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Autore: Wellesandra    26/11/2014    12 recensioni
“Tutti hanno la possibilità di scegliere. Alcuni, però, hanno bisogno di un piccolo aiuto.
E come potrebbe il Destino non approfittarne e tendere la mano ai sentimenti più puri?”
E' questo il pensiero di Altea, dea del Destino, che, contro i voleri dei suoi fratelli, entra nel mondo terrestre per offrire direttamente il suo aiuto.
Quando individua Matt e Dom, due adolescenti migliori amici, non può evitare di mettere il suo zampino per accelerare i tempi. Come divinità, infatti, sa chi è destinato ad incontrarsi e ad avere un rapporto duraturo e, per questo, non può esentarsi dal dare una mano.
Attraverso una serie di incontri casuali, la dea arriverà al suo intento pagando, però, un caro prezzo...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Dominic Howard, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: i Muse non mi appartengono, non scrivo a scopo di lucro e i fatti narrati non sono realmente accaduti- se non nella mia testa.
La storia è ispirata a Bliss, che tutti noi conosciamo, ed è stata scritta in un determinato stato d'animo.
Ringrazio chi mi ha appoggiata consapevolmente in questi mesi di scrittura e anche a chi mi ha spronato a pubblicare. Prima o poi ripagherò.
Prima di lasciarvi, dedico l'intera storia a Giulia, per l’ascolto, la pazienza, le correzioni, i consigli, la sapienza, la comprensione…
E, soprattutto, l’Amicizia.


Fare ritratti le era sempre piaciuto: prendeva una matita, un foglio bianco e iniziava.
Non era brava. Da piccola, mentre guardava il cugino  Nick, si autoconvinceva che era il proprio modo di mantenere la matita ad essere sbagliato perché l’impegno, in fondo, ce lo metteva. Cassass, sua amica di vecchia data e confidente, le disse che doveva immaginare, ad esempio, una bicicletta e abbozzare ciò che l'immaginazione le suggeriva. Solo anni dopo capì che fare due cose contemporaneamente era pressoché impossibile: inevitabilmente, una delle due non veniva fatta bene.
Comunque, le era sempre piaciuto fare dei ritratti e col tempo, nel bene o nel male, riuscì a ricavarne qualcosa. In quel momento stava ricalcando un abbozzo dei due ragazzi che si scambiavano effusioni in modo così delicato da non essere quasi percepibile. Si studiavano reciprocamente da lontano, e quando lui si accorgeva che lei lo guardava, sorrideva.
Quante promesse poteva nascondere un sorriso? Così tante, fantasticò, che rise a fior di labbra.
La matita scivolò sul foglio, riproducendo le labbra con gli angoli all'insù, dalla forma piena e a cuore di lui, e quelle più sottili e piccole di lei, increspate e protruse quasi a voler nascondere la felicità. Perché la volesse nascondere, non ne aveva idea.
Altea si domandò in che modo quei due avrebbero potuto conoscersi.
Mordendosi le labbra continuò a guardarli. Nel cortile della scuola c'era molta gente, come era ovvio durante la pausa.  Prese la sua decisione, convinta che avrebbe fatto il bene di entrambi. Afferrò uno dei suoi fogli e scrisse un messaggio. Poi arrotolò la carta in un'elegante pergamena e si alzò, muovendosi lentamente tra le persone, passando inosservata. Lasciò il biglietto sul tavolo del ragazzo, gli sorrise e ritornò al proprio posto. Non aspettò molto e quando lo vide alzarsi si trattenne dall'urlare.
"Cosa aspetti?", recitava la nota. Non pensava che occorresse così poco e fu felice di vedere lo scambio di battute tra i due.
Sorridendo, rivolse l’attenzione al lavoro che aveva lasciato a metà e continuò, disegnando i nasi, la forma dei volti, i capelli. Poi arrivarono gli occhi, la sua parte preferita. Quelli di Chris- era così che il ragazzo si era presentato a Kelly- erano prevalentemente castani con venature verdi. Dolci, ma difficili da riprodurre, a causa della felicità e dell’eccitazione che li abitavano, testimonianza di un desiderio che si era finalmente avverato. Quelli di Kelly erano più allungati, chiari e contornati da lunghe ciglia. Riflettevano imbarazzo e curiosità e rispondevano con equivalente intensità a quelli del ragazzo. 
