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Autore: Blue_moon    23/11/2014    1 recensioni
Terzo libro della trilogia Similitudini.
Per la comprensione della storia è necessaria la lettura delle prime due parti, Prigioni e Spie.
Sono passati tre anni da quando Loki è scomparso nuovamente con il Tesseract.
Nè sulla Terra, nè ad Asgard si sono più avute sue notizie.
Apparentemente le cose sono tornate alla normalità.
Ma nell'ombra antichi nemici stanno preparando la loro mossa, dritta al cuore.
Avvertenza: nella trama sono presenti forti SPOILER riguardo Thor: The Dark World e Iron Man 3, se non volete rovinarvi la sorpresa, non leggete.
AGGIORNAMENTI MOLTO LENTI
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Similitudini'
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Buonaseraaaaaa,
So che avevo promesso aggiornamenti più frequenti ma la vita è piena di impegni, e purtroppo la scrittura è solo un hobby per me e non posso dedicarci troppo tempo.
Detto questo, vi lascio al capitolo, spero vi piaccia abbastanza da perdonarmi la lunga assenza. ;)

La colonna sonora per questo capitolo e il prossimo sono due canzoni che adoro e ho ascoltato molto, durante la scrittura di questo capitolo: Powerless, Linkin Park e I'm Your Sacrifice di Ozark Henry.

Buona lettura!


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Il fumo della distruzione di Asgard aleggiava come uno spettro nella piccola stanza, incombendo sulle teste dei presenti.
Passandosi una mano sul volto, ancora rigato di cenere, Thor prese un grosso respiro.
«Qual'è la situazione, generale Tyr?», domandò.
Tyr era uno dei generali più esperti dell'esercito di Asgard. Aveva ricevuto il suo grado durante la grande guerra contro Jotun e in molte battaglie successive aveva dato prova di essere un fine stratega, oltre che un valente guerriero. Anche se la lunga barba grigia tradiva la sua età, il corpo era massiccio e forte tanto quanto quello di asgardiani molto più giovani di lui.
Il generale valutò con attenzione la risposta da dare al Principe, scambiando un'occhiata rapida con il Padre degli Dei, seduto a capotavola. «L'esercito nemico si è ritirato oltre i confini della città, nelle pianure. Per il momento, sembrano in attesa. Una guarnigione delle mie migliori spie tiene d'occhio la situazione».
«A quanto ammontano le nostre perdite?».
Tyr incrociò le braccia al petto, evidenziando i bicipiti muscolosi lasciati scoperti dall'armatura. «Difficile fare una stima precisa. Prima dell'attacco le nostre forze contavano circa diecimila unità. Ora non superano le ottomila».
«Potete contare su tutti gli uomini della mia scorta», intervenne la sovrana di Hel che, come voleva la tradizione della sua gente, portava lo stesso nome del suo pianeta. «Sono appena un centinaio, ma ben addestrati».
«Tutto l'aiuto è ben accetto», annuì il generale Tyr.
Probabilmente timorosi di apparire codardi, i sovrani di Alfheim, Muspelheim e Vanaheim offrirono a loro volta i servigi della propria scorta.
Loki, ancora in armatura, assisteva al consiglio di guerra con aria annoiata, appoggiato con la schiena alla parete subito alle spalle di Thor. Quando la regina di Vanaheim, Freya, ebbe terminato la sua prolissa offerta di aiuto, non riuscì a trattenere una lieve risata.
Tutti i presenti, si voltarono verso di lui, molti di loro con aria oltraggiata, come a chiedere spiegazioni.
Odino si raddrizzò sul suo scranno.
Il Padre degli Dei all'inizio dell'attacco aveva avuto una nuova crisi. I guaritori sembravano molto incerti sulla sua sorte e gli avevano raccomandato di ritirarsi immediatamente nel Sonno, per preservare l'equilibrio mentale, che sembrava sempre più labile.
Con uno dei suoi fedeli corvi appollaiato sulla cima di Gungnir, Odino era visibilmente provato, ma aveva preteso comunque di partecipare a quella riunione d'emergenza, nonostante Lady Amora avesse sottolineato il fatto che Thor fosse perfettamente in grado di gestire tutto da solo.
«Hai qualcosa da dire, Loki?», lo apostrofò il sovrano di Asgard, osservandolo con l'unico occhio.
Nonostante il tempo trascorso, il rancore di Loki verso chi per anni si era definito suo padre, non era affatto diminuito. I giorni, le settimane, i mesi e gli anni lo avevano esacerbato e logorato, rendendolo sempre più simile all'odio più profondo e distruttivo.
Nelle sue gesta compiute per conto di Thanos c'era ancora un'ingenuità dettata dal desiderio di compiacere Odino, di mostrarsi degno di essere suo figlio.
Ormai, di quei sentimenti era rimasta solo la cenere.
La morte di Frigga aveva spazzato via ogni tipo di legame che lui poteva avere con Asgard, o con quella che ancora aveva l'ardire di definirsi la sua famiglia.
