Navigò
nell'oscurità per un tempo
che sembrò quasi infinito. Ed era una sensazione parecchio
strana. Lloyd di
sentiva di essere presente e di non esserlo allo stesso tempo, quasi
come fosse
un fantasma. Galleggiava e basta. Nemmeno in una precisa direzione,
semplicemente sentiva di starsi muovendo.
Personalmente invece Lloyd non
riusciva a fare nulla. Stava lì, immobile, e contemplava il
nero davanti a sé.
Non riusciva ad articolare nemmeno un pensiero, e non chiudeva nemmeno
le
palpebre. Ma il suo sguardo non era perso nel vuoto, anzi.
Non molto distante da lui, ma
abbastanza perché si potesse confondere con il nero
dell'ambiente circostante,
c'era una specie di parete. Anzi, il Deino non l'avrebbe nemmeno
definita così,
dato che sembrava avere uno spessore. Addirittura certe volte il
pokemon
riusciva a cogliere dei movimenti. Niente di che, solo piccole
vibrazioni, che
però andavano via via aumentando d'intensità.
Quella specie di struttura
sembrava qualcosa di vivo. Di pulsante, addirittura. Dopo molto tempo
passato
ad osservarla, Lloyd notò che ondeggiava. Ma il movimento
non sembrava casuale.
Era simile al ritmico abbassarsi ed alzarsi del petto nel mentre della
respirazione. Anzi, un esempio che potesse rendere ancora meglio l'idea
era che
potesse sembrare come se dall'altra parte ci fosse stato qualcuno
intento a
spingere per rompere il muro. O peggio, qualcosa.
Il
passaggio dal mondo dei sogni
a quello della realtà non fu indolore. La testa prese a
pulsargli, e quando
provò a muoversi Lloyd si sentì intorpidito,
anche molto più di quanto sarebbe
dovuto essere, come quasi se qualcosa lo stesse costringendo a stare in
quella
posizione. I nervi gli trasmisero tante piccole fitte di acuta
sofferenza, che
però sopportò a denti stretti.
Il suo cervello non riacquistò in
fretta lucidità, tanto che poco dopo il suo tentativo di
movimento rischiò di
nuovo di cadere nel torpore dell'incoscienza. Però qualche
strana forza
interiore lo spinse a resistere dal desiderio di ripiombare nel nulla
assoluto,
e ce la fece a mantenere gli occhi aperti il tempo necessario
perché si potesse
svegliare del tutto.
Nel mentre, per tenersi
concentrato, ripensò al muro del sogno. Le cose che gli
erano rimaste più
impresse erano due: il suo colore più nero del nero e il suo
pulsare. Solo
allora il Deino ebbe un brivido di paura. Si rese conto che quando
stava
sognando non aveva provato nessuna emozione, mentre adesso che ci
ripensava non
poteva fare a meno di inquietarsi.
Eppure, mescolata all'ansia, il
pokemon avvertì un'altra sensazione. Era qualcosa di molto
strano, che non
aveva nemmeno lontanamente a che fare con la paura. Anzi, al contrario,
sembrava trasmettergli una vaga sicurezza. Quasi calore. Un calore che
non
aveva mai percepito in tutta la sua vita.
Nonostante fosse la prima volta
che sognava una cosa del genere, gli sembrava quasi di averla
già vista. Non si
ricordava dove, ma era sicuro di averla notata da qualche altra parte.
"Eppure" pensò "una cosa così difficilmente si
dimentica. Dove
potrei averla vista?".
Osservò l'ambiente circostante.
Si trovava in una stanza completamente buia e all'apparenza stretta. Ma
abbastanza larga da contenere cinque pokemon. Lloyd riconobbe quasi
immediatamente le sagome dei suoi compagni. Gregory si trovava adagiato
alla
parete opposta, a un metro e mezzo di distanza da Irving, anche lui
nella
stessa posizione. Finley e Nellie invece erano accasciati sul
pavimento,
separati da quasi un metro. Continuò a guardarsi attorno, e
notò che la sala
non aveva finestre, o che comunque le doveva aver avute solo in
passato.
L'unica via d'uscita sembrava essere una porta, posta non molto lontano
dal
Deino.
