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Autore: asia_mia    26/11/2014    8 recensioni
«Io non voglio una relazione con lui…»
Alza lo sguardo e lo posa ancora su di me, stavolta è fragile, incerta, si morde il labbro inferiore e trattiene il respiro, non lo aggiunge eppure glielo leggo in faccia che ciò che pensa è ‘…voglio una relazione con te’.
«Elena..»
Scuoto la testa e mi allontano di un altro passo, lascio che un Oceano inondi lo spazio tra di noi, lascio andare zattere nel blu più profondo, senza provare minimamente a lanciargli un’àncora con cui restare aggrappate alla terra ferma.
Mi allontano e non ci sono già più.
Lei però è ancora lì, dall’altra parte della riva.
«Non dire niente per favore. Ho capito, tu non sei in grado e anche se lo volessi, questo non cambierebbe le cose.»
«Vedo che siamo d’accordo.»
«C’è solo una cosa che ti sfugge.»
«Quale?»
Fa un passo avanti, si butta in mare aperto e io resto a guardarla dalla mia sponda, sicura e conosciuta.
«Io non sono una bambolina nelle vostre mani. Non potete decidere al posto mio. Tu non puoi controllare me, cosa faccio o con chi voglio stare.»
«Ma posso controllare me, ed è quello che ho intenzione di fare.»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alaric Saltzman, Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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“Sarebbe bello… che almeno una volta, almeno ogni tanto, in questo dannatissimo mondo, qualcuno che cerca qualcosa avesse in sorte di trovarla, così, semplicemente, e dicesse l’ho trovata, con un lievissimo sorriso, l’avevo persa e l’ho trovata – sarebbe poi un niente la felicità.”
 
(Castelli di rabbia _ Baricco)
 
 
 
 
 
 
Elena
 
«Signorina Gilbert, questo non è un giornale scolastico. Qui scriviamo articoli che potenzialmente potrebbe leggere il presidente degli Stati Uniti D’America, nonché l’intero pianeta terra. Lo capisce che errori grammaticali, di sintassi o ipotesi supportate dal niente, non sono tollerabili?»
 
Ero passata al lavoro con il solo scopo di raccogliere dei documenti che mi sarebbero serviti per il prossimo articolo. Mi ero alzata presto, ero andata a correre e prima di andare a lezione di yoga, con ancora la tuta addosso, le scarpe da ginnastica e i capelli raccolti in una coda ormai completamente spettinata, avevo fatto una piccola deviazione. Volevo entrare, prendere quello che mi occorreva e scappare via, con la speranza di essere il più trasparente possibile, quello che di certo non mi aspettavo era di imbattermi, letteralmente, contro il mio capo, che non tanto gentilmente, mi ha invitato ad accomodarmi nel suo studio.
E’ da quel momento che sono calata in un silenzio umiliante, con tanto di testa bassa e mani che si torturano a vicenda sotto la sua scrivania.
Me lo merito, mi merito tutto il suo disappunto.
 
«Ha ragione. Mi dispiace molto signor Farwell..»
 
Non so cos’altro dire, non ci provo neanche a giustificarmi, a spiegargli come sono andate le cose, non cerco neppure di rivendicare il mio diritto a compiere errori e al suo dovere di controllare ciò che viene pubblicato nel suo giornale.
Sto zitta e basta.
Dopotutto che dovrei dirgli?
Dovrei raccontargli che quell’ultimo articolo è stato un lavoro svolto in fretta e furia? Che la mia vita ultimamente sta andando a rotoli, proprio adesso che pensavo potesse andare finalmente come sognavo?
Dovrei dirglielo che sono trascorsi altri due giorni senza che Damon si sia fatto sentire, mi cercasse, provasse a recuperare qualcosa? Che sentisse la mia mancanza?
 
Due giorni, due lunghissimi giorni.
 
Dentro i quali, l’unica cosa che ho ottenuto è silenzio e frustrazione.
Perché cavolo mica ci voleva un genio per capire che stavo soffrendo quando gli ho chiesto di andare via, che mi aveva ferita ancora e volevo solamente che lui tornasse da me, perché ne valevo la pena.
Non volevo punirlo o non vederlo mai più, volevo tempo e volevo darlo anche a lui.
Invece dovevo aspettarmelo, lui è troppo orgoglioso per tornare, è troppo impaurito per ammettere di aver sabotato le cose e avermi spinta esattamente dove voleva lui.
Troppo istintivo per essere almeno un minimo lungimirante.
E non c’entra l’ennesima litigata con i suoi o la gelosia per una telefonata di un uomo, che poi alla fine voleva davvero semplicemente scusarsi, c’entra lui e l’amore che gli fa paura perfino pensare di meritare.
Io la conosco quell’ansia che ti stringe lo stomaco, che ti fa minimizzare e allontanarti per non farti cogliere alla sprovvista quando quella felicità svanirà in un secondo, la comprendo, e se solo lui mi desse un segno, azzardasse un gesto, mi inondasse con uno solo dei suoi sguardi pieni di me e di quell’amore che ormai gli scivola via da ogni parte, io sarei pronta a scacciarla via. Mi servirebbe una sola di queste cose per continuare a lottare per noi, per tutti e due.
Eppure in questo momento, tra le mie mani che si stringono e le unghie che si conficcano nella pelle, ho l’assoluto niente.
E stavolta non mi basta più.
Voglio di più, voglio di più per me.
Volevo lui per me e ce l’avevo, abbiamo lottato con le unghie e con i denti per arrivare fin qui, ma ancora non riusciamo a tenerci.
Se lui fosse un po’ meno orgoglioso, un po’ meno impulsivo, un po’ meno…
 
Un po’ meno cosa?
 
Se lui fosse anche solo un briciolo un po’ meno qualcosa, non me ne sarei innamorata così tanto, così prepotentemente, così disperatamente.
Perciò no, non ho nessun diritto di lamentarmi o difendermi, di sperare che le persone siano come le vorrei solo perché mi spaventa l’imprevedibilità.
Non sono più una ragazzina che ha bisogno di rivalse o di essere protetta, sono una donna a cui gli errori non spaventano più, che ha accettato la sua imperfezione e anche quella degli altri.
Sono una donna che ha imparato a scegliere le battaglie per cui lottare.
 
«Non succederà più glielo assicuro.»
«Signorina Gilbert le ricordo che lei è ancora nel periodo di prova, sono stato io a volerla per collaborare con noi, proprio perché durante il suo percorso universitario ha realizzato articoli e ricerche interessanti.»
 
Fa una pausa, si riposiziona davanti gli occhi gli occhiali che gli erano scivolati sul naso, mi guarda di traverso da dietro di essi e si accarezza i folti baffi sopra le labbra con la stessa mano.
Io ricambio il suo sguardo, un po’ timorosa e un po’ fiduciosa nel poter ottenere una seconda possibilità.
 
«Le garantisco che ho mandato via persone estremamente in gamba per molto meno, perciò spero vivamente che non si ripeta nulla del genere, altrimenti potrà considerarsi libera di tornare ai suoi giornaletti scolastici.»
 
