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Autore: IamNotPrinceHamlet    25/11/2014    1 recensioni
Seattle, 1990. Angela Pacifico, detta Angie, è una quasi 18enne italoamericana, appassionata di film, musica e cartoni animati. Timida e imbranata, sopravvive grazie a cinismo e ironia, che non risparmia nemmeno a sé stessa. Si trasferisce nell'Emerald City per frequentare il college, ma l'incontro con una ragazza apparentemente molto diversa da lei le cambia la vita: si ritrova catapultata nel bel mezzo della scena musicale più interessante, eterogenea e folle del momento, ma soprattutto trova nuovi bizzarri amici. E non solo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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It is the evening of the daa-aay”

Una voce molto diversa da quella di Jagger, ma di sicuro altrettanto riconoscibile, accenna i primi versi della canzone appena iniziata. L’intento era sicuramente quello di sorprendermi, visto che me la sta praticamente soffiando nell’orecchio, mentre mi pinza le spalle con le mani serrate a mo’ di chele di granchio. Il risultato è quello di farmi letteralmente sobbalzare.

“Cristo, Eddie!” lo apostrofo.

I sit and watch the children plaa-aay” continua lui imperterrito, anche se incespica un pochino a causa di una risata che trattiene a fatica.

“Anch’io, ne sto vedendo uno proprio adesso, che gioca” ribatto mentre mi guardo all’indietro, in questo surreale botta e risposta.

Smiling faces I can see” sono io che vedo la sua di smiling face, la solita, punteggiata di fossette. La mia deve essere un tantino diversa, perché con un tempismo perfetto mette su un broncio da manuale, giusto in tempo per intonare “But not for me”

“Ahahahahah” gli scoppio a ridere in faccia, mentre molla finalmente la presa su di me, permettendomi di voltarmi del tutto.

I sit and watch as tears go by-yy” Eddie si lascia cadere sul bracciolo di un divanetto alle sue spalle e, a capo chino, si strofina gli occhi per asciugare delle lacrime fasulle.

“Hai mai pensato di fare l’attore?” gli domando allungandogli un pacchetto di fazzoletti di carta trovato tempestivamente in borsa.

“In verità, l’ho fatto” risponde sollevando la testa di scatto, con un nuovo sorrisone stampato in faccia, e prendendo un fazzolettino, con cui procede a soffiarsi il naso.

“Ancora raffreddato? O è una finta per giustificare la tua scarsa prestazione su questo pezzo?”

Scarsa?” chiede mentre un sopracciglio si solleva dal fazzoletto, che sta ancora tenendo premuto sul naso.

“No, beh, era buona, per carità… però il tuo vocione, come dire, non lo sento adatto a un pezzo come questo che, secondo me, va cantato in punta di sospiro” spiego cercando di recuperare, ma non troppo, perché dopotutto voglio stuzzicarlo.

“Il mio vocione è adatto a qualsiasi cosa, cara” replica lui alzandosi e incrociando le braccia, dopo essersi infilato il fazzoletto in tasca.

“Ok, allora per il vostro secondo album devo aspettarmi qualcosa del tipo Eddie canta i Bee Gees?” scherzo incrociando le braccia alla stessa maniera e guardandolo di sottecchi.

“Senti, visto che sei in vena di disquisizioni musicali, vieni con me a discutere in una sede più appropriata…” Eddie mi rivolge una smorfietta indecifrabile e mi prende per un polso, dirigendosi verso l’angolo opposto dell’ampia taverna.

“Che? Dove?” domando alla parte posteriore della sua testa, visto che non accenna a girarsi. Quando arriviamo al giradischi capisco tutto.

Cazzo.

“Guarda cosa mi hanno regalato?” fa lui indicando il piatto rotante.

Hot rocks, wow” commento io annuendo, per poi serrare le labbra istintivamente, come per il timore che qualcosa possa sfuggirmi.

“Già, wow”

“Gran bel disco”

“Eh sì, gran bel disco davvero… e, guarda caso, è il disco che ho rotto durante il trasloco qui a Seattle”

“Ah. Ah! E’ vero!” mi impegno a fondo nell’interpretazione di una che non si ricorda assolutamente di cosa si stia parlando, chissà com’è venuta?

“E, guarda un po’ il caso, nessuno sapeva di quel disco rotto… tranne te” riecco le braccia conserte e lo sguardo di rimprovero.

Mi sa che è venuta male.

“Io? Che c’entro io?” candidamente cerco di sembrare innocente e di non lasciar scivolare lo sguardo a terra più del dovuto.

“Infatti, che c’entri tu, visto che me l’ha regalato Violet?”

“E che ne so? Niente. E comunque, non è vero che lo sapevo solo io… Meg dove la metti?” tento di resistere, anche se so che non servirà a nulla, giusto per prendere tempo e per non perire senza combattere. Leonida sarebbe fiero di me.

“Non mi pare che lei e Violet siano amiche…”

“Beh, nemmeno Violet e io, l’ho vista una volta sola per cinque minuti, eheh…”

“Infatti devo ancora capire dove ti ha scovata. Beh, che stupido, probabilmente al mini market, visto che sa dove lavoro”

“Per caso fai Colombo di cognome?”

“Angie…”

“E comunque lo saprà anche Jeff, suppongo”

“Mi sento di escluderlo dalla rosa dei sospettati, visto che Violet gli sta esageratamente sulle palle. Allo stesso modo, posso in tutta tranquillità escludere me stesso, a meno di non essere stato vittima di ipnosi o-”

“Uffa! E va bene, gliel’ho suggerito io! Contento?”

“No, cioè, sì. Sì e no”

“Poche idee, ma confuse”

“Anche tu sei confusa, non hai minimamente preso in considerazione l’eventualità che Violet avesse semplicemente frugato nella mia stanza quando ci ha dormito l’altra notte”

“E’ vero! E’ andata così, sicuro!”

“L’enfasi che metti nelle tue esclamazioni non è male, tuttavia questa tesi sarebbe risultata senz’altro più convincente se utilizzata prima di confessare”

“Dannazione”

“Stai perdendo smalto? Comunque, grazie. Cioè, da un lato non fare mai più una cosa del genere, dall’altro… grazie, per il regalo”

“Mica te l’ho fatto io il regalo”

“In un certo senso sì”

“In nessun senso, Ed”

“Va beh, posso continuare a considerarlo un tuo regalo anche se non lo è? O ritieni impossibile convivere con questo fardello sulle spalle?”

“Mmm… se ci tieni”

“Sì, lo preferirei”

“Allora prego, non c’è di che. Ora mi aspetto qualcosa all’altezza per il mio compleanno”

Scoppiamo a ridere come due imbecilli nello stesso momento senza alcun motivo logico apparente.

“Quand’è il tuo compleanno? Non è già passato?” domanda mentre prende a esaminare i miei boccoli fatti di fresco da Meg, che se tutto va bene si appiattiranno da soli nel giro di qualche oretta.

“Ottobre, direi che hai tempo per mettere da parte i soldini”

“Stai bene coi capelli mossi”

“Non lo so, ogni volta mi sembra di essere un’incrocio tra Nellie Oleson e svariati cavatappi. Ma Meg è sempre così entusiasta” commento facendo spallucce.

“Nah, ti stanno bene. E comunque, in realtà ho già qualcosa per te, ma non so se è all’altezza” continua lui, profondamente concentrato su uno dei miei riccioli, che si avvolge attorno al dito, per poi lasciarlo cadere di nuovo sulla mia spalla.

“Che?”

“Oh niente, un pensierino” si infila le mani nelle tasche dei jeans e alza le spalle impercettibilmente mentre mi sorride.

“E per cosa? Natale in ritardo? Compleanno in anticipo di dieci mesi?” gli chiedo mentre prendo la copertina del disco per sbirciarla un po’.

“Non mi serve una ricorrenza per fare un regalo a un’amica” risponde avanzando di un paio di passi verso di me.

“Ok, allora se vuoi saperlo anch’io ho una cosa per te”

“Davvero? Ma mi hai già-” domanda sgranando gli occhi.