«Se hai suggerimenti, saranno bene accetti», intervenne a sorpresa Amora, spostando lo sguardo tra Odino e Loki. «Tu conosci bene il nostro nemico».
«Lui è nostro nemico», sibilò Hel. «Ha attaccato Midgard sotto il comando di Thanos, come facciamo ad essere sicuri che non è ancora suo alleato?».
«Non potete», annuì Loki, scoprendo i denti in un sorriso feroce. «Eppure non è di me che dovete preoccuparvi. Avete poco più di ottomila uomini e là fuori c'è un esercito di almeno quindicimila Elfi pronti a massacrare ogni uomo, donna e bambino di Asgard, senza contare che Thanos in persona potrebbe facilmente annientare tutta la città».
Le parole di Loki riecheggiarono a lungo nella stanza, rendendo l'atmosfera più pesante di quanto già non fosse.
«Perché non lo fa?», chiese all'improvviso Thor, osservando in volto ognuno dei presenti, soffermandosi più a lungo su Loki.
«Cosa intendi?», chiese Surtur, Re di Muspelheim.
«Thanos avrebbe potuto facilmente annientarci, eppure si è limitato a ferirci, senza ucciderci. Cosa vuole veramente? Se capiamo questo, sapremo come fermarlo», spiegò Thor.
«Non avete torto, Principe Thor. Ma come potremmo ottenere un'informazione del genere?», intervenne Hel.
«Malekith comanda l'esercito degli Elfi. Basterebbe catturarlo e torturarlo per farci dire ciò che sa. Uno dei miei soldati potrebbe facilmente infiltrarsi nell'accampamento nemico», propose Surtur, chiudendo il pugno grosso quando la testa di Thor.
Loki scosse lentamente la testa, staccandosi dalla parete. «Thanos non mette nessuno a parte dei suoi piani. Qualunque cosa Malekith pensi di sapere sarà solo una piccola goccia di verità, in un mare di promesse vuote».
Odino fissò a lungo il volto di Loki. «Perché Malekith ha preso l'umana?», domandò all'improvviso.
Loki sollevò le sopracciglia, ostentando sorpresa. Rimase muto, anche se Thor, accanto a lui, notò una lieve contrazione della guancia, come se avesse trattenuto una smorfia.
«Forse credeva che la sua strana arma fosse il Tesseract», azzardò Freya, non troppo convinta.
«Gli Elfi Oscuri non brillano per il loro fine intelletto, ma non sono così stupidi», replicò Amora e Tyr annuì, a darle ragione.
«Volevano lei», intervenne Heimdall per la prima volta. «Malekith l'ha guardata fisso, ed è andato a colpo sicuro. Non cercavano un semplice ostaggio, ma Khalida».
Odino contrasse il volto in una breve smorfia di dolore, che Amora immediatamente notò. La dea fece per avvicinarsi ma il Padre degli Dei la freddò con un'occhiata rabbiosa.
«Qualunque fosse lo scopo, la donna è irrilevante per noi. Thanos ha fatto male i suoi calcoli», disse, come a chiudere il discorso. «Ecco cosa faremo: ci raggrupperemo nel palazzo reale e li aspetteremo. Siamo meno di loro, ma i nostri soldati sono ben addestrati e possediamo armi più avanzate. Se restiamo uniti, possiamo sconfiggerli con una buona strategia».
Thor scambiò uno sguardo perplesso con Loki, ma l'altro non colse, sembrava essersi completamente estraniato dalla conversazione.
«Padre, radunandoci in un unico posto saremo in trappola. Se ci attaccassero dall'alto con le loro navi saremo completamente vulnerabili. L'attacco di oggi ha danneggiato la maggioranza dei nostri sistemi di difesa», obiettò il Principe. «Anche se dovessimo avere la meglio, sacrificheremmo inutilmente centinaia di vite».
«Ogni goccia di sangue asgardiano versata con onore sarà ricordata dovutamente. Ma non si vince una guerra senza sacrificio», ribatté risoluto Odino, con uno strano luccichio folle nell'unico occhio.
Thor strinse i pugni. Aveva quasi perso Sif e Fandral nel corso del primo attacco. Mai, nemmeno nella sua folle incoscienza di pochi anni prima, aveva pensato che le loro vite fossero sacrificabili. «Le guerre non si vincono nemmeno nascondendosi come conigli», si lasciò sfuggire il Principe.
Il silenzio si fece di piombo.
Odino scoprì i denti. «La guerra è fatta per i Re, figlio. Ed è evidente che tu ancora non lo sei».
Thor incassò l'offesa con dignità, stringendo i pugni lungo i fianchi. «Il dolore per la morte della Regina offusca il vostro giudizio e...», iniziò.
«Taci!», tuonò Odino, scattando improvvisamente in piedi. Il volto già pallido del Padre degli Dei divenne cinereo, ed Amora corse a sostenerlo, afferrandolo per un braccio.
