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Autore: difficileignorarti    24/11/2014    1 recensioni
Si rigirava tra le mani quei due anelli, senza sapere cosa pensare.
Era tornato a casa e li aveva trovati abbandonati, sul tavolino d’ingresso e di Emmeline non c’era più traccia: sembrava sparita nel nulla, proprio come aveva fatto lui l’anno precedente.
Non c’erano più i suoi vestiti e nemmeno quelli della bambina: aveva portato via tutto e se n’era andata e davvero non sapeva cosa pensare e fare.
***
Los Angeles non sembrava più la stessa senza la donna che amava: stava pensando di andarsene anche lui, cambiare aria, cambiare città, cambiare addirittura Paese, magari sarebbe potuto andare in India.
La sua vita era cambiata dalla sparizione di Emmeline e il rapimento della piccola Arabella.
A proposito, che fine ha fatto la loro bambina?
Sequel de "Gli stessi di sempre")
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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San Francisco gli era mancata.

Tutto di quella città gli era mancato, dai colori ai profumi, ai locali scadenti a quelli lussuosi che non si era mai potuto permettere, e, sì, gli erano mancate persino le persone che ci vivevano, anche se la maggior parte di esse gli stavano sul cazzo.

Quando se n’era andato, era un ragazzino, mentre ora era cresciuto, era diventato un uomo, e quelle cose stupide aveva deciso di lasciarsele alle spalle.

Per quello era tornato a casa, ma non solo: anche per Emmeline.

Gli dispiaceva averla cacciata in quel modo quando era andata a chiedergli aiuto per il suo ragazzo, per incastrare Liam, ma soprattutto, sapeva che aveva bisogno di lui.

Era la sua migliore amica e non poteva permettersi di lasciarla sola: era venuto a sapere dell’evasione di Liam dal telegiornale, e qualche settimana dopo, sempre dal telegiornale, aveva saputo del rapimento della figlia della ragazza.

In quel momento aveva sentito la rabbia invadergli le vene: aveva fatto due più due, e aveva capito che lui c’entrava, come sempre.

Era così ossessionato da Emmeline e dal fatto che non ricambiasse i suoi sentimenti, senza contare l’odio profondo che provava nei confronti di Tom: anche lui lo aveva odiato, ma la mora aveva trovato del buono in lui e l’aveva trasformato, lo sapeva.

Anche lui era stato vittima del suo bullismo nei primi anni del liceo, ma ci era passato sopra, era cresciuto, si era lasciato tutto alle spalle, anche se i ricordi erano dolorosi.

Ma lui era il ragazzo della sua migliore amica, lui la rendeva felice, per quale motivo lui avrebbe dovuto odiarlo? Senza contare che non sarebbe mai voluto somigliare, nemmeno lontanamente a Liam Spencer.

Camminava per le strade dalla città e nessuno sembrava riconoscerlo: un sacco di ragazze gli si avvicinavano, ma lui sorrideva timidamente e proseguiva, lasciandole alle spalle.

Era avvolto in un lungo cappotto nero e una sciarpa di lana grigia gli copriva il collo: in città era caduta un po’ di neve e rendeva l’atmosfera natalizia ancora più bella e adatta, gli piaceva, amava quel periodo dell’anno.

Le luci colorate si riflettevano nella neve e lui si ritrovò a sorridere quando vide due bambini rincorrersi e tirarsi delle palle di neve, ridendo a crepapelle, e gli venne quasi voglia di tornare a essere un marmocchio rompiscatole.

Passò davanti alla pista di pattinaggio, trovandola piena di gente: era indeciso se rimanere lì a guardare qualcuno cadere e ridere di lui o continuare nel suo viaggio dei ricordi.

Scosse la testa e decise di continuare a camminare, ma proprio in quel momento una ragazza gli andò addosso: la prese al volo, prima che finisse per terra, e le raccomandò di stare più attenta, ma senza cattiveria; gli sembrava di averla già vista, ma non l’aveva per niente presente.

Si ritrovò davanti ad un vecchio bar, lo frequentava con Liam quando era uno stupido ragazzino e si meravigliò di trovarlo ancora aperto, non tanto per l’ora, ma perché era poco frequentato.