“Shhhhh dettagli. Comunque lo scambio dei doni lo facciamo più tardi magari, con meno pubblico, va bene?”

“Va bene… però adesso sono curioso, uffa” gli angoli della sua bocca si curvano leggermente all’ingiù, tentando di sopprimere un sorriso.

“Curioso di cosa??” Violet appare alle spalle di Eddie e improvvisamente il broncio di lui appare meno finto.

“Beh, ecco… Eddie è curioso… è curioso di sapere come hai fatto ad azzeccare il regalo perfetto per lui!” esclamo sventolando la copertina del disco davanti ai suoi occhi.

“E tu non gli hai detto niente ovviamente, vero?” domanda mentre il suo sorrisone assume più l’aspetto di una paresi facciale.

“Chi? Io? Perché? Dovrei saperne qualcosa?” faccio la finta tonta, ma anche se non avessi detto nulla a Eddie del mio coinvolgimento nella scelta del regalo, a questo punto l’avrebbe capito da solo.

“Esatto! Che vuoi che ne sappia, lasciala stare, poverina! Andiamo, su” Violet lo prende sottobraccio e fa per allontanarsi con lui, che però non si schioda.

“Ma, io veramente-”

“Dai, andiamo, devi assolutamente insegnarmi a giocare a flipper, sono una frana! Non ci capisco niente…”

“Devi tenere la pallina in gioco, non c’è molto da capire” gli sento borbottare mentre se ne vanno.

“Ehi, quello non è il disco di Eddie che hai rotto alla sua festa?” la voce di Meg mi fa sussultare mentre ero assorta nell’esaminare la copertina.

“Non sono stata io, era già rotto” spiego mentre alzando la testa me la ritrovo di fronte assieme a Laura.

“E Violet come faceva a sapere del disco rotto?” Laura mi guarda con le mani sui fianchi.

“Già, come faceva?” Meg si unisce alla domanda guardandomi storto.

“E che ne so, gliel’avrà detto lui”

“Non credo, mi pareva piuttosto sorpreso quando l’ha scartato” osserva la ragazza di Jeff.

“Non è che per caso le hai dato un’imbeccata tu? No eh?” Meg va subito al punto senza girarci troppo attorno.

“Io? Ma va, figurati…”

“Quella non si merita il tuo aiuto, Angie” Meg ripete il vecchio ritornello.

“Concordo” Laura annuisce.

“Vedi? E’ d’accordo anche lei, ed è una sua amica!” esclama Meg indicandola.

“Ci tengo a precisare che non siamo amiche, ma solo compagne di università” puntualizza Laura.

“E menomale”

“Ma dai, perché ce l’avete tanto con lei? Che vi ha fatto?” domando perplessa.

“Esiste” è la risposta lapidaria di Meg.

“E’ una stronza opportunista” è quella leggermente più strutturata di Laura.

“A me sembra simpatica” ribatto candidamente, già sapendo che non riceverò molti consensi.

“Ti sembrerebbe meno simpatica se sapessi quello che dice…”

“Perché, Laura? Che dice?” chiedo alzando gli occhi al cielo, ma la risposta non arriva perché non appena la ragazza fa per aprire bocca, l’urlo di Jeff la blocca.

“Ecco i moschettieri!”

Ci giriamo tutte e tre contemporaneamente e vediamo scendere in taverna, uno dopo l’altro Layne, Sean, Starr. Ci pensa subito McCready a togliermi le parole di bocca chiedendo:

“Dov’è Jerry?”

Che non sia venuto apposta sapendo che ci sarei stata anch’io? Questo è proprio il tipo di situazione che non volevo si venisse a creare, noi che ci evitiamo per non stare male. Che poi, se vogliamo dirla tutta, dovrei essere io a voler evitare lui e non viceversa o almeno, tra i due, dovrei essere quella che ne ha più diritto. Però forse ieri ho un tantino esagerato… Persa nei miei pensieri non mi accorgo che sto fissando Meg da quando è stato pronunciato il nome di Jerry, ci metto un po’ a mettere a fuoco il suo sguardo accigliato nei miei confronti. Ha ricevuto il dono della lettura del pensiero e non me l’ha detto?

“Sta arrivando” risponde Layne, il cui sorriso si dimezza non appena mi vede.

E dopo neanche mezzo secondo, ecco che Jerry annuncia la sua presenza.

“OH, CHE BRAVA CHE SEI!” esclama, probabilmente dal portico, con una vocina idiota.

Stone chiede lumi circa l’apparente rimbambimento di Jerry e anch’io sono piuttosto perplessa. Sarà già ubriaco? O fatto? Certo, probabilmente avrà bisogno di drogarsi per riuscire ad affrontarmi. O a sopportare semplicemente la mia faccia.

“Nah, niente, parla con una delle sue fan, sai com’è” Starr se la ride, mentre io mi irrigidisco e Meg se ne accorge.

“Non avrà mica avuto il coraggio di portarla qui?” sibila Meg, voltandosi verso le scale, ora prese d’assalto da Jeff, Stone e combriccola, curiosi di sapere chi sia la fantomatica fan.

“Portare chi?” domanda Laura guardandoci storto a turno.

“Niente, una che sta sempre dietro alla band e che… che mi sta sulle balle” Meg allarga le narici come fa ogni volta che mente, dopodiché mi prende per mano, invitandomi tacitamente a seguire gli altri.

“SEI PROPRIO UNA BRAVA BAMBINA!”

Che sia venuto qui con Monica? Per ferirmi? Come se non l’avesse già fatto… Magari non proprio lei, ma una ragazza qualsiasi, una delle tante. Dopotutto, se non si è mai fatto problemi quando era, per così dire, impegnato non vedo perché dovrebbe avere delle remore a farsi vedere con una ragazza proprio ora che è single. Mentre salgo le scale sento delle risate venire dall’esterno.

“Potresti evitare di provarci con tutte almeno qui!” scherza Jeff e io sento un nodo stringermi la bocca dello stomaco.

“Che ci posso fare, le ragazze mi amano!” esclama Jerry, con la sua voce normale finalmente, giusto un attimo prima che io esca sul portico e lo veda alle prese con una cagnolona intenta a farsi coccolare.

Incrocio lo sguardo col mio ex, ma dura poco, perché lui si volta di nuovo a dare un paio di carezze sulla testa del cane, dopodiché prende a chiacchierare coi ragazzi ignorandomi completamente.

“E’ quella la fan?” Laura sbuca tra me e Meg con un sorrisino compiaciuto.

“Sì, quella è la mia Lola” risponde Nancy mentre ci passa accanto per scendere di nuovo al piano inferiore.

Le sorrido e il sorriso mi resta appiccicato alla faccia anche quando passa Jerry, subito dietro di lei, che fa cenni di saluto a tutti, perfino a Meg, anche se non ricambiato, tranne che a me. Mi ignora completamente, come se non esistessi. Probabilmente, da un punto di vista razionale, è la cosa più logica che possa fare in questa situazione. Ma allora perché mi dà fastidio? Cosa pretendo? Che faccia anche finta di fare l’amicone? Oppure muoio dalla voglia di vederlo rivolgermi occhiate malinconiche e piene di dolore per la fine della nostra storia? Non lo so, so solo che sono tremendamente a disagio e ho il sentore che se non faccio qualcosa subito questa serata sarà molto lunga. Troppo. L’istinto di fare qualcosa viene prontamente elaborato
dal mio cervello mentre scendo le scale a testa bassa e trasformato nella mia classica reazione a questo tipo di situazioni: la fuga. Mi avvicino a Nancy e le chiedo dov’è il bagno.

“Torna su al pian terreno, la prima porta a sinistra, di fianco alle scale” mi spiega lei e alla parola sinistra ero già scappata di corsa.

