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Autore: Wellesandra    03/12/2014    4 recensioni
“Tutti hanno la possibilità di scegliere. Alcuni, però, hanno bisogno di un piccolo aiuto.
E come potrebbe il Destino non approfittarne e tendere la mano ai sentimenti più puri?”
E' questo il pensiero di Altea, dea del Destino, che, contro i voleri dei suoi fratelli, entra nel mondo terrestre per offrire direttamente il suo aiuto.
Quando individua Matt e Dom, due adolescenti migliori amici, non può evitare di mettere il suo zampino per accelerare i tempi. Come divinità, infatti, sa chi è destinato ad incontrarsi e ad avere un rapporto duraturo e, per questo, non può esentarsi dal dare una mano.
Attraverso una serie di incontri casuali, la dea arriverà al suo intento pagando, però, un caro prezzo...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Dominic Howard, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alla festa erano presenti scambisti, effemminati, gay, lesbiche, etero, adulti, ragazzi, uomini e donne di mezza età…
«Ho una cugina che organizza feste del genere e non ne sapevo nulla? Porca puttana, guarda quello lì!»
Matt indicò un uomo vestito di pelle nera talmente aderente da non lasciare spazio all’immaginazione. Quando questo si voltò, scoprirono che dietro era completamente nudo. Un’altra era vestita da Eva, accompagnata dalla sua metà femminile travestita da Adamo. Al loro seguito ce n’era una terza, vestita da mela.
Dom scosse il capo, allibito e stranito da quella folle situazione. Eppure non si sentiva fuori posto: il mescolarsi alla gente lo faceva sentire bene; interloquire con gli altri senza passare per “strano” era rilassante e per tutta la sera sia lui che Matt parlarono con molte persone. Tutti avevano nomi particolari: Nadim, Tani, Wekesa, Fritjof, Amaya, Nevarte, Bilal…
Il nome che l’aveva colpito di più era stato Axel, “ricompensa divina”; lo sapeva perché mentre assisteva Matt, aveva bazzicato tra vari canali televisivi fino ad arrivare ad un programma che spiegava l’origine dei nomi. Ad ogni modo, Dominic ebbe l’impressione di trovarsi in un covo di stranieri e che gli unici due inglesi fossero lui e Matt, fino a quando, da lontano, non aveva notato un insieme di piume rosa e bianche, che si alternavano seguendo il ritmo della musica. Più guardava, più riusciva a riconoscere il volto che si nascondeva sotto una semplice maschera bianca e striminzita. Chiamato Matt, indicò Chris con la testa. La reazione del moro non poteva non essere un’esplosione di risa, che lo contagiò molto presto. Chris camminava e sculettava, come se vorticasse intorno ad un palo aspettando ansioso le mance delle persone che lo osservavano. Ridacchiò, prima di chiamarlo a gran voce e inutilmente, poi sbracciandosi. L’amico gli rivolse un sorriso enorme e si avvicinò, abbracciato da Kelly.
«Che cazzo ci fate voi due qui?»
«Noi?! E tu? Sembri una gallina rosa!»
Chris rise, prima di circondare le spalle della ragazza. «È successo tutto per caso: eravamo seduti alla nostra panchina, fin quando una tizia non si è presentata con un biglietto in mano, dicendoci che ci aspettava.»
«Si chiama Altea?»
«Esatto! Ha fermato anche voi?»
«No, » s’intromise Matt. «È venuta direttamente a casa mia all’improvviso per consegnare questo invito a Dom. Ha detto di essere mia cugina, ma non è vero. Quindi…» Il moro alzò il bicchiere di drink che aveva in mano, in un atteggiamento che non era assolutamente consono alle sue abitudini. «Siamo qui per trovarla.»
Kelly sorrise. La sua maschera lasciava aperti gli occhi e nascondeva il resto del suo viso.
«Buona fortuna allora. Sarà un’impresa!»
«Dopo aver visto Chris vestito in questo modo, non ho paura di affrontare più nulla!»

