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Autore: AlexEinfall    26/11/2014    4 recensioni
Quando un eroe diviene il peggior nemico dell'umanità, quando ogni indizio conduce allo smantellamento di una maschera di bontà, quando è il cacciatore a divenire preda, chi potrà essere ancora dalla sua parte? Se Spencer Reid, un giorno qualunque, si risvegliasse con le mani sporche di sangue, chi potrebbe salvarlo dall'oblio? Tra lo spettro della dipendenza e qualcosa di molto diverso e più oscuro, la strada per la soluzione dell'enigma non potrà essere percorsa in solitudine.
Dal testo
Sangue. Nella nebbia della droga si era chiesto, tre o forse quattro anni prima, che odore potesse avere il sangue di un'altra persona sulla sua pelle. Possibile, si era chiesto, che le molecole odorose di qualcun altro, mischiate alle mie, possano dare come risultato un buon aroma? Soprattutto lo incuriosiva il pensiero che la morte, a contatto con la sua pelle, forse avrebbe avuto l'odore della vita.
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Morgan, Spencer Reid, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Alias



Dare un significato alla vita può sortire follia,
ma la vita senza significato è la tortura
dell'irrequietezza e del desiderio vago –
è una nave che anela il mare eppure lo teme.
Edgar Lee Masters
 


 Morgan, uscito dalla stanza interrogatori per pochi, interminabili minuti, rientra. Se Spencer fosse più lucido, se solo avesse il coraggio di guardarlo negli occhi, allora noterebbe che l'espressione del collega è radicalmente cambiata. Si siede, sospira e poggia sul tavolo una nuova cartella.
  «Ricominciamo.»
  Reid solleva la testa. È stanco, molto più di quanto avrebbe mai potuto prevedere. Quel diverbio è stato l'urto finale, che lo ha sbalzato a terra, cancellando ogni resistenza. Il collo è indolenzito dallo sforzo di sorreggere una mente immersa negli incubi, e le mani cominciano a fargli male.
  «Dato che non vuoi sentire quello che ho da dire, parlami tu.»
  «Di cosa?»
  «Comincia da quello che è successo stasera.»
  Spencer prende una boccata d'aria che gli brucia i polmoni. La voce si trascina a stento attraverso la gola riarsa. «Quando ho saputo della tua visita, ho pensato di fuggire. In realtà, la via di fuga che avevo in mente era molto più estrema di un cambio di città.»
  Morgan sente la bocca seccarsi.
  «Ma, mentre preparavo le valigie, mi sono reso conto dell'assurdità. Ero finito in un circolo parossistico, grottesco. Ho deciso che avrei fatto quello che dovevo fare fin dall'inizio: costituirmi.»
  «Se credevi così fermamente nella tua colpevolezza, perché non l'hai fatto prima?»
  Spencer sorride debolmente.«Credevo di potervi salvare. Non ci sono riuscito.» Prende una pausa. «Daniel ha insistito perché prendessi una dose di idromorfone.» Scuote la testa, incredulo di sé. «Mi ha convinto. Riusciva a convincermi. Non sapevo come, ma ora ne sono certo: era uno psicopatico da manuale. Eppure non me ne sono accorto.»
  «Non volevi vederlo.»
  «Già.»
  «Cosa è successo dopo?»
  Spencer aggrotta le sopracciglia, come intento a leggere qualcosa di davvero importante. «Mentre legava il laccio mi sono accorto che qualcosa era cambiato nel suo linguaggio del corpo. Le pupille dilatate, il respiro corto e lo sguardo...ne abbiamo visti a centinaia di simili. L'istinto ha fatto il resto.»
  «Hai capito che stava per ucciderti.»
  «Non aveva mai preparato una siringa lontano dalla mia vista. C'era qualcosa di strano. Quando ho capito che doveva aver mischiato il dilaudid a un'altra sostanza, mi sono ribellato. Non ero molto lucido, poco prima...era una bassa dose, ma ancora non era svanita. Non sono riuscito a bloccarlo, era più forte. Così c'è stata una collutazione...» Si interrompe e lascia che il silenzio parli per lui.
  «Sai cosa penso?»
  Spencer solleva lo sguardo su Morgan.
  «Credo che tu non abbia ucciso nessuno, se non il vero SI.» Si alza e lo guarda con una nota si speranza. «Credo che Daniel ti abbia incastrato e che, quando sei sfuggito al suo controllo, abbia deciso di sacrificarti. In ogni caso le prove avrebbero portato a te. Quando ha iniziato a meditare di uccidere si è reso conto della possibilità, sicuramente già studiata più volte, di commettere un errore. Ha scelto il capo espiatorio che meglio si addiceva alle circostanze. Deve averti studiato bene, non a caso tu hai preso a cuore Nathan ed Owen, in un modo che è facilmente reperibile tra media e internet. Ti ha seguito, è riuscito a drogarti e a rubarti l'orologio. Magari ha usato un gas volatile o ti ha sciolto qualcosa nel bicchiere al bar. Casi da manuale. Aveva premeditato che entrassi in confusione e, per evitare che gli sfuggissi, ti ha avvicinato. Così eri più gestibile e non solo rappresentavi una via di fuga, ma eri anche una gratificazione per il suo ego.» Morgan mostra al ragazzo delle foto che lo ritraggono. «Le ha trovate la polizia nell'appartamento di Daniel. Te le ha scattate pochi giorni prima del primo omicidio. Ti bastano come prova?»
  Spencer spalanca gli occhi, incredulo, mentre Morgan lascia la stanza.
 