Ma quello che lo colpì e che lo convinse a fermarsi, era la figura piccola e scura in un vicolo poco illuminato: era seduta sui talloni, per evitare il contatto con la neve, aveva il cappuccio calato in testa, le mani a coprire il volto, probabilmente stava piangendo e singhiozzando, e una bottiglia appoggiata per terra, probabilmente whiskey.

Curioso e preoccupato, attraversò la strada e si avvicinò a lei: la afferrò per un braccio, allontanando con un calcio la bottiglia di vetro, che si ruppe, poi, contro il muro, mentre la ragazza si lamentò, imprecando piano, senza alzare il viso verso di lui.

Ma lui conosceva fin troppo bene quel profumo e si bloccò, lasciandole il braccio: la ragazza azzardò a lanciargli uno sguardo e se ne pentì subito dopo; sgranò gli occhi incredula ed indietreggiò, mentre lui continuava a fissarla scioccato, cosa ci faceva li? Perché era a San Francisco?

Emmeline continuava ad allontanarsi da lui, e poi la vide scappare via, nel buio e nel freddo.

Bill era così confuso e nella sua testa frullavano almeno un miliardo di domande, ma non riusciva a dare risposta a nessuna di essa.

Si era trasferita a Los Angeles con Tom, lo aveva saputo che aveva realizzato il suo sogno, perché, invece, si trovava in quella città che le aveva causato solo sofferenza?

Non solo era tornato a casa per se stesso, ma soprattutto per parlare con Gustav e avere notizie su Emmeline e della sua situazione: voleva aiutarla, e l’avrebbe fatto, nessuno gliel’avrebbe impedito.

Tirò fuori il cellulare dalla tasca e nonostante l’orario, compose un numero e si portò l’apparecchio all’orecchio, senza esitare un secondo.


 
***


Georg l’aveva portato in una palestra non molto lontano da casa: era quasi un anno che viveva lì e non se n’era mai accorto prima.

Aveva bisogno di sfogarsi, di prendere a pugni qualcosa e l’amico sembrava avergli letto nel pensiero e Tom non ci aveva pensato due volte ad annuire, senza, però, spiccicare una parola.

Aveva lasciato Emmeline, e il secondo dopo si era sentito una merda, si era sentito così male, come se qualcuno gli avesse portato via il cuore, e più o meno era così.

Non pensava davvero quello che le aveva detto, non pensava che fosse complice di Liam, era una cosa spregevole da pensare, ma lui l’aveva fatto e, peggio!, gliel’aveva detto! Ma la rabbia e la voglia di riaverla lì con lui, l’avevano accecato, e quando lei non gli rispose più aveva capito che forse era troppo tardi, che aveva esagerato e, che, probabilmente, Emmeline aveva pensato che fosse vero, che lui lo pensasse veramente.

Forse stava piangendo e soffrendo anche lei, forse era arrabbiata anche lei, con il mondo, esattamente come lui.

Non aveva molta voglia di indossare i guantoni, quindi si limitò a bendarsi le mani.

«I guantoni, Tom» gli ricordò Georg, ma il moro rispose con una scrollata di spalle, liberandosi della canotta, lanciandola in un angolo della stanza.
Non era di molte parole, ma sapeva fin troppo bene che con Georg si sarebbe aperto.

Il ramato gli lanciò un’altra occhiata che il moro considerò come un avvertimento, così decise di indossare anche i guantoni, prima di lanciarsi contro quel povero sacco.

Un colpo, uno dietro l’altro, senza troppo sforzo: si concentrava solo sulle cose negative che la sua vita stava affrontando, tutti i problemi e i pensieri che gli affollavano la mente, sembravano aver preso vita con quel sacco da boxe, che incassava i colpi senza lamentele.

Georg sembrava molto contento dell’amico: d’altronde lui lavorava in una palestra simile a quello e insegnava come prendere a pugni un sacco, ma Tom non aveva bisogno di nessun insegnamento.

Probabilmente il sacco aveva preso le sembianze di Liam Spencer, poiché i colpi aumentarono e diventarono molto più pesanti e forti.

Si appoggiò a quel sacco una mezz’ora più tardi, completamente sudato e sentendosi un po’ più leggero, ma l’assenza di Emmeline era sempre lì e stava pensando di dover far qualcosa, trovarla e implorarla di perdonarlo: Dio, certe volte era proprio una testa di cazzo che non ragionava.