Le ore passarono velocemente. O almeno così sembrava a Dom, che dopo qualche bicchiere giurava a tutti di poter volare. Nessuno gli diceva niente, ma gli sorridevano, annuivano e andavano avanti, ignorandolo come sempre. Quella sensazione di appartenenza iniziale era stata un’illusione pura, dettata dalla felicità che poteva causargli un posto nuovo, dove nessuno lo conosceva. Quelli non erano cittadini della sua città, ma gente di passaggio, che non avrebbe più rivisto, con cui non avrebbe più parlato, bevuto, riso. Di cui, tra l’altro, non ricordava neanche i bei nomi con cui si erano presentati, tanto aveva il punto fisso per una sola, costante persona. L’unico individuo in grado di farlo sentire a casa sua anche in mezzo ai ghiacciai dell’Alaska e che in quel momento parlava con l’uomo-rana e la donna-pipistrello, annuendo attentamente per poi interrompere il loro flusso di parole con una battuta. Dom sorrise amaramente tra sé e sé, arrivando alla conclusione che non ci sarebbe mai e poi mai stato nulla tra di loro. Amicizia, ecco. Pura e semplice amicizia, coltivata con esperienze comuni, divertimento e… vuoto. Tanto vuoto.
Non sapeva neanche da quanto tempo provasse un sentimento del genere per Matt e se fosse un fatto esclusivo per lui o rivolto a tutti i ragazzi, indipendentemente dal sesso. Non l’avrebbe mai saputo, mai, mai e poi mai, perché rifiutava ostinatamente quel pensiero. E se anche avessero condiviso un po’ di quel sentimento, non sarebbero andati da nessuna parte: proprio non si vedeva a stare insieme a lui. E non si sarebbe mai abituato ad un Matt sentimentale, tutto coccole e carinerie.
Non gli avrebbe dimostrato un minimo del suo amore, se non nelle piccole cose come aveva sempre fatto. Tipo, preparargli il tè per il resto dei suoi giorni.

Mordicchiandosi le labbra, Altea era indignata. Aveva fatto tante promesse ai suoi amici dèi e semi-dèi per ottenere una festa del genere, e dei quattro invitati umani il più importante, quello che era diventato in poco tempo il suo diletto, stava cadendo nella  depressione più totale. Maledetta incertezza! Era sempre stata lei a rovinare le persone e i possibili legami tra gli essere umani. Se solo Dom fosse stato più menefreghista…
Nick aveva ragione. Suo cugino era il Dio dell’Amore e nessuno più di lui poteva conoscere le giuste coppie, così come il loro esito. Altea si era sentita in dovere di difendere le proprie opinioni, e come dea del Destino non poteva che ribattere e affermare fermamente che quei due erano destinati a qualcosa. Un qualcosa di impreciso e non chiaro, nella sua visione. Stando a ciò che le aveva detto Nick era meglio lasciare stare e fare in modo che il corso della loro vita scorresse così come era stato stabilito. Che prepotente! Il destino era, appunto, il destino: imprevedibile e pieno di sorprese, e dolori, ma anche felicità e giuste ricompense. Così come Altea poteva avere solo una visione generale del loro futuro d’amore insieme, allo stesso modo lo era anche per suo cugino, quando si trattava della loro sorte.
Se erano destinati a stare insieme, Altea avrebbe fatto di tutto per unirli.
Anche violare le regole.

Dominic sospirava distrutto, i pensieri confusi nel suo cervello. Non aveva mai avuto problemi a prendere una decisione. Semmai, tra i due, era Matt ad essere quello più insicuro.
Scosse la testa, sfinito. Il fatto che pensasse a se stesso sempre in stretta relazione a Matt doveva dirla lunga sulla situazione.
Più lo guardava e più era consapevole che lasciarlo stare e nascondergli i propri sentimenti era l’opzione giusta, quella migliore per entrambi. Matt non si sarebbe mai sentito in colpa negandogli una cosa di cui Dom, del resto, non poteva fare a meno. Ma poteva continuare come sempre, spiarlo durante i momenti di felicità e stargli vicino quando qualcosa non andava; offrirgli una spalla su cui piangere e farsi da parte quando un momento felice e importante per il compagno si manifestava.
, si disse tra sé e sé. Èquesta la cosa giusta. Gli sarebbe stato sempre vicino, nel bene e nel male, con i soliti alti e bassi, con le loro speranze e disperazioni.