   Come ho fatto a non pensarci prima?
   Il dottore si tiene la testa tra le mani, cercando di racchiudere i propri pensieri e di non lasciarli disperdere.
   È incredibile come, a volte, un semplice cambiamento di prospettiva possa rivoluzionare una situazione. Era così sicuro della propria colpevolezza, così ossessionato dai suoi crimini, così terrorizzato dalla prospettiva di aver perso la ragione, da non riuscire a pensare in grande. Gli sono sfuggite variabili importanti, ha tralasciato fasci interi di idee, come guardare un arcobaleno e perdersi metà dello spettro di luce. Si perde l'insieme.
  Un sistema è più della somma delle sue parti.
  Comprende ora che il sistema non è lui, non lo è mai stato. Lui era solo una sua parte, un numero nell'equazione, un atomo in una molecola molto più lunga.
  Uno strano sorriso si allarga sulle labbra screpolate.
  Sono innocente.
   
  Passa almeno un'ora, nella quale Spencer riesce a poggiare la fronte al tavolo di ferro e a chiudere gli occhi. Sta quasi per addormentarsi, dopo troppo tempo.
  «Hei, ragazzo.»
  Alza la testa di scatto e sorride, sinceramente. Anche questo non lo fa da troppo. E da altrettanto tempo non vede il viso di Morgan illuminarsi a quel modo.
  Hei, ragazzo...Non gli è mai mancato tanto.
 «Tutto bene?»
  Spencer si stropiccia gli occhi arrossati. «Sì, certo. Sono solo molto...stanco.»
  «Hai ragione, prometto che sarò rapido e indolore.» Derek sorride e si siede. «Ho la tua chiave di buona uscita. La polizia ha perlustrato l'appartamento di Daniel. Oltre alle foto è venuto fuori un bel altarino in tuo onore. Sapeva un po' troppo su di te. Aggiungendo questo al profilo, ai suoi precedenti e al suo tentativo di omicidio, direi che l'accusa nei suoi confronti reggerà bene in tribunale. Non c'è prova fisica che colleghi te agli omicidi o che possa mettere in dubbio la sua colpevolezza. Ha cercato di incastrarti, ed è ovvio.»
  Il dottore annuisce, ma sente nell'aria un però in arrivo.
  «Ora il tasto dolente: ci trasferiamo nel dipartimento di polizia del settimo distretto, quello in cui hanno avuto luogo gli omicidi. Dovrai lasciare agli agenti una deposizione dei fatti della scorsa sera. Pensi di farcela?»
  «Voglio solo chiudere questa storia» afferma Spencer. «Se per aumentare la mia credibilità e debellare ogni dubbio sull'imparzialità dell'indagine, dovrò farmi un viaggio dall'altra parte della città, sono disposto ad andare anche subito.»
  Morgan sorride: il suo piccolo genio non lo delude mai.
  Si chiede se Spencer lo sappia, se sappia che in fondo non è deluso. Ma decide di affrontare queste questioni più tardi, all'alba di un giorno migliore. Questo è stato già troppo lungo.
  «Bene, allora siamo d'accordo.»
  I due si alzano, Spencer un po' traballante sulle gambe.
 Morgan gli si avvicina e gli mormora piano. «Per la questione del dilaudid...nessuno saprà quanto ne hai assunto in questi giorni. Intesi?»
  Il dottore annuisce, abbassando gli occhi. La vergogna brucia ancora alla bocca dello stomaco.