L'unico occhio di Odino fiammeggiò verso Thor. «Non sei più il benvenuto in questo consiglio».
Ferito ed umiliato, Thor fece per aprire la bocca, ma un'occhiata di Amora lo fece desistere.
L'Incantatrice era dalla sua parte, ne era certo, ed anche Heimdall lo stimava. La cosa lo confortò un poco e gli permise di mantenere la calma.
Dare in escandescenze non l'avrebbe aiutato, in più non voleva sminuirsi ulteriormente agli occhi degli altri sovrani.
Raddrizzò le spalle e si voltò, congedandosi dai presenti solo con un cenno del capo.
Un secondo dopo, Loki si incamminò dietro di lui, in silenzio.
Dopo qualche minuto, Thor cercò gli occhi del fratello. «Perché mi hai seguito?».
Loki sollevò la bocca in un lieve sorriso. «Stai tramando qualcosa», osservò.
Smascherato, Thor ricambiò il sorriso di Loki. «È bello sapere che certe cose non cambiano mai», disse, come tra sé e sé.
Loki strinse gli occhi. «Non ti illudere che sarà come una volta, troppo è cambiato. Non mi trattare come un tuo alleato, non lo sono».
Thor non si lasciò toccare dal rancore nella voce del Dio degli Inganni, ormai anche quello gli era familiare. «In questo lo sarai», affermò, con forza. «Andrò a cercare Khalida».
Loki aspettò qualche secondo, prima di scoppiare in una risata fredda ed aspra. «E perché mai? Mi pareva che avessi già la tua umana. Una non ti basta più?».
Thor incrociò le braccia al petto. «Non si tratta di questo, e lo sai. Le ho fatto una promessa, ed intendo mantenerla».
Loki non abbandonò il sorriso canzonatorio. «Non dovresti fare promesse che non sei in grado di mantenere», chiosò. «Non saresti in grado di trovarla, in ogni modo. Sprecheresti solo tempo prezioso».
«Tu puoi, allo stesso modo in cui lei ha potuto trovare te».
Loki strinse gli occhi. «Presumo che tu abbia ragione», fece, con fare misterioso.
«Potremmo non essere fratelli, Loki. Ma io ti conosco. So che vuoi trovarla», insisté Thor.
Loki accennò un breve sorriso, esitante, che eruppe in una nuova risata, più sguaiata e amara. «Se la trovassi, credo che la tua promessa verrebbe meno comunque», ammise, candidamente.
«Non me la dai a bere, fratello».
La maschera di Loki cadde, e la sua voce si affilò. «Non c'è nulla che tu possa fare Thor. Lascia che me ne occupi io». Benché la frase fosse rassicurante, nelle intenzioni, qualcosa nello sguardo di Loki turbò Thor. «C'è bisogno di te qui, ad Asgard», aggiunse Loki, a voce bassa.
I due si fronteggiarono per qualche secondo, gli occhi azzurri del Dio del Tuono tentarono invano di cogliere i segreti celati in quelli immobili di Loki.
«Asgard ha bisogno anche di te», disse infine Thor.
Loki scosse la testa, con fare demoralizzato. «Ancora non l'hai capito, vero?».
«Capito cosa?».
«C'è un traditore ad Asgard e, tanto per chiarire, non sono io», ammiccò il Dio degli Inganni.
Thor sbatté le palpebre. «Un traditore? E da cosa lo deduci?».
«È il modo di fare di Thanos. Prima di distruggere, mira a creare divisioni, in modo che il suo nemico si annienti in parte da solo», spiegò Loki.
Thor annuì in modo assente, improvvisamente concentrato. Poi finalmente parve ricollegare le fila del ragionamento del fratello. «Lo ha fatto anche sulla Terra, vero?».
«Ero nella testa di Selvig molto prima di attaccare la Terra. Ho raccolto informazioni, minato i vostri legami, previsto in che modo avrei potuto dividervi. Solo quando ho ritenuto di essere pronto, ho fatto la mia mossa», spiegò Loki, in modo chiaro e freddo. «Sono certo che Thanos abbia agito nello stesso modo anche ora».
«E cosa ti fa essere tanto sicuro?», lo incalzò Thor.
Loki aggrottò le sopracciglia e una vaga espressione di rabbia corse sui suoi lineamenti. «Sapevano quando si sarebbe svolto il funerale di Frigga, il momento preciso in cui saremmo stati più vulnerabili. Sapevano chi era Khalida, come trovarla e cosa avrebbe scatenato il suo rapimento», la voce di Loki salì di un tono sull'ultima frase, ad evidenziare il fatto che stava mentendo, ma Thor non ci fece troppo caso.
«Stai dicendo che Thanos vuole che tu vada a cercarla?».
Loki sollevò gli occhi al cielo, con fare esasperato. «Sto dicendo che Thanos vuole che tu vada a cercarla. Non so se l'hai notato, ma tuo padre non è al massimo delle sue facoltà mentali al momento. Alla sua guida l'esercito di Asgard verrebbe spazzato via».