Rimase qualche secondo con gli occhi chiusi, per cercare di riprendersi da quell’attacco di isteria intima e silenziosa. Non fu difficile estraniarsi da tutto, dal suono assordante e dagli odori forti, dalla folla che andava e veniva e da quel luogo stretto, angusto, dove non aveva nessuna possibilità di uscita…
Il baratro in cui era caduto era così profondo da non aver sentito lo schianto del suo corpo. In realtà, non aveva percepito neanche il dolore immane dato da… cos’era? Un capitombolo da un grattacielo di venti piani? Un insieme di tori che lo incornavano? Una morte lenta e fredda, sommerso in uno dei tanti ghiacciai del Polo Nord?
No, niente poteva paragonare quei dolori tanto effimeri e umani alla rottura del proprio animo. Di questo ne era sicuro perché, se si concentrava, poteva sentire le sue dita muoversi, il suo petto sollevarsi, i suoi bulbi girare, nascosti tra le palpebre abbassate. Il suo corpo era intatto, esteticamente perfetto, calmo e tranquillo, sedato e posto in un luogo dalla temperatura mite.
Tentò lentamente di aprire gli occhi, un’impresa assai difficile ma non impossibile.
Prima che potesse farlo, il volto di Altea si materializzò nei suoi pensieri, raffigurazione del dolore. Vide il suo corpo afflitto dalla sofferenza: con il respiro affannato e inginocchiata di fronte a quello che a lui sembrava un altare, la ragazza tremava. Tuttavia il suo sguardo non si abbassò, orgoglioso e profondo, e con le labbra mimò più volte: “Credici”.
Intorno a sé, scene di una vita mai vissuta passavano velocissime, come le strisce sull’asfalto di una autostrada attraversata a tutta velocità: non poteva coglierne ogni parte, ma i protagonisti sì.
Fu completamente afferrato da una scena in particolare che lo catapultò in un’altra dimensione.
Matt gli sorrideva, in piedi di fronte a lui, la figura completamente illuminata dal sole in una splendida giornata estiva. Dominic riusciva a percepire l’amore che proveniva dai suoi occhi azzurri infastiditi da qualcosa che non era la luce solare. Poi però il sorriso coinvolse anche loro e in un sonoro sbuffo Matt scosse il capo, lasciando che alcune gocce di acqua si spargessero ovunque, compreso il viso di Dom. Interdetto da ciò, il biondo seguiva ogni movimento del compagno e quando Matt accennò con il capo di seguirlo, lo fece senza indugiare.
Quando il paesaggio cambiò di nuovo, l’immensa luce bianca non era fastidiosa; al contrario, rendeva tutto particolarmente rilassante. Il terreno sembrava ricoperto di neve, morbida ma non fredda. Il fiato si condensava nell’aria, creando tante piccole nuvolette. Dominic sorrise per quella situazione bislacca. Si inginocchiò a terra, affondando le mani nella neve che, però, gli ricordava l’ovatta.
Gesù Cristo… in che posto si trovava?
Si voltò alla ricerca di Matt, senza trovare nessuna traccia che potesse condurlo a lui.
Alzando gli occhi, notò Altea osservarlo con un sorrisino sbilenco. Dom si corrucciò. La pelle di lei sprigionava luce, come se circondati da tutto quel bianco ce ne fosse stato bisogno.
Sollevandosi, si avvicinò a lei con passi lenti ma lunghi; d’altro canto, sembrava aspettarlo. Quando la raggiunse, la ragazza lo prese per mano. Dom provò a contestare, ma inutilmente, perché le parole non gli uscivano da bocca.
Camminarono per una vita. Il paesaggio non era mutato e loro due non avevano scambiato una parola. Notava che mano a mano l’umore di Altea diveniva turbato, ma il sorriso forzato non lasciò mai le sue labbra. Passeggiarono fino ai confini di quel mondo fantastico e quando si accomodarono sull’orizzonte di quell’universo senza vita, Dom rimase esterrefatto.
Alla sua destra, Altea dondolava le gambe dal precipizio senza fine. Il ragazzo si sporse, guardando quella profondità e desiderando di precipitarsi dentro, senza un motivo preciso. Poi rammentò di quella strana visione avuta in precedenza e si voltò verso di lei.
«Perché lo hai fatto?»
«Fatto cosa?»
La sua voce risuonava diversa dalla prima volta che l’aveva vista.
«La festa. Perché ci hai condotti lì?»