"Forse posso farcela"
si disse, sperando ingenuamente di poter uscire.
Provò ad alzarsi, ma non gli
riuscì, a causa dello stesso torpore di poco prima. Oramai
non percepiva quasi
più le zampe. Deciso a vedere che cosa gli impediva di
muoversi, si soffermò a
guardare le sue zampe. Non fece fatica a riconoscere i contorni di
alcune corde
avvinghiate attorno alle caviglie, rispettivamente quelle anteriori e
quelle
posteriori. Era stato legato. E probabilmente era di nuovo prigioniero.
***
La
musica risuonava forte per le
vie della città, come se la struttura piuttosto angusta
delle strade potesse in
qualche modo amplificarne il suono. Contando anche che il volume di
molte
strade era stato quasi dimezzato a causa delle bancarelle che
l'occupavano,
allora in certi punti l'eco rischiava di divenire assordante. Dovunque
ci si
trovasse era impossibile non ascoltare quelle note possenti e gioiose,
ed era
altrettanto impossibile non provare almeno un briciolo di eccitazione.
Neville lo sentiva nell'aria,
quella sensazione. Attorno a lui la folla era così fitta che
a malapena se ne
potevano distinguere le singole persone. Gli uomini e le donne
sgusciavano da
una parte all'altra della strada in continuazione, in un groviglio
confusionario ma allo stesso tempo vivace e colorato. Di tanto in tanto
qualcuno si fermava ad ammirare qualche bancarella, ma per poco,
venendo poi
trascinato via dalla foga della calca. Qualcuno provava anche a
chiedere aiuto,
ma la sua voce veniva soverchiata dal baccano generato da quella
moltitudine di
persone.
Per non essere preso anch'egli,
Neville stringeva forte la mano di suo padre. Dall'alto della sua
statura
l'uomo continuava imperterrito a guardare fisso davanti a
sé, quasi come se la
folla tutt'attorno non esistesse e fosse solo un frutto della sua
fantasia.
Almeno doveva essere così, visto che la sua faccia era
oscurata dall'ombra dei
folti capelli.
Neville, la manina in quella del
padre, rideva. Non sapeva il perché, ma nessun bambino ha
bisogno di un perché
per ridere. Forse era a causa dell'allegra istillatagli dalla musica,
oppure
tutto quel gran vociare che l'attorniava, sta di fatto che alternava ad
una
risata e un'altra uno sguardo al padre. Alla sua faccia, precisamente.
Che non
riusciva mai a vedere.
- Papà, guarda! - esclamò
estasiato Neville, indicando con l'indice del braccio teso davanti a
sé.
Erano giunti nella piazza
principale della città. Lì si trovava il centro
della fiera, ed anche la banda
che stava suonando. Neville lanciò un gridolino eccitato, e
si precipitò al di
sotto del palco sopraelevato dove i componenti dell'orchestra stavano
suonando.
Erano tutti vestiti con l'uniforme caratteristica delle bande musicali,
con
tanto di spalliera e lustrine dorate, cappello e piuma bianca. L'abito
era di
un rosso sgargiante, che risaltava ancora di più sotto il
tiepido sole
primaverile di quel giorno.
Neville si piazzò al di sotto di
un robusto signore intento a suonare un sousafono. Il piccolo lo
guardò con un
misto di eccitazione e meraviglia, ammirando lo sforzo che stava
compiendo per
infondere aria in quel possente strumento. Le sue guancie erano infatti
gonfie
al massimo, e la pelle stava rapidamente diventando viola. Teneva
inoltre gli
occhi chiusi, e le rughe sulla sua fronte erano più marcate
che mai, come a
testimoniare l'enorme forza impressa nel soffio.
Quando passò il suo turno, l'uomo
staccò le labbra dallo strumento e respirò a
grandi boccate. Si mise nel frattempo
ad ammirare il piccolo pubblico della banda, e si accorse quasi subito
di
Neville, dato che il bimbo lo guardava con tanto d'occhi. L'uomo
sorrise,
compiaciuto di avere un ammiratore, prese dalla tasca una monetina e
glie la
lanciò. Neville la prese al volo, e tornò a
guardare il suonatore. Quello gli
sorrise ancora, facendogli l'occhiolino, e riprese a suonare.
