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Autore: LadyRealgar    26/11/2014    3 recensioni
Chiara strinse i pugni, desiderando di essere più alta dei suoi 156 cm e di avere un qualunque oggetto da lanciare su quei mascalzoni, cancellando i sorrisi idioti dalle loro brutte facce. Sentiva la rabbia e la vergogna crescere nel cuore e salirle fino alla gola, finché non esplose in un grido: -Dove diavolo mi trovo?
-Ad Asgard!- rispose una voce maschile in lontananza, molto più calda e ferma di quelle delle due guardie, al cui suono erano balzate sull’attenti e (finalmente) si erano zittite.
Premetto che questo è il primo racconto steso di mio pugno che rendo pubblico e spero davvero che questa storia possa far vivere a chi la legge delle belle emozioni.
Attenzione: nel corso della narrazione vi saranno spoilers per coloro che non hanno visto Thor: the Dark World, dato che i fatti qui descritti sono ambientati dopo gli eventi illustrati dal film.
Vi auguro una buona lettura. Lady Realgar
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Odino, Thor, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chiara si alzò di scatto a sedere, quasi fosse stata punta da una vespa, e si voltò in direzione della voce.

Quello che vide fu un uomo, molto alto e magro, con capelli corvini lunghi fino alle spalle, accuratamente spazzolati all’indietro, e grandi occhi verdi, freddi come il ghiaccio.

Se ne stava lì, a poco più di tre metri da lei, in piedi, con le mani dietro la schiena e un mezzo sorriso disegnato sulle labbra sottili.  Sembrava essere piuttosto giovane, ma dal suo sguardo traspariva un’intelligenza e un acume che andavano ben al di là della giovane età.

-Come hai fatto ad entrare?- domandò Chiara.

-Domanda intelligente- rispose lui - perché ti aspetti che, da dove sono entrato io, tu possa uscire, ma temo di doverti deludere. Sono entrato nell’esatto momento in cui sei entrata tu e nello stesso identico modo.

-Cosa significa?- chiese Chiara – ero da sola quando mi hanno riportata qui. Non c’era nessun altro.

L’uomo non rispose, ma si limitò ad osservarla come un oggetto interessante trovato su una bancarella del mercato, analizzando ogni suo aspetto e valutandone il prezzo.

A Chiara non piacque per niente il silenzio che si era venuto a creare, così riprese la conversazione chiedendo: -Chi sei?

-Oh, dovresti saperlo!- rispose l’uomo, beffardo – In fondo, io sono  parte di te.

Chiara rimase senza parole, quella giornata stava diventando davvero troppo insostenibile per lei ed era stufa degli indovinelli di quell’individuo.

-Dimmi chi sei e senza giri di parole!- esplose alla fine.

-Io sono la tua paura- ribatté l’uomo, accompagnando quelle parole con un agghiacciante sorriso a denti scoperti.

-Ok, ora basta con questa storia!- sbottò la ragazza infuriata, alzandosi e avvicinandosi all’individuo, finché non l’ebbe a pochi centimetri da sé.

-Non so chi tu sia né perché mi stai dicendo questo, ma se sei venuto per infastidirmi è meglio che ti levi dalle … - non riuscì a finire la frase perché, nel tentativo di dare uno spintone allo sconosciuto, si accorse che le sue mani non solo non riuscivano a toccarlo, ma addirittura gli attraversavano il petto da parte a parte.

Sorpresa e disgustata, le ritrasse subito e si allontanò dallo strano uomo, che sbuffò impaziente.

-Visto?- disse alla fine con un velo di impazienza -Niente tatto. Sono un’immagine della tua testa, non puoi scacciarmi così facilmente.

Chiara rimase per un attimo in silenzio, cercando di darsi una spiegazione logica a quello che era appena successo, ma invano. Decise, dunque, che avrebbe mantenuto quel minimo di dignità che le rimaneva: non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa, stavolta.