Altea sorrise, coinvolgendo anche gli occhi.
«Tutti fanno delle scelte. Io ho fatto la mia.»
Dominic corrugò la fronte. «In base a cosa?»
«Tu e Matt dovete stare insieme.»
Il biondo alzò gli occhi al cielo, confermando a se stesso che sì, stava assolutamente sognando e un incontro con la sua coscienza poteva significare tante cose. Tipo, che si era immaginato tutto; che Matt non aveva avuto la febbre; che quella giovane tanto stravagante non esisteva affatto.
«Questo lo penso anche io, sai. Ma se dici che ognuno fa le proprie scelte… beh, io ho fatto la mia. Mi stai togliendo un diritto.»
Aveva cercato di parlare con un tono scherzoso, ironico, per dimostrarle che non credeva a ciò che gli aveva detto. Invece dalle sue labbra uscirono parole serie e gravi, che mortificarono Altea più di quanto immaginasse.
Si schiarì la voce, alzando il capo.
«Stavo scherzando.» Aggiunse, senza rivolgerle lo sguardo.
«No… hai ragione, ma andava fatto.»
Dominic continuava a guardare in alto, immaginando un cielo azzurro e senza nuvole. Fantasticando una vita in costante contatto con Matt, sghignazzò.
«Giusto per sapere, come staresti agendo?»
«Ti ho spinto verso la strada giusta. I bivi sono terribili, non pensi? Le scelte, per quanto importanti, sono difficili e a volte è meglio mettersi nelle mani di qualcun altro.»
Lentamente, Dom voltò il capo. Altea non lo guardava: lo sguardo era fisso nel vuoto. L’espressione era ferma , quasi statuaria. Quando lei si volse a guardarlo rimasero in silenzio per un po’, uno immerso negli occhi dell’altra.
«Si può sapere chi sei?» Sbottò poi, corrugando la fronte.
Altea gli accarezzò la guancia, con un’espressione materna e dolce.
«Da’ tempo al tempo.»
Il ragazzo scosse il capo. Il caos iniziò a prendere il sopravvento. Si massaggiò le tempie, mugugnando per l’inizio di un mal di testa. Non poteva avere ripensamenti su ciò che aveva deciso poco prima: doveva lasciar perdere tutto, magari allontanarsi anche dal suo migliore amico e stare da solo per un po’. O per sempre. In quel modo faceva un favore ad entrambi.
Strinse il capo tra le mani, tentando di bloccare il dolore che si inoltrava sempre più in profondità.
«Non pensare, Dominic. Non farlo. Ricorda, però, che l’amore è come l’amicizia: non si sceglie. E tu saresti incompleto senza Matt in entrambi i casi.» 
Quando Dom aprì gli occhi, si trovò in piedi di fronte ad Altea.
«È il momento di andare.»
«Cos-»
Non ebbe il tempo di fare nessuna domanda poiché la dea lo spinse indietro, oltre il burrone senza fine. Sgranando gli occhi e spalancando la bocca, il biondo cercò un appiglio qualsiasi, prima di arrendersi alla realtà e lasciarsi cadere nel vuoto.
Più si allontanava, più Altea perdeva la sua lucentezza.
Pallida e senza forza, stramazzò a terra, proprio come lui.

Aprì di scatto gli occhi, saltando dalla sedia e guadandosi intorno alla ricerca di quella strana ragazza. Il mal di testa non l’aveva abbandonato e non sapeva se era colpa del troppo alcool, dell’atmosfera o se semplicemente fosse impazzito.
Brontolando qualche parola senza senso si sistemò, appoggiando i gomiti al bancone e passandosi una mano tra i capelli.
Aveva bisogno di uscire per schiarirsi le idee e per prendere una boccata d’aria, ma i muscoli del suo corpo non avevano intenzione di ubbidire alla richiesta e si accontentò di bere un altro po’. Doveva essere messo davvero molto male per addormentarsi e sognare durante una festa in maschera.
Ah, Matt. Se solo ripensava a quel sorriso imbronciato gli veniva voglia di caricarselo sulle spalle e portarselo via, lontano da tutto e tutti.
Non è male come idea, pensò tra sé. Ma no, non posso.
Il mal di testa iniziò a scemare e lui si voltò alla ricerca del suo migliore amico, trovandolo in compagnia di un paio di ragazzi.
