo un’espressione impassibile.
-Voi non uccidete i Mordor?-
-Solo se strettamente necessario ma ormai non capita più anni.- Rimasi stupefatta, li avevo sempre creduti dei guerrieri quanto noi. Mi fermai inchiodando e lui quasi mi finì addosso. 
-Allora come li proteggete?- Lui mi guardò fisso.
-Sarà anche casa tua ed io sarò un vostro prigioniero ma non credere che io ti venga a rivelare i nostri più profondi segreti solo perché me lo hai chiesto senza puntarmi addosso il pugnale che hai appena coperto. Io non ti chiedo cosa tu nascondi e tu non farlo con me. Affare fatto?- Non gli risposi ma ripresi ad avanzare fino a riportarlo al salone d’ingresso. In effetti aveva davvero lasciato lì una borsa marrone un po’ malconcia. A quel punto sorrisi beffarda e mi piazzai davanti alla porta del corridoio. 
-Dove pensi di andare con quella? Fammi vedere il suo contenuto. Non penserai che io ti creda uno stinco di santo solo per la tua bella storiella sulle anime candide quali siete. Come hai detto, questa è casa mia e le regole le faccio io.- 
-Cosa ne è stato del nostro patto?-
-Chi ti ha mai detto che avrei accettato?- Il ragazzo mi fulminò e mi passò malvolentieri la sacca. L’aprii e vi trovai dentro solamente un giacca nera, un libro vecchio e scarabocchiato e un pennellino con la punta macchiata di una tinta rossa. Stavo per ridarglielo quando notai un piccolo particolare che mi fece immergere completamente il braccio dentro la borsa, ci doveva essere un doppio fondo perché da fuori la sacca pareva molto più ampia di come la percepivo con l’arto. Il ragazzo di fronte a me si irrigidì ed io ebbi la prova di aver ragione. Trovai il modo di aprirlo e vi scoprii un’arma. Una lama che era lunga quanto il mio avambraccio ed aveva l’impugnatura finemente intagliata e decorata. Le nostre lame di solito, al contrario, avevano l’elsa in cuoio, semplice e pratica. Era Percival a fabbricarle, lui amava quel lavoro che svolgeva in segreto nelle sue stanze. Nessuno aveva il permesso di disturbarlo mentre era all’opera. Lo posi a metà tra il mio corpo e quello del giovane Guardiano. Lui non abbassò lo sguardò né cercò di negare. Mi fissò semplicemente. Decisi di adeguarmi alla sua tattica e infilai l’arma al fianco, tra la carne e la stoffa della tuta. Lui alzò un sopracciglio mentre gli restituivo la borsa  e gli facevo segno di camminare davanti a me. Durante il tragitto lo guidai verso il salone principale, sul quale affacciava la stanza che gli era stata destinata. Probabilmente riconobbe la porta del locale perché poco prima si girò verso di me. 
-Se i nostri ruoli fossero invertiti cosa diresti a tuo padre su Coleen?- Lo guardai assottigliando lo sguardo, cercando di capire se ci fosse qualche fine nascosto in quella frase. 
-Tuo padre sembra un tipo a posto, direi che può sopportare la verità.- Lui si morse leggermente il labbro. 
-Ha già perso mia madre un anno fa. Non potrebbe sopravvivere alla morta di Coleen, per favore fate il possibile per salvarla.- Era la prima volta che mi porgeva apertamente una richiesta. Era anche la prima volta che lo sentivo pronunciare un ‘per favore’. Non abbassai lo sguardo ma decisi di non infierire così gli feci cenno di riprendere a camminare. Quando oltrepassammo la porta tutti i presenti parvero per un attimo congelarsi, essendosi girati a guardarci. Dovevo ammettere che condividevo i loro probabili pensieri in quel momento. Ero l’ultima persona che si sarebbero mai immaginati apparire insieme a quel Guardiano. Prima che quest’ultimo potesse dirigersi verso la camera degli ospiti che gli era stata destinata e in cui sarebbe stato confinato da lì a poco ripresi in mano il pugnale e lo lanciai sul divano. Andò a conficcarsi in un cuscino ad un metro da mio fratello Taygher, lui mi guardò sorpreso non riconoscendo la lama. 