Neville si infilò in tasca la
monetina e si girò. Si infilò di filata dentro la
folla, correndo come un matto
da una bancarella all'altra e fermandosi ad ammirare le merci che
più
attiravano la sua labile attenzione da bambino di quattro anni.
La sera scese in modo fulmineo, e
prima che i lampioni sui marciapiedi si potessero accendere era quasi
totalmente buio. Le persone della folla cominciarono a sparire a vista
d'occhio, anche se gradualmente. Solo la banda musicale restava
costantemente
al suo posto, continuando a suonare la canzone caratteristica della
fiera.
Portobello road... Portobello road...
Neville si guardò intorno, alla
ricerca del padre. Si era divertito per tutto il giorno, ma adesso ne
aveva
abbastanza, e voleva tornare a casa. Ma ovunque volgesse lo sguardo,
suo padre
non c'era. C'era sempre meno gente, ma le ombre stranamente non
facevano che
aumentare, segno che quella non doveva essere una normale nottata.
Street
where the
riches of ages are stowed...
Finalmente lo vide. Suo padre
stava al di sotto di un lampione, appena appoggiato alla sua superficie
metallica. Neville gli fece un cenno entusiasta con la mano, e
cominciò a correre
verso di lui. Il padre per tutta risposta si girò, e prese a
camminare verso un
vicolo buio.
Anything
and
everything a chap can unload...
Neville correva a più non posso,
tanto da fargli sembrare di avere le ali ai piedi. Ma più si
sforzava di velocizzare
il passo, più il padre si avvicinava all'entrata del vicolo.
Finché non la
raggiunse, scomparendo nell'oscurità.
Finalmente anche Neville
raggiunse il vicolo, e vi entrò a capofitto senza nemmeno
pensarci due volte. Corse
a perdifiato, finché la luce dei lampioni alle sue spalle
non scomparve,
lasciandolo quasi completamente al buio. Sbuffi di nebbia si levavano
dai
tombini chiusi, e tutto aveva assunto una colorazione macabra e
tenebrosa.
Is
sold off the barrow
in
Neville chiamò a gran voce il
padre, invano. Urlò il suo nome molte volte, tanto da fargli
bruciare la gola.
A interromperlo alla fine fu un guizzo alle sue spalle. Si
voltò di scatto, ma
non vide nulla. E appena ebbe pensato di esserselo immaginato rieccolo
alla sua
destra. Si girò, e riuscì a distinguere un'ombra.
Cominciò ad avere paura.
Quel carosello sfibrante continuò
per un tempo che parve infinito, e l'ombra non faceva altro che
avvicinarglisi.
Una lacrima scappò dall'occhio di Neville, e alla fine
cedette. Si accasciò al
suolo, e cominciò a piangere, chiamando a gran voce suo
padre.
- Papà! Papà, dove sei? -
singhiozzava.
You'll
find what you want in the
L'ombra incombette per un attimo
su di lui. Neville aprì gli occhi, guardando in faccia
l'orrore che lo
perseguitava. E urlò.
Fu
urlando che si svegliò.
Rischiò di cadere dal letto a causa della foga impiegata per
risvegliarsi. e si
trattenne con le mani al muro per restare fermo dov'era. Prese a
respirare a
grandi boccate, e guardò la sveglia sul comodino accanto a
lui. Erano le cinque
del mattino. Gettò un'occhiata alla finestra, e vide che
fuori era ancora
notte.
Ributtò la testa sul cuscino,
cercando di non pensare al sogno appena fatto. Resistette per ben venti
secondi, prima che un pensiero cominciasse a premere per essere
scandagliato
all'interno della sua testa: suo padre. Il padre di cui conservava solo
una
foto. Il cui fotografo doveva essere stato un completo idiota visto che
aveva
mosso l'inquadratura all'ultimo secondo, sfocandogli la faccia.
Neville aveva perso il padre
quando aveva poco meno di tre anni. Una ferita infettatasi. Inferta da
un
pokemon, tanto per cambiare. Era successo un pomeriggio di autunno,
quando il
padre e lo zio erano usciti di casa per andare a caccia di qualcuno di
quei
mostri allo scopo di fare provviste per l'inverno. Erano ritornati a
sera, e lo
zio portava suo padre sulle sue spalle, poiché non ce la
faceva a camminare.