-Come fai a dire di essere la mia paura? Sei inquietante, questo è vero, ma non mi spaventi!- lo sfidò, cercando di assumere un’espressione risoluta in viso.

-Oh, tu dici?- il sorriso dell’uomo si fece più ampio -Eppure stai tremando!

Era vero: le caviglie e i polsi di Chiara erano in preda a dei tremori incontrollati, così la ragazza dovette sedersi sulla branda, cercando di placare o, almeno, di celare quell’involontaria reazione.

Poi l’uomo riprese: -Conosco tutte le tue paure, quelle che ti hanno accompagnata per la tua intera vita, dall’infanzia fino ad oggi. La paura del buio, quando i tuoi genitori ti mettevano a dormire e chiudevano la porta della tua stanza; la paura di annegare, quando andavi al mare in vacanza con la tua famiglia; la paura di perdere le attenzioni dei tuoi parenti quando è nato tuo fratello. Oh, quanto mi sono divertito con quest’ultima!

La ragazza cercò di ribattere qualcosa, ma lui glielo impedì, proseguendo implacabile il suo elenco: - Poi sei cresciuta e hai cominciato ad avere paura di non essere abbastanza bella, intelligente e spiritosa per piacere a qualcuno e da qui nacque la tua paura del rifiuto e della solitudine. Glorioso nutrimento per me, che mi sono saziato per vent’anni! Ed eccoti qui, oggi, tutta sola, così lontana da casa, con la paura di morire dentro questa insignificante cella, sprecando la tua vita nel nulla. Ora dimmi, mi temi?

Chiara alzò lo sguardo sull’uomo e provò l’impulso di picchiarlo, di cancellargli quel sorriso malevolo dalla faccia, ma sapeva che non avrebbe portato a niente, così rispose: -No! Non ho paura di te! Mi spaventa di più la possibilità di essere impazzita e di avere le visioni, ma TU non mi fai paura!

Il sorriso dell’uomo svanì e al suo posto comparve un’espressione incuriosita, come se non si fosse aspettato una simile risposta. Chiara si sentì soddisfatta e ricambiò il suo sguardo, con aria di sfida.

-Sciocca ragazza- l’apostrofò l’uomo - Non immagini nemmeno con chi hai a che fare.

-Hai detto di essere la mia paura, giusto?- rispose Chiara, offesa da quell’insulto -Ho convissuto tutta la vita con le mie paure e posso farlo anche con te! E comunque non fai più paura di quanto non me ne faccia lo stare rinchiusa qua dentro.

Gli occhi verdi dell’uomo si contrassero a fessura e le ombre sugli zigomi sporgenti si fecero più marcate. L’aveva fatto arrabbiare, ma ormai era fatta e Chiara non aveva intenzione di farsi sottomettere da un’immagine creata dalla sua testa.

Alla fine l’uomo scoppiò in una risata tale da farle congelare il sangue nelle vene e svanì, esattamente come era comparso: nel nulla.

Chiara trasse un sospiro e, coricatasi sulla branda, pensò che, se avesse continuato a suscitare così assiduamente l’ilarità della gente, ben presto l’avrebbero assunta come giullare di corte.

-Sempre meglio che starmene rinchiusa in gabbia- sussurrò la ragazza prima di addormentarsi.

La notte che seguì fu agitata: forse a causa degli eventi della giornata o forse perché quella brandina era maledettamente scomoda, i suoi sogni furono movimentati.

Sognò la propria casa nella campagna silenziosa che per anni aveva odiato, ma che, in quel momento, rappresentava l’unico posto in cui avrebbe desiderato trovarsi.

Era davanti alla porta d’ingresso socchiusa e si domandò se all’interno ci fosse qualcuno, così allungò la mano e la spalancò.

Oltre la soglia l’ingresso, il salotto e la cucina, solitamente in perfetto ordine, erano stati messi a soqquadro: i cuscini del divano erano stati strappati, le ante dei mobili erano state sfondate, la televisione giaceva al suolo in mille pezzi e l’imbottitura del divano era sparsa in ogni dove. La cucina non era messa meglio: il tavolo di legno era ridotto ad un ammasso di schegge, i cocci dei piatti coprivano il pavimento come un tappeto e i fornelli erano accesi a fiamma alta, mentre dal lavandino schizzava un forte getto d’acqua.