Mi chiudo in bagno e ci rimango un quarto d’ora. I tempi sono calcolati con precisione, quindici o venti sono i minuti che Meg mi concederebbe, in una situazione del genere, prima di venirmi a cercare. Non faccio niente, non piango perché non mi viene da piangere, non sono triste, non sono nemmeno incazzata, però non sono neanche tranquilla. Mi sento solo nauseata e stanca, tremendamente stanca. Mi metto ad aprire gli armadietti che stanno sotto al lavandino del piccolo bagno di servizio e trascorro questi minuti seduta sulla tazza a leggere le etichette di tutti gli shampoo e dei saponi che trovo. Scaduto il quarto d’ora, rimetto tutto a posto, tiro l’acqua per non destare sospetti nel caso ci fosse qualcuno nei paraggi ed esco. Sto esattamente come prima, ma almeno ora so che Nancy e Cameron usano in gran parte prodotti che non contengono parabeni. Uscendo dal bagno, noto che la porta che sta esattamente di fronte alla scalinata, che prima era chiusa, ora è aperta. E non mi serve nemmeno sbirciare per riconoscere la sagoma di Jerry che si muove all’interno di quello che sembra un grande locale guardaroba. Rimango paralizzata per qualche secondo, con la mano ancora appoggiata alla maniglia della porta del bagno. Jerry sta riponendo la sua giacca assieme ad altre, credo dei suoi compagni di band, e sembra solo. Ci metto un attimo a prendere l’iniziativa, qualcosa che, ancora una volta, stona completamente con quella che è la mia indole. Ma ormai, visti gli ultimi accadimenti, direi che non mi stupisco più di nulla. Mi stacco dalla maniglia, entro decisa nel guardaroba e chiudo la porta alle mie spalle.


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“Ciao” 

Prima di quel ciao, io non sospetto un bel niente. Sento il rumore dei passi, qualcuno che si avvicina, avverto poi un’altra presenza nella stanza, alle mie spalle, ma non immagino si tratti proprio di lei. Lo scatto della porta che si chiude non fa in tempo a mettermi in allerta, ci pensa quel ciao subito dopo a far suonare tutti i campanelli d’allarme nel mio cervello. Mi giro lentamente, come per prepararmi all’immagine che sto per vedere. Ma dalla sera dell’immane cazzata (sì, è così che ho ribattezzato l’incidente con Monica) sento di non essere mai abbastanza preparato per vederla. Angie, con il suo maglioncino nero e i pantaloni verde scuro, i capelli arricciati e la riga nera sulle palpebre più sottile del solito, che si appuntisce all’insù agli angoli esterni, rendendo ancora più tenero quello sguardo che si fa strada attraverso le ciglia lunghe e… cazzo. Non siamo certo in uno sgabuzzino, ma l’idea di stare in uno spazio ristretto solo con lei fa riaffiorare ricordi di momenti di natura ben diversa e tutto sommato piuttosto recenti, seppur apparentemente distanti anni luce da quello che siamo ora. Non posso fare a meno di pensare che in circostanze diverse avrei potuto lasciarmi scappare un sorriso, che molto probabilmente sarebbe stato immediatamente rispecchiato dal suo, e avvicinarmi a lei per cingerla tra le mie braccia e lasciarmi andare alla nostra passione segreta o a un semplice bacio, che mi sembrava la cosa più semplice del mondo, mentre ora invece è un privilegio che mi è, giustamente, negato. Me lo sono negato da solo.

“Ciao” rispondo appena mi rendo conto di non averlo ancora fatto, affrettandomi a distogliere lo sguardo da lei e a rivolgerlo nuovamente alla fila di appendini che mi stanno di fronte. Ne prendo uno e ci sistemo sopra la mia giacca, l’ultima che mi rimane da mettere via. Cabine-armadio, appendini, aperitivi, case di campagna… nel genere di feste che frequento abitualmente, le giacche si lanciano sul primo letto che si trova, sperando che nessuno stronzo ci vomiti o ci vada a scopare sopra, si beve finché ce n’è e solo quando uno è bello pieno si va a razziare il frigorifero in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti, che in genere non c’è mai, ma poco importa, tanto si crolla subito dopo. Questo dovrebbe essere uno di quei piccoli segnali che ti fa capire che la tua vita sta cambiando, quelle piccole cose che fanno la differenza.

“C-come va?” mi domanda lei esitante.

“Bene. Sì, insomma, come ieri, tutto normale…” rispondere a una domanda così semplice diventa estremamente complicato nella mia posizione. Non posso dire di star bene, perché non è vero e perché sarebbe un po’ come dire che non me ne frega un cazzo di tutto quello che è successo tra noi; allo stesso tempo, non posso alludere in nessun modo al fatto di non stare bene, perché con che faccia potrei farlo? Con quale coraggio potrei lasciarle intendere di non essere esattamente in forma, di stare male? Io. Dopo quello che le ho fatto. Quante volte si risponde bene a un come stai, senza pensarci, senza pensare al vero significato della domanda e della risposta, ma in automatico, come dire salute dopo uno starnuto. Con Angie non mi capiterà mai più. E, per lo stesso motivo, mi risulta fisicamente impossibile chiedere a lei come sta. Ecco perché, dopo la risposta incerta, taccio e appendo la mia giacca nel guardaroba di fianco alle altre dei miei amici.

“Anch’io tutto ok, più o meno…” aggiunge lei, rispondendo alla domanda che non ho osato fare e c’è tutto un mondo racchiuso in quel più o meno.

A questo punto realizzo che non posso uscire dalla stanza senza guardarla, o comunque vederla di sfuggita, a meno di non chiudere gli occhi e avanzare a tentoni per raggiungere la maniglia della porta e scappare via, il più lontano possibile da lei, che ci sta proprio piantata di fronte. Perciò faccio un bel respiro e mi volto di nuovo, incrocio il suo sguardo a fatica, produco un’espressione tirata che non vuole essere né un sorriso né un broncio, ma che cerca di apparire il più neutrale e naturale possibile, e avanzo verso l’uscita.

“Vado” mormoro appena, a bocca praticamente chiusa, quando le sono vicino, ma lei si para davanti alla porta.

“Aspetta” mi dice, mentre anche lei non sa dove guardare.

“Che c’è?” chiedo perplesso, con gli occhi fissi sulla sua mano aggrappata alla maniglia.

“Ti… ti devo parlare”

“Ci siamo già detti tutto, Angie, non è necessario” non ho voglia di parlare ancora, né di starla a sentire, e la mia mente è tutta concentrata sulla ridotta distanza tra me e lei in questo istante. Devo andarmene di qui e nel farlo devo stare ben attento a non sfiorarla neanche di striscio.

“Ma-”

“Se vuoi che me ne vada devi solo dirlo, non ti preoccupare, io… io lo capisco” le lancio un’occhiata furtiva, giusto il tempo di vedere le sue guance leggermente arrossate.

“No, non è quello. Non devi andartene, non voglio…” sposta i capelli di lato con un gesto della mano e il loro profumo si insinua d’un tratto prepotentemente nelle mie narici.

“Cosa vuoi allora?” mi rendo conto che la domanda deve suonare un po’ brusca, ma il tono apparentemente irritato è dovuto semplicemente al nervosismo che provo nel trovarmi di nuovo così vicino a lei per la prima volta dopo quello che mi sembra un sacco di tempo.

“Volevo parlarti… parlarti di ieri”

“Non c’è niente da dire” l’ultima cosa che voglio è sentire Angela raccontare del suo Dave, come se lo spettacolo di ieri non fosse bastato. No, evidentemente per lei non è sufficiente e vuole torturarmi ancora un po’.

“Sì, invece”

“Cosa fai col tuo nuovo ragazzo sono affari tuoi, non ho voce in capitolo” più o meno consapevolmente sottolineo l’espressione nuovo ragazzo con una smorfia, mentre indietreggio.

“Dave non è il mio ragazzo, l’ho appena rivisto dopo due anni” risponde lei un po’ seccata.

“Non è affar mio, tu puoi fare quello che vuoi”

“Jerry…”

“Non devi certo rendere conto a me. Non più”

“Se è per questo, tu non l’hai mai fatto” ribatte con tono severo e quando alzo gli occhi su di lei mi accorgo che lo è anche il suo sguardo.

Colpito e affondato.

