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Autore: fuoritema    25/11/2014    1 recensioni
{69esimi Hunger Games; OCs; guerra; triste; un po' introspettiva}
***
Camminò a ritroso ancora e ancora, gli occhi aperti come per captare ogni singolo cambiamento del paesaggio, ma il fantasma continuava a incombere su di lui. Era alto quanto bastava per farlo sentire inquieto, perché ricordava – e ne era certo – che Volpe fosse ormai più bassa di lui. Forse la morte rendeva più alti o forse la sua mente gli stava giocando dei brutti scherzi. Il ragazzo strizzò gli occhi nuovamente, convenendo che la seconda ipotesi era la più probabile se non voleva cadere nel sovrannaturale.
"I fantasmi non esistono, idiota."
E i fantasmi non esistevano fino a prova contraria, ma gli Strateghi sì: tra tutte le diavolerie che potevano aver inventato per terrorizzare i Tributi, quella poteva benissimo essere la vincente.
***
I 68esimi Hunger Games visti da Tributi di distretti totalmente diversi. Una delle edizioni dimenticate, una delle edizioni che hanno troncato la vita a ventitré giovani. Perché ci sono giochi a cui è meglio non partecipare.
Mai.
Genere: Avventura, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi, Finnick Odair, Presidente Snow, Tributi edizioni passate, Vincitori Edizioni Passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'We are not iron children, our shields are shattered glass '
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(XIV)
Save our souls.
 
 
 