Ce l’avrebbe fatta, si chiese, ad andare avanti senza far trapelare nulla? Senza che l’altro si accorgesse che qualcosa non andava?
«Ah!» esclamò, battendo le mani rumorosamente su bancone. Si alzò stizzito, tirando lo sgabello indietro e facendolo quasi cadere a terra.
Si creava troppi problemi, troppe congetture mentali inutili. Supposizioni dettate dalla semplice insicurezza e paura. Ma in quel preciso momento si rese conto che c’era qualcosa, nella sua mente, che lo muoveva in una direzione diversa dalla sua scelta iniziale. Una decisione che lo spronò ad alzarsi e ad uscire fuori, andare a casa e dormire.
«Che vadano tutti a farsi fottere.»
Borbottò, ignaro del fatto che Matt lo stava seguendo con lo sguardo, attento e preoccupato.
Quando Dom gli passò affianco lo ignorò, perché era stufo, stufo marcio di dare spiegazioni perfino a se stesso su una cosa mai iniziata e di cui, ovviamente, non poteva saperne l’esito.
Anzi, no.
Era meglio non lasciare nulla al caso, di dire chiaro e tondo a Matt che per un po’ era meglio se non si vedevano se non a scuola. E se gli chiedeva il perché?
Bè, perché sì e basta. Nulla da aggiungere.
Quindi si voltò, fermandosi a pochi passi dal moro, ormai era tardi per i ripensamenti; il dato era tratto, il gioco stava per terminare e la sua decisione non era mai stata così tanto definitiva.
Dominic lo guardò torvo e dal canto suo, Matt non voleva abbassare lo sguardo, come se in quel momento lo stesse sfidando a fare qualcosa di stupido, qualcosa di cui si sarebbe pentito.
Prima che potesse muoversi, Dom focalizzò alle spalle dell’amico un palco in fondo alla sala, rimasto all’ombra fino a quel momento. Inclinò il capo, assottigliando lo sguardo per inquadrarlo meglio.
Forse lasciar perdere non era l’opzione giusta.
Quante volte aveva sentito dire di provarci sempre perché, mal che vada, non avrebbe avuto nessun rimpianto? Quante volte aveva detto agli altri che un rimpianto sarebbe sempre stato migliore di un rimorso? In tante, molte, troppe circostanze.
Senza neanche accorgersene si incamminò verso il palcoscenico che sembrava fosse stato allestito solo per lui: vergognosamente piccolo e pericolosamente grande. Non aveva luci puntate addosso, nulla per richiamare la sua attenzione.
“Credici”, gli aveva mimato Altea. Oh, lui ci stava per credere ed era questo il vero problema. Un problema che fino a qualche secondo prima stava scaricando via, lasciando che fosse poi il tempo a guarire il tutto.
Quando localizzò gli occhi di Matt puntati nei suoi, interrogativi e curiosi, parlò e la voce non sembrava nemmeno la sua.

Si rotolò su un fianco, in testa sembrava avesse un martello pneumatico. Con un gemito, alzò una palpebra solo per constatare che il buio lo circondava. Con un altro grugnito si voltò dall’altro lato e vide Matt, seduto addormentato sulla poltrona rossa che aveva in camera. Poteva sembrare sdolcinato, ma sorrise perché in quell’oscurità peggio della mezzanotte, lui brillava. I raggi del sole, scappati da una piccola fessura, si riflettevano sui suoi capelli, su parte del suo volto e del corpo, ponendo la metà completamente esposta al suo sguardo famelico. In più, vederlo russare con la bocca aperta era la cosa più rassicurante al mondo: non aveva dimenticato che solo quarantotto ore prima era inerme e sudaticcio.
Si sporse sul bordo dal letto, per raggiungere l’orlo della maglietta di Matt e strattonarlo. Con un piccolo balzo lui aprì gli occhi e chiuse la bocca, subito imbronciata. Si guardò intorno prima di scrutarlo con intensità.
«Ti sei svegliato.»
«Direi di sì. Ho la netta sensazione che mi hai attaccato qualche microbo.»
Matt aggrottò le sopracciglia.
«Veramente eri ubriaco. Ubriaco fradicio.»
«Io?» Chiese, portando una mano contro al petto.