“Lo so,” ammetto mentre sento che la fronte mi si sta imperlando di sudore “ragione in più per farmi gli affari miei. Discorso chiuso”

“No, il discorso non è chiuso, perché non l’ho ancora iniziato”

“Qual è il problema? Ti ho detto che non è affar mio, vai col tuo Dave, vi faccio i mei più cari auguri!”

“Perché cazzo devi fare l’acido adesso?” chiede lei alzando leggermente la voce.

“Io non intendevo essere acido, ho soltanto detto che non sono cazzi miei e che non ho niente da dire. Cos’altro dovrei fare?”

“Magari lasciarmi parlare!” esclama lei alzando gli occhi al soffitto.

“Perché, non stai parlando?”

“Non mi permetti di dire quello che devo dire”

“Ok, avanti, spara, cosa c’è?”

“Ecco io…”

“Allora? Tu cosa? Vuoi la mia benedizione? Vuoi sentirmi dire che me lo sono meritato? O vuoi semplicemente chiedermi di non pestarlo a sangue quando lo vedo? L’ultima mi sembra la richiesta più sensata, anche perché la voglia di farlo fuori è-”

“Io… volevo chiederti scusa”

Sono lì lì per rifilare un pugno al muro alla mia destra per mimare con più efficacia quello che farei se mi trovassi di fronte la faccia di quel bastardo di un batterista, ma sono le parole di Angela a darmi un pugno allo stomaco.

“Che?”

“Ieri… salutando Dave mi sono lasciata scappare che il mio ex ragazzo era lì e-” inizia a spiegare, ma io nemmeno l’ascolto.

“Non ho capito bene, puoi ripetere?”

“Ho detto a Dave che al concerto c’era il mio ex”

“No… quello che hai detto prima”

“Scusa, Jerry, ti chiedo scusa…”

“Eh?”

Non può essere, non sta succedendo davvero.

“Per farla breve, quando vi abbiamo raggiunto, non so come, deve aver intercettato la tensione tra noi e ha capito subito che l’ex eri tu. Ecco perché ha fatto tutte quelle scene, pensava di farmi un favore…”

“Tu chiedi scusa a me?”

Non esiste, non può essere che Angie mi stia chiedendo scusa, perché se così fosse vorrebbe dire che è matta, matta da legare. Oppure il pazzo sono io, mi sono lasciato scappare questo gioiello come un coglione.

“Sì, perché… insomma, sul momento mi piaceva l’idea di farti soffrire un po’, ma poi… beh, poi ho pensato: che cazzo!”

“Che cazzo” ripeto a pappagallo, ancora incredulo.

“Sì, che cazzo! Ieri mattina ti faccio un discorso, un bel discorso pacificatore, civile e moderno, che mi è pure piaciuto. Poi la sera che faccio? Mi metto a limonare e fare la scema con uno davanti a te per farti un dispetto. Che cazzo!”

“Angie”

“Non è da me, io… io non sono così, non voglio che pensi che io sia così”

“Che ti importa cosa penso di te? Io non sono-”

“Mi importa… Forse non dovrebbe, ma mi importa… boh, non lo so, so solo che mi sono sentita una merda subito dopo e sento il bisogno di chiederti scusa”

Le importa… le importa! Le importa cosa penso, quindi le importa di me, almeno un pochino. Le importa ancora. O è uscita di testa.

“Cazzo, non scherziamo. Tu non mi devi scuse di nessun tipo, Angie”

“Invece sì. Solo perché tu mi hai fatto del male, non significa che ora mi sia concesso tutto, non implica che io abbia sempre ragione. Ho fatto una cosa che non è da me e mi scuso per questo”

“Lo capisci che ogni volta che pronunci la parola scusa io mi sento sempre più una merda, vero?”

“Lo immagino. Ma è quello che sento, mi dispiace” aggiunge abbassando lo sguardo sui suoi anfibi neri.

“Angie, non hai fatto niente di male o comunque niente di lontanamente paragonabile a quello che ho fatto io”

“Grazie al cazzo, quello lo so! E’ ovvio che quello che mi hai fatto è mille volte più grave, non serve nemmeno dirlo. Non è che con questa andiamo pari” alza di scatto la testa e mi guarda con una smorfia schifata.

“Lo so…”

“Ma ho sbagliato e ti chiedo scusa. Ora, puoi gentilmente prenderti queste mie scuse e basta, senza fare tante polemiche?”

“O-ok”

“Oh, sia ringraziato il cielo”

“Accetto le tue scuse”

“Beh… non era previsto che tu non le accettassi, insomma, era implicito”

“Certo! Era… ehm… era per concludere il discorso”

“Bene”

“Bene”

Ci guardiamo negli occhi per qualche secondo e ha tutta l’aria della sfida, una gara a chi resiste di più prima di distogliere lo sguardo. Vinco io, anche se non vinco niente. Non ancora almeno.

“Ora dovremmo… beh, penso che dovremmo uscire di qui” riprende lei mordendosi il labbro inferiore.

“Già” in un’altra situazione le avrei detto di smetterla di mangiarsi le labbra o altrimenti non mi sarebbe rimasto più niente da baciare.

“Esco prima io, tu aspetta cinque minuti e poi scendi”

“Beh, direi che a questo punto, potremmo anche uscire insieme, tanto ormai…” commento cercando di non suonare troppo amareggiato.

“Ormai?”

“Ormai non c’è più niente da nascondere, non credi?”

“Giusto, non c’è… non c’è più niente” annuisce lei, guardandomi di nuovo negli occhi. Quella parola, niente, aleggia su di noi e ci tiene sospesi, ognuno con lo sguardo perso negli occhi dell’altro, io nel tentativo di cercare nei suoi un segno tangibile, la prova che qualcosa è invece è rimasto, che la mia speranza non è vana, che se le interessa cosa penso di lei ci sarà un motivo, che mi vuole ancora bene, nonostante tutto. Lei? Non so, stavolta non riesco proprio a capirla, anche se, probabilmente, non l’ho mai capita fino in fondo.


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L’arrivo di Kelly, Susan e dei Soundgarden al completo mi dà la scusa perfetta per poter mollare Violet al flipper col pretesto di salutarli e tornare a respirare.

“Beh, ora che ci siamo tutti direi che possiamo cenare” Cameron si alza dal divano e si sfrega le mani.

“Perché, non avevamo già iniziato?” chiede Mike sollevando il piatto pieno di tartine che ha in mano.

“Questo è l’aperitivo, Mikey, dopo si mangia ancora” Jeff spiega come se parlasse a un bambino di due anni.

“Cazzo, a saperlo mi lasciavo un po’ di spazio”

“Di spazio ce n’è ancora, non temere, ti conosco!” Stone lo sbeffeggia, proprio mentre Angie riappare nella stanza, assieme a Jerry.

Non sono affari miei, Angie sa il fatto suo ed è chiaro che non vuole tornare con lui. E’ chiaro, vero? Comunque non sono affari miei.

Nancy apre la porta alla sinistra del caminetto e ci fa strada in un ambiente grande quanto quello in cui siamo stati finora: sul lato sinistro si trova una lunga tavola apparecchiata, un mobile bar piuttosto invitante, qualche quadro alla parete e poco altro; il lato opposto è occupato da chitarre di varia foggia, una batteria, un pianoforte a coda, un tavolo da biliardo, scaffali ricolmi di foto e premi, dischi d’oro, di platino o quello che è. Niente male questa casa. Violet ricompare magicamente al mio fianco proprio mentre prendo posto a tavola, fortunatamente finisco tra lei e Angie, almeno avrò anche modo di fare una conversazione decente tra una portata e l’altra.

“Arancia” le dico non appena si siede accanto a me.

“Mmh?”

“Sai di arancia”

“Ahah sì, è lo shampoo”

“Non l’ho sentito prima. Cioè, sì, però non avevo capito che veniva da te eheh”

E menomale che dovevo fare una conversazione decente. Angie sorride, poi si volta verso Meg alla sua destra e le due iniziano a parlare fitto fitto senza che io possa capire una sola parola.

“Sto morendo di fame, tu?” esclama Violet alla mia sinistra tirandomi per un braccio.

“Ma se di là non hai mangiato niente” le chiedo dubbioso.