Perché era tutto sottosopra? Cos’era successo? Mamma e papà dov’erano? Sapevano di tutto ciò?

Corse verso le scale per verificare se la situazione fosse la stessa anche nelle camere da letto, ma, sull’ultimo gradino, vi trovò una figura scura. In un primo momento a Chiara sembrò che fosse un bambino, ma, osservandolo meglio, vide che era troppo alto per essere in età puerile e in una mano stringeva uno scettro dorato. Le sembrò anche di scorgere un paio di lunghe corna arcuate, ma furono i suoi occhi ad atterrirla: il sinistro brillava di un’intensa luce verde, mentre il destro aveva un profondo colore scarlatto.

Le sembrò di sentire una risata, mentre da una stanza una donna urlò.

-Mamma!- gridò la ragazza, salendo le scale il più velocemente possibile, ma inutilmente: sebbene corresse alla maggiore velocità consentitale dalle sue gambe, era come se non si muovesse di un solo passo. La figura era sempre alla stessa distanza e continuava a fissarla, ridendo di gusto.

All’improvviso lo scenario cambiò e la ragazza si ritrovò in un ambiente freddo e ostile. Il vento soffiava forte, ululando attraverso le complicate architetture create dal ghiaccio. Tutto intorno era gelo e oscurità, ma il freddo non sembrava lambirle la pelle, né il vento toccarla.

Chiara si guardò intorno, cercando di scorgere qualcuno che potesse aiutarla a tornare a casa, ma non vide alcun segno di vita. Solo tanto ghiaccio e tanta oscurità.

Ad un tratto sentì delle voci in lontananza e scorse del movimento in un punto lontano dell’orizzonte.

Cominciò ad avvicinarsi e, ad ogni passo, le parve di distinguere più chiaramente i suoni, che ora non erano solo voci, ma anche ruggiti, rumori metallici e tonfi di colluttazione.

Non riusciva a distinguere bene le forme, ma le sembrò che fosse in corso una battaglia, poi, all’improvviso, una colonna di luce scese dal cielo e, in pochi minuti, il movimento e i rumori svanirono.

Non le interessava nulla di quello che era capitato, tra chi fosse avvenuto lo scontro, né tantomeno da dove venisse quella strana colonna di luce. Voleva tornare a casa: sentiva che era successo qualcosa di terribile e voleva sapere che cosa.

Continuò a vagare nel ghiaccio, cercando disperatamente una strada, un cartello o qualunque cosa che avrebbe potuto riportarla a casa sua.

Fu una ricerca vana.

Non vi era alcun segno di civiltà tra i ghiacci e il corpo della ragazza si stava facendo stanco e pesante. Decise di fermarsi e riposare un po’, ma temeva che, così facendo, qualcuno l’avrebbe trovata e difficilmente sarebbe stato ben disposto nei suoi confronti. Però era così stanca …

Poi il vento trasportò un suono, come una sorta di lamento.

-Dimmelo!- urlava la voce, svanendo poi come un’eco nel vento.

-Cosa devo dirti?- chiese la ragazza, accucciandosi nella neve, stremata. -Cosa vuoi che dica?- continuò a domandare Chiara, la cui voce ora era poco più di un sussurro.

Un rumore improvviso la fece svegliare di soprassalto: una delle guardie aveva battuto la propria lancia contro il pannello, mentre l’altra si apprestava ad aprire la cella.

Chiara si strofinò gli occhi stanchi e si alzò in piedi, cercando di riprendersi dal torpore del sonno.