«Proprio tu. Non ti ricordi della festa di ieri?»
Quando Dom scosse il capo, Matt aggiunse: «Proprio nulla? La mia influenza, Altea, l’invito…»
«La febbre, appunto. Me l’hai attaccata. Mi sento un vero schifo.»
Il moro scosse il capo. «Ti senti così perché ieri hai fatto spettacolo, Dom.» Matt si sporse verso di lui e l’intensità del suo sguardo non cambiò.
Dominic ebbe la sensazione che c’era qualcosa che non quadrava, un tassello mancante del proprio puzzle personale. Liberò la testa da quelle strane e stupide elucubrazioni e si concentrò.
«Non mi ricordo di nessuna Altea. Molto probabilmente è stata una conseguenza della tua influenza.»
«Schifoso impertinente! Come ti permetti di insinuare che non so di cosa parlo? Ieri ti sei ubriacato, sei salito su un palco e hai fatto scena. Scena, Dom. Peggio di Chris vestito di piume rosa e bianche!»
Dom scosse il capo, di nuovo. «Non ricordo proprio nulla.»
Con un sospiro esasperato Matt si alzò, aprì la tenda e dopo la finestra. L’aria fresca si insinuò nella stanza, facendo rabbrividire Dom che si accucciò sotto le coperte, nonostante si sentisse molto accaldato.
«E di Altea?» Continuò il moro, ripetendo quel nome strano.
«Mai sentita nominare.»
«“Hai mai incontrato il tuo destino?”»
«Matthew, che cazzo ti sei fumato?»
Il moro si voltò di scatto, dando le spalle alla finestra e appoggiando le mani sul davanzale di marmo.
«L’invito. L’invito diceva “Hai mai incontrato il tuo destino?” Ci siamo andati per scoprire chi era Altea, che si era presentata alla porta come mia cugina… Ti ha portato una medicina per me e questi due inviti. Ricordi, Dommie?»
Dominic ci stava davvero pensando. Tutto quello che trovava nel suo cervello, oltre all’amore stratosferico che voleva condividere con lui, era solo il vuoto.
«Matt, te lo giuro. Non ricordo nulla.»
L’amico lo raggiunse, sedendosi sul letto accanto a lui.
«Hai urlato davanti a tutti, e credimi eravamo in molti, che ami il tuo migliore amico. Che solo il suo nome, per te, è come musica che ti riscalda, ti eccita, che ti rende felice. Che tutto quello che stavi dicendo non era dettato da un bicchiere di troppo, ma che è da tempo che coltivi questi sentimenti. Avevi deciso di tenere tutto per te ma poi la molla è scattata e, se era destino, tanto di guadagnato, altrimenti amici come prima. Non obbligheresti nessuno a fare cose controvoglia ma che, se lui ha voglia di sperimentare, tu eri lì, a sua disposizione. A farti torturare, ad essere usato. Senza troppe costrizioni. Tu ci sei.»
Dom deglutì. Le immagini della notte appena passata gli scorrevano davanti agli occhi come un film mandato avanti troppo velocemente, parallele alle parole di Matt: la confusione, i pensieri, la convinzione, l’euforia per ciò che stava facendo…
 La vergogna iniziò a prendere il sopravvento. La sua timidezza dove si era nascosta, ieri?
«Sì. Sì l’ho detto.» Sussurrò, con occhi spalancati. Aveva dato di matto, qualche ora prima, e le conseguenze erano tutte da vedere. Aveva deciso di non preoccuparsi, però. Calma piatta e perfetta. Nessun ripensamento; aveva fatto bene a fare quello che aveva fatto, tanto che gli sorrise.
Matt ricambiò il sorriso, scostandogli qualche ciocca di capelli dalla fronte.
«Il mio destino l’ho incontrato, Dommie. Ti sembrerà strano, forse azzardato per la nostra età. Può darsi anche che quello che ti sto per dire ti risuonerà come una frase fatta, ma ieri, vedendoti in quello stato, sotto gli occhi di tutti quegli sconosciuti, di Chris e di Kelly, mi si è stretto il cuore. Non è semplice affetto fraterno. Io… io sinceramente non lo so.»
«Non so neanche io cosa mi è passato per la testa.»
Il moro scosse il capo, costernato poiché non riusciva a farsi capire.