Thor osservò il fratello. Aveva indossato nuovamente l'elmo, che brillava debolmente nella luce del giorno morente. «Mi stai chiedendo di fidarmi di te, Loki», precisò.
Loki sorrise, ammiccando lievemente. Un lieve bagliore verde serpeggiò lungo il bordo del mantello, agitato appena dalla brezza serale. «Non ho bisogno del tuo permesso, Thor», affermò, un minuto prima di svanire in un baluginio di smeraldo.
Thor rimase con le mani sospese a mezz'aria, poi si lasciò andare ad un gemito di frustrazione, scagliando un pugno a vuoto. Poi scoppiò a ridere, debolmente.
«In ogni modo, sappi che mi fido, fratello», mormorò all'aria, sapendo che nessuno poteva sentirlo.

Il vento sibilava forte, spingendo tra le fessure polvere, cenere, sabbia e poche scintille di luce velenosa.
Khalida aveva lacerato ciò che restava del suo abito per tentare di fermare gli spifferi feroci, improvvisando delle bende intorno alla bocca, tentando di ostruire le sottili crepe nelle pareti.
Era stato inutile, la polvere era troppo sottile e trapassava ogni ostacolo.
Quel pulviscolo irritante le faceva lacrimare gli occhi, infiammando la gola ad ogni respiro. Sulla pelle ambrata delle gambe completamente nude, fiorivano numerose piaghe, del diametro di una moneta da un dollaro. All'inizio erano simili ad un lieve arrossamento, ma ben presto la pelle si era come consumata, corrosa, esponendo il derma vivo e pulsante.
Come tortura, era geniale, doveva ammetterlo.
Veloce, dolorosa, silenziosa, pressante.
Esasperante.
La stanzetta in cui era confinata doveva essere posizionata a diversi metri d'altitudine, altrimenti il vento non avrebbe potuto essere così forte; buia, a parte qualche sprazzo di debole luce notturna, e completamente spoglia.
Grazie al tatto aveva intuito che le pareti erano di un metallo ruvido e poroso, caldo.
L'unica cosa terrestre cui poteva paragonarlo era la roccia vulcanica, ma era un'affinità forzata, neanche troppo calzante.
Ancora non aveva visto anima viva, dopo essersi risvegliata.
La tortura dei suoi carcerieri era già iniziata.
Essere un'esperta del campo, tuttavia, non l'aiutava affatto ad affrontare ciò che le stava capitando.
Gli Elfi avevano cominciato con le forme più violente e logoranti di tortura: il dolore costante, dovuto a quella polvere velenosa che continuava a posarsi in continuazione su ogni centimetro della sua pelle, e la privazione del sonno, per colpa del sibilo assordante del vento.
Dovevano avere molta fretta.
Erano agguerriti, disperati, crudeli.
Non aveva molto tempo per pianificare una fuga, o anche solo una strategia di resistenza.
Innanzitutto non aveva idea di cosa volessero da lei.
Thanos aveva dichiarato di volere Loki, ma la donna dubitava che il Titano mirasse solo a quello. Da ciò che sapevano di lui, Thanos era una personalità manipolatrice, che assoggettava menti più fragili per costringerle a seguire il suo volere, qualunque fosse.
Il suo scopo non poteva essere la semplice vendetta, anzi, avrebbe anche potuto non interessargli più di tanto.
Una fitta di dolore più acuto la costrinse a gemere, tra i denti stretti.
Qualcuno, da qualche parte, la stava osservando, se lo sentiva, valutando il momento opportuno per spezzarla, e lei non era intenzionata a dargli alcuna soddisfazione.
Ma era davvero troppo difficile.
Khalida avrebbe voluto sentirsi forte, ma era terrorizzata, come mai nella sua vita.
Quel luogo, alieno nel senso più pieno del termine, le toglieva il raziocinio e minava la sua stabilità emotiva. Non aveva Match con sé, e l'astinenza stava già reclamando il suo prezzo, togliendole le poche forze che il dolore le lasciava.
Si era scarnificata le mani e strappata le unghie, cercando di ricavare una qualche arma dalle pareti, e poi si era graffiata le braccia, tentando di sovrastare il prurito delle ustioni e la nausea che la mancanza di Match le causava.
Era sull'orlo dell'incoscienza.
Tra le palpebre socchiuse, allucinazioni danzavano nella sua mente.
Vedeva Ivy, nelle mani dello S.H.I.E.L.D., diventare ciò che anche lei era stata, uno strumento di morte, un burattino nella mani di un'organizzazione più grande di lei. Una semplice macchina, che quando avrebbe smesso di funzionare a dovere, sarebbe stata semplicemente sostituita.
Vide il volto solare di Ivy scomparire, fino a diventare indistinguibile da quello di sé stessa, per poi confondersi e mescolarsi a quello di Manaar.
Le lacrime le salirono agli occhi, seguite da un nuovo gemito che le graffiò la gola, insieme a quella polvere urticante.