La sua arroganza e la strafottenza con cui pronuncia queste parole mi fanno rabbrividire e gelare il sangue, vorrei alzarmi, scaraventargli addosso questa scrivania intrisa di fogli e ritagli di giornale, sbattere la porta e andare via per non tornare mai più.
Vorrei, invece abbasso gli occhi, annuisco mestamente e ricordo a me stessa che ho bisogno di questo lavoro e che la responsabilità di quell’articolo scritto superficialmente è solo mia.
Non del tempo che non ho avuto, non di Damon che non si è più fatto sentire, mia, mia e di nessun altro. Perciò non darò la colpa a niente e nessuno, non mi infurierò scaricando la mia rabbia ed impotenza addosso a persone innocenti, non farò… come lui.
 
«La terrò d’occhio Gilbert, un altro passo falso ed è fuori.»
 
Come se tutta l’ansia che fin’ora mi ha messo addosso non fosse abbastanza, decide di aggiungerne altra, ricordandomi che non posso più permettermi errori e questo, lo ammetto, mi paralizza e un po’ ritorna a smuovere quella sensazione di perfezione che dovrei al mondo.
Quell’immagine di ragazzina impeccabile che mi ero tolta, che Damon era riuscito a farmi dimenticare, a sporcare, rendendomi ciò che sono, semplicemente umana.
Ed è qui, mentre stringo la mano del mio capo e lascio il suo ufficio per tornare a casa, che come un uragano torna a farsi sentire il bisogno che ho di lui, la mancanza che non riesco a colmare con niente, e mi investe in pieno, senza nessuna possibilità di fuga.
E un po’ lo odio per questo, per ciò che mi ha fatto diventare, per il muro dentro di lui che pensavo di aver scalfito ed invece me lo ritrovo sempre più alto e impenetrabile, per la mano che non gli riesco a tenere, e un po’ invece lo amo per le sensazioni che mi fa provare, per i pezzi di me che non sapevo neanche di possedere, per l’amore reale che mi ha fatto provare, per quegli argini che ha imparato a costruire solo per non farmi affogare.
Per l’amore che non si sceglie.
Non si sceglie chi amare, non si decide di amare qualcuno perché ti fa sentire al sicuro, perché ti da l’immagine che si aspetta il mondo. Non si ama la scelta giusta, quella che sei costretto a prendere. Non si può, non si può se si sceglie di essere autentici. Di seguire i propri istinti.
E Damon mi hai resa viva ad ogni costo, mi ha fatto sentire tutto, mi ha svegliata dal mio niente e fa male.
 
Dio se fa male Damon vivere come fai tu.
 
Io ero così sicura di ciò che volevo dalla vita, di ciò che cercavo, vivevo nell’illusione di dover essere adatta, invece lui mi hai resa giusta.
Perciò adesso non lo so come si fa a rimettermi insieme da sola, a sopravvivere dopo uno come lui, non lo so com’è il mondo senza di lui dentro di me, dentro la testa, dentro le ossa, dentro il cuore, sotto la pelle.
Non lo sa, lui, com’è pensare al mio futuro e trovarcelo costantemente dentro.
Ma dovrò scoprirlo come si vive senza di lui, che odore hanno gli altri intorno a me.
Perché lui non c’è e io non riesco nemmeno ad odiarlo.
 
 
 
 
 
 
Damon
 
Dopo quest’ultima firma i giochi saranno conclusi.
Ormai non posso più tirarmi indietro, non posso rimangiarmi la parola con Andie, né posso fare la figura del coglione che non sa scegliere cosa sia giusto o sbagliato per se stesso e si lascia influenzare da chiunque esprima la propria opinione intorno a lui.
Ormai ho preso un impegno e non intendo tirarmi indietro.
Mi padre può fare ciò che vuole, per quanto mi riguarda può lasciarmi da solo a gestire l’intera faccenda della denuncia, non ho più paura, sono pulito e so di essere in parte coperto dal buon nome che mi sono fatto tra tutti i miei clienti e in tutti questi anni. Mia madre invece, beh, lei ha già scelto da che parte stare, è troppa pancia per poter essere un minimo lucida e lungimirante, in questo è troppo come me, come il me che ero prima. Il problema è che lei non si è sforzata di cambiare, non ha lottato per qualcuno, con qualcuno, si è semplicemente ripresa la vita che voleva da ragazzina, eliminando gli errori di percorso.
Vorrebbe per me la vita perfetta che immaginava per lei, così da non avere sotto gli occhi quanto uno sbaglio possa macchiarti la coscienza e non pulirsi mai più.
Che vadano al diavolo.
Che vadano al diavolo tutti. Pure io e le mie smanie di essere un uomo libero ed indipendente. Tanto non lo sono più, non lo sono più da quando Elena mi ha sporcato l’anima.
Che si fotta anche tutto il mio orgoglio, sono un uomo che ama adesso, senza più barare o scappare via e anche questo, anche il voler restare dentro l’agenzia che ho costruito, continuando ad occuparmene semplicemente con qualche limite in più, lo faccio per lei.
E spero che basti, spero che tutti i miei sforzi possano essere utili per farmi perdonare, per farla tornare da me, nonostante me.
Eppure è trascorso un altro giorno e di lei non ho ancora nessuna traccia.
La mia lucidità e la pazienza che non pensavo mi appartenesse, stanno per essere clamorosamente surclassate dalla brama che ho di lei e dalla frenesia di andarmela a riprendere.
Sto finendo le scuse per non fare la cosa sbagliata che ho promesso di fare perfino a Stefan.
E so che se non la farò, avrò una schiera di persone pronte ad impalarmi senza pietà prima ancora che riesca ad aprire bocca.
Forse è per questo che sto fremendo dalla voglia di andare da lei, fregandomene dei paletti che ora ha fissato e della visita di Andie che, con questi ultimi documenti da firmare, è solamente un impedimento in più, al quale tutto sommato mi aggrappo per avere un’ultima illusoria distrazione.
 
«Credo di aver esagerato a presentarmi a casa tua.. qualcuno potrebbe equivocare.»
 
Andie è seduta accanto a me, sul mio divano, sta riordinando l’atto di vendita e lo sta riponendo nella sua cartellina. Cambia espressione mentre parla, si spoglia dai panni professionali e torna l’amica che è sempre stata.
 
«Nessun problema. Mi piacciono le donne che sanno cosa vogliono.»
 
Le rifilo uno dei miei soliti sorrisetti furbi e ammiccanti, tanto per non perdere l’abitudine di abbordare donne dal fascino inequivocabile e per sentirmi ancora un po’ l’uomo libero e senza limiti che non sono già più.
Andie contraccambia il mio sguardo e il mio sorriso stando al gioco e ringraziandomi con un cenno della testa, poi si siede sul mio divano e accavalla le lunghe gambe che sbucano da sotto la gonna del suo immancabile tailleur.
 
«Invece tu cosa vuoi signor alto bruno e bello? Oltre alla mia ormai agenzia?»
«Non sono così alto e la tua agenzia è decisamente un colpo basso.»
 