«S.O.S» rifletté Nat, stringendo il foglietto tra il pollice e l'indice della sua mano. Scosse l'albina, sventolandoglielo davanti. «Ho capito» esclamò, felice, e Raika si alzò con uno sbuffo. 
«Cosa hai capito?» sbadigliò dal suo sacco a pelo, gli occhi rivolti verso la parete ghiacciata che li nascondeva dagli altri Tributi. Mahinete si stropicciò gli occhi, aprendone solo uno per segnalare che era sveglia. Da quel che aveva capito il Tributo del dieci, l'albina non riusciva a svegliarsi con tanta velocità: aveva bisogno di stiracchiarsi, prima, e grugnire parole senza senso in una lingua incomprensibile per lui. “Antico dialetto del quattro. Lo stesso da cui proviene il mio nome, sai? Significa donna bianca favorita dagli spiriti. Ma-hi-neth” aveva scandito le parole con calma, perché parlava sempre troppo velocemente e altrimenti lui non l’avrebbe capita. Al contrario di Raika, Nat era riuscito a farsi un’idea dell’alleata: era una creatura marina, lei, dalla voce spumeggiante come il mare che Nat aveva tanto sognato di vedere. Eppure, con quei capelli bianchi, si mimetizzava perfettamente tra la neve dell'Arena. 
«Centouno per cinque fa cinquecentocinque – si mise a disegnare il numero sul pavimento ghiacciato con l'aiuto di un bastoncino – Se scrivo il cinque velocemente e arrotondando gli spigoli si tramuta senza alcun dubbio in S.O.S, che veniva utilizzato nell'antichità per indicare pericolo.»
«Favoriti nelle vicinanze» concluse Raika per lui. Il ragionamento era corretto, ma metteva in luce un grandissimo problema che sperava di affrontare quanto più tardi fosse possibile: i Favoriti. Erano rimasti in due, certo, eppure erano più forti, distruttivi ed agguerriti di qualsiasi Tributo dei distretti remoti. Delle macchine da guerra, pronte ad uccidere senza il minimo ripensamento. Raika guardò Mahinete, inarcando pensieroso un sopracciglio. Lei non era una Favorita, sebbene si fosse allenata per partecipare ai Giochi dalla tenera età di dieci anni. Era brava con quello spadino, certo, ma avrebbe potuto fare qualcosa contro un maschio grosso il triplo di lei, armato di mazza chiodata? Sì, avrebbe potuto implorare pietà per una morte indolore, e sperare che Golia le desse ascolto. 
L'inno della Capitale risuonò sulle pareti, facendo alzare al cielo gli occhi dei tre alleati.  
«Bene. Andiamo a prenderci l'arco» disse infine Raika, guardando il viso della ragazza del due sfumare sulla lastra ghiacciata del soffitto. Doveva ancora capire come esattamente riuscissero gli Strateghi a proiettare immagini sul ghiaccio, così distinte. Il ragazzo si lasciò cadere con la schiena poggiata contro un albero, notando che Mahinete si era messa proprio accanto al loro alleato del dieci. «Buona idea per farci uccidere» esclamò lei, mentre stringeva un lembo del sacco a pelo, tremando per il freddo. Raika le andò a poggiare una mano sulla spalla, e avrebbe fatto anche di più se lei non si fosse scostata bruscamente al suo tocco. 
«Li uccideremo.» “E poi ci dovremo separare” pensò, senza che le sue riflessioni si trasformassero in parole. 
«O loro uccideranno noi» fece Nat. «Lo vado a prendere io. È a me che serve un'arma.» Indicò con la mano la balestra di Raika e il fioretto di Mahinete, per poi guardare ansioso il soffitto come se, facendolo, gli sarebbe caduto davanti un paracadute argentato. 
«Non ti faccio andare da solo. Siamo una squadra: se va uno, vanno tutti.»
Il Tributo del nove sbuffò. Detestava quella parte del carattere di Mahinete: era troppo buona, troppo candida, troppo incosciente. Lui non ci avrebbe pensato due volte a lasciarlo andare da solo, mentre l'albina sprizzava lealtà da tutti i pori. Sembrava non essersi neppure resa conto che nei Giochi della Fame c'era un solo vincitore. “E sarebbe stata Neth. Di questo ne era certo.”
Lei era una Favorita: aveva tanti sponsor, una vita alle spalle e un'innata simpatia. Lui non aveva nulla di tutto ciò, solo un passato di fuoco e un presente di cadaveri. Forse la morte sarebbe stata una liberazione, perché tanto nessuno lo aspettava al distretto nove.  Doveva vincere Mahinete. Raika non aveva neppure pensato a cosa sarebbe successo in caso contrario. 
«Ha ragione. Veniamo con te» sbottò infine, vista la convinzione con cui aveva parlato l'albina. «Potremmo prenderci anche altra roba, da loro» sogghignò, caricandosi la balestra sulla spalle. «Sempre se non ci facciamo beccare.»
«Andiamo, Neth. Stai parlando con uno che è abituato a fare cose del genere» grugnì Raika, mentre l'albina gli rifilava un sorriso furbetto. «Ma non hai mai detto che le fai senza farti scoprire» ribatté. 
Il ragazzo le sorrise di rimando. «Altrimenti non sarei qui, no?» rispose, alludendo al fatto che lo avrebbero ammazzato, se avessero saputo che lui era uno della banda di ribelli del nove. “Però con 'Bekah non l'hanno fatto.” In realtà non aveva raccontato praticamente nulla a Mahinete della sua vita prima dei giochi: aveva capito da sola che non era uno socievole e che il suo “lavoro” nel distretto era topsecret. Come avesse scoperto che aveva a che fare con la ribellione, però, Raika non ne aveva la più pallida idea.
«Hai vinto.» Mahinete si alzò, ripiegando con rapidità il sacco a pelo e ficcandoselo nello zaino. «E hai anche un gran desiderio di morte» aggiunse, però non disse altro sulla stupidità di quell'idea. Raika gliene fu grato.
«Ci faremo uccidere. Vado solo io.» Nat frenò con un gesto della mano ogni protesta proveniente dall'albina, ma non aveva previsto che sarebbe stato il Tributo del nove a protestare. «Dato che sua maestà, la principessa Mahinete, ha deciso così, non ti è data la possibilità di opporti» disse con tono pomposo, mentre Neth rideva. Anche suo fratello Hito la chiamava così, a volte, e il suo sguardo si rabbuiò, pensando a quanto fosse lontana da casa. Milioni di miglia. Miliardi di leghe distante dal mare che avrebbe tanto voluto rivedere prima di morire.
«Va bene.» Nat guardò per terra, evidentemente seccato che gli altri si preoccupassero per lui.