Sua madre aveva subito esaminato la ferita, emettendo un gemito quasi
come
fosse stata lei a provare quel dolore. Il polpaccio sinistro era stato
ridotto
completamente a brandelli. E il tutto per mettere qualcosa nel piatto
di lì a
un paio di mesi.
Suo zio gli amputò la gamba poco
sotto il ginocchio, capendo che non era possibile tentare di salvare la
parte
del corpo ferita. Ma qualcosa andò storto, e la ferita si
infettò. L'agonia di
suo padre durò per più di due settimane. La gamba
andò in cancrena, e un puzzo
acre si diffuse per tutta la casa.
Successe una notte, mentre
Neville dormiva. Ormai di quei tempi non poteva fare altro, visto che
sua madre
lo teneva confinato nella sua stanza. Ad ogni domanda sulle condizioni
di suo
padre, sua madre rispondeva che andava tutto bene e che presto sarebbe
guarito.
Quanto si sbagliava.
- Omaggio a lei, capitano San Yi!
Quell'urlo svegliò Neville. Gli
parve che fosse la voce di suo padre. Assonnato com'era, il bambino non
si era
chiesto perché il genitore avesse urlato a quel modo, e fece
per rimettersi a
dormire. Almeno, aveva pensato, era ancora vivo.
Un rumore assordante, come
un'esplosione, che durò appena un secondo. Ma
bastò a svegliare tutti nella
casa. Neville scattò in piedi, leggermente spaventato da
tutto quel baccano. Ma
la curiosità ebbe il sopravvento, e uscì dalla
stanza.
La madre e lo zio di Neville si
diressero subito verso la camera di suo padre, con Neville alle
calcagna,
deciso a scoprire cos'era successo. La madre fu la prima ad aprire la
porta, e
si lasciò scappare un urlo. Lo zio, prevedendo cosa doveva
essere successo,
impedì a Neville di entrare. Il bimbo però
riuscì a sbirciare al di là del
parente, e riuscì a vedere sua madre china su qualcosa.
Il giorno dopo seppellirono suo
padre. Neville non si lasciò scappare nemmeno una lacrima.
Pensava che gli
stessero giocando qualche brutto scherzo. Aveva sentito la voce del
padre
appena qualche ora prima, era impossibile che fosse morto. Ad un certo
punto si
rifiutò di stare ancora con i suoi parenti stravolti dal
dolore, e si ritirò in
camera sua, mettendo il broncio.
Ci vollero due settimane perché
qualcuno si decidesse a parlargli. Fu suo zio a venire da lui. Senza
dire una
parola lo prese e lo portò di peso in salotto, lasciandolo
solo con la madre.
Neville l'aveva guardata, e aveva stentato a riconoscerla. Le rughe si
erano
inspessite, aveva acquisito due grandi occhiaie e la
luminosità negli occhi era
diminuita. L'aveva abbracciato, ed erano rimasti così per
minuti interi, forse
anche per un'ora, in silenzio. Si erano riappacificati così.
Suo zio gli spiegò cos'era
successo solo una decina d'anni dopo, quando lo ritenne pronto per
affrontare
la dura verità. Suo padre non era morto dissanguato, come
gli era stato detto,
ma si era suicidato. Si era sparato in testa, per la precisione.
Probabilmente
non riusciva più a sopportare il dolore causatogli dalla
ferita, e aveva
preferito la beatitudine della morte ai tormenti terreni.
Neville non era rimasto sorpreso
dalla spiegazione, se l'era immaginato. Aveva reagito con un'alzata di
spalle,
dicendo un laconico "potevate dirmelo prima". Quella fu l'ultima
volta che disse qualcosa ai suoi parenti. Il giorno dopo era uscito per
tutto
il giorno, andando a vedere se le trappole piazzate avessero catturato
qualche
preda. Stava guardando sconsolato l'ennesima trappola vuota, quando
sentì il
fragore.