Il pianto fu un sollievo e uno strazio al contempo.
Khalida, che per anni era stata padrona di ogni sua singola emozione, adesso si sentiva di nuovo una bambina orfana, gettata in un mondo di cui non conosceva le regole. L'unica differenza era che questa volta non sarebbe mai arrivato nessun reclutatore dell'esercito a salvarla da quel buco nero.
Le sue forze erano palesemente insufficienti per tirarla fuori da quella situazione.
Le mancava perfino il coraggio per arrendersi, per abbracciare l'unica via d'uscita che poteva avere. La Morte non era mai stata sua amica, benché avesse lavorato al suo fianco per anni, e non le avrebbe permesso di vincere.
Avrebbe sopportato qualsiasi cosa, pur di non darle presa su di lei.
Tornare da Ivy, mantenere quella promessa, era la motivazione più forte che trovava per vivere.
E avrebbe fatto qualsiasi cosa, pur di riuscirci.
Non c'era niente di più importante, niente che non potesse essere sacrificato.
Passi pesanti risvegliarono Khalida dal torpore allucinatorio in cui si era lasciata scivolare.
Strisciando, si mise seduta, raccogliendosi in un angolo per apparire il più indifesa possibile.
Se i suoi carcerieri l'avessero sottovalutata, avrebbe avuto più chance di impadronirsi di un'arma, e quindi di difendersi, se non addirittura di fuggire.
I passi proseguirono, e Khalida capì che provenivano da sopra di lei.
Sferragliando, il soffitto si aprì, dividendosi longitudinalmente.
Le pareti di fronte a Khalida tremarono appena, poi si deformarono, fino a comporre una scala larga
circa tre metri, che si fermava a poche decine di centimetri dai suoi piedi.
Istintivamente, la donna sollevò lo sguardo, cercando l'inizio di quella salita, oltre a possibili indizi su dove si trovava.
Il buio sopra di lei era pressoché assoluto.
Grazie all'udito riuscì ad intuire che ci fossero almeno cinque Elfi in attesa.
Il brusio della lingua aspra degli Elfi si azzittì improvvisamente, per poi risollevarsi in un grido assordante.
Le pareti tremarono, mentre Malekith, con calma glaciale, scendeva i gradini.
Immediatamente dietro di lui veniva una creatura simile al Kriss che Khalida aveva affrontato molti anni prima. Indossava un elmo dorato, che ne celava in parte il volto deforme, sulle spalle portava una sorta di mantello, dello stesso azzurro malato della pelle squamata dell'essere. Qualcosa nella memoria della donna sfarfallò, e la parola Chitauro le salì alla mente.
Se uno di quegli esseri era lì, significava che anche Thanos stesso non era lontano.
Khalida cercò di sollevare le spalle, per apparire il più vigile possibile, anche se sentiva la testa piena di cotone. «Il tuo padrone è così pigro da non avere nemmeno il tempo di farmi visita di persona?», gracchiò, e la sua voce le suonò estranea come se fosse uscita dalle labbra di un Elfo Oscuro.
Malekith, impassibile nel volto, gettò uno sguardo al Chitauro dietro di lui, il quale si fece avanti silenziosamente. «Non ho bisogno di essere qui di persona, bimba», dichiarò la creatura, fermandosi di fronte a Khalida.
La voce che scaturì dalle labbra del Chitauro era troppo potente, troppo antica e troppo spaventosa perché provenisse esclusivamente da lui.
Un brivido di terrore le percorse il corpo, fino alla punta della dita, che contrasse sui pochi brandelli di stoffa che ancora le coprivano le gambe.
«Cosa vuoi da me?», domandò, deglutendo la bile che le era salita tra i denti.
Malekith, ad un gesto impercettibile del Chitauro, si avvicinò così tanto che se solo Khalida avrebbe voluto, avrebbe potuto toccarlo con la punta dei piedi.
Gli occhi privi di colore dell'Elfo si accesero per un'istante, un baluginio impercettibile, simile al riflesso della luce negli occhi di un gatto.
Come nella Camera del Bifrost, un terrore senza nome salì nella membra di Khalida, mozzandole il fiato e facendole fischiare le orecchie.
A livello clinico, era conscia di essere nel bel mezzo di un vero e proprio attacco di panico; ma il saperlo non lo rendeva meno spaventoso.
Per qualche motivo, non era in grado di staccare lo sguardo dagli occhi di ghiaccio di Malekith.
«Interessante vero?», la sorprese la voce di Thanos, attraverso la bocca del Chitauro. «La tua razza è così sensibile, fragile... vittima della vostra mente debole ed infantile».
Ad un nuovo cenno del Chitauro, Malekith chiuse gli occhi, spezzando l'incantesimo di terrore in cui aveva precipitato Khalida.
La donna respirò affannosamente, tenendosi il petto con entrambe le mani, scacciando le lacrime con un rapido battito di palpebre. Era esausta e si domandava come fosse possibile che, con una semplice occhiata, quell'essere fosse in grado di spogliarla di ogni forma di resistenza e volontà. Pensava di aver provato ogni tipo di sentimento, ma niente nella sua vita l'aveva resa così inerme.