Andie alza entrambe le mani davanti al petto in segno di resa e accompagna il gesto inclinando la testa, porgendo delle scuse che mi fanno scuotere la testa e passarmi una mano tra i capelli.
Sfinito e senza scampo, cerco un time out almeno per cinque minuti.
 
«Mi serve una distrazione.»
«Puoi chiamarmi per fare sesso ogni volta che vuoi.»
 
Mi scappa una risata a cuore aperto per la libertà e la disinibizione che finora avevo conosciuto solo in me, ma che invece appartiene anche a lei e continua a spiazzarmi. Mi è sempre piaciuto questo suo aspetto, questo essere donna e sapersi prendere ciò che desidera, in tutti i sensi e in tutti i modi.
Mi sarei potuto innamorare di una come lei, di una in fondo come me, mi sono sempre chiesto perché il nostro rapporto andasse bene così ad entrambi e forse la risposta è proprio nel nostro essere così tanto uguali in alcune parti, in quelle parti che però non si incastrano.
O forse sono le mie che non si incastrano con le sue.
 
«Sto scherzando Damon. Avanti, raccontami. Cosa c’è che non va? E non dirmi questo lavoro o i tuoi, perché so che non è così.»
«Sono innamorato di una donna che mi sta facendo impazzire.»
 
Avevo aperto la bocca per dare la colpa al karma o allo stupido universo, invece la mia coscienza ha deciso di lasciarsi sfuggire una verità che ora non posso più nascondere. Lo dico così, in una confessione con gli occhi bassi e la voce stanca, lascio che le parole mi scivolino via senza riflettere, senza pensare alle conseguenze.
 
«Lo sapevo..»
 
La vedo dal respiro che le muore in bocca che vorrebbe aggiungere qualcosa, eppure non lo fa, manda giù il fiato e scaccia via i pensieri, il suo sguardo basso e vagante torna su di me, si riappropria della donna che è, forte e al riparo dalle emozioni. Mi studia per un attimo, insicura su quanto terreno possa guadagnare, prima che io la fermi.
 
«Allora, perché ti sta facendo impazzire?»
«Perché la amo e quando sono insieme a lei perdo il controllo.»
 
Mi sembra così semplice ora ammettere queste cose, che non capisco cosa ci faccia io ancora qui.
 
«Non ti fidi di te quando si tratta di lei?»
«Non mi fido di me quando si tratta di chiunque, Andie.»
 
Mi lascio scivolare sullo schienale del divano, accavallando le gambe e torturandomi i capelli con una mano che si impiglia tra di essi, fin dentro i pensieri.
Mi sento incastrato, in desideri che non sono miei, in istinti che sto ancora imparando e non riesco a controllare.
Vecchio e nuovo si scontrano, si mescolano ma non legano.
La parte di me che continua a fare cazzate traballa e si incrina ma forse non mollerà mai del tutto.
 
«Faccio cose che feriscono Andie. Mi lascio sopraffare dall’istinto, amo in modo egoista, o forse sono egoista e basta, senza capacità amatorie! È nella mia natura. E’ ciò che sono. Ma poi devo controllarmi per proteggere lei e perché lei vede cose in me,  che io non so dove siano. Mi spinge ad essere migliore, il che significa che devo cambiare ciò che sono. Lo capisci qual è il problema Andie?»
 
Lei mi guarda con uno sguardo che giurerei sia intriso di pena, da quando in qua sia diventato un cane abbandonato che implora briciole dai passanti, non ne ho la più pallida idea. Forse ero troppo occupato a sentirmi stretto nel letto del mio fiume, per rendermi conto di aver perso la strada anche di quello.
 
«Beh forse questo è quello che sei ora.»
 
Diretto ed inespugnabile il suo tono, il suo sguardo, il suo corpo che si protrae verso di me, i capelli che le scendono di lato, accompagnando il suo viso che si inclina e incorniciando l’accenno di sorriso che si irradia sul suo viso.
 
«Solo l’amore ci cambia Damon. Solo l’amore
 
E poi mi guarda con quello sguardo che invece riconosco, pieno ed intenso, complice e amico, fatto di intimità condivise e giochi sotto il tavolo, dove nessuno può vedere, che però buca lo stomaco perché riscopre un vuoto che dovrebbe occupare Elena.
 
«L’amore è un sentimento sopravvalutato.»
 
Quel tono ironico che provo a far uscire fa sorridere sia me che lei, perché non ci crede nessuno, non inganna nemmeno quella parte egoista che mi ostino a tirare fuori come scudo, che continua a non voler meritare niente.
Non ho più scelta, non lo so quand’è l’istante esatto in cui mi sono innamorato di lei, il cui lei è diventata l’ago della mia bilancia, fatto sta che è il suo pensiero a muovere le mie azioni, perfino quelle più egoistiche.
E’ lei che mi spinge ad essere migliore, lei che mi da il senso della mia stessa realtà, che mi fa decidere cosa sia giusto e cosa sbagliato.
Se non mi lascio andare al buio, se non mi lascio trascinare dalla marea, è solo perché so che lei non lo vorrebbe, che a lei farebbe troppo male.
Come se il merito di questo amore fosse il suo e di nessun altro.
Non lo so cosa lei veda in me, non lo capisco perché lotti così disperatamente per tenermi, mi fa paura.
Perché ne ho bisogno.
Perché non riesco a sentirmi all’altezza.
In qualunque caso, ormai, sono decisamente sotto il suo controllo.
Le lunghe gambe scoperte di Andie che mi passano davanti gli occhi, mi distraggono decisamente dalle mie considerazioni su quanto mi sia rammollito, ma il soffermarmi più del dovuto su queste, mi da per lo meno la sensazione di non essere del tutto irrecuperabile.
Mi alzo anch’io, seguo i suoi passi mentre raccoglie le sue cose e, sfilandomi davanti, si avvicina alla porta per tornare al suo lavoro.
Quando mi rendo conto che sta per andarsene, che nel momento in cui uscirà da questa casa tornerà ad essere la professionista che non è mai riuscita ad essere con me, che indosserà i panni della mia responsabile e non potrò più chiederle nulla, non posso lasciarmi sfuggire la possibilità di avere una conferma che forse, la parte narcisista di me, conosce già.
 
«Perché mi hai chiesto di restare a lavorare in agenzia?»
 