 Prentiss e Rossi tirano un grosso sospiro di sollievo e ripongono i cellulari nei taschini. Si scambiano uno sguardo luminoso.
  «È finita.»
  «Povero ragazzo» mormora l'italiano, raccogliendo le sue cose per lasciare, finalmente, l'appartamento di Spencer. «Dovranno ripulire per bene questo posto, ma almeno un giorno potrà tornarci.»
  Prentiss annuisce, ma qualcosa sembra adombrarle il viso.
  «Emily, qualcosa ti turba?»
  «Come? No, nulla, stavo solo riflettendo. Credi che tornerà come prima? Intendo Reid.»
  Rossi sorride. «Se c'è qualcuno che ne è capace, è lui. Sottovaluti la forza d'adattamento di quel ragazzo.»
  L'agente Edwards da' ordine alla scientifica di abbandonare il campo e si avvicina ai due agenti. «Le analisi di laboratorio saranno pronte tra qualche giorno, ma sicuramente confermeranno la versione del dottor Reid.» Poi guarda la pozza di sangue che va seccandosi a pochi centimetri dai suoi piedi. «Jimi Hendrix» sussurra.
  «Come ha detto?» chiede Rossi.
  «Oh, una sciocchezza» risponde sorridente Edwards. «C'è chi pensa che il manciniscmo sia la mano della creatività, non credevo lo fosse anche del male. Bhe, io vado in centrale» dice poi, strofinandosi le mani. «È stato un piacere.»
  Edwards lascia l'appartamento con lunghe falcate, come se avesse questioni più urgenti da sistemare.
  Emily lancia uno sguardo interrogativo a Rossi. «Mancinismo?»
  Rossi medita, poi i suoi occhi si illuminano. Estrae dalla tasca il cellulare e compone il numero.
  «Garcia, Daniel Roland era mancino?»
  «Domanda interessante» ironizza la ragazza, rendendosi poi conto della serietà del collega. «Cerco subito...Dunque, in effetti sì, ma nella sua scheda è riportato un incidente in carcere: un detenuto gli infilò un...wuf...un coltello nella mano sinistra. Vennero recisi alcuni nervi e da allora ha imparato a scrivere con la destra. Non sapevo fosse possibile.»
  «Sì, se sei ambidestro ma hai sempre usato una sola mano» risponde Emily.
  «Grazie, Garcia.»
  «Al vostro servizio.»
  Rossi ha ancora il cellulare in mano e una strana sensazione lo turba, come all'avvicinarsi di un temporale.
  «Daniel era alto un metro e settanta.»
  Prentiss ha uno scatto. «Hai visto Edwards scrivere? È mancino.»
  Rossi impallidisce e un mio Dio sincero gli scivola dalle labbra.


  Spencer è seduto nella sala interrogatori alla centrale di polizia del settimo distretto di Washigton. È così stanco che ormai non riesce neanche più a tenere la schiena dritta. Chiude gli occhi e, inevitabilmente, immagini svariate di quegli ultimi, tremendi giorni gli passano dietro le palpebre, come un rullino sbobinato in fretta. Ha la strana e pungente sensazione che il sistema ruoti male, che un ingranaggio sia malfunzionante. Una melodia stridula, nella quale è difficile individuare il membro dell'orchestra che si è assentato.
  Ma non è un'assenza, piuttosto una manomissione. Spencer non sa ancora cosa voglia dire nel suo caso, ma lo sente nel suo cervello primordiale. Lo avverte.
  Cerca di isolare ogni variabile, ma è difficile.
  La porta si apre e fa capolino un giovane agente. Quando i loro occhi si incrociano, Spencer ha la strana sensazione di conoscere quel viso, qualche tratto che nell'insieme perde forza.
  «Dottor Reid, sono l'agente Edwards» si presenta, sorridendo a mostrare denti bianchissimi. Gli porge un block notes e una penna tenuti distrattamente sottobraccio. Gli posa davanti anche un caffé fumante. «Deve essere stanco, le ho portato un carico di energia. Scriva pure con calma.»
  «Grazie, molto gentile.»
  Uno strano lampo serpeggia negli occhi dell'agente, che sosta un attimo di più prima di uscire. Ma Spencer ora non riesce a farci caso. Butta giù a grossi sorsi il caffé, rischiando di bruciarsi la lingua. La sua mente è ancora in esplorazione.


