Gli ABBA sono un gruppo pop svedese che ha avuto il massimo picco di popolarità negli anni Settanta; sono rimasti famosi anche per il loro look assurdo: stivali trampolati, spalline stra-imbottite, lustrini ovunque e pettinature cotonatissime. Come dire. *Non* erano un simbolo di sobrietà e finezza. XD
Il cheesecake, oltre ad essere un popolare dolce inglese, è una delle mie torte preferite; mi viene anche bene, quando lo preparo; sebbene per ora non lo possa mangiare, visto che devo fare una dieta senza lattosio per risolvere alcuni problemi di salute. Appunto da questa dieta è nata l'idea della storia che state leggendo. Non che a voi importi, se io posso mangiare il cheesecake o no. Ma questo è il mio spazio delle note, e voi ve le dovete sorbire. Ha-ha. *Si frega le mani* Le note mi danno il pooteeere. XD
Evelyn correva come il vento verso il suo posto di lavoro, mangiando una ciambella alla crema di limone.
Un’altra ragazza si sarebbe preoccupata di spettinarsi, correndo a quel modo, ma la sua acconciatura non poteva che migliorare.
Arrivò davanti alla porta senza fiato, con la testa che pareva cotonata, gonfia quanto un dirigibile. Poteva sembrare uno degli ABBA... Se nel millenovecentocinquantatrè si fosse saputo chi erano gli ABBA.
Cercò di appiattirsi quei terribili capelli con la mano, riuscendo solo a impiastricciarli di zucchero a velo.
Si specchiò nel vetro di una finestra. Sembrava uno stecchino di zucchero filato.
Sbuffò.
Aprì la porta e stava per entrare, quando un suono cristallino la indusse a voltarsi.
Qualcuno suonava il campanello di una bicicletta, e una ragazza rideva.
Evelyn vide, sulla strada, arrivare una bicicletta, che sbandava e zigzagava.
La guidava un ragazzo dalle gambe lunghe.
Sul manubrio stava seduta Merry, in equilibrio precario, che rideva e si teneva stretta. I capelli le si arricciavano intorno alle tempie per il vento; teneva la gonna ripiegata sotto le gambe, per non farla finire nei raggi della ruota anteriore.
Il ciclista suonava il campanello per farla ridere; Evelyn non riuscì a vederlo bene in viso, perché Merry gli stava proprio davanti.
Gli sembrava di conoscerlo, però.
Quando furono molto vicini, Evelyn si nascose dietro alla porta, e li spiò da lì.
Nel frattempo, si leccò lo zucchero dalle dita.
Hmmm. Ciambelle.
Doveva ricordarsi di comprarne un’altra, prima di tornare a casa.
Giusto nel caso in cui il cibo dovesse essere improvvisamente razionato, e lei e la zia rimanessero senza nulla da mangiare.
Bisogna essere previdenti.
A tale scopo, aveva già riempito il comodino di noccioline tostate e barrette di cioccolata.
Non per farci qualche spuntino notturno, beninteso.
Nel caso razionassero il cibo.
Tornò a concentrarsi sull’amica e sul suo misterioso cavaliere. Avevano frenato con grande stridio di gomme, e Merry aveva lanciato un gridolino, divertita e spaventata per la repentinità con cui si erano fermati. Oscillò: la forza d’inerzia l’aveva quasi fatta cadere.
Dalla sua postazione, Evelyn riusciva a vedere solo i capelli folti e scuri del giovane, e la ruota anteriore della bicicletta.
Dannazione.
Non che fosse curiosa. Lo faceva per il suo bene.
Beh. Più o meno.
“Grazie del passaggio”, stava dicendo Merry, con voce allegra.
Il suo accompagnatore rispose qualcosa a voce bassa, che Evelyn non riuscì a cogliere.
Merry rise. “Ci vediamo stasera”, disse, a mo’ di saluto.
Evelyn la vide salutare il ragazzo sventolando la mano.
Si affrettò a correre a sedersi alla sua postazione.
Quando Merry entrò, rossa e arruffata, Evelyn cercò di salutarla con un tono di voce che fosse il più naturale possibile.
“Ciao, Merry”, squittì infatti, diventando tutta rossa e facendo cadere la borsetta. Voltandosi di scatto verso il pannello, sbattè la fronte contro il supporto per le cuffie.
“Ahi!”, esclamò.
“Tutto a posto?”, le chiese Merry, spalancando gli occhi.
“Oh, sì, tutto a fusto, oddio, no, volevo dire, bellimbusto, cioè, intendevo, hai buon gusto, no-no-no, non è questo che volevo dire…”
Merry la guardava, con l’aria di pensare che la botta in testa fosse stata più dannosa del previsto.
Evelyn chiuse gli occhi e respirò a fondo.
“Sto bene, grazie”, disse. “Tutto ok.”
“Se lo dici tu”, rispose Merry, dubbiosa. “Durante la pausa-pranzo ti vorrei parlare di una cosa, se hai un minuto di tempo.”
“Ma certo, volentieri. Sono sempre pronta a parlare delle tue bravate, uh, no, frenate, cioè, scampanellate, uh, no-o-o!”
Respirò a fondo di nuovo.
“Faccende.” Scandì. "Private."
Sospirò. "Volevo dire, faccende private. Le tue. Faccende private. Se ti va.”
“Certo”, disse Merry, in tono incerto, le sopracciglia inarcate. Le lanciò un’occhiata perplessa, mentre si sedeva alla sua postazione.
Quando suonò la campana del pranzo, Evelyn si sentì prendere lo stomaco da una sensazione strana. Avvertì come un peso, un senso di costrizione e insieme di vuoto.
Sembrava che una mano gigantesca le stesse strizzando le budella.
“Cathy”, chiamò a voce bassa, sporgendosi verso la compagna che stava estraendo un sandwich dalla borsa.
“Sì, cara?”
“Se una persona prova un bruciore terribile qui”, e indicò il plesso solare. “E sente come un tremendo vuoto nello stomaco, vuol dire che è molto nervosa per qualcosa? Per esempio, perché deve parlare ad un’amica a cui vuole bene, che però ha visto fare qualcosa che non si aspettava di vederle fare, cioè, non qualcosa di male, solo qualcosa che non immaginava lei facesse, voglio dire, non che questo qualcosa sia vietato, però non si aspettava che lo facesse, e insomma, dicevo, non può dirglielo, intendo la persona all’amica, perché l’amica non sa che lei sa, e se lei sapesse che lei sa, forse si arrabbierebbe?”
Cathy la fissò.
“No. Vuol dire che non ha fatto colazione.”
“Oh!”, in effetti, quella mattina, Evelyn aveva mangiato solo una ciambella. Poi, distratta dall’episodio di quella mattina, si era dimenticata di fare merenda a metà mattina.
Pensò allegramente che, allora, nel sacchetto doveva esserci ancora una fetta di cheesecake ai mirtilli.
Hmmm. Cheesecake.