“Non volevo rovinarmi l’appetito!”

“Va beh, cerca di resistere…”

“Mi mangerei anche il tavolo dalla fame che ho”

Certo, come no. Ha detto così anche l’altra sera in pizzeria, poi ne ha lasciata più di metà nel piatto, più tutto il bordo. Mi ricorda la battuta sulle mini-porzioni di patatine fatta da Angie la prima volta che l’ho vista da Roxy, quando per me era solo una cameriera buffa e non avevo idea che dopo quella sera ci avrei avuto ancora a che fare al di fuori della tavola calda, dove comunque intendevo senz’altro tornare.

Con la scusa del disco da girare, mi alzo dal mio posto e mi concedo qualche secondo di aria nell’altra stanza prima di tornare a tavola. Il cibo comincia finalmente ad arrivare, dando modo a Violet di tenere la bocca occupata almeno per un po’. La cena scorre in un’atmosfera rilassata e divertita, sebbene la “confezione” della serata sia piuttosto opulenta e sfarzosa, almeno per i miei gusti, Nancy e Cameron sono due tra le persone più alla mano che abbia mai conosciuto e il clima è decisamente informale e disteso. Durante la cena, Cameron ci accenna la trama generale del film che ha intenzione di girare e qualche idea per delle scene che ci riguarderebbero. L’idea di dover recitare non entusiasma tutti.

“Ma quindi, dovrei anche parlare?” domanda Cornell dopo essersi riempito il bicchiere di vino, rimanendo con la bottiglia a mezz’aria.

“Se vuoi sì, se no puoi anche esibirti e basta” spiega Crowe alzando le spalle.

“Voto decisamente per la seconda” risponde lui mettendo giù la bottiglia.

“Anch’io” rispondiamo più o meno tutti in coro.

“Io qualche battuta la dico volentieri” Stone interviene prima di mandare giù una forchettata di sformato.

“E figuriamoci” replica Jeff, seduto alla sua sinistra, dandogli una gomitata.

“Nessuno aveva alcun dubbio in proposito, ne sono certa” aggiunge Meg ridacchiando.

“Dopotutto Stone ha già esperienza nel campo, ha già fatto un film con Cameron… ah no, aspetta, ha tagliato la sua scena” Angie finge un attimo di smarrimento, sostituito da un sorrisone di scherno subito dopo.

“Taci, stronzetta” è l’inevitabile risposta di Stone.

“Ehi!”

“Anche Eddie potrebbe dire qualche battuta, lui ha già recitato!” Violet deve per forza aprire la bocca e interrompere la schermaglia, non coglie il mio disappunto nemmeno quando le rivolgo un’occhiata omicida, visto che lei risponde con un sorriso innocente.

“Davvero?” mi chiede il regista incuriosito.

“Già, davvero?” lo imita Angela.

“Non credo che le recite scolastiche valgano come esperienze da curriculum” dico con un’alzata di spalle, prima di tornare a fissare il piatto.

“Beh, dipende” commenta Crowe.

“E comunque non hai fatto solo que- AHI!” Violet insiste e, visto che le maniere delicate non funzionano, opto per un piccolo pestone sul suo piede. Molto piccolo, eh.

“Non sarà nulla di impegnativo, ragazzi, e fondamentalmente dovrete essere voi stessi” spiega Cameron cercando di tranquillizzarci.

“Noi stessi? Vuoi dire, anche Jeff? Sei sicuro?” chiede Stone sarcastico, indicando il suo compare con la forchetta, mentre Mike, seduto alla sua destra, se la ride assieme a Melanie.

“Vaffanculo, Stone” risponde prontamente il bassista.

“Soprattutto Jeff!” aggiunge Cameron ridendo “Il suo ruolo sarà fondamentale nel film”

“HA!” esclama Jeff in faccia al chitarrista, prima di rubare qualcosa dal suo piatto.

“Era proprio necessario pestarmi il piede, tesoro?” Violet sibila nel mio orecchio e io cerco di ignorare il tesoro.

“Scusa, ma parli troppo. Fatto male?”

“No, il piede sta bene. E anche le mie scarpe, che tra parentesi sono scarpe da cento dollari, ma se lo rifai ti ammazzo, intesi?” continua sottovoce, senza far sparire il sorriso dalla sua faccia nemmeno per un secondo. Mi fa quasi paura.

“Intesi, scusa” rispondo, mentre sono girato dall’altra parte, verso Angie che ride di gusto nel vedere Stone incazzarsi con Jeff per il suo vizio di infilare le mani nei piatti altrui.

“Si potrà assistere alle riprese? Almeno a quelle esterne? O sarà tutto a porte chiuse e off limits? Cioè, tu come lavori in genere?” domanda Angela dopo un po’.

“Traduzione: Angie può assistere alle riprese?” aggiunge Meg subito dopo, facendo l’occhiolino alla sua amica.

“Non… non intendevo affatto in quel senso! Cioè, è ovvio che mi piacerebbe, ma-”

“Certo che puoi assistere, Angie, non c’è nessun problema, avrai un pass per il set” Cameron concede il suo benestare, ma la faccia di Angela non accenna a tornare del suo colore naturale.

“Oddio, davvero? Grazie! Comunque, ehm, la mia non era una richiesta di un trattamento di favore, è solo che-”

“Lo so, stai studiando cinema, è ovvio che tu nutra una sana curiosità nei confronti di un set cinematografico, vai tranquilla, sarai mia ospite” continua il regista alzando il bicchiere verso di lei, gesto che lei imita imbarazzata, prima di accorgersi che il suo bicchiere è vuoto.

“Grazie” ripete mettendolo giù, in tempo perché io possa riempirglielo al volo e permetterle di fare questo mini-brindisi.

La cena continua e tra una portata e l’altra ce la prendiamo comoda, chi strimpella, chi fa due tiri a biliardo, chi se ne sta semplicemente a chiacchierare. Non posso fare a meno di notare gli scambi di sguardi tra Jerry e Angie nel corso di tutta la serata. Si stanno impegnando così tanto a ignorarsi che se continuano così si faranno scoprire, e non mi pare la maniera ideale di concludere l’anno. Il lato A del secondo disco termina proprio nel momento più opportuno, cioè quando Violet si avvicina al tavolo da biliardo dove stiamo giocando io e Sean.

“Torno subito!” esclamo allontanandomi speditamente.

Sono appena entrato nell’altra stanza del seminterrato quando sento partire Midnight rambler, non per magia, ma perché Angie ha appena provveduto a girare il disco.

“Ti ho battuto sul tempo” commenta col suo sorriso sghembo.

“Dì la verità, hai suggerito questo disco a Violet perché lo volevi tu”

“Ahahahah”

“Ammettilo”

“Ok, mi hai scoperta, è stato il mio piano fin dall’inizio”

“A proposito di piani, io ne ho uno. Vieni!” la prendo per mano e salgo velocemente le scale con lei.

“Dove stiamo andando?” chiede lei ridendo.

“A prendere il tuo regalo” le dico lasciandole la mano e aprendo la porta del guardaroba.

Mi aspetto di vederla dentro con me mentre recupero il mio zaino, ma quando alzo la testa la vedo ancora in piedi fuori dalla porta.

“Tutto ok?” le chiedo perplesso.

“Eh? Sì, certo! Prendi, ehm, anche la mia borsa?” Angie si risveglia dal suo improvviso torpore e io obbedisco alla sua richiesta, dopodiché le passo anche il giaccone, mentre esco dalla cabina-armadio indossando anche il mio.

“Tieni”

“Vuoi uscire?”

“Giusto qualche minuto” rispondo.

“Ok” Angie fa spallucce e si infila la giacca, prima di seguirmi fuori sul portico.

“Mi regali la mia roba?” le chiedo sarcastico, mentre sediamo l’uno accanto all’altra su uno dei divanetti, quando mi porge la mia camicia, quella che le ho prestato ieri.

“Il regalo è che te l’ho lavata e stirata. Senti che profumo!” Angela mi sbatte praticamente la camicia in faccia sghignazzando.