Corse
a più non posso verso casa
sua, ma arrivò troppo tardi. Dove un tempo c'era una
villetta vecchia di
quattro secoli, adesso c'erano soltanto macerie fumanti. E orme di
pokemon,
dappertutto. Ma non era quello che gli premeva maggiormente, in quel
frangente.
Si era messo immediatamente a
scavare con le mani tra le macerie, cercando i parenti. Dopo molto
tempo venne
a contatto con qualcosa di estremamente freddo. Cerco di tirarlo fuori,
e dai
calcinacci spuntò una mano. La mano di sua madre.
Neville la scosse più e più
volte, ma non dava segno di vita. Doveva essere stata schacciata dal
crollo, e
il ragazzo aveva sperato che fosse morta sul colpo, e non per mancanza
d'aria
al di sotto delle rovine. E fu allora che, alzando lo sguardo, lo vide.
Inchiodato ad un albero non molto
lontano, c'era suo zio. Neville vi si recò immediatamente, e
quello che vide lo
fece quasi svenire. Il suo corpo era stato crivellato, di colpi, ed era
stato
inchiodato per le braccia al tronco dell'albero con due grandi
frammenti ossei.
Dal collo gli pendeva un cartello, che recava una scritta in lingua
Unown.
Neville aveva riconosciuto subito
quella scritta, poiché la lingua dei pokemon era quasi
uguale a quella umana.
"Gli umani adesso sono morti. Tutti!" diceva. Neville si era accasciato
a terra, in preda alla disperazione. In un solo giorno aveva perso quel
che
rimaneva della sua famiglia.
Solo dopo molto tempo si calmò.
Ma fu per poco. Neville aveva stretto i pugni, e aveva guardato in
basso.
Adesso che la disperazione era scomparsa, stava arrivando
qualcos'altro.
Un'emozione che Neville non aveva mai provato prima di allora.
Una furia cieca lo pervase, una
furia che lo spinse a cercare immediata vendetta. Seguì le
tracce dei pokemon,
ed arrivò verso tarda sera ad un piccolo paese di campagna
abbandonato. Da un
edificio più grosso degli altri proveniva un gran baccano, e
Neville vi aveva
sbirciato attraverso una finestra.
Dentro vi erano, attorno ad un
fuoco, cinque pokemon. Neville non aveva saputo riconoscere le specie,
non che
gli importasse. Emettevano in continuazione versi dal tono ilare, quasi
come se
stessero facendo dell'umorismo su quanto accaduto quel giorno. E
Neville non
fece altro che infuriarsi sempre di più.
Aspettò pazientemente che si
addormentassero, e una volta che fu sicuro di ciò si
addentrò nell'edificio.
Estrasse il suo coltellino, e si mise al lavoro. Squarciò la
gola a quattro di
quei mostri in men che non si dica, e quelli morirono senza quasi
accorgersene.
L'unico che ebbe una reazione fu l'ultimo, quello che aveva riso
più di tutti
quella sera.
Era una specie di drago blu dalla
testa rossa, pieno di spunzoni altrettanto rossi e squamosi sul resto
del
corpo. Appena Neville gli ebbe poggiato la fredda lama del coltello
sulla gola,
quello si svegliò. Ma Neville fu più rapido, e
gli mise una mano sulla bocca.
Si soffermò per un attimo sui suoi occhi sgranati, e se ne
compiacque. Poi
affondò la lama.
Si mise in seguito a rovistare
nelle borse che si portavano appresso. Non trovò nulla di
utile, solo del
denaro. Prese in mano una moneta, e la osservò. Da una parte
era stato inciso
un numero uno stilizzato, mentre dall'altra erano impresse un'ala, una
zampa
dall'aspetto felino, una zampa artigliata e una mano umanoide l'una
sopra
l'altra. Neville gettò via con disprezzo quella moneta. Non
sapeva che farsene.
Da quel momento cominciò a vivere
da solo, nascondendosi da una città all'altra. Aveva vissuto
così per quasi
trent'anni, fin quando non aveva sentito di doversi fermare. Senza
volerlo era
tornato alla sua casa natale, e si soffermò sulle macerie.
Le intemperie
avevano scoperto molte cose all'apparenza andate perdute nella
distruzione
della casa, fra le quali Neville trovò una foto. La stessa
che conservava
ancora.