Il pannello scomparve e la guardia pose sul pavimento della cella un catino d’acqua e un sacchetto di stoffa lurida. Dal rumore che produsse nell’entrare a contatto con il suolo, Chiara capì che conteneva qualcosa, ma l’espressione minacciosa sul viso della guardia le fece capire che avrebbe dovuto aspettare la chiusura della cella prima di poterne scoprire il contenuto.

Così attese pazientemente che l’uomo avesse finito il suo compito e avesse fatto riapparire il pannello, poi si avvicinò al sacchetto e lo aprì: al suo interno vi erano un tozzo di pane, un bicchiere di peltro, un cucchiaio di stagno e un barattolo sigillato accuratamente.

Chiara diede uno sguardo alle altre celle e notò che anche gli altri detenuti avevano ricevuto lo stesso sacchetto con il medesimo contenuto e il catino.

“Evidentemente è l’ora della distribuzione del pasto” pensò Chiara, rendendosi improvvisamente conto di avere una gran fame.

Spezzò, dunque, il pane e ne mangiò un primo boccone, mentre con l’altra mano svitava il tappo del barattolo. L’odore che ne uscì le fece chiudere improvvisamente la bocca dello stomaco: era una misto di cavolo rancido, uova marce e un altro odore (per niente gradevole) che Chiara non riuscì, né volle,  distinguere.

In preda alla nausea, si affrettò a chiudere il barattolo e ad allontanarlo il più possibile da sé.

-Maledizione!- imprecò tra i denti la ragazza -Siamo in un cavolo di palazzo reale con sala del trono tappezzata d’oro e non riescono a fare un pasto commestibile?!

Finì di mangiare il suo pezzo di pane e, per nulla soddisfatta della colazione, andò al catino per riempire il bicchiere e placare, se non la fame, almeno la sete.

Immerse il bicchiere nell’acqua limpida e lasciò che il liquido le rinfrescasse la gola.

Quando si fu dissetata, il suo sguardo cadde sui jeans e sulla maglietta che indossava e notò che erano molto impolverati e sporchi di terra, inoltre all’altezza del ginocchio sinistro, il tessuto era stato squarciato e vi si poteva vedere attraverso la pelle chiara sopra la rotula.

“Direi che sia il caso di darmi una sistemata o, oltre ad essere una galeotta, avrò pure l’aspetto di un senzatetto” pensò Chiara e si sporse sul catino per raccogliere un po’ d’acqua per il viso.

La superficie dell’acqua le restituì il suo riflesso e un sospiro uscì dalle labbra della ragazza: i capelli castani erano tremendamente scompigliati, il viso tondo era impolverato e sudicio e, all’altezza dello zigomo destro, vi era un piccolo taglio con del sangue raggrumato.

-Grandioso!- bisbigliò la ragazza, prendendo nel palmo delle mani un po’ d’acqua e sfregandosi energicamente il viso.

Quando riportò lo sguardo sul catino, per poco non le venne un infarto: le sembrò, infatti, che l’immagine riflessa sulla superficie del liquido non fosse la sua, ma piuttosto quella, ghignante, dello strano uomo della sera precedente.

Fu un lampo e poi l’acqua tornò a riflettere il suo solito viso (sebbene con un’espressione piuttosto sconcertata).

Si guardò nervosamente intorno, ma non le parve di scorgere nulla di insolito all’interno della piccola cella.

-Stai cercando di farmi prendere un colpo?- domandò Chiara ad alta voce, ma senza ricevere alcuna risposta, se non un grugnito da parte del mostro dagli occhi cremisi nella cella di fronte.

-Buongiorno anche a te, caro vicino- gli si rivolse Chiara, che ricevette, in tutta risposta, un altro grugnito accompagnato da uno sguardo torvo.

-Disgustoso, il pasto, non è vero?- continuò la ragazza –Spero non siano tutti così. Sai, quand’ero a casa mia avevo la fortuna di avere una famiglia di cuochi provetti e ogni giorno sulla tavola c’era qualcosa di buono. Mia madre cucinava dell’ottimo tacchino accompagnato da una purea di carote, mentre mio nonno era favoloso nel preparare la pasta fatta in casa. Dal canto mio, come cuoca ho sempre fatto pena, ma nessuno sapeva mangiare come me!