“Ahahah ok ok, grazie Angie.” recupero la mia camicia, per poi affondarci di nuovo la faccia, stavolta di mia iniziativa “Ora che ci penso, dubito che abbia mai profumato così”

“Visto? E’ un regalo coi fiocchi”

“Grazie. Ora tocca a me” apro lo zaino ed estraggo il pacchetto. Beh, oddio, pacchetto…

“Che cos’è? E’ grande!” commenta Angie mentre le porgo il quadro avvolto nella carta di giornale.

“Aprilo e lo scoprirai. E perdonami se la confezione è quello che è, non avevo carta da regalo” mi giustifico un po’ imbarazzato.

“Va benissimo, scherzi!” Angie comincia a grattare con l’unghia il nastro adesivo per aprire il regalo.

“E’ carta di giornale, puoi anche strapparla, sai?” le dico ironico, allungando le mani sul pacchetto, ma lei lo allontana da me di scatto.

“No! Mi piace aprire i regali, è la parte che mi piace di più, Cioè, ovviamente mi piacciono anche i regali, però mi piace particolarmente scartarli”

“Ma… allora perché dici sempre che non ti piacciono i regali?”

“Uff, dimenticavo che tu hai una buona memoria” sbuffa lei.

“Se non incominci a tenerlo a mente mi offendo, sono mesi che ci conosciamo. Comunque, perché?”

“Perché mi piacciono, ma non li voglio, non li pretendo. Specialmente quando c’è una ricorrenza che li richiede, che so, compleanno, Natale, eccetera… Non mi piace quando qualcuno si sente in dovere di farmi un regalo”

“Io non te l’ho fatto per una ricorrenza, ma solo perché mi andava” spiego e un sorriso si allarga di nuovo sulla sua faccia.

“Allora lasciami godere il momento” replica mentre si dedica a un altro pezzettino di scotch.

Una volta scartato tutto, lo osserva per quella che mi sembra un’eternità, con occhi indecifrabili. Probabilmente sta cercando di capire da che parte si guarda, quasi sicuramente starà pensando che una cagata così non l’ha mai vista, ma confido nella sua incapacità di dire qualcosa di brutto e nella sua tendenza a trovare del buono in qualsiasi cosa.

“Allora? Che ne pensi?” le chiedo quando comincio ad essere un po’ nervoso.

“Eddie…”

“La base è in legno, quindi male che vada può andare bene per il camino” commento indicando col pollice l’interno della casa.

“Smettila!” esclama dandomi uno spintone “E’ bellissimo”

Sapevo di poter contare sul suo buon cuore.

“Ti piace davvero?”

“Sì! Lo appenderò in camera” risponde non appena le sue dita trovano il gancio del quadretto.

Le ho regalato una delle mie sciocchezzuole, uno pseudo-collage fatto di alcune delle polaroid scattate a lei e a tutta la compagnia (evitando accuratamente quelle in cui compariva un certo qualcuno), ritagli di giornale, disegni fatti da me, frasi, cazzate.

“Basta che lo tieni appeso quando ti vengo a trovare, poi puoi rimetterlo sotto la gamba del tavolo che balla”

“Ahahah piantala, è stupendo! Ma quando ci hai messo a farlo?”

“Non molto”

“Oddio, quelli tutto attorno alla cornice sono ricci! Hai disegnato pure i ricci!”

“Non sono pagliacci però”

“Ma fa niente!”

“Strano, non ti ho ancora sentita massacrare le tue foto”

“Beh, per fortuna non ci sono solo io nelle polaroid, la mestizia passa in secondo piano”

“E’ un miracolo!”

“E’ un miracolo anche il fatto che Bela Lugosi sia vivo e in mezzo a me e Meg sul vostro van” commenta indicando uno dei punti del quadro di cui vado più fiero.

“Eh già, e adesso chi glielo dice ai Bauhaus?”

“E hai scritto il testo di Oh Carol su un tovagliolino di Roxy, la tua memoria mi spaventa!”

“Ok, ti avevo avvertito, ora sono ufficialmente offeso”

“Più che altro non capisco come fai a ricordare delle cose così piccole e stupide”

“Forse perché per me non sono così piccole… e per niente stupide…”

“No? Hai disegnato una scimmia con lo skate sulla maglia di Jeff”

“Beh, anche le cose stupide hanno il loro fascino” ammetto ridendo.

“La foto con te invece è circondata da muffin”

“Perché apprezzo molto le tue doti culinarie” e perché dolcezza è la prima parola che userei per descrivere il tempo assieme a te…

“Eddie, non so cosa dire, sono senza parole”

“Te ne suggerisco qualcuna: obbrobrio, schifo, puttanata…”

“Io pensavo più a qualcosa come uno dei regali più belli che io abbia mai ricevuto

“Guarda che se esageri non ci crede nessuno”

“E’ vero! A parte che è fatto benissimo, è geniale”

“Ripeto, se esageri-”

“La cosa più importante è che l’hai fatto tu. Cioè, non sei uscito a comprare semplicemente una cosa, ma l’hai creato tu, con le tue mani e la tua fantasia. Ci hai pensato, prima e durante la realizzazione, e ci hai dedicato del tempo. E’ come se… come se avessi dedicato del tempo a me”

“Leva il come se…”

“Hai pensato a me e… è fantastico. E invece io ti ho dato una macchina fotografica usata e la tua camicia”

“La polaroid me l’hai regalata per una cosa che avevo detto io, quindi anche tu ci hai dovuto pensare. E hai dedicato del tempo alla mia camicia, per lavarla e stirarla. Sento di poter affermare che anche tu mi hai dedicato tempo e cuore”

“Ma lavare e stirare non è arte”

“Vorrà dire che la prossima volta farai qualcosa di artistico, mmm, girerai un film su di me”

“Ahahah modesto!”

“Un kolossal, ovviamente”

“Grazie, Eddie. Davvero, non me l’aspettavo”

“Di niente”

Angela esita un po’, ma poi, un po’ goffamente, mi cinge le spalle e mi abbraccia. E sarebbe molto facile stringerla, allungare le mani o scostarmi leggermente da lei per baciarla. E non dico di non averci pensato.

“Arancia” mormoro mentre si stacca da me.

“Eheh sì, te l’ho già detto”

“Mi piace”

“Questo comunque lo metto via e lo lascio in guardaroba, non voglio rischiare che si rovini” Angie recupera la carta di giornale e la riavvolge attorno al quadro.

“Non lo fai vedere agli altri? Ammettilo, ti fa cagare”

“Non voglio che me lo sciupino, quando toccano le cose sono degli animali! Lo vedranno quando sarà al sicuro in casa mia”

“Appeso in bagno”

“Eddie, smettila di fare finta che non ti piaccia, non sei credibile. Sei talmente perfezionista che se non fossi stato sicuro al 100% di questo regalo non me l’avresti fatto vedere nemmeno da lontano”

“A quanto pare non sono l’unico a tenere a mente le cose” commento sinceramente sorpreso da come è riuscita a delineare un aspetto così importante del mio carattere in una frase.

“Ma il campione sei tu”

“Nah, non essere modesta”

“Scommettiamo?”

“Mio dio, Jeff, cosa ci fai lì dentro? Esci da questo corpo!” la prendo per le spalle e la scuoto energicamente, ma non troppo.

“Allora, la facciamo questa gara o no?” sbuffa appena la lascio andare.

“Che gara?”

“Una gara a chi tira fuori più cose dell’altro” spiega lei accendendosi una sigaretta e io faccio subito lo stesso.

“Ok, ci sto” accetto entusiasta.

“Disse l’uomo più competitivo del mondo. E sono già a 1. Tocca a te” incomincia e mi soffia il fumo in faccia.

“Non tirartela troppo, batterista di una band hardcore che fa cover dei Beastie Boys”

“Questo te l’ho detto poco tempo fa, il coefficiente di difficoltà è più basso” commenta lei accigliandosi un poco.

“Non è una gara di tuffi, Angie. Ed è un bene per te, considerando che non sai nuotare. 2 a 1” gioco subito pesante e stavolta è lei a beccarsi il fumo in faccia.