«Ora che ti sei sfogato, mi dici che ti sta succedendo?» domandò Georg, passandogli una bottiglia d’acqua e un asciugamano che il moro accettò più che volentieri.

Si lasciò scivolare vicino al muro, aspettando che Georg si sedesse di fronte a lui.

Rovesciò metà contenuto di quella bottiglietta d’acqua sulla sua testa e si ritrovò a pensare che Emmeline l’avrebbe ucciso se l’avesse visto: scosse la testa e sorrise tristemente.

Si portò l’asciugamano intorno al collo e bevve, prima di iniziare a parlare: Georg stava attendendo paziente, studiando ogni sua singola mossa.

«Ho lasciato Emmeline» la buttò lì, come se fosse una notizia da poco.

Il ramato sbatté più volte le palpebre, cercando di capire se fosse vero o una stronzata, ma visto che non continuò, parlò lui.

«No, scusa, non è stata lei ad andarsene?» chiese confuso.

Tom soffocò una risata e Georg si sentì sempre più confuso: un paio di giorni prima era disperato e sull’orlo di un baratro, probabilmente fatto, perché se n’era andata e ora rideva?

«Sì, è vero, ma ieri sera l’ho lasciata io» si grattò la testa imbarazzato. «Ho fatto una stronzata, le ho detto cose impensabili, come che non mi hai mai amato davvero e che è complice di Liam per la sparizione di nostra figlia e della sua scomparsa, e che avevo chiuso con lei, in modo definitivo» buttò fuori tutto velocemente e al ramato gli ci volle qualche minuto per mettere a fuoco ciò che gli aveva detto.

«Ma ti sei bevuto il cervello?» domandò poi, alzando la voce di qualche ottava, attirando l’attenzione di un gruppo di ragazzi presenti.

«Non ero molto lucido a dir la verità» ammise sospirando, appoggiando la testa contro il muro e chiudendo gli occhi. «Io credo che non se ne sia andata spontaneamente, non l’ha fatto di sua volontà, no, me l’avrebbe detto altrimenti» cominciò a parlare, probabilmente più a se stesso che con Georg. «Io lo so che mi ama, me l’ha scritto, e quando le ho telefonato e non mi ha risposto, ho capito che l’ha fatto solo per non sentire la mia voce, per non soffrire ulteriormente, perché lo so che sta male» continuò piano, cercando di trattenere le lacrime. «Quando ero in quel bar, l’altra sera, ho rivissuto momenti che vivevo negli anni prima di conoscere Emmeline» ricordò poi. «Bere alcolici di tutti i tipi, fumare canne e sentirmi leggero e idiota, e prendere a pugni la gente» Georg si immobilizzò. «Ho visto un tizio che somigliava vagamente a Liam, l’ho preso a pugni, Georg, ma ero fatto e ubriaco, e come se non mi bastasse, ho distrutto una decina di bicchieri e un paio di bottiglie di qualche alcolico super costoso» aggiunse e sorrise. «Non mi sono sentito bene, per niente, quello che ho fatto è sbagliato, e so quanto ho bisogno di Emmeline, è la mia ancóra, il mio ossigeno, il mio tutto, e so che quel mostro di Spencer sta facendo del male alla mia famiglia, ne aveva già fatto in passato, ma il suo unico scopo è colpire me» riaprì gli occhi e guardò Georg, che si spaventò, vedendo quanta serietà e quanta rabbia erano presenti nello sguardo del moro. «Emmeline ha bisogno di me, Georg, mia figlia ha bisogno di me, io ho bisogno di loro, devo trovarle e riportarle a casa» sbottò, alzandosi in piedi.
Georg lo osservò attentamente, stentando a riconoscerlo: qualcosa dentro di lui era scattato, lui sapeva bene che sarebbe successo, Tom non è uno che si rammollisce e se ne sta con le mani in mano.

«Che c’è?» chiese poi il moro, scrutando il ramato. «Sei con me o no?» domandò poi, spazientito.

«Ieri sembravi uno zombie che camminava, che piangeva e si disperava, eri fatto come non so cosa, e oggi, guardati, sei pronto ad uccidere chiunque ti sbarri la strada» disse preoccupato, ma poi sorrise, balzando in piedi. «La risposta è più che ovvia» anche il moro sorrise, complice. «Riportiamo a casa le tue donne» s’incamminarono verso gli spogliatoi, sicuri di loro stessi, anche se ancora non sapevano cosa fare, ma già era un buon inizio il fatto di voler fare qualcosa. «Oh, non è che mi faresti un favore?» mormorò imbarazzato e Tom si voltò curioso. «Non è che mi faresti da testimone di nozze?»