«Cosa vuoi?», ripeté nuovamente Khalida, in un soffio sfinito.
Capì subito le ragioni di quell'ulteriore tortura.
Nella sua precedente domanda, c'era ancora un barlume di forza, di sfida.
Ora era completamente svuotata.
«Il Tesseract, e il suo Portatore», espose semplicemente il Chitauro. «Conducilo a me, e risparmierò ciò che rimane della tua vita».
Khalida fissò gli occhi vacui della creatura, cercandovi un riflesso dell'essere con cui stava realmente parlando, ma le iridi erano opache e lattiginose, inespressive.
Uno specchio cieco, aperto su un abisso incomprensibile.
«Loki non verrà mai a cercarmi», protestò Khalida. «Per lui non valgo niente».
Un sospiro roco filtrò attraverso la griglia dell'elmo, una risata raccapricciante. «Conosco il cuore dell'asgardiano molto meglio di te, umana».
«E se mi rifiutassi?», mormorò Khalida. Un ultimo, necessario, moto di ribellione.
Malekith sollevò il braccio, pronto a colpirla, ma il Chitauro afferrò prontamente il polso dell'Elfo, bloccando a metà il gesto.
«Verrai condotta al mio cospetto, bimba. E allora non ci sarà nulla di segreto», iniziò il Chitauro, abbassandosi all'altezza del viso di Khalida. Il suo fiato era freddo e non aveva odore, se non un lievissimo sentore metallico. «Ogni singola parola che tu abbia mai udito, pronunciato, o anche solo pensato... tutto diventerà di mia proprietà, compresa ogni persona che tu abbia mai amato...», la mandibola del Chitauro schioccò. «...compreso chi stai tentando di proteggere».
Promessa e minaccia erano la stessa faccia della medaglia, in quelle parole fredde e taglienti come roccia stellare.
Khalida seppe immediatamente di non aver alcuna possibilità di scelta.
Proteggere i suoi segreti era più importante di qualsiasi cosa.
Perfino della sua vita.

Coulson era poco convinto a sua volta di ciò che aveva appena detto, ma lo stesso si stupì degli sguardi perplessi davanti a lui.
Diavolo, in quella stanza c'erano le menti più brillanti della Terra, e nessuno di loro riusciva a stare dietro alle teorie fantasiose di una ragazzina di sedici anni!
Non c'era più religione.
«Cosa stai cercando di dire, Phil?», chiese Steve Rogers, chinandosi in avanti sul tavolo.
«Io niente. Sto provando a farvi capire quello che Ivy crede di aver capito», spiegò l'agente, per l'ennesima volta.
Selvig in piedi accanto ad un pannello interattivo spento, insieme a Fitz-Simmons e Jane Foster, si grattò la testa con fare pensieroso.
«La ragazza ipotizza che possa esserci un collegamento diretto tra la dimensione di Asgard e la nostra?», fece, cercando con gli occhi quelli di Jane.
«È possibile?», li incalzò Fury, dal centro della stanza.
Fitz alzò la mano, come se fosse in un aula e lui dovesse dar prova di essere lo studente migliore. Fury alzò l'unico occhio al cielo, sfibrato dalla situazione e da quello che non capiva, cui di conseguenza non sapeva reagire.
«Parli Agente Fitz».
Il ragazzo prese un fiato profondo. «Teoricamente è possibile collegare due oggetti che si trovano in due realtà diverse a livello molecolare se la materia degli oggetti appartiene ad entrambe le realtà e...».
«Frena pappagallino», lo interruppe Stark. «Qui non stiamo parlando di universi paralleli. Asgard è un altro pianeta».
«Non è corretto, signor Stark», intervenne Selvig, e Jane annuì a sua volta. «Studiando le interazioni tra la Terra ed Asgard abbiamo compreso che Asgard non è semplicemente in un'altra Galassia, ma in una vera e propria Dimensione diversa dalla nostra, separata e con leggi differenti. Per questo è così difficile riuscire a comunicare con loro da qui. Durante gli studi sul Tesseract siamo riusciti a capire che il ponte di Einstein-Rosen che l'energia del manufatto riesce a creare non è solo un portale in grado di farci viaggiare in maniera spaziale, ma anche in modo dimensionale e temporale».
Intercettando lo sguardo perplesso di Rogers e Barton, Jane si affrettò ad intervenire. «Il portale creato dal Tesseract ci permette non solo di spostarci da un punto all'altro della Terra, ma anche in un tempo diverso, nella stessa collocazione geografica, oppure in una dimensione completamente nuova, aliena».
Tony Stark annuì brevemente, accarezzandosi il pizzetto. «Quindi teoricamente potrebbe esistere una correlazione quantica tra il nostro mondo ed Asgard».
Banner scosse la testa. «È del tutto ipotetico. Non abbiamo mai avuto prove dell'esistenza di una simile connessione».