Quando terminò anche quella parte del lavoro, lo osservò, per la prima volta orgogliosa di ciò che aveva fatto.

Rinchiusa nella sua sfera personale, dove nessuno avrebbe dovuto disturbarla, Altea si impegnò per terminare i suoi dipinti. Quello dei suoi prescelti era ancora incompleto, perché non si fidava della sua memoria: avrebbe riprodotto ogni ruga espressiva di Chris e il luccichio distintivo negli occhi di Kelly. Il ricordo non bastava per dettagli del genere. Gli altri, invece, erano talmente semplici che ci rimase male: non tutti erano capaci di trasmettere le stesse emozioni, la stessa serenità e trepidazione che distinguevano i due innamorati.
«Dovresti stare alla larga dalla sfera terrestre, Altea. Porta solo guai.»
«Guai del tipo?»
«Morte. Dolore. Ansia. Situazioni che non si addicono a dèi come noi.»
Altea chiuse il suo quaderno, per guardare  il fratello dritto negli occhi. Odiava quando qualcuno la disturbava e quando, quel qualcuno, non rispettava le sue scelte.
«Abbiamo punti di vista diversi e non condivido affatto ciò che dici. Ora, se non ti dispiace, ho un lavoro da finire.»
«Altea, ascolta...»
Il tono esasperato del fratello la stizzì.
«No Indra, ascolta tu. Sono affari miei. Se voglio cacciarmi in situazioni spiacevoli sono cose che non ti riguardano. Dovresti essere il dio dell'Intolleranza, e non quello del Tempo.»
«Stai dimostrando che ho ragione.»
Quando Indra uscì dall'area della sorella, lei si sentì subito meglio. Quanta negatività, in un mondo divino in cui non dovrebbe che esserci felicità!
Scosse il capo, sospirando con pazienza e riprendendo ciò che aveva lasciato.

Chris e Kelly avevano deciso di uscire insieme, nonostante il maltempo. Indra intendeva ostacolarli, causando temporali fuori dalla norma. Altea però non si lasciava scoraggiare tanto facilmente. Riusciva a trovare delle scappatoie, a volte anche brillanti, e questa sua capacità la faceva sentire invincibile.
Che bello era sentirsi realizzati! Si prova quella gioia che si espande dallo stomaco al cuore, che ci fa sorridere sempre e ripensare in continuazione a ciò che si è fatto per ottenerla.
Con questo pensiero in mente, si accoccolò sul ramo dell'albero della scuola, dondolando le gambe nel vuoto e sorridendo a tutti. 
Chris e Kelly ridevano, sfiorandosi le mani e intrecciando le dita. C’era curiosità nei loro sguardi e fin quando l’interesse sarebbe stato sempre presente, la coppia non avrebbe mai avuto alcun blackout nel loro rapporto.
La sua attenzione fu reclamata da due ragazzi che stavano dirigendosi proprio verso la sua coppia. Li guardò attentamente, come se non avesse mai visto due giovani di sesso maschile prima di quel momento. C'era qualcosa che le sfuggiva.
Si protese in avanti, assottigliando lo sguardo: l'energia che avvertiva non era la stessa che aveva percepito con Chris e Kelly né uguale a quella degli altri esseri umani da cui erano circondati. Quella forza era a senso unico.
Capì che uno dei due provava dei sentimenti a cui l’altro non era altrettanto predisposto. Lo notò subito:  due passi più dietro rispetto all'altro, il biondino stava sorridendo per una battuta, ma il suo sorriso tendeva a spegnersi più velocemente rispetto a quello degli altri. 
Accigliandosi, si chiese cosa potesse fare per far aprire gli occhi all'altro. 
«Tuo fratello non scherzava.»
Non sobbalzò quando il cugino le rivolse la parola. Riusciva a percepire in anticipo quando un suo simile era nelle vicinanze. 
«A proposito di cosa?»
«Che ti stai immischiando alla sfera umana.»
Altea fece schioccare la lingua, senza perdere di vista i due ragazzi.
«Indra si sbaglia. Pensa che tutto ciò che fa sia giusto. E questa sua convinzione è dovuta alle colpe degli altri.»
«Colpe o non colpe, non sono qui per questo.»
«E allora cosa?»
«Non sono destinati a stare insieme.»
Altea girò di scatto la testa.
«Se permetti, al destino ci penso io.»
«E se tu lo permetti a me, scelgo io chi deve amare chi.»