Non ho bisogno che lei mi risponda per capirlo.
E’ solo quando la mia domanda prende corpo che riesco a coglierne la risposta, a leggerci tutto ciò che lei non è mai stata in grado di dirmi.
Andie respira forte e mi guarda con uno sguardo che non le ho mai visto, uno di quegli sguardi che ti riscaldano e che ho conosciuto solamente negli occhi di Elena. In quegli occhi che regalano amore senza il bisogno di avere nulla in cambio.
Mi sorride amara, consapevole che non sia necessario rispondermi davvero e io sento una fitta in quello che giurerei sia un cuore, un cuore ormai spappolato e senza alcuna possibilità di redenzione.
Non me lo dice, non mi dice niente di ciò che le leggo dentro, mi infilo negli intarsi dei suoi occhi cioccolato e resto lì, fermo a ringraziare, sotto il peso di una scelta che ho influenzato io e di cui ora mi sento colpevole.
Lentamente, mi avvicino, lei socchiude gli occhi e io le lascio un ultimo piccolo bacio sfiorandole la guancia, proprio in quell’istante, Andie decide di voltare appena il viso e mi ritrovo a coprire un angolo della sua bocca.
Sento il suo sorriso che piano si allarga acquistando porzioni di pelle e di labbra.
Se me lo avessero raccontato qualche mese fa, se mi avessero detto che avrei rifiutato una donna mozzafiato, forte, intraprendente, una delle poche persone di cui mi fido professionalmente e che per giunta temo, mi sarei fatto una grande e grossa risata.
Gli avrei dato dell’idiota e l’avrei ignorato, come si fa con questo tipo di gente.
Adesso invece, mentre mi tiro indietro, mentre allontano la mia bocca dalla sua pelle, sono io il primo a rendermi conto che, invece, è la scelta più giusta che possa mai fare.
La sola ed unica possibile.
Per questo arretro di un passo, scivolo via la mano che era salita tra i suoi capelli, soffio fuori l’ultimo fiato che un po’ mi si era incastrato in gola e la vedo. Ferma e con un piede ancora indeciso se salire l’ultimo gradino o scenderli tutti insieme.
 
Elena è qui.
 
 
 
 
 
 

Elena

 
Mai, mai avrei potuto immaginare che me la facesse pagare in questo modo.
Mai avrei creduto che si odiasse fino a questo punto.
Mai, mai e poi mai avrei pensato che venire qui, solo perché il bisogno di lui era più forte di ogni scelta sbagliata, unicamente per cercare una via d’uscita insieme, fosse un ennesimo errore di cui pentircene.
Invece tutte le risposte che volevo, tutte le decisioni che dovevo ancora prendere, ora le ho trovate, adesso le ho prese.
Mi basta questo, questo bacio, questo contatto sporco e vigliacco, per arrendermi all’evidenza di un uomo che continua a non voler scendere a compromessi, di un uomo che quando ama, ama in modo assoluto e con la stessa intensità ti può distruggere. 
Come se non bastasse il male che ci siamo già fatti.
Come se il limite si spostasse sempre un po’ più in là.
Come se volesse spremere fino all’ultima goccia l’amore che chiunque prova per lui e non riesce ad assaporare. Fino a non farne restare niente.
Ed è come se non avessi davvero più niente, non sentissi più niente, braccia, gambe, testa, cuore, amore, come se tutto il mio corpo non fosse più il mio.
Damon è immobile.
Continua a fissarmi, con gli occhi sgranati, disorientati, gli stessi che ho io e che sciolgono in lui l’illusione di non aver visto ciò che invece è appena accaduto.
Non dice una parola, non muove un muscolo, annuso la paura che ha di vedermi scappare via.
E io continuo a non riuscire a staccare gli occhi dai suoi, dimenticando tutto, anche il motivo per cui ero venuta qui.
Non riesco a capacitarmene.
Non posso credere di essermi sbagliata fino a questo punto.
 
«Elena… possiamo spiegarti
 
E non è la voce di Damon quella che mi arriva lontanissima ed ovattata.
Appartiene alla donna con cui, da sempre, la parte insicura di me si sentiva in competizione e in perenne svantaggio.
E’ lei che cerca di rimediare, di spiegare, di giustificare un gesto ingiustificabile.
Non ci riesco a spostare lo sguardo su di lei, non la voglio guardare quell’immagine perfetta che emana anche solo stando ferma.
Le mie mani si stringono ancora di più sulla cinghia della mia borsa e il mio corpo cerca una distanza di sicurezza da lei, da lui.
La punta del mio piede si sposta indietro, trovando quel gradino che avevo appena finito di salire e sul quale ero in bilico, solo a quel punto, solamente quando si rende conto che stavolta me ne sto andando senza possibilità di ritorno, Damon spezza l’immobilità nella quale anche lui era precipitato e fa un passo verso di me.
Ma più lui si avvicina più io indietreggio, uno, dieci, cento, mille passi, fino a dargli completamente le spalle, correre via, aprire il portone del palazzo e sentirlo sbattere con un tonfo rimbombante dietro di me.
Voglio andare via, voglio tornare a casa mia e restarci per il resto della mia vita.
Non mi interessa più niente, non voglio saperlo perché Andie era con lui, non mi importano le sue scuse, le sue spiegazioni, voglio solo essere lasciata in pace, voglio dimenticare tutto, perfino l’amore che ho per lui e non sentire più niente.
Perché adesso fa male, fa male dover provare questo dolore per il resto della mia vita.
Mi fa male, mi fa male e basta e stavolta non c’è nessuna via di fuga che possa alleviarlo.
Le lacrime che inondano i miei occhi mi offuscano la vista, attraverso la strada in fretta e furia e non la vedo neanche la macchina che inchioda rumorosamente e sbanda per non investirmi, ma la sento la sua mano che mi blocca un braccio, mi strattona tirandomi indietro e il suo petto che si scontra con la mia schiena per la forza con cui mi ha strattonata via.
 
«Vuoi farti ammazzare??»
 
Grida, è spaventato, nudo, esposto.
E io non gli do neanche il tempo di riprendere fiato, né do a me quello necessario per rendermi conto che mi è corso dietro, mi libero della sua presa, lo allontano e lo spingo via, con entrambe le mani.
Perché non lo voglio vedere. Non lo voglio ascoltare. Non voglio neanche che mi tocchi.
Se si è sentito in diritto di fare una cosa del genere dopo il modo in cui mi ha trattata, non ci deve neanche provare ad avvicinarsi ancora a me.
 
«Elena! Aspetta non è come pensi…»
«No! Non ci provare Damon! Non provare a dire niente!»
«Ascoltami.. io.. Andie mi stava solamente..»
 
Non ci riesce a fermare nessuna parola, è spaventato e disorientato quanto me, le mie lacrime continuano a scorrere e si mescolano con la mia rabbia che lo atterrisce e che raccoglie facendosi scudo con il corpo, non indietreggia, non si ritrae, è completamente in balia di me.
 
«Tu la stavi baciando!»
 
Glielo urlo addosso, sperando che la mia voce copra i battiti del mio cuore, letteralmente a pezzi e fuori controllo.
 
«Tecnicamente, è lei che ha baciato me.»
 
Lo schiaffo che gli arriva mi brucia la pelle e gli fa voltare la testa, senza avere neanche la possibilità di rendersene conto.
Sento solo il suo respiro che si blocca e il mio che invece accelera.
La sua aria fintamente spavalda dura il tempo di un secondo, quando l’azzurro prepotente dei suoi occhi si sgrana dentro i miei, ha già lasciato il posto allo smarrimento e alla colpa.
Ci fissiamo senza dire una sola parola, io con ancora la mano a mezz’aria, lui fermo, immobile, non ci prova neanche a massaggiarsi la guancia.
Stringe i pugni e serra la mascella, lasciando che il rossore che le mie dita hanno lasciato su di lui resti allo scoperto.
E’ la seconda volta che lo faccio, la seconda volta che i miei sentimenti si scontrano con i suoi e con l’ironia con cui continua a non prendersi la responsabilità di nulla.
Non avrei mai voluto questo, è il senso di colpa che si mischia alla rabbia quello che mi fa allontanare da lui, attraversare la strada e raggiungere la mia macchina parcheggiata, ma lui rincorre i miei passi e incurante di tutto, mi blocca, afferrandomi per un polso.
 