Il volto pensieroso di Jane si accese. «Invece sì! Quando Thor distrusse il Bifrost durante la battaglia con Loki, nel deserto del New Mexico ci furono degli eventi atmosferici inspiegabili», ricordò.
Il volto di Selvig si adombrò. «Se la distruzione del Bifrost aveva provocato solo qualche fulmine... cosa può essere accaduto di così grave da aver scatenato una simile distruzione qui sulla Terra?», ragionò, tra sé e sé. 
«Vi dispiace parlare la nostra lingua, prego?», sbottò Occhio di Falco.
«Mai stato più d'accordo», intervenne Captain America.
«Significa che quello che accade ad Asgard può avere dirette conseguenze su di noi, sulla nostra dimensione», spiegò Simmons.
«In poche parole, se Odino scoreggia sul suo trono, qui potrebbe esserci un alluvione?», chiese Barton, sogghignando.
Selvig annuì. «Non avrei usato queste parole esatte, però sì».
Coulson, che stava seguendo la conversazione solo con un orecchio, nel frattempo teneva d'occhio le ombre sottili che vedeva allungarsi da sotto la porta di vetro opaco.
Non si stupiva affatto, anche se in modo molto diverso, entrambi erano due ribelli, però quella situazione poteva metterli nei guai sul serio, se non interveniva subito.
«Mi perdoni Direttore», si scusò, avvicinandosi con due lunghi passi alla porta a vetri. Con un gesto secco, la spalancò.
Ivy e Drew precipitarono a terra, l'uno sull'altro, in modo scomposto e comico.
Solo Stark ebbe il coraggio di fare una battuta di spirito. «Bè, Nick. Almeno sei sicuro che ha la stoffa della spia, adesso», scherzò, indicando Ivy che era, se possibile, ancora più scarmigliata del solito, mentre tentava in modo goffo di rialzarsi senza pestare nessuno degli arti di Drew. L'agente era diventato paonazzo, così tanto che le efelidi evidenti sul suo viso erano praticamente scomparse.
«Mi dispiace noi... io...», balbettò, tentando di giustificarsi.
«Lei cosa?», lo incalzò Coulson, fissandolo negli occhi con espressione seria.
«È colpa mia!», intervenne Ivy, rassettandosi in qualche modo la maglietta e i capelli. «È stata una mia idea», ripeté, guardando il Direttore Fury.
L'uomo si massaggiò la radice del naso, con fare esasperato. Forse non era solo Asgard ad essere in una dimensione parallela, ma anche lui ci era capitato dentro per sbaglio, quella mattina, alzandosi dalla parte sbagliata della branda.
«Signorina Rushman, ora che è qui, tanto vale che ci esponga lei, la sua teoria», si arrese il Direttore, facendo un cenno a Coulson che prontamente richiuse la porta. Drew si ricompose, e si nascose in un angolo. Nonostante l'imbarazzo, e la lavata di capo che lo aspettava da parte di Coulson, era emozionato di poter assistere ad una riunione dei Vendicatori.
Ivy d'altro canto, ritrovandosi al centro dell'attenzione, si schiarì la voce, cercando gli occhi di Jane, che le fece un piccolissimo cenno d'incoraggiamento.
«L'idea mi è venuta dal tuo libro, Jane», iniziò. «Una delle leggende norrene più conosciute narra che per espiare i suoi crimini Loki venne incatenato ad una roccia, costretto a soffrire in eterno per il veleno di una serpe che gli gocciolava senza sosta sul volto. I suoi spasmi di dolore, nella leggenda, sono identificati come la causa dei terremoti, qui sulla terra».
«Bè, se questo è vero, mi dispiace per Parigi, ma sono felice che quel bastardo stia soffrendo come merita», la interruppe Clint, incrociando le braccia al petto.
«Non credo che la leggenda sia così fedele alla realtà», commentò Ivy. «Però penso che ciò che sta accadendo ad Asgard stia causando tutti questi terremoti».
«E che motivazione hai per pensarla così?», la stuzzicò Stark.
Ivy sollevò il mento, e improvvisamente tutti i Vendicatori ebbero un flash di Khalida che faceva lo stesso identico gesto, nella stessa stanza. «Gli Dei norreni esistono, anche se non sono Dei ma alieni. Ormai mi pare evidente che tutte le leggende hanno un fondo di verità. Anche questa deve averlo».
Fury fece un passo avanti, scrutando con sguardo indagatore Selvig, Jane, Banner e Stark. «Ritenete che possa avere ragione?», domandò.
«I fatti sono a favore della sua teoria», rispose Jane. «E anche il mio istinto. Thor tentò di spiegarmi questo concetto descrivendomi Ygdrasill, l'Albero del Mondo, come qualcosa che collega tutti i nostri mondi. Non si può tagliare un ramo, senza che l'intero albero ne soffra».
Selvig annuì. «Se Asgard dovesse essere distrutta, per la Terra le conseguenze sarebbero devastanti».