«Ma loro provano qualcosa. Lo sento. Non posso intercedere come dea dell'Amore, ma capto l'energia che c'è tra loro.»
«Così come io capto la loro separazione. Lo hai sentito, no, che la loro affinità è diversa da quella di Chris e Kelly.»
Altea annuì a quell'affermazione.
«Lascia stare, cugina. All'amore ci penso io. Sono più bravo.»
«D'accordo.»
Il mormorio lascivo della dea non convinse l’altro.
«Farai loro del male.»
«Sono il Destino. E quei due sono destinati a qualcosa.»
«Qualcosa che non è l'amore. Amicizia, pura e semplice. Il biondino riuscirà a dimenticarlo presto.»
«Va bene.»
«Altea.» Il tono fermo di Nick la obbligò a guardarlo negli occhi. Quelle iridi gialle non le lasciavano scampo. 
«Intercederò per quanto necessario, Nick. Non scoccherò loro nessuna freccia d'amore.»
Un lampo illuminò la notte apparentemente calma.
«Bel tempo un corno», borbottò Dom, nascondendo la testa nel cappotto. Lasciati liberi solo gli occhi, accelerò il passo per non ritrovarsi sommerso dall'acqua. Rabbrividendo per il freddo, provò a riscaldarsi immaginando spiagge assolate, località estive e un bel mare calmo.
«Ora sì che va meglio», bisbigliò tra sé e sé.
Una goccia cadde proprio al centro della sua testa e, imprecando, corse verso casa Bellamy, sperando che almeno l'amico avesse le forze per aprirgli la porta.
Bussò e aspettò impaziente, iniziando a pulire le scarpe sullo zerbino. Un verso strano e ovattato gli giunse alle orecchie e, presupponendo che quello di Matt volesse essere un "chi è?", lui rispose.
I capelli lunghi attaccati alla fronte sudata del moro erano solo uno dei tanti indizi dell'agonia di Matt: gli occhi azzurri erano arrossati e lucidi,  il pigiama di flanella sottolineava la sua figura mingherlina e quel broncio... Dio, se avere la febbre lo rendeva così, Dom avrebbe anche potuto iniziare ad apprezzare l'inverno.
«Come stai?»
Con un verso che riprodusse l'abbattimento di un mammut, Matt si buttò sul divano.
«Domanda stupida.»
Ridacchiando, Dominic si tolse il cappotto e andò in cucina a preparare il tè.
«Perché sei solo?»
«Mio fratello è via per qualche giorno. Mamma ha deciso di sperimentare una nuova pratica per l'occulto, quelle cose lì, insomma.»
Mentre uno annuiva preparando la tazza e tutto il necessario, l'altro si mise a sedere stringendosi la testa tra le mani. Per tutta la preparazione del tè, un mantra strano rimbombava nell’aria.
«Perché... perché... »
«Perché cosa?»
Dom  pose la tazza a Matt, aiutandolo quando necessario.
«Perché a me?»
«Perché sei debole. Bevi.»
«Non è vero.»
Al primo sorso Matt si rilassò, gemendo piacevolmente quando il tè iniziò a riscaldarlo.
«È buonissimo.»
«Grazie.»
«Comunque io non sono debole.»
«Mangi solo roba precotta. E, per carità, alcune cose le trovo anche io buone e tua madre è come se fosse una seconda mamma per me, ma devi nutrirti bene.»
Il moro l'osservò attentamente.
«Dovrei mangiare legumi, frutta, verdura...»
«Carne, pesce… Sì, anche. Nella giusta quantità e preparati adeguatamente.»
«Ora non ne ho voglia.»
«Lo immaginavo. Bevi.»
Matt obbedì. «È davvero buono.»
«Sono diventato un maestro ormai.» Replicò il biondo, sorridendo orgoglioso.
Non era la prima volta che gli preparava quella bevanda. In realtà si era impegnato a farla perfettamente solo per lui.
Osservando l’espressione rapita di Dom, il moro si accigliò. Un unico pensiero gli girava per la testa: l’idea di aver perso il privilegio di essere il solo a cui l’amico preparava del tè era inconcepibile.
«Perché? A chi altro lo hai fatto?»
Dom lo osservò con un sopracciglio alzato. Non si aspettava una domanda del genere e soprattutto non in quel modo. Non riuscì ad interpretare quel tono di voce ma immaginò che potesse definirlo come accusatorio e freddo. Come se volesse incolparlo di un sbaglio non fatto. Dio, quanto lo sperava...