Essa ritraeva suo padre e suo zio
in piedi, dando le spalle ad un piccolo edificio. A quel punto Neville
si
ricordò di quella casa. Aggirò subito le montagne
vicine, e salendo di quota la
trovò. Suo padre e suo zio la usavano come deposito per le
carni, ma Neville
fece presto a riconvertirla in abitazione, come in fondo doveva essere
stata
molto tempo prima. Da allora aveva sempre vissuto lì, senza
spostarsi mai più.
Almeno fino a qualche mese prima.
Per
quanto ci provasse, Neville
non riuscì a prendere sonno. Ripensare al suo passato non
gli aveva fatto bene.
Si rigirava in continuazione tra le coperte, senza mai riuscire ad
addormentarsi.
Verso le sei e mezzo, quando
cominciò ad albeggiare, si decise ad alzarsi.
Guardò fuori dalla finestra, e il
suo sguardo si soffermò sul bosco. Doveva togliere quelle
maledette trappole di
lì, a qualsiasi costo. Gli avevano già procurato
più danno che altro, quelle
cose, e non aveva intenzione che qualcos'altro andasse storto.
Si armò di pala e vestiti pesanti
e uscì. Mentre si dirigeva verso la foresta, prese a
ripensare a quelle
maledette trappole. Erano state piazzate lì oltre
quarant'anni prima da suo
zio, dopo che suo padre era morto. Da allora sua madre non aveva
più voluto
mandare nessuno a caccia, e suo zio era ripiegato su questa soluzione.
E
pensare che Neville era proprio andato a controllare quelle trappole
quel
giorno che cambiò la sua vita.
Da allora aveva smesso di
mangiare la carne di pokemon. Aveva giurato, sui cadaveri di quelli che
aveva
ucciso, che non si sarebbe mai più abbassato ad una cosa del
genere. E per anni
aveva tirato avanti a frutta e verdura mista a dosi massicce di
integratori,
che l'avevano sì tenuto in vita indebolendogli
però il fisico. E le trappole
erano rimaste lì ad arrugginire, fino al giorno prima almeno.
Dopo una mezzoretta buona di cammino
arrivò al limitare degli alberi, ed entrò cauto
nel bosco. Passò accanto alle
trappole in cui erano incappati i mostri suoi prigionieri il giorno
prima, e si
guardò con circospezione attorno, alla ricerca di
qualcun'altro di quei
marchingegni.
Dopo quella mattinata di lavoro
Neville guardò il proprio operato. Aveva perlustrato una
buona parte della
boscaglia, trovando sì en no una quindicina di trappole, che
aveva provveduto a
gettare dentro una buca scavata poco prima. Ricoprì la buca
di terra, e se ne
tornò a casa.
Ne aveva avuto abbastanza delle
trappole, e non avrebbe permesso che stessero ancora lì a
testimoniare le
vestigia di un passato ormai quasi del tutto dimenticato. Anche per
Neville i
giorni stavano finendo, e non intendeva certo lasciare che l'unico
ricordo di
lui fossero quegli stupidi ammassi di corde e metallo.
"Per questo quello è il mio
libro preferito" pensò, entrando in casa.
Note dell'autore
E rieccomi, dopo quasi un mese di inattività (non
è vero visto che ho fatto la superoneshotdellavita) con il
nono capitolo di "I am legend". Pensavate che fossi morto eh? Non vi
libererete di me così facilmente.
Ecco, da qui le cose cominciano a farsi interessanti. Non potete
immaginare il piacere che ho provato a riprendere possesso dei
personaggi di Lloyd e Neville (soprattutto del secondo, che ho
finalmente approfondito a dovere, anche se le sorprese non sono ancora
finite) dopo che erano rimasti rinchiusi per un mese dentro una
certella.
Oramai posso dire - sono sicuro di averlo già accennato -
che ci troviamo quasi a metà della storia. E ringrazio tutti
i recensori e i lettori che la seguono assiduamente. Vi ringrazio
soprattutto per la fede che non è venuta meno nonostante
l'assenza.
Ah, il sousafono sarebbe un sassofono gigante.
A presto,
A_e