«Non è successo niente.. lo sai Elena, sai che non ho fatto niente! Sai che non ti farei mai questo!»
 
Lo so.
 
Lo so, lo capisco dal modo sincero e terrorizzato con cui calca le parole che pronuncia, lo vedo nei suoi occhi che mi sfidano, lo sento dal mio cuore che sbatte all’impazzata contro le mie costole e vorrebbe esplodere ma sono troppo ferita per calmarmi, per razionalizzare qualunque cosa. E il suo non capirne il motivo mi fa infuriare ancora di più.
 
«Certo che lo so! E lo sai perché? Perché mi fido di te, nonostante te!»
 
Lo sento tentennare, vacillare, sento il terreno sotto i suoi piedi che trema e lo sento perché sono sulla sua stessa traiettoria, ma mentre il suo sta per crollare, il mio sta per esplodere.
La mia rabbia non ce la fa più a restarmi dentro, quello che provo ci sta per scoppiare addosso.
E più lui alza la voce più devo urlare per farglielo sentire cosa provo dentro.
Se lui vuole tapparsi occhi e orecchie, se ancora vuole illudersi di essere lo stronzo che non merita niente, o l’egoista che tanto decanta, io non ne posso più.
Io l’ho visto chi è Damon Salvatore, l’ho sentito quel cuore che batte dentro le sue paure, l’ho stretto tra le mani, ce l’ho addosso e mi rifiuto di pensare di nasconderci ancora per non farci del male.
 
«E’ per questo? Sei arrabbiata con me perché io invece non mi sono fidato di te?»
«Sono arrabbiata con te perché ti amo stupido idiota!»
«Bè forse è questo il problema..»
 
Per un istante, per un lunghissimo istante nessuno dei due respira più.
Il mio cuore si ferma.
Il mio corpo si congela.
I miei occhi si sgranano dentro i suoi che, appena mi vomita addosso le sue parole dopo la mia confessione, capisce di aver fatto uno sbaglio madornale.
Capisce che non era quello che è arrivato a me, il senso delle sue parole.
Apre la bocca ma non riesce a dargli fiato, è muto ed immobile.
Io paralizzata e senza respiro.
Siamo sconvolti entrambi per questa eruzione che non ce la faceva più ad aspettare, che premeva da tutte la parti per uscire fuori.
E’ la prima volta in tutta la mia vita che lo dico, che provo qualcosa di così forte, puro, limpido, viscerale per qualcuno. Ma non faccio neanche in tempo a metabolizzarlo perché Damon me ne fa pagare subito le conseguenze.
 
«No io.. non intendevo questo..»
 
Cerca di alzare una mano, di dire qualcosa, di sfiorarmi, di riprendermi.
Ma non sa come fare, la distanza che si è alzata come un muro invalicabile fa tremare lui e congelare me.
E lo so che non è ciò che intendeva, lo so, altrimenti saremmo due pazzi qui in mezzo alla strada che si urlano addosso senza ragione, invece siamo reali, tutto questo è reale, anche l’amore e il rifiuto che nonostante tutto adesso sento scorrermi nelle vene.
 
«Elena…»
 
Io non gli ho mai chiesto niente che non voleva, mi sono fatta piccola per restare in sua adorazione e guardarlo dal mio angolo di privilegio. L’ho amato silenziosamente, anche quando non voleva, gli ho affidato il mio cuore senza che facesse nulla per possederlo, gli ho consegnato tutta me, lentamente, un pezzetto dopo l’altro per non fargliene sentire il peso e lui mi hai raccolta, non avvertendomi che per custodirmi si sarebbe fatto male anche da solo.
L’ho amato anche quando avrei dovuto odiarlo, anche quando mi mandava via, lo amo perfino adesso.
Eppure lui ha buttato tutto all’aria, ha preso questo amore che gli ho sbattuto in faccia e lo ha distrutto, ha scelto per tutti e due e a me non resta altro che andarmene e scoprirlo da sola che odore ha il mondo senza di lui.
 
«Per favore aspetta..»
 
Non serve neanche che cerchi di trattenermi il polso mentre salgo in macchina, non serve che continui a chiamare il mio nome, a chiedermi di restare. Non serve che si trasformi nella persona insicura e dipendente che ero io accanto a lui. Solo perché non se lo aspettava, solo perché ora gli è franato il terreno da sotto i piedi e non sa a cosa aggrapparsi.
Solo perché ha bisogno di avere il controllo su tutto, perché ha paura di perdere il suo.
 
Stavolta è finita, è davvero finita.
 
 
 
 
 
 
 

Damon

 
Say Something..
 
 
Il sole è tramontato da più di due ore.
Il vento si è alzato leggermente e il calore che mi riscaldava fino a poco fa, è ormai completamente svanito.
Mi stringo un po’ di più in questa giacca di pelle e, per l’ennesima volta, cerco di sistemarmi meglio su questi gradini davanti al portone di Elena, sui quali sono seduto da non so più quante ore ormai.
Raccolgo le gambe, abbandono le braccia sopra le ginocchia, mi distraggo a scrutare un cielo buio, senza luna e senza nuvole.
Fin da quando ero un moccioso piagnucoloso, avevo assolutamente chiaro quale sarebbe stato il mio futuro. Ero totalmente certo che sarei restato da solo e me ne sarei andato in giro per il mondo per il resto della mia vita, ne ero sicuro da quando ho iniziato a capire come funzionavano certe cose. Non la volevo fare la fine dei miei genitori che litigavano chiusi in camera e si ignoravano poi per giorni, fingendo di amarsi profondamente davanti a me o di fronte a qualche loro amico.
Non l’ho mai sopportata la finzione.
Tanto più non avrei mai incolpato segretamente un figlio di tenere insieme due parti che non appartenevano alla stessa mela, né ne avrei messo al mondo un altro, solo per sforzarmi di farle combaciare.
L’apparenza l’ho sempre odiata e temuta.
Per questo ho preferito vestire i panni dello stronzo egoista che professa la verità, nuda e cruda.
Ma in tutto questo mio geniale piano, dentro tutte queste mie ferme convinzioni, ho fatto dei piccoli errori di percorso.
 
I miei sbagli sono i miei amici.
Il mio ostacolo più grande si chiama Elena Gilbert.
 