«No, io non so cosa provo per te. Il fatto che questo scoppio di… amore, quello del vero senso della parola, sia esploso così all’improvviso mi fa pensare che forse non è il momento giusto. Ma poi penso anche che non me ne frega niente.»
Dom sbatteva le palpebre, come se un moscerino si fosse conficcato nel suo occhio e non avesse alcuna intenzione di togliersi.
«Vediamo come va. Mal che vada, amici come prima.» Ribadì Matt, riprendendo le parole dette precedentemente dall’amico.
Dom sorrise. Sorrise e annuì.
Impacciati e inesperti, si avvicinarono l’uno all’altro. Matthew deglutì per il nervosismo che gli procurava quella situazione, così bizzarra nel suo già universo tanto singolare. Ma più lo osservava, più vedeva Dom con una luce diversa, una consapevolezza che non credeva neanche di avere. Era come se qualcuno avesse scoperto il suo vaso di Pandora personale, solo che al posto dei “mali” erano uscite certezze che non immaginava di nascondere. Che stupido era stato a non aver aperto prima gli occhi! Il suo sorriso si allargò, mentre prendeva l volto di Dominic tra le mani.
Il biondo pensava di sognare e non aveva alcuna intenzione di svegliarsi. Per esperienza personale, sapeva per certo che sul più bello i suoi occhi si sarebbero spalancati, rigettandolo nella cruda realtà della propria esistenza. Tuttavia, sommerso dalla gioia che sprigionavano gli occhi di Matt, mise da parte tutte le preoccupazioni e si lasciò trasportare dai battiti del suo cuore.
Siglarono quel patto con un bacio a stampo, delicato e tremolante, come un petalo di margherita che stava per staccarsi dalla propria base.
Un bacio puro, come l’oceano d’amore in cui Dom stava annegando felicemente.

Altea pensò di essere all’inferno, cosa che non si addiceva ai suoi canoni divini. Era abituata a scendere in un regno diverso dal suo, ma non credeva di poter sentire davvero tutto. Se come divinità era immune da dolori corporei e, se solo avesse voluto, anche dalle emozioni, in quel momento si trovò immersa in una tempesta emotiva e pregò, pregò davvero tanto per far sì che tutto quello finisse. Capì qual era stata la sua punizione: non morire, non perdere la vita per aver abusato di un potere non suo, né tantomeno vivere isolata, in un luogo eremitico. Le era stato consentito di diventare esattamente ciò che lei ammirava di più. Era un’umana, ma non una qualunque. Alcuni dei poteri che aveva le erano rimasti e, per di più le avevano lasciato i ricordi, così che avrebbe potuto crogiolarsi nel dolore delle reminiscenze, come se il termine “crogiolarsi” usato da Axel potesse essere riferito a qualcosa di negativo.
Alzò gli occhi al cielo, gettando una sfida ai suoi fratelli: se volevano vederla soccombere, avevano sbagliato bersaglio. Gli avvertimenti che le avevano mandato non ottennero la giusta attenzione perché Altea odiava quelle divinità stereotipate. Immaginò che, se a chiederglielo fosse stata Cassass, forse avrebbe potuto fare più attenzione, a non gettarsi in una scommessa con il, guarda caso, destino e ragionare in modo più maturo. Pensando al bene dei suoi pupilli e non a una sua stupida convinzione.
Sorrise. No, non era solo una convinzione. 
Camminando lentamente per non perdere l’equilibrio, constatò che non era poi così difficile distribuire il peso del suo corpo. La prima volta che aveva tentato di rimanere in piedi si era sbilanciata in avanti; la seconda volta era caduta indietro. Avere le sembianze umane di una quindicenne che non sapeva neanche deambulare era frustrante. Così, Altea sperimentò anche quei nuovi sentimenti: frustrazione, ansia, paura, nervosismo…
Aveva già provato emozioni del genere contro suo fratello, ma esse erano cresciute all’ennesima potenza e credeva che la sua anima e il suo corpo non sarebbero riusciti a sopportare quel fardello.
Stringendo i denti si incamminò verso la sua nuova vita. In tutti i sensi.




***

Mi sento in dovere di ringraziare tutte le lettrici silenziose, che siete tante, davvero tante!
Un Wolstenabbraccio generale <3
  
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