«Solo a te.» Mormorò, notando gli occhi dell'amico rilassarsi subito.
Bevendo ancora un po', Matt buttò giù quello che serviva per riscaldarsi e porse la tazza vuota a Dom.
«Sul serio, proprio buono.»
Sorridendogli, il biondo appoggiò tutto nel lavello e lo accompagnò nella sua stanza da letto.

«Hai mai pensato che un giorno ci trasformeremo in quello che odiamo?»
Dom osservò curioso Matt, che si era appena disteso sul letto, supino e con gli occhi vitrei.
«Pensaci,» continuò il moro. «Ci sono miliardi di milioni di milioni di miliardi di scarafaggi, non solo perché a nessuno piacciono ma perché fanno effettivamente schifo.»
Il biondo seguì con attenzione il ragionamento, cercando di nascondere il sorriso che stava nascendo sulle sue labbra.
«Mi sto ricredendo sugli esseri superiori, Dom. Lo sai, no? Divinità che più ci guardano e più ci vogliono morti perché gli facciamo schifo. Siamo gli scarafaggi di qualcun altro.» Accigliato per le sue stesse parole, Matt si alzò sui gomiti e puntò gli occhi su Dom, bisognoso del suo consenso. Il suo sguardo cambiò, diventando man mano atterrito  e pronunciò le parole bisbigliando.
«Credo che queste divinità siano degli alieni.»
L’amico sbuffò sonoramente, prima di abbassarsi su di lui stirandogli le rughe degli occhi e il cipiglio che gli si era formato.
«Hai la febbre.»
«Che c’entra? Sto solo pensando.»
«Tu stai delirando, il che non è così grave per te. Ma ora scotti ancora di più.»
«Però tu ci credi Dom?» Gli chiese, rimanendo fermo nella sua posizione.
Dominic si perse nello sguardo speranzoso di Matt, che lo supplicava di dargli ragione, di credergli seppur tutto era basato su una sua idea senza fondamenti logici e suggerita- sicuramente- dalla febbre. Dom annuì, accondiscendente.
«Sì.»
Matt sprofondò la testa nel cuscino.
«Se diventeremo ciò che odiamo, io sarò un ragno…» Inorridì e aggiunse: «Tu Dom? Ci sto pensando ma non ne ho idea.»
Il biondo ridacchiò, nascondendo la sua piccola delusione.
«Forse non mi conosci bene.»
Togliendosi bruscamente le mani di Dom dal volto, Matt gli lanciò un’occhiata storta.
«Invece sì. Dammi cinque minuti. Ho la febbre.»
«Sì, ce l’hai. E no, non ti do proprio un bel niente.»


Dom fu svegliato da dei colpi molto forti alla porta d'ingresso. Quando aprì gli occhi la sveglia segnava le 6:50.
Imprecò come uno scaricatore di porto mentre si alzava e si strofinava le mani sugli occhi. Rimboccò le coperte a Matt che le aveva scacciate via e scese al piano inferiore.
Aperta la porta, una ragazza dai capelli corvini gli sorrise porgendogli un pacco.
«Da' questo a Matt, gli farà bene. Troverai anche due inviti per una festa.»
Dom prese il pacco ancora intontito. Era piccolo e quadrato, confezionata in una carta rossa glitterata. Era perfettamente impacchettato, così come perfettamente acconciati erano i capelli corti e sbarazzini della ragazza.
«Se per caso tu te lo stessi chiedendo, io sono Altea, una cugina di Matt. Marilyn mi ha chiamato, chiedendomi questo piacere.»
Si voltò, senza aggiungere altro o aspettare una risposta e, con una sorriso sulle labbra, disse: «Ci vediamo domani.»
«Aspetta! Non ti va di entrare?»
Senza ottenere risposta, Dom osservò la ragazza che andava via, canticchiando tra sé e sé.


Non riusciva più a prendere sonno e decise di preparare la colazione. Il flaconcino che aveva trovato nel pacchetto era piccolissimo. Dom annusò il suo contenuto: profumava di tè verde e limone. Non c’era nessun marchio, nessuna etichetta che ne attestasse la provenienza e per precauzione l’assaggiò. Non avrebbe mai permesso a Matt di bere qualcosa di strano.