Perché lei, soprattutto lei, non lo sa com’è sapere di essere la scelta sbagliata, essere quello che non si sceglierebbe mai, l’egoista, quello che ti farà del male, non lo immagina com’è doversi confrontare costantemente con l’immagine che tutti hanno di te, e che hai finito per avere anche tu. Non sa com’è vivere con questo senso di colpa e sapere di essere amato nonostante tutto.
Non lo sa che mi fa paura guardare ciò che sono diventato.
Non lo sa com’è ascoltare un ‘ti amo’ urlato in quel modo e poi vederselo sgretolare tra le mani perché tu sei quello che distrugge sempre tutto.
Perché hai paura, perché non vuoi esserne responsabile, perché non ci pensi neanche che possa averlo detto davvero, che possa averlo detto davvero a te.
Perché hai alle spalle una montagna di errori e non sai come smettere.
E’ come aver iniziato a togliere pezzi fondamentali da un castello fatto di carte, cerchi di addrizzare gli altri pezzi, di spostarli un po’ per renderlo stabile, eppure dovunque tiri, dovunque tocchi, c’è una parte che piano piano cede, fino a che non hai più mani né più carte per tenerlo su. E allora sei nudo, vedi i tuoi errori, li vedi chiari, vedi perfettamente quali erano le carte che non dovevi togliere ma l’hai fatto ed è crollato tutto.
In un attimo.
Un altro pezzo e non hai più niente.
Per questo adesso sono qui.
A chiedere nuove carte, nuove mani, nuovi castelli.
Ad aspettare il suo ritorno.
Ad implorare il suo aiuto.
A riprendermi il suo amore, perché senza non sono più niente.
Ora lo so cosa si sente, quando qualcuno vede tutto il buio che c’è in te e nonostante tutto continua a sceglierti. Continua a tornare da te, anche se l’hai ferita a morte, anche se ti ha chiesto di andare via.
Anche quando ti ama pure se non vuoi, anche se sei faticoso, anche se glielo rinfacci.
Anche se ne hai disperatamente bisogno.
Il problema sono io, è il suo amore e tutto quello che c’è in mezzo.
Ed è masochista, contorto, paradossale, ma non c’è nessun altro posto al mondo in cui vorrei essere. Come la notte in cui l’ho tenuta stretta tra le braccia dopo l’incidente di Caroline, come la sera in cui mi ha chiesto di fare l’amore con lei, con una passione e una dolcezza che mi hanno spiazzato e mi hanno mostrato tutto quello che c’era dentro.
Come ogni santo giorno che sento il suo respiro o vedo un suo sorriso e so di esserne responsabile.
E’ lei il mio posto nel mondo.
E non mi importa quanto tempo ci vorrà, se una notte, un giorno, un mese, un anno, non mi importa di sembrare un debole davanti a lei, non mi importa di tutte le paure e di tutto il mio dolore, resto qui e per una volta, per una sola volta in tutta la mia vita, me lo voglio meritare.
Me lo voglio meritare questo amore che non ho mai saputo gestire, che mi ha lanciato addosso, che le è esploso da dentro e che forse adesso non prova neanche più.
Voglio fare l’unica cosa giusta che abbia mai fatto.
Nonostante non sia pronto, nonostante non mi senta all’altezza, nonostante la pelle bruciata da quel ‘ti amo’ che se ne n’è andato prima ancora di poterlo sentire dentro, prima ancora di sapere che sapore avesse.
La allontanavo nel vano tentativo di tenerla al sicuro e diventare nel frattempo migliore, non volevo sporcare niente.
Incredibile come non avessi capito nulla.
Ironico come più la tenessi a distanza più lei si innamorasse di me.
Spaventoso quanto avessi bisogno della sua umanità per ritrovare la mia.
E’ ciò che ho sempre temuto, quello da cui sono sempre fuggito.
E se lei non mi vorrà davvero più, non potrò recriminarle niente.
Se lei crederà di essere più felice senza di me, la lascerò andare.
Lascerò a lei la scelta stavolta, perché voglio che ne sia responsabile.
Voglio che mi guardi negli occhi e mi dica che riuscirà a dimenticarmi, che sarà felice e si ricostruirà una vita senza di me, buttandosi fino in fondo, come ha fatto con me.
Voglio che cresca senza rimpianti, con tutto il coraggio che serve.
Voglio che sbagli, che si sbucci le ginocchia, che rida per la sue figuracce. Voglio che se ne freghi di chi la giudicherà, di chi le dirà che non va bene, che poteva fare di meglio.
Voglio che scelga, che non si scusi, che urli, che la graffi questa vita, prendendosi la parte che le spetta, quella che le è sempre mancata.
Voglio che non si accontenti e non ci creda alle persone che le diranno di dover accettare dei compromessi per poter vivere. Sono persone invidiose, è gente che si è arresa, che ha perso quello slancio e quella brama che invece lei ha sempre avuto dentro.
Ci doveva solo credere, doveva solo pensare che fosse possibile.
Voglio che se ne vada, che se ne vada anche da me se necessario, se ne ha bisogno per crescere, per diventare la donna che per me già è.
 
Non voglio essere il suo limite, voglio essere la sua scelta.
 
Voglio le sue urla se servono a svegliare me, voglio la verità piuttosto che una finta apparenza.
Voglio i denti, le unghie e anche i graffi sulla pelle.
Voglio gli errori Elena, le mancanze che poi si riempiono, voglio le tue risate che salgono dalla pancia e voglio pure le mie lacrime trattenute.
 

Voglio…

 
Voglio che tu chiuda gli occhi e ti senta invincibile perché ci sono a proteggerti.
Voglio che tu sia felice, con me.
E allora ama Elena, ama tanto, ama forte e non ti arrendere mai, non ti arrendere mai… con me.
Io farò di tutto per ricordartelo, per ricordarti ogni singolo momento insieme, ogni brandello di felicità che abbiamo vissuto.
Smuoverò il mondo per te.
Forse non riuscirò a restare, ma tornerò, tornerò sempre da te.
Anche adesso, anche mentre fuggo dal bisogno di scappare, anche mentre mi sistemo di nuovo su questi freddi e scomodissimi scalini e riconosco i suoi passi avvicinarsi, prima ancora che svolti l’angolo.
Sono tornato, sono corso da lei, da questo amore che è un problema perché chiede e io non so come dare, questo amore che pesa e non mi fa scappare via come ho sempre fatto.
E lei, come se mi avesse fiutato, se riconoscesse il mio odore, il mio bisogno di rubare ancora un po’ di tempo, rallenta il ticchettio dei suoi tacchi e la sento respirare prima di voltare l’angolo del palazzo e materializzarsi finalmente sul fondo di questa strada.
Nel buio, vedo solo la sua figura avvicinarsi lentamente e i suoi occhi freddi – ma vivi e sorpresi – scorrermi addosso.
Solo quando è a metà strada e riesce a mettermi a fuoco, come io faccio con lei, si blocca fissandomi come fossi uno sconosciuto, come se non mi riconoscesse più.
 
Muta ed immobile.
Piena e stanca.
Vera e lontana.
Confusa e sollevata.
Bellissima e ferita.
Ammaccata ed imperfetta.
Mi guarda e vedo tutto ciò che è diventata.
Mi guarda e vedo tutto ciò che lei mi ha fatto diventare.
 
Poi, lentissimamente, riabbassa lo sguardo, stringe appena la cinghia della sua borsa e riprende a camminare.
Si avvicina e non mi guarda.
Si avvicina e io la guardo.
La seguo mentre mi ignora e prova ad aggirarmi, passandomi accanto e schiacciandosi contro il muro del palazzo per poter salire i tre gradini e sorpassarmi.
La vedo frugare nella borsa in cerca presumibilmente delle chiavi e allora mi alzo e decido che sì, sono un’idiota, ho rovinato di nuovo tutto, ma sto rimediando.
Sono qui e stavolta non me ne andrò.
 