“Come cavolo fai a saperlo?! Io non te l’ho mai detto!” Angie mi fissa ad occhi spalancati, nonostante il fumo, che scaccia via con la mano.

“Non sei l’unica persona con cui parlo di te” ribatto e in questo caso mi riferisco a Jeff.

“Da fonti esterne non vale!”

“Vale”

“Ok, allora, se la metti così… perché hai baciato Violet?” mi chiede di punto in bianco e il fumo mi va quasi di traverso.

“Cazzo” scuoto la testa incredulo. L’ha raccontato a tutta Seattle?

“2 a 2, palla al centro” lei ride sommessamente, io faccio un bel respiro e cerco di trovare le parole giuste.

“Io… non lo so neanche il perché, cioè, lo so, ma è complicato e-”

“Eheh tranquillo, non mi devi rispondere, andiamo avanti, tocca a te”

“No, invece voglio risponderti”

“Eddie…”

“Non voglio che pensi che io sia uno squilibrato o, peggio, uno stronzo”

“Non lo penso, ma-”

“Io… come posso spiegarlo? Hai presente quando una relazione finisce e-”

“Sì, ho presente, fidati” mi interrompe subito lei dandomi delle piccole pacche sulla spalla.

“Finisce e l’altra persona ti manca. All’inizio però ti manca in senso astratto, forse anche perché non ti rendi conto, non realizzi subito. Poi comincia a mancarti in senso concreto”

“Concreto?”

“Sì, cominci a sentire l’assenza concreta della persona nella tua vita. Insomma, eri abituato ad avere le sue cose nel tuo armadio, a sentire la sua voce al telefono, uh, il suo profumo sul cuscino, trovare i suoi capelli in bagno… e poi più niente”

“Già… ma che c’entra?”

“C’entra, perché subito dopo subentra la terza fase, che è la mancanza fisica”

“Oh beh…” Angie, che mi fissa per tutto il tempo, distoglie lo sguardo imbarazzata e io capisco subito.

“Non in quel senso, non solo almeno. Eri abituato ad avere dei contatti fisici con la tua ragazza, al di là del sesso, allungavi la mano nel letto e sentivi la sua pelle, eri stanco e sapevi di poterti appoggiare sulla sua spalla, la sentivi avvicinarsi alle tue spalle e sapevi che di lì a poco avresti sentito le sue braccia stringersi attorno alla tua vita, bussavi alla sua porta e sapevi che dall’altra parte ti aspettava un bacio. E poi tutto finisce e ti senti così solo che vorresti abbracciare il vuoto o baciare il cuscino giusto per sentire qualcosa”

“Violet è il cuscino?” domanda lei guardandomi imbronciata.

“No! No, è che… lo so che è stupido, ma quando ti senti solo e una ragazza esteticamente gradevole si mostra particolarmente affettuosa… ecco… non è facile dire subito di no”

“Capito” risponde, ma dalla faccia non mi sembra affatto convinta.

“Ma poi l’ho detto, le ho detto di no. Mi sono pentito subito di quello che ho fatto. Le ho detto che non mi interessa in quel senso, che non voglio una storia con lei”

“E lei?”

“E lei ha capito, non mi sembrava neanche troppo dispiaciuta. A dire il vero non è che volesse una storia, mi ha fatto capire che le andava bene anche divertirsi, ma le ho spiegato che non mi interessava nemmeno quello. E ha capito”

“Il fatto che l’abbia detto non significa che le vada bene veramente, Eddie” ribatte lei scuotendo la testa.

“Eh?”

“Beh, a volte, quando ti piace molto qualcuno, sei disposto ad accettare delle cose che non ti vanno a genio pur di non perdere quella persona. Cioè, ti fai andare bene qualcosa che in realtà non ti va bene per niente, pensando che piano piano le cose potrebbero cambiare o giusto perché credi sia il massimo a cui puoi aspirare e che sia sempre meglio di niente” Angie è così lucida nella spiegazione che temo stia parlando per esperienza.

“Mi sa che devo parlarle”

“E poi una ragazza non spende tempo e soldi per uno che vuole solo portarsi a letto”

“Devo parlarle, assolutamente”

“Comunque, eravamo sul 2 a 2. Tocca a te, puoi vendicarti” Angie spegne la sigaretta nel posacenere sistemato sul divanetto in mezzo a noi e cambia velocemente discorso.

“Ok. Perché i ricci? So che la spiegazione è più lunga di Free bird dei Lynyrd Skynyrd, quindi se fossi in te comincerei a parlare subito, senza perdere tempo”

“Ahahah mi aspettavo tutt’altro”

“Il tempo corre!” esclamo picchiettando il dito sull’orologio che mi ha regalato Violet.

Parerga e paralipomena

“Prego?”

“Schopenhauer” aggiunge e sono io che mi aspettavo tutt’altro.

“Schopenhauer” ripeto e sono così spiazzato che non riesco neanche a dargli l’intonazione di una domanda.

“Lui. Cioè, io non sapevo che avesse a che fare con lui, insomma, avevo sei anni, non sapevo neanche chi cazzo fosse Schopenauer. E’ tutta colpa di Ray”

“Ray?” stavolta riesco a infilarci un punto interrogativo.

“Mio padre. Mio padre non era granché esperto di favole, ma visto che quando ero piccola mia madre non aveva uno studio e lavorava in ospedale, si trovava spesso a dovermi mettere a letto mentre lei faceva i turni di notte. Essendo io una gran rompicoglioni che non voleva dormire, si rendeva necessario raccontarmi qualcosa; allora, una volta esaurite quelle canoniche, quelle facili, Cappuccetto rosso, Biancaneve e compagnia bella, ha cominciato a raccontarmi altre cose come se fossero delle fiabe”

“Geniale”

“Sì, mi raccontava trame di film, storie di mitologia greca, episodi di Ai confini della realtà, partite di football, Woodstock”

“Woodstock??”

“Ovviamente solo gli aneddoti adatti a una bambina di quell’età”

“Tuo padre è stato a Woodstock?”

“Sì. Non chiedere. Comunque, una volta mi raccontò questa, per così dire, favola dei ricci che non potevano dormire” continua accendendosi un’altra sigaretta.

“Sono tutt’orecchi, mia regina”

“Va beh, parlava di questi ricci che-”

“Dai, raccontala bene!” la sprono mentre mi giro verso di lei, raggomitolandomi e appoggiando la testa allo schienale del divano.

“Mmm ok. Allora, c’erano una volta dei cazzo di ricci, che avevano freddo perché era una notte buia e tempestosa d’inverno. Allora i geni che fanno? Decidono di stringersi vicini vicini per scaldarsi a vicenda e non crepare trasformandosi in tanti ghiaccioli appuntiti”

“Tuo padre te la raccontava proprio così, scommetto”

“Beh, no, questa è la mia versione riveduta e corretta”

“Lo sapevo, ho riconosciuto lo stile”

“Vuoi sapere come va a finire o vuoi fare polemiche sullo stile della mia narrazione?”

“Continua”

“Allora, i riccetti si accoccolano uno accanto all’altro e per un po’ stanno bene, finché non si ricordano di essere dei ricci, quindi dotati di aculei”

“Si pungono” intervengo io, proprio come un bambino preso dal racconto.

“Esatto. Si pungono a vicenda, si fanno male. Resistono finché il dolore è sopportabile, dopodiché si allontanano feriti. Allora stanno lontani, ma poi tornano ad avere freddo. Resistono da soli finché il freddo non si fa troppo intenso, allora si riavvicinano di nuovo”

“E così via”

“Già. Questi poveri ricci sfigati vivono continuamente sballottati avanti e indietro tra i due mali, costretti a decidere di volta in volta quale sia quello minore, oppure a passare la loro esistenza a cercare la distanza ottimale da tenere tra loro per non soffrire troppo, ma allo stesso tempo senza riuscire a scaldarsi completamente come vorrebbero”

“Uhm…”

“Ed è a questo punto che interviene Madre Natura, che impietosita da questo vai e vieni dei ricci cosa fa? Gli fa un grande dono: il letargo”

“Il letargo?”