 
***


Se ne stava a sedere sui gradini di quella villetta, in attesa: aveva suonato il campanello più volte ma nessuno gli aveva aperto, nessuno gli aveva risposto.

Era strano vedere scritto sul campanello Emmeline Evans, Thomas Kaulitz, quando quella ragazza non lo aveva mai sopportato; e non solo, ci aveva pure fatto una figlia.

Scoppiò a ridere da solo, pregando che nessuno lo sentisse, che nessuno lo vedesse.

Non era mai stato a Los Angeles, non poteva vagamente permettersi un paio di giorni nella Città degli Angeli, e sperava di andarci in circostanze diverse, ma per il momento si accontentava di respirare la stessa aria dei divi di Hollywood.

Non appena vide due figure alte avvicinarsi, balzò in piedi, aspettando con ansia e impazienza.

Riconobbe solo Tom, anche se era molto diverso, proprio come gli aveva detto Emmeline lo scorso anno: non c’erano più i dreadlocks, non c’erano i più i vestiti eccessivamente larghi, non c’era più quel ragazzo che faceva il duro, lo spaccone, il Dio della scuola, davanti a lui c’era un ragazzo adulto, con delle responsabilità e che, in quel momento, si trovava a scrutarlo incuriosito.

«Posso aiutarla?» chiese cortesemente, e Bill alzò entrambe le sopracciglia: non l’aveva riconosciuto veramente. «È casa mia questa» indicò l’abitazione con un dito, con fare ovvio, e il biondo si morse il labbro inferiore per non ridere.

«Non avrei mai pensato di rivederti, sinceramente, ti ricordavo più stronzo e scorbutico e maleducato» sorrise, infilandosi le mani in tasca, lasciandolo un ottimo sconvolto.

Georg spostò lo sguardo sulle due figure alte che si scrutavano: era convinto di aver già visto quel ragazzo, quegli occhi, ma non si ricordava dove.

«Ci conosciamo, tu ed io?» chiese a quel punto Tom, avvicinandosi di qualche passo, osservandolo attentamente. «Bill» mormorò poi, sgranando gli occhi, incredulo. «Se sei qui per vendicarti di tutto quello che ti ho fatto, ti prego, non è il momento, sto passando un brutto periodo» Bill quella volta rise, forte, una risata liberatoria.

Tom rimase scioccato, a dir poco, davanti alla sua reazione.

«Accidenti! Ma per chi mi hai preso, amico?» ridacchiò. «Non sono quel genere di persona, Kaulitz, sono qui per Emmeline» mormorò poi, abbassando la voce.

Il moro abbassò lo sguardo sulle sue scarpe, stringendosi di più nel suo giubbotto: a quel nome il freddo gli arrivò alle ossa e diversi brividi gli ricoprirono la pelle.

«Mi dispiace, ma non è qui, Bill» scrollò poi le spalle, rispondendogli con voce senza sentimenti, alzando lo sguardo, per guardarlo dritto negli occhi.

Non poteva credere che quel ragazzino mingherlino che era una delle sue vittime, ora fosse davanti a lui, cresciuto, completamente diverso, uomo.

Era sparito nel nulla anni prima, non lo aveva più visto, ed era rimasto un po’ stranito, non pensava di sicuro di rivederlo, anche se sapeva che era importante per Em, anche se lo aveva scoperto solo molto tempo dopo: sapeva che lo aveva aiutato con la storia di Liam l’anno precedente, forse avrebbe dovuto ringraziarlo, e magari scusarsi per tutto quello che gli aveva fatto passare, forse poteva essere poco e niente, forse poteva essere un inizio.

«Lo so, Tom» mormorò lui, dopo tanto, facendogli sgranare gli occhi. Come faceva a saperlo? «Mi ci sono imbattuto ieri sera» rispose alla sua domanda inespressa, come se potesse leggergli nella mente.

Cosa diavolo significava?

«Dove?» quella domanda uscì dalle labbra di Tom, ma sembrava più un suono strozzato.