Fury annuì brevemente. «Dobbiam...», iniziò, ma la voce morì, inghiottita dal fragore metallico e meccanico dell'Elivelivolo che sbandava pericolosamente, inclinandosi di quarantacinque gradi verso destra e ritornando di colpo nella posizione di partenza.
Una sirena stridula fece tremare i vetri, mentre le luci si abbassavano e tutti i reparti del primo livello entravano in modalità emergenza.
«Che diavolo...», sbottò Stark, tentando di uscire dal groviglio di braccia e gambe in cui era intrappolato. Si sentiva come se qualcuno l'avesse appena tirato fuori da uno shaker.
«Togli quella mano da lì, Stark, prima che te la stacchi di netto con una freccia esplosiva!», sbraitò Clint, sgomitando tra Steve e Bruce.
«Quella non è la mia mano», si difese Tony, sollevando entrambi i palmi.
«Clint, toglimi il sedere dalla faccia», ordinò Natasha, con voce perentoria, anche se soffocata.
Occhio di Falco, paonazzo in volto, si affrettò ad alzarsi e a liberare la Vedova Nera.
La stanza era un marasma di gente che si lamentava sotto voce e, vista dal di fuori, la scena doveva sembrare abbastanza esilarante.
Fury, che imprecava sottovoce ma sembrava integro, stava porgendo una mano a Jane, che si teneva un braccio, mordendosi le labbra. Fitz e Simmons, inseparabili anche nel farsi male, avevano sbattuto la testa l'uno contro l'altra e adesso si tenevano le tempie a vicenda, per controllare di non essere feriti troppo gravemente.
Selvig era semplicemente finito a gambe all'aria, insieme a Coulson. Entrambi illesi, se non si considerava il largo strappo che si apriva nella giacca elegante di Phil.
Ivy era precipitata tra Selvig e Fitz-Simmons, picchiando forte la testa contro lo schermo a parete. Strofinandosi la fronte, la ragazza si considerò fortunata, almeno aveva la testa abbastanza dura per rompere una TV da migliaia di dollari senza fracassarsi anche il cranio.
«Ivy! Stai bene?», le domandò Drew correndole incontro.
Il giovane agente aveva un graffio sulla guancia, ma niente di più. «Bene», mormorò Ivy, sbattendo le palpebre.
Drew le premette la mano sulla fronte. «Dobbiamo andare in infermeria».
Solo allora Ivy si accorse di avere le mani piene di frammenti di vetro e sangue.
«Non è niente», cercò di dire.
Drew la guardò negli occhi. «Lasciamo che sia un medico a dirlo, ok?», propose, con una calma che sorprese la ragazza. Forse era quello che ti insegnavano allo S.H.I.E.L.D., a come non dare di matto quando la stanza in cui ti trovi si trasforma improvvisamente nel cestello di una lavatrice.
«Che diavolo succede!?», sbraitò la voce di Fury all'auricolare.
“C'è stata un'esplosione sulla pista che ha mandato l'Elivelivolo fuori asse”, rispose la voce di Maria Hill, dagli altoparlanti nella stanza. “È comparsa dal nulla una donna. Dall'abbigliamento sembra un'asgardiana”.
«Portatela nella stanza degli interrogatori», ordinò Fury.
“Dice che parlerà solo con il 'figlio di Coul'”*, replicò la voce dell'agente.
Un lieve sorriso affiorò sulle labbra di Coulson. «Deve essere Lady Sif. Lascia che ci parli io, capo».
Nick annuì distrattamente.
La presenza di una dei compagni d'armi di Thor complicava ulteriormente le cose, ma forse sarebbero riusciti a sgarbugliare quell'abnorme matassa di problemi che stava diventando quella situazione.
«Chi ha bisogno di cure vada in infermeria, tutti gli altri vengano con me», decise Fury, scrutandosi intorno.
I suoi occhi si fermarono in quelli di Ivy per un'istante di troppo, e la ragazza trattenne involontariamente il fiato.
Negli occhi del Direttore aveva letto la risposta alla domanda che le passava per la testa.
Se Thor voleva mandare un messaggio ai Vendicatori, perché mandare Sif e non Khalida? Se poteva utilizzare il Bifrost, perché non l'aveva rimandata a casa?
Lacrime improvvise le corsero sulle guance, mescolandosi al sangue delle ferite, diventate ormai insignificanti.
Era successo qualcosa di terribile alla donna che amava come una madre.
Era di nuovo sola.
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*In lingua originale, nel finale di Thor, Coulson viene chiamato proprio così da Thor. Come Thor è chiamato Odinson, così viene diviso il cognome di Coulson in Coul-son, cioè "figlio di Coul".

Tutte le teorie pseudoscientifiche che snocciolo sono inventate e opinabili.

Non vi dico a presto perché mi sembra di prendervi in giro, spero però che passi meno tempo tra questo capitolo e il prossimo.

Un bacio,
Nicole
  
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