Passata mezz’ora non ci fu nessun effetto collaterale e si rilassò. Il flaconcino era accompagnato da due inviti per una festa in maschera. A parte il suo scetticismo riguardante una festa  di cui non aveva mai sentito parlare lì, a Teignmouth in quel periodo invernale, era in dubbio della loro partecipazione a prescindere, considerate le condizioni di Matt.
Preparò tutto su un vassoio e lo portò sopra. Il moro aveva scalciato di nuovo via le coperte, i capelli gli si erano curvati sulla fronte e Dom giunse alla conclusione che aveva sudato parecchio.
«Meglio così,» si disse, appoggiando il vassoio sulla scrivania e tirando via le tende. Il tempo non era migliorato: i nuvoloni neri e pieni di acqua si preparavano per un nuovo diluvio.
«Matt» mormorò, accostandosi al letto e tirando indietro i capelli sudati con morbide carezze.
«Matt, svegliati. C’è la colazione e indovina un po’? Tè e pasticcini alle banane.»
Le palpebre dell’amico si alzarono rivelando uno sguardo ancora assonnato ma indagatore. Dom sorrise a fior di labbra, pensando a quanto fosse prevedibile il suo migliore amico.
«Davvero?»
«No.»
«Vaffanculo.»
Matt si ributtò tra le coperte, girandosi di schiena e lasciando un Dom divertito a scuotere il capo.
«Alzati e ti prometto che oggi vedo cosa posso fare.»
Voltandosi sulla spalla, Matt lo osservò.
«Dovevi nascere femmina.» Tra un grugnito e l’altro, il moro si mise a sedere mentre Dom immaginava il proprio corpo cambiato, con molte curve in più e alcune parti mancanti, e raccapricciò per l’orrore.
«Sto bene come sto.»
«Ma donna saresti stata una madre perfetta.»
Madre e non amante, osservò il biondo.
«E moglie no?» Gli chiese con tono ironico.
«Da quelle ci si aspetta qualcosa di diverso.»
In che cavolo di discussione mi sto cacciando?, pensò ancora Dom, porgendo all’amico la tazza di tè e semplici biscotti confezionati.
«Otturati quella bocca sparacazzate e mangia.»
Matt ridacchiò, obbedendo.
«Bocca sparacazzate è grandiosa.»
Dom si ricordò della medicina quando ormai Matt aveva finito di prendere l’ultimo sorso di tè. Nel momento in cui gliela porse, gli venne in mente che non gli aveva mai parlato di nessuna cugina di nome Altea. Tra un pensiero e un’osservazione, porse il flaconcino a Matt che, senza  pensarci due volte, lo buttò giù d’un sorso. Dom sbuffò, guardandolo male.
«Che c’è?»
«Non mi hai chiesto neanche che cos’era! Possibile che tu sia tanto sbadato?»
Il moro inarcò un sopracciglio. «Secondo te io sono sbadato? Posso essere problematico, infantile, permaloso, pignolo… ma non sbadato. L’ho bevuta così perché me l’hai data tu. Altrimenti nessuno sarebbe scampato al terzo grado.»
Matthew era serio, tanto che riuscì a zittire l’altro che, in cuor suo, annegava nell’amore puro. Non si rendeva conto che determinate parole avevano l’effetto di una droga, su di lui? Non capiva che quello sguardo, tenebroso e sicuro, gli suscitavano vibrazioni proibite in corpo?
Rimase imbambolato per quelli che gli sembravano essere minuti interi, con le braccia lungo i fianchi e un’espressione da ebete.
No, asserì tra sé e sé. Proprio non si rendeva conto dell’eccitazione che gli procurava.
«Perché non mi hai mai parlato di Altea?»
Matt inarcò l’altro sopracciglio. «Di chi?»
«Di tua cugina.»
«E come si chiama?»
«Altea.»
«Non l’ho mai sentita nominare.»
«Come no? Mi ha portato la medicina e due inviti per una festa.»
Per confermare ciò che diceva, gli porse i due biglietti. Matt li osservò curioso.
«“Hai mai incontrato il destino?”, mmmh…»
«“Mmmh” che? E se quello che hai bevuto fosse veleno? »
Il moro sbuffò. «Sei più tragico di un incidente stradale con tanto di esplosione.»
Alzando lo sguardo, gli occhi azzurri dell’amico trovarono quelli di Dom e sbattendo gli inviti sul palmo della mano disse: «Domani scopriremo chi è questa Altea.»
  
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