Molto probabilmente quella creatura non capiva una parola di quello che stava dicendo, ma sembrava ascoltarla, in qualche modo: si era seduto sulla sua branda e la osservava, mangiando lentamente la brodaglia nel barattolo.

Incoraggiata da quell’inaspettato pubblico, Chiara continuò a parlare: -Ora invece mi trovo come Dantes nel Conte di Montecristo: sono in prigione senza sapere come sia potuto accadere e, per di più, non vedo da dove potrebbe sbucare un provvidenziale abate Faria per aiutarmi.

Le guardie, terminata la distribuzione della colazione ai detenuti, stavano tornando a passi pesanti alle loro postazioni e, passando davanti alla cella della ragazza, una di loro colpì con la propria lancia il pannello giallo, urlando: -Silenzio!

A Chiara, così, non restò che tacere e sedersi sulla sua branda, sotto lo sguardo attento della creatura.

Trascorse il mattino alternando momenti di riposo a camminate nervose nel ristretto spazio della sua cella, sforzandosi di cavare qualcosa di utile dalla sua memoria.

Riusciva a ricordarsi praticamente ogni dettaglio della sua ultima giornata sulla Terra: il colore della camicia che aveva indossato sua madre quella mattina, l’ansia provata nell’attesa di dare l’ultimo esame del semestre, la gioia di averlo superato, il suono del motore della sua macchina mentre tornava a casa… insomma, ricordava ogni cosa, tranne che per un dettaglio, un qualcosa che le sfuggiva e che sapeva essere di fondamentale importanza. Cosa poteva mai essere?

Per quanto si sforzasse, le sembrava di trovarsi sempre davanti a un vicolo cieco, ad un punto morto.

Le ore passavano e, ad un tratto, una guardia, con un nuovo sacchetto di stoffa in mano, aprì la cella e vi si introdusse per lasciare la cena.

Quando, però, prese in mano il barattolo del mattino, contenente ancora tutta la sbobba, si rivolse alla detenuta, canzonandola: -La colazione non è stata di vostro gradimento, principessa?

Chiara, sebbene dentro di sé provasse il desiderio di rompergli in testa quel maledetto barattolo, si limitò a ignorare l’uomo, evitando accuratamente di raccogliere la sua provocazione.

La guardia, però, non fu soddisfatta di quella reazione e proseguì: -eppure è stata preparata apposta per voi dal migliore cuoco delle cucine reali, secondo una ricetta vecchia di generazioni. Non è carino, da parte vostra, rifiutare il frutto del suo lavoro.

Nel corridoio, la seconda guardia sghignazzava di gusto alle battute del collega, che, non ancora contento, continuò il suo motteggio: -Cosa c’è? A casa tua la mammina ti preparava lauti pasti e ora non mangi nemmeno quello che ti viene così gentilmente offerto? I tuoi parenti sarebbero così delusi se sapessero di avere una figlia tanto ingrata!

Era troppo. Non poteva permettere che quel disgraziato prendesse in causa la sua famiglia per deriderla!

Si alzò di scatto e si avvicinò all’uomo, che, con nonchalance, le puntò la punta della picca alla gola.

-Hai qualcosa da dire, mocciosa?- le chiese, in tono provocatorio.

-Sì- rispose Chiara –Visto che questo pasto pare essere così di tuo gusto, perché non lo mangi tu e mi dai quello che ti riempie il piatto di solito? O vuoi forse essere tu a deludere la tua famiglia? Lo sa tua madre che suo figlio è un vigliacco che minaccia con una lancia una ragazza indifesa, mentre lui è tutto ben protetto da un’armatura?

Aveva esagerato e non era solo il suo buon senso a suggerirglielo, ma soprattutto lo sguardo rabbioso e il digrignare dei denti della guardia. La lancia era ancora puntata contro la sua gola e sarebbe bastata avvicinarla di pochi centimetri per attraversarle la laringe.