Ci sto provando Elena, giuro che ci sto provando.

 
 
Dì qualcosa, sto rinunciando a te.
Sarò la persona giusta, se mi vuoi.
Ovunque, ti avrei seguito..
Dì qualcosa, sto rinunciando a te.

E mi sto sentendo così piccolo…
E io inciamperò e cadrò,
sto ancora imparando ad amare
semplicemente iniziando a gattonare.

Dì qualcosa, sto rinunciando a te.
Mi dispiace di non essere riuscita ad arrivare a te..
Ovunque, ti avrei seguito..
Dì qualcosa, sto rinunciando a te.

E ingoierò il mio orgoglio,
tu sei la persona che io amo
e ti sto dicendo addio.

Dì qualcosa, sto rinunciando a te.
Mi dispiace di non essere riuscito ad arrivare a te..
Ovunque, ti avrei seguito.

Dì qualcosa, sto rinunciando a te..
Dì qualcosa.
 
 
(Say Something _ A Great Big World)
 
 
 
 
 
 

Elena

 
Non lo so cosa ci faccia qui.
Non lo so con quale coraggio si sia presentato sotto casa mia.
Non lo so e non mi interessa.
Non sento niente.
Non sento più niente.
Non so più chi sia questo uomo che mi sta davanti.
Volevo solo stare da sola, rimettere insieme tutti i miei pezzi rotti, passeggiare sul bagnasciuga fregandomene di tutto e tutti. Non volevo ascoltare più niente per oggi, non volevo lottare più, non volevo più nessuno che mi accusasse, che mi ricordasse che ho fallito nel mio lavoro e pure nella mia vita privata.
Volevo tornare a casa, al buio e addormentarmi.
Non volevo lui.
Non ora.
Non lo voglio qui, non voglio guardarlo, né ascoltarlo, né tanto meno voglio parlargli.
Non ho mai conosciuto nulla di più complicato e storto e viscerale in tutta la mia vita.


Non ho mai avuto niente…

Voglio dimenticare lui, i suoi occhi blu cobalto, il suo sorriso ammaliante, il suo odore di erba appena tagliata, la sua verità che si nasconde tra le pieghe di un’ironia che ormai conosco.
Voglio che vada via, qualsiasi cosa abbia da dire, qualsiasi giustificazione voglia trovare, è troppo tardi.
Mi ha umiliata e allora mi lasci leccare le mie ferite, da sola possibilmente.
 
«Elena…»
«Va’ via Damon. Voglio andare a casa.»
 
Non ci riesco a guardarlo, so che non posso permettermi di farlo, per questo evito anche solo di sfiorarlo passandogli accanto ed oltrepassandolo.
Controllo il tono e non lascio trapelare nulla a cui lui possa aggrapparsi.
Cerco le mie chiavi e maledico la mia borsa troppo grande e troppo incasinata, come me.
 
«Dove sei stata? Stai bene?»
 
Smettila Damon.
Smettila e va’ via da me.
 
«Elena...»
 
Il mio nome tra le sue labbra ha sempre avuto una profondità disarmante.
Ha una vena agrodolce, una sfumatura che ti graffia il cuore.
Mi chiama per chiedermi di tornare da lui, per rendermi presente a me stessa.
Come se non lo fossi, come se non lo fossi stata abbastanza.
Non posso concedergli nulla, non voglio farlo, non devo.
 
Ma tu vieni a prendermi Damon, ti prego.
 
«Ti prego, dì qualcosa..»
 
Non basta?
Non basta tutto quello che ti ho detto?
Vuoi davvero ancora sentirtelo dire che ti amo e ti odio da morire Damon?

Vuoi davvero ascoltare questo?

 
«Elena per favore.. non possiamo lasciare le cose così.»
 
La sua voce mi arriva stavolta più vicina, alle spalle, preoccupata, colpevole, tanto che mi fa sussultare appena e senza rendermene conto monta una rabbia che ero riuscita a placare.
 
«Così come Damon? Così come
 
Non mi curo di essere l’Elena a cui l’ho abituato.
Sono gelida e lontana, non gli concedo sconti per le sue colpe.
 
«Così, con te arrabbiata.»
«Non sono arrabbiata.»
 
Sono ferita.
Ferita, Damon, che è anche peggio.
 
«Possiamo entrare?»
«No.»
«Elena…»
«Damon.»
«Non fare così. Mi dispiace… non era quello che intendevo.»
«Non mi interessa, non mi devi niente.»
«Non è vero. Sai che non è vero.»
 
Frugo nella mia borsa, iniziando a tirare fuori cellulare, fazzoletti, burrocacao, frugo per mantenere distanza, frugo per continuare ad avere una scusa per voltargli le spalle.
Respiriamo e restiamo in un’attesa finta e sterile.
Senza guardarci.
Senza toccarci.
 
«Ti prego guardami
«Smettila di pregarmi.»
«E tu smettila di fare così.»
«Che diavolo dovrei fare Damon secondo te?»
 
E poi non ce la faccio più.
Urlo e mi volto. 
Urlo e lascio cadere a terra tutto ciò che avevo in mano, con un tonfo che fa strizzare gli occhi ad entrambi.
Urlo e gli chiedo aiuto perché non ne posso più di ignorarlo.
 
«Ascoltarmi.»
 
Per un solo secondo vedo i suoi occhi, imploranti e dannatamente colpevoli, che un po’ si dilatano e cercano i miei.
Per un solo secondo, lo lascio di nuovo entrare dentro di me, poi torno a mettere il mio muro che sono stanca di alzare e abbassare a suo piacimento.
 
«Non voglio più sentire niente.»
 
Ma la mia voce è già traballante e lui lo sa.
Lui sente tutto di me e lo sa che gli ho dato tutta me, che mi sono spogliata di me, di tutte le mie resistenze e paure e sicurezze e l’ho fatto per lui. Così come sa anche che ora mi ci aggrapperò con le unghie e con i denti a quell’angolo di lenzuolo che mi è rimasto, per non scoprirmi più.
 
 «Per favore..»
 
Aspro e duro il mio tono, contro una dolcezza che mi spezza il fiato e mi stringe lo stomaco.
Odio i suoi occhi quando mi fissano così, quando mi chiedono perdono e implorano briciole per non morire sotto i morsi di un senso di colpa e di un amore troppo grande che non sa meritare.
 
«Perché? Perché ti ho detto che sono innamorata di te? Pensi di poterti arrogare ogni diritto ora? Notizia flash, non esisti solo tu! Ho avuto una giornata di merda e tu sei l’ultimo dei miei pensieri adesso.»
«Che altro succede?»
«Non è affar tuo.»
«Hai problemi a lavoro?»
«Non è affar tuo, cosa non ti è chiaro di questa frase?»
«Sei snervante quando fai così.»
«Pazienza. Sarà un altro dei miei problemi anche questo.»
 