Georg che era di fianco a lui, gli posò una mano sulla spalla, come a volergli dare forza.

Era convinto di una cosa: Bill era lì per dare loro una mano, e di sicuro non l’avrebbero rifiutata, non da una persona che conosceva Liam come le sue tasche.

«Possiamo entrare?» chiese Bill di rimando, ma non era per il freddo. «C’è troppo silenzio qui» continuò: era rimasto sempre lo stesso, aveva sempre paura che qualche uomo di Liam fosse in giro a spiarlo, a tenerlo d’occhio.

E probabilmente era davvero così.


 
***


Casa Kaulitz-Evans era molto bella e accogliente: Bill ne riconobbe il gusto e la raffinatezza di Emmeline e in modo spontaneo gli scappò un sorriso.
Georg non gli aveva ancora rivolto la parola, per questo ogni tanto gli lanciava degli sguardi, notando intento a fissarlo, seduto sul divano, attendendo pazientemente l’arrivo di Tom.

«Non fissarmi in quel modo, m’irriti» sbuffò Bill, sedendosi di fronte a lui, accavallando elegantemente le gambe: il ramato arrossì lievemente, colto sul fatto.

Tom scese lentamente le scale, come se al piano di sotto lo attendesse il patibolo o una condanna a morte completamente diversa.

Si stravaccò sul divano come suo solito, al fianco di Georg, così da poter guardare Bill tranquillamente in faccia.

«Bella casa» mormorò quest’ultimo, rivolgendogli un sorriso.

«Grazie» rispose semplicemente il moro, cercando di ricambiare il sorriso: in quel momento si sentiva strano, preoccupato, quando poche ore prima era pieno di vita e con la voglia di spaccare tutto. «Ma è così vuota e silenziosa senza Em» aggiunse, torturandosi le mani.

«Lo immagino, sì» rispose prontamente Bill. «Sta bene, Tom, non preoccuparti» continuò, ma si morse la lingua, perché non era propriamente vero. «Oddio, fisicamente parlando sta bene, ma penso sia distrutta, si vedeva che aveva pianto molto, e lo stava facendo anche in quel momento» gli comunicò e il cuore di Tom si strinse e per non piangere si costrinse ad abbassare lo sguardo.

«Aspetta, non ci hai ancora detto dove l’hai vista» lo fermò Georg, parlando con lui per la prima volta.

Bill alzò entrambe le sopracciglia, osservandolo.

«San Francisco» disse e Tom riportò l’attenzione sul biondo: cosa diavolo ci faceva lì? «Si è tagliata i capelli, era triste e non appena l’ho afferrata per un braccio, bè è scappata via» li informò, sospirando sconfitto. «Così ho buttato giù dal letto Gustav e mi sono fatto dare il vostro indirizzo» mormorò.

«Tu perché eri lì? So che te n’eri andato anni fa» chiese e constatò di nuovo Georg, cercando di avere altre notizie e informazioni.

Bill non era molto contento di quella domanda, non gli piaceva che gli altri si facessero troppo gli affari suoi, ma decise di essere educato e di rispondergli.

«Ci ho messo due mesi a decidermi a intervenire» confessò. «Quando ho saputo dell’evasione di Liam sono andato fuori di testa e ho distrutto il televisore quando al telegiornale hanno detto che avevano rapito vostra figlia e che lui era sospettato, il principale» grugnì infastidito e arrabbiato. «Voglio distruggere Liam Spencer, voglio rovinarlo, mandarlo al fresco per una volta per tutte e mi sono deciso a voler aiutare Emmeline, ma prima di venire qui, volevo passare qualche giorno nella mia vecchia città, da sconosciuto» raccontò e Tom lo osservò seriamente. «Io voglio aiutarti a riportare a casa Emmeline e vostra figlia» disse sicuro di sé e a Tom venne voglia di abbracciarlo. «Com’è che l’avete chiamata?» chiese dolcemente, cercando di alleggerire la tensione.

«Arabella» rispose dolcemente, sorridendo, ricordando il visino dolce e innocente della sua bambina: non vedeva l’ora di rivederla e stringerla tra le sue braccia e proteggerla da tutto e da tutti.

«Come la canzone degli Arctic Monkeys» constatò e poi ridacchiò. «È un gran bel nome» sorrise.