 

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Nell’Arena le capitava spesso di pensare a Blu, quando non era impegnata pianificare i modi in cui avrebbe ucciso tutti gli altri Tributi. Passava ore con quelle idee in testa, impiegando la sua mente ad immaginare metodi per stanare la Sirenetta, sorrideva quando la Sigma nella sua mente la trapassava con una spada, mentre i suoi occhi diventavano vacui. Sorrideva soltanto. Poi mulinava la falce tra le mani, tagliando i rami circostanti come burro. Si preparava, e quando sarebbe stato il momento non avrebbe avuto alcun ripensamento. Il corpo dell’albina si sarebbe afflosciato tra le sue mani, “perché gli uomini erano solo sacchi di pelle e sangue” – le risuonarono in testa le parole del suo allenatore al distretto uno. Un solo affondo che fosse andato a segno e il contenuto si sarebbe rovesciato per terra, macchiandola di rosso. Poi si sarebbe chinata per ascoltare le sue ultime parole.
Non ci sarebbe stata alcuna possibilità di errore. Le immagini le passavano davanti con il ghiaccio a farle da schermo. Come quando alla TV rivedeva i Giochi passati, commentando sottovoce le mosse dei Tributi. Ricordava la scheletrica brunetta che, mulinando la spada, aveva trafitto un ragazzo molto più grande di lei; Finnick Odair e il suo tridente, di gran lunga il vincitore preferito dai Capitolini; Kyle Wave e la sua testa che volava, staccata dal suo corpo. E ripeteva i loro nomi, scolpiti nella sua memoria, i nomi di degli eroi che avevano combattuto e vinto  con gloria. A volte, quando passavano i servizi sui Giochi in TV – che, tra l'altro, commentavano in classe durante l'intervallo – le capitava di anticipare i nomi, facendo persino sorprendere gli insegnanti che li portavano in gita lì. Ricordava il giorno in cui sua madre si era spaventata, vedendo le sue bambole distrutte e soffici batuffoli di cotone che svolazzavano tutto intorno. “Giocano agli Hunger Games” aveva tentato di spiegare, ma la donna era scappata via senza dire una parola, con le mani sugli occhi stravolti. Non aveva mai capito perché. Suo padre si era persino complimentato con lei, chiedendole chi fosse la vincitrice. Di fronte a quella domanda, Sigma aveva sorriso orgogliosa. “Ha vinto lei” aveva spiegato, indicando una bambola con un braccio di pezza tagliato, che sembrava tutt’altro che felice. 
Era stato quando i suoi occhi erano ancora di colore diverso. Eterocromi, come li chiamava Cecil.
«A che pensi?»
«A come ucciderò la Sirenetta. A quali potrebbero essere le sue ultime parole» rispose al suo alleato, simulando la caduta che avrebbe compiuto il corpo della bambina, quando l’avrebbe trafitta. Golia le rivolse un’occhiata di assenso, affilando la sua spada con gesti attenti. Lo faceva spesso, ma non per il suo stesso obbiettivo. Lui voleva uccidere la puttanella, non l’albina.
«Secondo me dovresti pensare a nove. Lui è più pericoloso.»
«Quando vedrà come ridurrò la sua amichetta, si trasformerà in nient’altro che un bimbetto spaventato.»
Il moro annuì nuovamente e una goccia cadde sui capelli della ragazza, scendendole sugli occhi rivolti al soffitto. Pioveva anche all’interno, e Sigma detestava la pioggia. Era stata una mattina di pioggia quando l’avevano addormentata con il cloroformio, togliendole quello che la distingueva dagli altri. La diversità dei suoi occhi.
«Non ha la faccia di quello che diventa un marmocchio spaventa-to.»
«Nessuno ce l’ha, Golia.»
«Quello del dieci sì.»
«E più forte di quanto tu non creda, per essere scappato dal Minotauro.»
Un’altra goccia le cadde sugli occhi grigi e Sigma sbuffò, tirandosi una ciocca ribelle dietro l’orecchio.
«Forse hai ragione.»
«Forse? Ragione come te quando la tua amica è morta?»
La giovane inghiottì a vuoto, sforzandosi di non alzare la falce e tranciare la stupida testa di quell’idiota. Luxury era troppo piccola, eppure si era offerta lo stesso, aveva ottenuto lo stesso la stima di tutte quelle del suo corso ed era morta lo stesso. All’inizio. Era stato un brutto colpo, ma le quattordicenni non vincono i Giochi, anche se Favorite. “Ogni cosa a suo tempo“ le avevano ripetuto, ma lei voleva seguire le orme di Finnick Odair, che pur essendo stato estratto aveva vinto a quell’età. Così era morta, da soldato, da glorioso Tributo del distretto uno. Perché per la fama si sfida la sorte, si sanguina. “E si compiono stronzate che tutti considerano intelligenti” concluse Sigma nella sua testa. Quelle parole non vennero mai pronunciate. 
Si era offerta per capriccio, con l’idea di vendicarsi e sentire una folla adorante che urlava il suo nome. Non sarebbe stata dimenticata come Luxury: lei avrebbe vinto, senza se e senza ma. 
«No. Questa volta ho veramente ragione, Lia
Golia la fulminò con lo sguardo. Pensava si fosse dimenticata dell’incontro che avevano avuto uno dei primi giorni nell’Accademia, quando entrambi rivendicavano il loro diritto di allenarsi fuori orario, essendo figli di persone importanti. Quando lei aveva vinto. Il maschio dell’uno strinse i pugni. Quello era stato solo un piccolo, inutile incontro – in cui aveva perso – ma Sigma lo ricordava perfettamente.
L’ennesima goccia le bagnò i capelli, lei sbuffò e Golia le fece cenno di tacere.
«C’è qualcuno» mormorò, impugnando l’elsa della spada.
«Un qualcuno come la marmocchia?» chiese lei, inumidendosi le labbra. Di tutta risposta, si sentì rumore di ghiaccio spezzato, calpestato. Un fendente colpì il ragazzo di striscio, poi si scatenò l’Inferno. 
Mahinete.
Sigma sorrise e si lanciò contro di lei. Da quando in quando erano diventati tre? Si maledisse mentalmente quando il suo primo colpo non andò a segno, poi menò un affondo laterale, in basso. Un urlo di dolore, quello sbagliato. Tutto le rimbombava nella testa, una confusione che neppure durante gli Allenamenti che finivano con una rissa avrebbe potuto superare. Fu allora che l’acqua li sommerse, qua e là macchiata di sangue, e nove scappò in un cunicolo. Con l’albina. L’altro giovane era già sparito, trascinato dai flutti verso il lato opposto.
Sigma rimase sola: c’era solo lei.  E l’acqua.


