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Autore: Experiment 513    24/11/2014    2 recensioni
A Londra il tasso di suicidi aumenta pericolosamente, allarmando i cittadini e Scotland Yard; il problema si espande velocemente in tutta l'Inghilterra e successivamente anche nell'intero Regno Unito e in alcune città del resto dell'Europa.
L'ispettore Fraser sospetta che si celi qualcuno dietro questi suicidi (un serial killer o una qualche associazione segreta - una setta, forse), ma nessuno gli crede, eccezion fatta per gli agenti Williams e Walker, che insieme a lui raduneranno gli uomini migliori per creare una squadra di specialisti e trovare un numero sufficiente di prove che confermi la loro ipotesi, in modo da aprire un'indagine e risolvere il mistero dei suicidi di massa.
Genere: Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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── La Comitiva degli Aspiranti Suicidi ──

 

“We know we shouldn't do it but we do it anyway”

──────────────────────────

 

 

 

 

“Il suicidio non elimina la possibilità che la vita peggiori.

Il suicidio elimina la possibilità che essa diventi migliore.”

Oliver Sykes

 

 

 

 

20. L’ingrediente speciale.

 

 

Bussò alla sua porta con mano tremante, sentendo una o due gocce di sudore scivolargli lungo la fronte. Era davvero pronto? La sua anima impura avrebbe trovato pace o ne sarebbe rimasta macchiata per sempre?

    Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e bussò ancora.

    Finalmente lei venne ad aprirgli. Non l’aveva mai vista prima d’ora, ma qualcosa nel suo sguardo gli fece capire che era quella giusta. Forse fu merito dell’ombra di rassegnazione che le incupiva le iridi verdi, o magari dell’accenno di paura riflesso nelle pupille scure.

    Si fece audace e chiese: «Sono arrivato in ritardo?»

    Lei scosse la testa, ma non osò proferir parola; imbarazzata, abbozzò un sorriso di cortesia e lo invitò ad entrare. Il giovane avanzò di qualche passo, sentendo la porta chiudersi alle sue spalle, e istintivamente si lasciò sfuggire qualche commento sul grazioso arredamento, intavolando una discussione banale che sfociò in argomenti altrettanto miseri come le terribili condizioni climatiche e le ultime news della BBC. Cosa l’aveva spinto a perder tempo con simili convenevoli quando era giunto lì per tutt’altro scopo? La paura, l’indecisione… Gli stessi  sentimenti che attanagliavano la mente di lei. Il giovane non sapeva come agire, non aveva preparato un discorso – credendo di avere buone capacità di improvvisazione – e ora si trovava lì, a contemplare i quadri appesi alle pareti del salotto mentre la povera ragazza attendeva, impaziente, un qualche segnale di salvezza da parte sua. Aveva elaborato un piano piuttosto semplice ed efficace, lavorando esclusivamente sulla parte tecnica, mentre aveva trascurato del tutto il modo in cui avrebbe dovuto esporre i suoi pensieri a Alice. Eppure lui era sempre stato bravo a consolare amici e conoscenti. Avrebbe dovuto pensare a cosa dire in questa situazione, invece si sentiva come un alunno che si era limitato a ripassare distrattamente la sera prima dell’interrogazione senza aver realmente studiato la lezione. Nessuno in queste condizioni avrebbe potuto prendere una A.

    Gli occhi di lei si riempirono di lacrime, le labbra contratte in una smorfia e le mani artigliate alla camicia di lui, che sobbalzò a quel contatto inaspettato.

    «Alice?» mormorò cauto, voltandosi per asciugarle il viso.

    «Mi dispiace, mi dispiace…» continuava a ripetere tra i singhiozzi, rischiando di soffocarsi per l’impeto con cui piangeva. «Ti prego,» lo implorava «ti prego, aiutami…»

    «Ti preparo un tè, così ne discutiamo con calma, va bene?» La sua voce era melliflua e calda, impossibile opporsi.

    La fece accomodare su una delle poltrone disposte di fronte al televisore e si avventurò nel corridoio alla ricerca della cucina; quando il tè fu pronto si premurò di aggiungere quell’ingrediente indispensabile per l’occasione, poi portò la tazzina fumante ad Alice e si accomodò accanto a lei, che gli sorrise con innocente riconoscenza. Basandosi sulle consuete leggi morali prefissate dalla società, qualcosa gli suggeriva che avrebbe dovuto provare sentimenti di vergogna, un moto di colpevolezza, invece non sentiva nulla. Assolutamente nulla.

    Alice – mentre il tè si raffreddava – gli parlò dei suoi problemi, della sua vita disgraziata, della madre che non la capiva, del bambino che non sarebbe mai arrivato, dell’enorme vuoto che provava… Poi dopo aver ringraziato ancora una volta il giovane per la sua disponibilità, sorseggiò il tè tra le lacrime, ma il sapore della bevanda fu accompagnato da un retrogusto acido ed un insopportabile bruciore all’esofago – e in quel momento lui si domandò se non si fosse accorta dell’odore di mandorle. Il giovane le tenne una mano dietro la testa e con l’altra la costrinse a finire la bevanda, spingendo con forza la tazzina contro la bocca dischiusa. Dopo un primo tentativo di ribellione il corpo di lei si adagiò esanime sullo schienale della poltrona, pendendo da un lato con lo sguardo vitreo rivolto verso il nulla. Sorpreso dalla velocità con cui era avvenuto il tutto, si concesse un attimo per osservarle le labbra corrose, poi si accertò che fosse morta.

    Niente battito.

    Fino a quel momento la sua mente non aveva realizzato cosa stava accadendo e la consapevolezza di averla uccisa lo colpì con una fitta al petto, come un fastidioso dolore intercostale. Aveva preannunciato una reazione devastante, invece si sentiva più calmo di quanto avesse potuto immaginare, eppure il presentimento di aver dimenticato qualcosa lo tormentava. E se si fosse risvegliata? Impossibile, era morta! Libera da ogni vincolo e responsabilità, libera dalle bugie e dalla sofferenza. Un limbo di pace e silenzio l’attendeva, proprio come nei suoi sogni.

    Tentò invano d’ingoiare il groppo che gli si era formato in gola, impedendogli di respirare regolarmente, e proseguì con simulata sicurezza versò l’uscio, ma prima di varcare la soglia un antiquato oggetto catturò la sua attenzione: un giradischi. Lo esaminò qualche istante, poi diede un’occhiata alla pila di dischi sul mobile a fianco e ne scelse uno: “La gazza ladra”, uno dei suoi brani preferiti. Perché lo fece, tuttora non saprebbe dirlo con certezza, ma di fronte alla buona musica non sapeva fermarsi, ne era attratto come un insetto dalla luce.

    Qualcuno prima o poi se ne sarebbe accorto. I vicini avrebbero sentito il tanfo del cadavere una volta che il corpo avesse cominciato a decomporsi; i colleghi avrebbero fatto caso all’assenza prolungata di Alice dal lavoro e la madre non avrebbe ricevuto alcuna risposta alle sue chiamate, lasciando messaggi preoccupati alla segreteria telefonica. Ma la teoria del suicidio era piuttosto credibile, doveva solo sperare che nessuno si fosse accorto della sua presenza in quel palazzo.

    Prima di lasciare l’appartamento posò una lettera blu e un fiore di campo sul tavolo.

    Ammirò il suo lavoro, sorrise e uscì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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La “vittima” si chiama Alice perché odio “Alice in Wonderland”, mi

sembrava giusto specificarlo.

 

 

                                                     Christopher

   
 
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