-Ecco cosa porta fidarsi troppo.- Azar scosse il capo in direzione di Tay, riprendendo poco dopo a giocare al suo videogioco. Voltai le spalle a tutti e tornai in corridoio. Qualcuno mi venne dietro correndo e qualche secondo dopo sentii una mano calda afferrarmi il polso. 
-Adhara!  Aspetta..- Strattonai all'istante l’arto per liberarmi dalla presa. 
-Non provarci, Tay. Vattene.- Dissi dura, fissandolo nei suoi occhi cobalto. Ripresi a camminare senza dargli la minima importanza. 
-No, lasciami spiegare. Ti devo delle spiegazioni.-
-E’ vero. Mi dovevi delle spiegazioni mesi fa! Quando questo teatrino a quanto ho saputo è iniziato.-
-Hai ragione, è colpa mia e mi assumo questa responsabilità ma tu non capisci.-
-E tu non capisci me! Cazzo. Avrei potuto accettarlo, dopo un po’ magari, se qualsiasi degli altri ci avesse tenuto nascosta una cosa del genere ma tu.. Da te non posso.-
-Non è come pensi. Non mi avete dato nemmeno il beneficio del dubbio, come credi ci si senta?- Non ci vidi più e mi girai colpendolo alla gola con l’avambraccio, inchiodandolo, per quanto la mia altezza me lo permettesse, alla parete.
-Pensi di essertelo guadagnato?! Io non do una possibilità ad un traditore. Ti pensavo migliore in effetti ma se è questo che hai deciso di diventare io non posso fermarti.-
-Non ho fatto la mia scelta, Adhara, né voglio compierla. Se ti fermassi un secondo e mi ascoltassi potrei spiegarti tutto.- Biascicò con il pomo d’Adamo che faticava contro il mio braccio. 
-Il tempo delle parole è finito, contano i fatti. Spera che quella ragazza non ci trascini in guerra perché altrimenti sarò lieta di completare quello che quei Mordor hanno lasciato a metà.- Il mio gemello sgranò gli occhi ma non commentò e dopo un minuto lo lasciai andare senza fiato. Corsi di nuovo in palestra e sfogai tutta la rabbia che avevo in corpo con le armi. Ad un tratto mi fermai in mezzo alla stanza, sulla pedana nera, comprendendo cosa tutta quella situazione significasse davvero. Stavo perdendo definitamente Tay, il nostro rapporto e il nostro legame. Era una mia scelta e mi sforzavo di dire a me stessa che era lui che, con le sue azioni, mi aveva portato a tanto. Ma era davvero così? Sospirai e lasciai andare sul pavimento la lama che ancora tenevo stretta tra le dita. Questa produsse un rumore metallico che risuonò nella mia testa per un tempo indefinito. 
-Non tormentarti troppo sorellina.- Voltai leggermente il viso, riconoscendo la voce di Azar. Era anche lui nella sua tenuta sportiva, lì per il mio stesso motivo. Il suo sguardo era nero di furia ma divertito allo stesso tempo. –Se ci fosse un modo per tornare indietro e confinare  Tay in questo appartamento lo farei, giuro. – Scosse la testa sarcastico. – Ma non c’è quindi mi alleno per prenderlo bene a calci la prossima volta che mi capiterà l’occasione.- Avere Azar come nemico non era di certo una cosa positiva, era senza dubbio il più violento tra noi, amava lo scontro e la tattica. Non era detto che davvero non si sarebbe azzuffato con Tay in futuro. Anche lui era stato colpito come da un dardo infuocato, la notizia lo aveva sconvolto e anche se esteriormente dava sempre l’aria di essere forte e cattivo sapevo che dentro era rimasto profondamente deluso, come tutti, come me. 