Le narici dell'uomo si dilatarono e il suo viso si fece paonazzo.

“Ora questo mi ammazza” pensò la ragazza, aspettandosi da un momento all’altro di sentire il freddo metallo lacerarle le carni, ma un boato ruppe quel momento di tensione e la guardia si voltò in direzione del rumore.

Dietro di essa, infatti, la creatura dai capelli cremisi stava colpendo a pugni il pannello, che sotto quella forza brutale sembrò, per un momento, cedere.

I due soldati si affrettarono ad intervenire, puntando le armi verso il detenuto e aumentando la potenza del pannello, che scaricò sulla creatura un’energia tale da ridurlo in ginocchio.

Chiara era rimasta lì, imbambolata e incredula: quel mostro l’aveva davvero salvata?

Non riusciva a credere ai suoi occhi, ma dovette rimandare ad un altro momento quella riflessione: le guardie erano impegnate e la cella era rimasta aperta. Era la sua occasione.

Silenziosamente, la ragazza oltrepassò la soglia della stanza e iniziò a correre verso l’uscita.

In quel momento sentì il mostro riprendere a urlare e a battere i pugni contro il muro: le stava coprendo la fuga, ma la fame e la stanchezza non condussero molto lontano la ragazza, che si ritrovò a nascondersi dietro un pilastro, a pochi metri dall’uscita, per riprendere fiato.

Era sfinita, ma doveva provarci, così si buttò verso la porta di metallo e iniziò a tirare la maniglia con tutte le sue forze.

Per quanto si sforzasse, per quanto tirasse, la pesante porta non si mosse di un millimetro.

-Andiamo, apriti!- sussurrò la ragazza, lanciando veloci occhiate alle sue spalle, con la paura che, da un momento all’altro, le guardie sarebbero arrivate a prenderla.

-Ti prego, apriti.

Ed essa si aprì, ma a muoverla non era stata la ragazza, bensì la mano poderosa del principe, che sbucò da dietro il metallo e osservò, sorpreso, la scena che si trovava di fronte.

Poi si accorse della presenza di Chiara, ancora attaccata alla maniglia di ferro, e richiamò le guardie.

A quel richiamo, i due uomini lasciarono perdere il prigioniero, che, sfinito, si acquietò, e corsero in direzione del loro signore.

“Ma che bravi cagnolini” pensò sarcastica la ragazza, lasciando la presa sulla maniglia e dirigendosi, lentamente, verso l’uscita, ma venne bloccata da un uomo corpulento, il cui viso era incorniciato da una folta criniera di barba e capelli fulvi.

-Penso che questo sia il motivo per cui siamo qui- disse l’uomo a Thor, che rispose con un cenno di assenso per poi rivolgersi alle guardie: -Odino desidera conferire con la prigioniera. La scorteremo io e Volstagg, voi rimanete ai vostri posti e prestate più attenzione ai carcerati su cui dovete fare la guardia.

A Chiara parve che il principe, nel pronunciare quell’ultima frase, avesse lanciato una breve occhiata nella sua direzione, ma non ebbe il tempo di appurarlo con certezza perché, in un lampo, le due guardie si erano avventate su di lei e la stavano ammanettando.

“Oh no, non di nuovo!”

Il principe, però, fermò i due uomini e, indicando le manette con un dito, disse semplicemente: -Quelle non sono necessarie.

Le guardie, sorprese da quell’insolito ordine, obbedirono e liberarono i polsi della ragazza, sui cui, una volta rimosso il ferro, comparirono delle piccole piaghe rosse, che Chiara  non aveva ancora notato.

Condividendo la sorpresa delle guardie, non sapeva se ringraziare per quel gesto di comprensione o sottolineare nuovamente la sua innocenza dalle accuse che le erano state rivolte, ma pensò che, in entrambi i casi, la sua situazione non sarebbe migliorata, perciò si limitò a chiedere: -Hai capito che sono inoffensiva?