«Emmeline era in fissa con quella canzone, credo sia per quello che l’abbia chiamata così, io mi sono adattato» ricordò con un sorriso il moro, scuotendo la testa divertito. «Senti, quali sono le tue idee, supposizioni?» chiese, tornando al discorso di prima: lui doveva andare a prendere la sua donna e doveva farlo subito!

«Io credo che Liam non voglia fare niente a nessuna delle due, lui vuole arrivare a te, sei tu il suo obiettivo, Tom, vuole colpire te, e usa il tuo punto debole» mormorò con convinzione il biondo.

Il moro deglutì: perché non c’era arrivato prima?

«Torneremo a San Francisco nella mattinata, alloggeremo in un motel e studieremo un piano, troviamo Emmeline e troviamo Arabella, e facciamo il culo a quell’essere spietato» scrollò le spalle Bill, buttando il suo piano sul tavolino, mentre i due ragazzi di fronte a lui lo guardavano come se fosse impazzito.

«Mi sembra troppo semplice!» borbottò Georg, non trovandosi d’accordo. «Non sappiamo dove sia Emmeline, tantomeno dove Liam tiene nascosta Arabella» aggiunse gesticolando. «Nemmeno se ha degli uomini a disposizione, no è troppo semplice Bill» scosse la testa e Tom si voltò a guardarlo.

«Nessuno qui ha detto che sarà semplice, Georg» sbottò il moro, con una strana rabbia in corpo. «Io ci sto» disse semplicemente, tornando a guardare il biondo negli occhi.

Al suo fianco, sentì Georg sospirare pesantemente.

«Niente cose troppo violente, niente armi, niente coinvolgimenti strani, ho una fidanzata da dover proteggere e a cui pensare» mormorò imbarazzato e Tom si lasciò andare in una risata fragorosa dopo giorni.

«Figurati, la mia famiglia è nelle sue mani, direi che sono io a trovarmi nella merda» alzò un sopracciglio, scuotendo la testa.


 
***


Non aveva ancora preparato un borsone, non ne aveva avuta molta voglia, quindi avrebbe preso qualcosa a casaccio prima di partire.

Era sceso a prendere un bicchiere d’acqua e aveva trovato Bill aggrovigliato in una coperta, profondamente addormentato sul divano, di fronte al camino: aveva sorriso nel guardarlo, e aveva pensato che non gli aveva ancora chiesto scusa e detto grazie, e si sentiva un codardo assurdo.

Era tornato nella sua stanza e si era gettato nuovamente al caldo, sotto le coperte: si era voltato verso la parte di letto di Emmeline, e i suoi occhi avevano cominciato ad annebbiarsi.

Le mancava così tanto e quello che le aveva detto era così mostruoso e impensabile, ma no, lui gliele aveva dette lo stesso.

Il suo cellulare cominciò a vibrare, così allungò un braccio e lo afferrò, rispondendo, senza guardare chi fosse il mittente: chi poteva chiamarlo alle tre del mattino?

«Pronto?» mormorò mezzo assonnato, portandosi una mano sugli occhi, cercando di cancellare le lacrime. «Chi è?» mormorò ancora, non ricevendo risposta, cominciando a preoccuparsi. «Em, sei tu?» chiese, piano e speranzoso.

Una risata, maligna, lo fece rabbrividire, nonostante il calore della coperta.

«Ti piacerebbe, Tom» sgranò gli occhi a quella voce e per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.

«Liam» mormorò piano. «Dove cazzo è mia figlia?» ringhiò alzandosi col busto, stringendo la coperta tra le mani. «Ti troverò Liam e ti ucciderò con le mie stesse mani, puoi starne certo» sbottò e lo sentì ridere di nuovo.

«Quella notte avresti dovuto rispondere tu al telefono, non Emmeline, dovevi esserci tu qui a San Francisco, non lei» gli rispose, cambiando discorso, totalmente. «Io ho un conto in sospeso con te, Emmeline doveva rimanerne fuori, sei tu che devi venire a riprendere tua figlia» continuò, lasciandolo perplesso. «Ma ha risposto lei a quella fottuta telefonata, al tuo fottutissimo telefono, e ora lei è qui e io non so come cazzo comportarmi!» ringhiò e Tom sospirò, abbandonando la testa contro il muro, chiudendo gli occhi.

Era colpa sua, cazzo, era solo colpa sua, se la sua donna era in quel grosso problema.