  Emily e David entrano con furia nella sala riunioni, dove Penelope, Araron e Jennifer discutono con tranquillità e volti visibilmente sollevati.
  «Siete tornati» li accoglie Hotch. «Spencer è al distretto con Morgan.»
  I due agenti si scambiano un'occhiata.
  «Che succede?» chiede JJ preoccupata.
  «Garcia, puoi reperire informazioni sull'agente Phillip Edwards?» chiede Rossi.
  Mentre Garcia comincia a digitare, Hotch incrocia le braccia al petto, stanco e innervosito dalla brutta nottata. «Dave, cosa succede?»
  «Edwards ha fatto riferimento al mancinismo del SI. Ma Daniel era ambidestro e da due anni usava la mano destra, perché la sinistra è stata lesionata.»
  «Quindi non potrebbe impugnare con forza un coltello usando la mano sinistra» aggiunge Prentiss.
  «Nessuno ha menzionato che il SI potesse essere mancino» obietta JJ.
  «Eccolo!» esulta Garcia. «Oh, questo è preoccupante.»
  «Cosa hai trovato?»
  «È quello che non ho trovato.» L'informatica alza gli occhi sulla squadra, prima di tornare a fissare il pc. «L'agente Phillip Edwards è morto in servizio tre anni fa a Las Vegas, ma è ricomparso esattaente tre mesi fa qui a Washigton. Stesso numero di previdenza sociale, stessa persona.»
  «Era mancino?» chiede Rossi.
  «Negativo, ecco la foto.»
  La squadra guarda allibita il volto chiaro e la capigliatura bionda.
  «L'agente Edwards che abbiamo conosciuto non esiste» conclude Prentiss. «Chiunque sia, ha rubato l'identità di un agente morto.»
  «Ha fotto di più» interviene Garcia. «Devo ammettere che è stato maledettamente bravo. È entrato negli archivi digitali della polizia, ha eliminato ogni traccia dell'agente Edwards e ha creato un falso curriculum. Ogni traccia della morte di Edwards è reperibile solo tramite articoli.»
  «È riuscito così a entrare nella polizia come agente in prova.»
  «Dove si trova ora?» chiede duro Hotch.
  «In centrale con Spencer» mormora Prentiss.
 

  Spencer ha il foglio davanti ancora vuoto. Vorrebbe riuscire a trovare la risposta alle sue domande, ma non sa neanche quale sia la domanda. Sa solo che quel senso di fastidio non va via. Decide di prendere in mano la penna e inzia a girarsela tra le dita. Quando gli cade, con un tonfo secco, si rende conto di essersi macchiato le mani, come quando era bambino.
  Cerca di strofinare via l'inchiostro e ha un'intuizione così forte da sconvolgerlo. Come un potente orgasmo, si diffonde ovunque nel corpo, legando a un'idea altre cento.
  Rivede le mani dell'agente Edwards mentre gli porgeva il caffé: mano sinistra sporca d'inchiostro. Mancino. Rivede un dettaglio della propria camicia quella mattina: uno spruzzo di sangue sull'avambraccio sinistro. Nella sua mente vede un uomo, mancino, pugnalare una donna al petto, il braccio destro si macchia nella parte interna, per necessità il sinistro, il braccio sollevato, si macchia all'esterno.
  L'assassino era mancino.
  Rivede Daniel con la siringa in mano, che tiene la boccetta nel palmo della mano sinistra, percorsa da una lunga e mal cucita cicatrice, mentre il pollice dell'altra mano tira su lo stantuffo.
  Daniel non era mancino.
  Rivede il guizzo negli occhi dell'agente.
  Pensa al fatto di non aver mai visto Daniel prima di quella notte d'alcol e droga e di come, invece, ricordi di aver bevuto un bourbon in un bar pieno di polizziotti. Un bar dove c'era anche l'agente Edwards. Un bar nel quale qualcuno gli ha offerto da bere.
  Tutti i tasselli vanno al loro posto, la melodia diventa incalzante e precisa. Il sistema gira perfettamente.
  Come gira il suo stomaco, al ritmo della sua mente. Un dolore acuto gli arpiona le membra. I muscoli si contraggono dolorosamente e la vista diventa nebbia.
  Scivola a terra trascinando con sé i fogli gialli e la sedia di metallo, mentre qualcuno chiama il suo nome.





  
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