“I ricci accumulano cibo e calore durante la stagione calda, poi vanno in letargo, così non hanno bisogno di nessuno e possono vivere da asociali senza farsi male… almeno finché non si fanno investire dalla macchine in strada”

“Il dono definitivo”

“Probabilmente mio padre era convinto che conoscere la vita grama che conducevano queste povere bestiole avrebbe portato la mia mente di seienne a capire quanto fossi privilegiata ad avere una casa col riscaldamento e la possibilità di dormire. E che quindi avrei dormito”

“Sento che sta per arrivare un invece

“Invece ho solo cominciato a sviluppare una fissazione per questi animali, portandone anche a casa qualcuno, in modo che potessero usufruire del riscaldamento”

“Per la gioia dei tuoi, immagino”

“Non ne erano particolarmente entusiasti, ma non ne hanno mai fatto un dramma. Comunque, mi ricordo mio padre che sottolineava quanto fossi fortunata a non avere gli aculei sulla schiena, a potermi infilare nel lettone tra mamma e papà se avevo freddo o avevo fatto degli incubi senza rischiare di pungermi. E io pensavo che questo non era sempre vero, che quando la mamma lavorava papà dormiva da solo, stessa cosa quando litigavano seriamente, cosa che accadeva raramente, devo ammetterlo, e papà andava a dormire sul divano del suo studio. Pensavo che non sarebbe stato sempre così, che a quarant’anni non avrei certo potuto infilarmi nel lettone dei miei, che avrei dormito con mio marito… e se non lo avessi trovato? E se lo avessi trovato, ma avesse avuto sempre caldo? Se avessimo litigato più spesso di quanto non facessero i miei? Se avessi avuto problemi al riscaldamento? Insomma, ero giunta alla conclusione che anche le persone avevano gli aculei, solo che non si vedevano”

“Wow” è il mio commento, dopo aver ponderato in silenzio per alcuni istanti.

“Già, wow”

“E sei giunta a questa conclusione a sei anni?”

“Sì. A sei anni avevo già sintetizzato la condizione umana. Ho abbassato la cresta quando, crescendo, ho scoperto che l’aveva già fatto Schopenhauer, proprio col suo Dilemma del porcospino. Non avevo inventato niente”

“Angie sei… sei incredibile” non mi vengono in mente altri termini.

“Lo so, la mia vita è costellata di nonsense, a volte non ci credo nemmeno io”

“No, è che… solo con te si può partire da un pigiama e arrivare alla filosofia. Sei imprevedibile. E’ la cosa che apprezzo di più in te”

“Mmm posso usare questa tua dichiarazione shock per pareggiare con un 3 a 3?” mi chiede con il suo solito sorriso sghembo.

“No, non sarebbe leale. A meno che tu non mi dica quello che ti piace di me” torno a sedermi in maniera composta, ma rimanendo girato verso di lei.

“I denti, sicuramente. Te li invidio da morire. Quello e i capelli. E il talento. E il fatto che parli poco o comunque solo quando hai qualcosa da dire, non a caso e a sproposito come me” risponde e vorrei dirle che adoro quando parla a sproposito, ma non voglio calcare troppo la mano.

“Non so se sentirmi lusingato o incazzarmi perché stai vincendo 4 a 3”

“Dai, ti do la possibilità di pareggiare, prima di tornare giù” spegne la seconda sigaretta e si alza in piedi. Io non ho nessuna voglia di tornare giù, però. E non ho capito se devo elencare un’altra cosa che mi piace di lei o continuare col gioco di prima.

“Come finisce il tuo film?” opto per riprendere il gioco inziale e ricevo occhi al cielo e una risatina da parte di Angie.

“Beh, dai, se hai davvero una buona memoria, per esclusione dovresti esserci arrivato”

“Sì, ho capito che è il bacio, il primo bacio. La protagonista vuole cancellare quello. Ma perché? Cioè, la spiegazione che ne dai nel film qual è?”

“Nel film non c’era nessuna spiegazione, quella se la deve dare il pubblico. Cioè tu, perché, fatta eccezione per il mio insegnante, sei l’unico che ne sappia qualcosa, pur non avendolo visto materialmente, anche perché materialmente non esiste, se non sotto forma di racconto scritto”

“Ma la tua spiegazione qual è?” insisto, con un pizzico di soddisfazione nel sapere di essere uno degli unici.

“Scordatelo” borbotta ridacchiando.

“Dai!” la imploro mentre si allontana verso l’ingresso.

“Ci devi arrivare da solo”

“Perché vuole un primo bacio migliore! Insomma, vista la brutta esperienza”

“Mmm sei sulla strada giusta, ma no” risponde dall’interno della cabina-armadio, dove sta riponendo il quadro che le ho regalato e le nostre giacche.

“Daaaaaaaaaai”

“Il punto: è perché il bacio e non il sesso?”

“Appunto, perché?” ribadisco io mentre scendiamo le scale.

“Eh ci devi arrivare tu… buona fortuna”

“Angie”

“Dove cazzo eravate finiti? Se non vi muovete Mike e Stoney finiranno tutto. Giuro che non ho mai visto esseri umani così minuti mangiare e bere in quella maniera” Cornell appare sulla porta della sala ricreativa dove è in corso la cena proprio mentre io e Angie rientriamo.

“Non hai ancora visto me” ribatte Angie dandogli due pacche sul petto e superandolo per raggiungere gli altri al tavolo, lasciandomi senza risposte.

Torno a sedermi anch’io accanto a lei e accanto a Violet.

“Eccoti, finalmente. Ti davo già per disperso” commenta la bionda imbronciata.

“Sono uscito a prendere un po’ d’aria”

“Me lo potevi dire! Sarei venuta anch’io”

“Ma così facendo avresti consumato la mia aria” ribatto sardonico.

“Facciamo così, io consumo la tua aria e tu consumi le mie frittelle” Violet prende il suo piatto e me lo piazza davanti.

“Fammi indovinare: non hai più fame”

“Sì, ho mangiato come un porco, sono piena” risponde appoggiando la schiena all’indietro sulla sedia e tenendosi la pancia con le mani.

Il ricordo della battuta di Angie al nostro primo incontro ritorna così prepotente che comincio a ridere da solo come un imbecille.

“Cosa hai preso fuori oltre all’aria, Eddie?” domanda Violet guardandomi storto.

“Niente, niente, scusa” cerco di trattenermi, ma non ci riesco, allora mangio le frittelle sperando riescano a soffocare le mie risate.

“EDDIE, NO!!” Mike, appena tornato nel seminterrato, e suppongo venga dalla cucina, visto che ha un vassoio di dolci in mano, mi corre letteralmente incontro urlando.

“Che c’è?” gli chiedo, con ancora l’ultima frittella in mano, a mezz’aria, a metà strada verso la bocca.

“No, è che… ehm… erano le ultime, sono finite… ne volevo ancora” balbetta il chitarrista appoggiando il vassoio sul tavolo.

“Cristo, Mike, sei una fogna!” Cornell lo apostrofa così e gli lancia il tovagliolo.

“Con tutto il cibo che c’è volevi proprio le frittelle?” gli chiede Jeff, che sghignazza sulla spalla di Laura.

“Frittelle? Che frittelle? Dove sono?” domanda Stone, anche lui appena tornato, tutto trafelato.

“E’ arrivato l’altro morto di fame” commenta Kinney ridendo.

“Le ha mangiate Eddie. Le frittelle. Di Violet” Mike aggiorna subito l’altro chitarrista, che fa una faccia indecifrabile.

“Oh. Merda.” è il commento di Stone, che viene prontamente insultato come Mike per la sua ingordigia.

Non do alcun peso alla cosa, finché non sento qualcuno che mi picchietta sulla spalla. E’ proprio Stone.

“Ehm, Eddie, hai un minuto?”

“Sì, perché?”

“Devo… dobbiamo dirti una cosa” aggiunge e sul dobbiamo si volta alla sua destra, seguendo la direzione del suo sguardo vedo Mike in piedi sulla porta, con le mani in tasca.

“Ok”

“In privato”

  
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