-Penso solo che a una fanciulla si addicano ornamenti di ben altro genere- rispose l’uomo, che aggiunse: -Ora andiamo, mio padre desidera parlarti di nuovo.

-Non credo di poter fornire informazioni diverse da quelle che ho già dato ieri- ammise Chiara.

-Ad ogni modo, egli vuole porgerti le sue domande- intervenne Volstagg.

Thor congedò i soldati con un gesto della mano e, riferendosi al corpulento compagno, disse: -Volstagg, ti affido la ragazza, tienila d’occhio.

-Non penso ce ne sarà bisogno- si intromise Chiara, ripensando al suo ridicolo tentativo di fuga di pochi attimi prima -anche senza bracciali di ferro, non ho né le forze né la possibilità di scappare. Dove volete che vada?

Gli occhi azzurri del Dio del Tuono e quelli castani del guerriero si concentrarono su di lei, osservandola come se fosse stata un animale esotico.

In quel momento Chiara pensò che, per quanto le piccole accortezze di Thor fossero state mosse da un nobile sentimento di cavalleria, si fosse reso conto per la prima volta solo allora di avere a che fare con una comunissima ragazza e non con un criminale come quelli con cui era abituato a trattare.

Ma fu solo un attimo e il principe diede l’ordine di procedere, così i tre si avviarono verso la sala del trono.

Durante il percorso, nella mente di Chiara affiorò il ricordo di quell’inaspettata visita della notte precedente e si domandò se fosse davvero possibile che si fosse creata un’immagine così nitida e viva a rappresentazione della propria paura. Era un pensiero assurdo e ridicolo, ma da quando si era risvegliata, il giorno addietro, di cose assurde ne erano capitate molte e l’idea di essere diventata pazza le sembrava il più plausibile tra i fatti avvenuti.

“Forse è stata la prigionia o la fame” pensò tra sé la ragazza “Insomma, chi non impazzirebbe in gattabuia?”.

-Quanti anni hai, ragazza?-

La domanda interruppe il filo dei suoi pensieri e Chiara si volse verso Volstagg, che le stava sul fianco sinistro, mentre Thor la controllava sul lato destro.

-Ne ho venti- rispose lei.

-Venti?- domandò incredulo lui, lanciando un’eloquente occhiata al compagno, che lo ignorò senza dire una parola.

-Dannazione, Thor- riprese l’uomo, che evidentemente non ammetteva di essere trascurato -è una bambina! Come si fa a tenere una bambina in prigione?

-Non è una bambina, Volstagg, e in ogni caso non è compito nostro decidere- rispose seccato il principe di Asgard -Sta a Padre decretare cosa fare e non credo che tu voglia opporti a una sua decisione.

-Oh, andiamo!- riprese il guerriero, per niente soddisfatto della risposta ricevuta -Guarda questa ragazza: è evidente che non ha cattive intenzioni! Insomma, non è mica Loki!

A quel nome i pugni di Thor si strinsero e un lampo di rabbia balenò sul suo viso, facendo zittire completamente il guerriero.

-Basta così, Volstagg- decretò il principe -La decisione non spetta a noi e non voglio più discuterne.

Il resto del tragitto venne trascorso in silenzio, rotto solo dai pesanti passi di Volstagg.

Giunsero, infine, alle porte della sala del trono, che si aprirono al loro passaggio, lasciando che i tre entrassero tra le mura dorate.

Angolo dell'autrice: e siamo a due! Ringrazio con affetto coloro che hanno iniziato a leggere La sua paura; spero che questa seconda parte sia all'altezza della prima e che possa stuzzicare la vostra curiosità. Ho approfittato di un momento di  libertà per pubblicare questo capitolo, ma per me si avvicina il tempo degli esami e temo che nei prossimi  giorni non avrò molte occasioni da dedicare alla scrittura. Pubblicherò il terzo capitolo quanto prima, croce sul cuore.  

Alla prossima e statemi bene!

Lady Realgar

   
 
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