 
 

Angolino dell’Autrice:
 
Comincio chiedendo scusa a tutti per il tempo che è passato senza che aggiornassi o dessi segno di volerlo fare, anche perché il capitolo era già pronto ma non mi soddisfaceva neppure un po'. Ieri l'ho ripreso in mano, aggiungendo parti e tagliandone altre, e alla fine ho deciso di metterlo. Devo finire questa storia – lo voglio con tutta me stessa – e mi sono forzata per continuarla. Il fatto è che ho in mente tanti SPIN-OFF e non voglio spoilerare il Vincitore. Sarebbe una sconfitta, per me. Quindi mi scuso tanto se non mi sono fatta sentire per più di due mesi. 
Come avrete visto, i miei tre piccoli alleati si sono legati abbastanza l'uno all'altro e Neth ha delle strane manie suicide, considerando che Nat gliel'aveva detto che doveva andarci da solo a prendere l'arco. Raika, dall'altra parte, è un cattivone egoista e invidioso dell'amicizia che si sta formando tra i due con la “N”. In realtà ha solo paura che l'albina si affezioni troppo a dieci, e quindi risulta un po' apatico nei suoi confronti. E sbuffa quando paralno insieme xD
Per il titolo mi ci è voluto fin troppo tempo. Non ha solo significato seguendo il messaggio di Elise, la Mentore di Nat, ma anche pensando a cosa li stanno constringendo a fare. Forse è eccessivo, ma io sono fatta così e il vero significato mi piace troppo <3
Ora mi dileguo, ché devo uscire e non posso far aspettare a mia madre altro tempo. Vi lascio alle vostre conclusioni, cari lettori *saluta con la zampa*

Talking Cricket 
  
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