-Vedi una soluzione a tutto questo?- Gli chiesi senza starci a girare intorno. Era inutile con Azar. 
-No. Per lo meno non una impacchettata e lasciata davanti alla nostra porta in segno di pace.- Sorrisi senza mostrare i denti, riusciva sempre a fare dell’umorismo su tutto. –Taygher ha sbagliato e questo è innegabile ma ora non serve prendercela con lui, ci sarà il tempo per quello ma non è ora. L’hai pestato al posto mio? Quando è tornato in salone aveva una faccia stravolta.-
-Probabilmente è perché mi sono offerta di far fuori la sua ragazza.- Lui sorrise immediatamente e annuì ancora più divertito. Poi tornò serio.
-Dico davvero sul fatto di non dividerci, questo ci può rendere..-
-Vulnerabili. Lo so. Per questo cerco di superare il problema.-
-Chiudendoti qui dentro? Potresti parlare con Tay. Non ha detto una parola in tutto il giorno. L’unica cosa che l’ha scosso da quella posizione sei stata tu, sei un punto di riferimento importante per lui, come lui per te.- Aveva ragione e mi sorprendeva il fatto che stesse cercando di farmi ragionare proprio lui tra tutti i miei fratelli, non era di certo il più riflessivo. Stavo cominciando a considerare l’idea come non impossibile quando un forte allarme risuonò in tutta la casa. Una luce rossa proprio sopra lo stipite della porta della palestra prese a lampeggiare ed io e Azar ci scambiammo due sguardi complici e consapevoli. Scattammo all’istante e corremmo fuori, quel segnale non voleva dire nulla di buono. 
-Tu vai dagli altri, io in infermeria!- Mi gridò mio fratello poco prima di raggiungere la porta del salone. Io inchiodai immediatamente ed entrai nella stanza. I due Guardiani erano seduti lì, entrambi mi guardavano stupiti, con il terrore negli occhi. Se non erano stati loro a far scattare con la fuga l’allarme, ciò significava che poteva averlo fatto solo qualcuno che conosceva il modo giusto per attivarlo, era una richiesta di aiuto e in quel momento l’unico luogo da cui poteva provenire era quello dove si trovava Coleen. Probabilmente non fui capace di nascondere le mie emozioni perché il giovane si alzò lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi, sconfitto.
-E’ un brutto segno, vero?- Chiese con la voce tremante. Suo padre scoppiò in un pianto silenzioso, abbassando lo sguardo sul pavimento. Ero l’unica che era rimasta in quella stanza con loro e l’unica che, ancora una volta, potesse dargli spiegazioni. Non gliele negai quella volta.
-Sì, non è niente di buono.- Il ragazzo sospirò e si diresse frustrato verso la finestra in fondo. Ci trovammo di nuovo tutti  tre ad aspettare ma questa volta l’attesa era diversa. In un certo senso io ero in pensiero quanto loro, non per la Guardiana ma perché sentivo che la guerra era sempre più vicina, inevitabile. Ancora una volta io avevo le mani legate, non potevo fare nulla per impedire ciò che stava per succedere. Mi odiai in quell'istante perché molto tempo prima avevo promesso a me stessa che non avrei permesso alla mia anima di provare di nuovo quella sensazione di inutilità. Invece eccomi lì, di nuovo sola, di nuovo inservibile, prossima alla sconfitta. 

[Angolo d'autore]
Mi scuso tantissimo per la lunga assenza! Purtroppo impegni di vita quotidiana mi hanno tenuta un po' occupata e non ho potuto completare questo capitolo prima di oggi. Spero sia all'altezza delle vostre aspettative. Ho già iniziato il quinto e la storia sta sempre più predendo vita con tutti i suoi dettagli nella mia mente. Prometto di non farvi aspettare tanto per la prossima pubblicazione! 
A presto,
Iridium.
   
 
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