«Sarò a San Francisco, Liam, potremo affrontare le cose, e lascerai Em, fuori da questa storia» disse.

«Lei c’è dentro in pieno, Tom, è tardi» chiarì e il moro sentì una fitta al ventre: non l’avrebbe lasciata andare, non l’avrebbe fatto. «Finirò il lavoro che ho iniziato lo scorso anno, voglio ucciderti Kaulitz, e lo farò» chiuse la telefonata senza permettergli di rispondere.

Si alzò in fretta del letto e raggiunse l’armadio, tirandone fuori un borsone e ci buttò dentro qualcosa: avrebbe svegliato quei due dormiglioni e avrebbe guidato fino a San Francisco, voleva andarci subito.

Si bloccò quando trovò una vecchia scatola di legno: non ricordava di averla portata con sé a Los Angeles, non ricordava nemmeno di averla ancora.
Aveva una pistola sì, ma non l’aveva mai usata, ma forse adesso aveva l’opportunità di usarla: Liam l’avrebbe pagata.


 
***


Avevano affittato due stanze in un motel squallido nella periferia della città, mentre Georg era tornato a casa, dove Ellen lo stava aspettando.

Se ne stava al buio a pensare, ad aspettare magari una telefonata di Liam: ripensò al tempo che avevano passato in macchina.

Lui e Bill erano gli unici rimasti svegli a parlare, mentre Georg dormiva profondamente nei sedili posteriori: di tanto in tanto ridacchiavano, sentendo il ramato russare senza contegno.

Si era scusato con lui per tutto quello che gli aveva fatto passare negli anni della scuola e lo aveva ringraziato per quello che stava facendo e che avrebbe fatto. Lo aveva ringraziato anche per quello che aveva fatto nell’anno precedente, permettendo a Gustav di salvargli la vita. Lo aveva ringraziato per essere amico di Emmeline. E Bill si era limitato a sorridergli e a stringerli una spalla.

Alzò lo sguardo nel momento in cui vide una figura piccola passare davanti alla sua stanza e la mandibola quasi toccò il pavimento quando capì: quella figura era Emmeline, ne riconobbe il suo profilo.

Si precipitò alla porta, quasi inciampando nei suoi stessi piedi e nel tappeto davanti alla porta, ma non appena fu fuori, vide solo la sua figura di spalle allontanarsi: era lei, ne era convinto al cento per cento e in quel momento capì che alloggiavano nello stesso motel.

Sospirò, osservandola finché ne ebbe la capacità, non voleva seguirla e nemmeno spaventarla, già che la loro relazione era sul ciglio di un burrone, non voleva buttarla direttamente di sotto.

«Ciao, Tom» sobbalzò sul posto: quella voce non era di Liam e nemmeno di Emmeline, accidenti.

Quando decise a voltarsi, ricevette una forte botta in testa, che lo fece crollare sul pavimento.

Poi, il buio più totale.




 
*******
 
 
Okay ho un enorme ritardo e mi dispiace, spero di riuscire a farmi perdonare con questo capitolo piuttosto lungo.
Come avete notato c'è il ritorno di Bill, e in questo capitolo sono tutti nella stessa città. Emmeline è praticamente assente qui, ma tornerà nel prossimo, assieme a tante cose che, probabilmente, vi starete chiedendo: ad esempio, CHI ha colpito Tom, e COME Liam sia evaso. Le due cose sono più o meno collegate anche al rapimento della bambina. 
Okay, ho detto troppo.
Premetto che non credo di riuscire più a postare settimanalmente e in orario, purtroppo ho delle cose da fare, un lavoro da cercare e colloqui da fare, e tanta roba che mi frulla per la testa, quindi meno tempo per  scrivere e per dedicarmi totalmente alla storia.
Spero possiate capirmi e spero non abbandoniate la storia.
Okay, come sempre aspetto le vostre recensioni!

Un bacio e un abbraccio,
difficileignorarti

 



Ps (1): vi piace questo sequel? ve lo immaginavate diverso? credo che non avrà per niente il "successo" che ha avuto "Gli stessi di sempre".
Ps (2): a proposito, per chi sta leggendo per la prima volta, e non l'ha ancora fatto, vi invito a leggere "
Gli stessi di sempre", altrimenti non capirete un'acca di questa storia.
   
 
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