E’ un colpo basso che si merita e non intendo sentirmi in colpa o continuare a proteggerlo.
Mi volto e torno a dargli le spalle mentre raccolgo la borsa e i miei oggetti sparsi per il marciapiede.
Sono ferita e mentre con gli altri abbasso la testa e resto zitta, con lui no, lui smuove il mio coraggio e la mia autenticità. E’ l’unica persona al mondo con cui riesca ad urlare in mezzo alla strada o davanti un portone chiuso senza sentirmi giudicata o fuori luogo.
Lo so che vorrebbe recuperare eppure non ci riesco, adesso l’orgoglio e l’egoismo che lui ha tanto sventolato in questi mesi, facendomici scontrare, sono passati a me e non li mollerò tanto facilmente.
 
«Elena… mi dispiace
«Va’ a casa Damon.»
«No.»
«E allora resta qui fuori, fai come vuoi.»
 
Il tintinnio del metallo tra le mie mani infilate nella borsa, mi fa capire di aver finalmente trovato le chiavi, le tiro fuori e le infilo nella serratura facendola scattare.
Damon è immobile.
Spingo il portone con entrambe le mani, faccio un passo avanti entrando nell’androne e poi, i miei piedi non si muovono più, il mio corpo si irrigidisce e d’istinto mi blocco.
 
Stupida, persa, innamorata.
 
Mi fermo e lo spio con la coda dell’occhio.
Ha lo sguardo basso, fisso sulla linea di confine che delimita il marciapiede dall’androne come a decidere se attraversarlo o no, le spalle contratte, le mani in tasta e le vene delle braccia in rilievo, coperte solo da una maglia nera a mezza manica.
E’ fermo, con il respiro stanco e io non ci riesco a lasciarlo davvero qui fuori, non ci riesco a fare un altro passo senza che lui mi segua.
Non riesco a tornare a casa con la paura che mi lasci veramente andare.
Per una volta sta rispettando la mia decisione e solo adesso capisco che non è ciò che voglio.
 
Stupida, stupida che non sono altro.
 
Mi volto appena verso di lui, indugio qualche secondo senza ancora il suo sguardo addosso, il tempo che serve a me per studiare lui.
E poi scelgo di aiutarlo anche adesso.
Scelgo di offrirgli almeno la possibilità di spiegare cose che ormai non mi serve neanche più sapere.
Scelgo di essere forte per tutti e due.
 
«Perché sei qui?»
 
Alza gli occhi su di me e io mi sento istantaneamente impacciata e in imbarazzo per avergli mostrato quanto in realtà abbia paura che se ne vada realmente.
 
«Per te
 
Il mio cuore perde un battito e devo sforzarmi di respirare e di restare lucida per affrontarlo fino in fondo stavolta.
 
«Io non ho bisogno di te.»
 
E’ la verità quella che mi esce dalle labbra, delicata, senza rabbia né distanza.
Io non ho bisogno di lui, io da sola ci so stare molto meglio di lui e avevo imparato a starci anche piuttosto bene, sono molto più forte di lui in quanto a stabilità ed equilibrio. Posso benissimo andare avanti anche da sola, male, rimettendo insiemi pezzi che non combaceranno mai più, ma posso riuscirci, nonostante tutto posso farlo.
Posso avere un po’ di luce anche nel buio.
Dopotutto mi ha svegliato lui dal mio niente, l’ha riempito, togliendomi certezze e rendendomi forte e sicura anche da sola.
Quindi sì, ora non ho bisogno di lui.
 
«Lo so.»
 
Un’ammissione e una verità condivisa, che sa di autenticità sudata e conquistata.
 
«E allora perché sei qui?»
«Perché ho bisogno io di te.»
 
E tutto ciò che c’è invece non c’era nella mia voce e nel mio di bisogno, c’è nel suo.
Tutta la consapevolezza che avevo io è pura confusione e terrore tra le sue labbra.
E’ una verità che non ha niente a che fare con la dipendenza.
E’ uno sguardo, il suo, che si allarga piano, imbarazzato, deciso, che mi scava dentro a cercare quella parte di lui che ha lasciato dentro di me.
Mi guarda come fossi il suo peccato e la sua redenzione.
Guarda le mie labbra come se ne avesse un bisogno fisico e poi torna nei miei occhi, inchiodandomi e senza lasciarmi la possibilità di muovere un solo muscolo.
Cauto, lento, senza che io me ne renda conto, fa un passo e si avvicina a me, alza piano una mano che sento poggiarsi delicata sulla mia guancia, in una carezza che non è neanche una carezza, ma un contatto che serve a lui per prendere le misure e vincere una battaglia che ho già perso in partenza.
Lo lascio fare solo fino a che il mio cuore non decide che è troppo, che sta per esplodere ancora, che ha bisogno di mantenere ancora una distanza perché altrimenti potrebbe non reggerla più la sua assenza.
Mi ribello alla sua mano che ha attraversato ancora le mie mura, lo faccio perché il modo in cui mi ha ricordato che tutto ciò che provo e proviamo, per lui è solo un problema, mi riaffiora violentemente. Una coltellata precisa e profonda fino a dentro al cuore.
 
«Lasciami andare..»
«Hai sentito quello che ti ho detto?»
 
Non ce la faccio a combattere questa guerra, non ho armi per difendermi, né altre strade per scappare via da lui.
Come si fa a fuggire da un uomo che ti guarda così?
Davanti ad un uomo che per te ha scelto di riprendersi la sua umanità, di smetterla di essere da solo, un uomo che non sfiorava neanche le mie mani all’inizio, perché era un contatto troppo intimo, più del venire a letto con me, un uomo che quelle mani me le ha tenute, toccate e accarezzate e che ora mi sta chiedendo di prendere le sue.
Mi sta chiedendo di salvarlo.
Lo leggo nei suoi occhi.
La vedo nel suo riflesso, la paura che ha che io lo lasci affogare.
Nonostante questo ho un terrore incontrollabile che tutto questo sia solo l’effetto del momento, che mi stia illudendo ancora.
 
«Mi fai male. Tu continui a farmi male.»
«Lo so. Possiamo entrare, per favore
 
 
 
 
 
 
 

Damon

 
Non ho mai pregato così tanto qualcuno, tanto meno una donna, nessuno è mai stato così ostinato da costringermi a farlo.
Io non sono mai stato così sicuro e in bilico da volerlo fare.
Non sono uno da grandi discorsi o da gesti romantici, non lo so fare il fidanzato e non so scusarmi in modo convenzionale, questo lei l’ha sempre saputo, come io ho sempre saputo che non sarebbe stato semplice arrivare a lei, che avrei dovuto scavare a fondo per farla fidare di me, avrei dovuto sfidarla per farla scoprire. E lo so che il suo limite è stato sempre un po’ più malleabile del mio, per questo adesso sono terrorizzato all’idea di non avere più margine.
Elena lo sa.
Lo sente. Così come io sento la sua paura di perdermi e di essere ferita ancora.
Restiamo in assoluto silenzio mentre lei si volta, avvicinandosi al suo appartamento. Cammina due passi avanti a me, infila le chiavi nella serratura e apre la porta, stando attenta a non far uscire la sua gatta.
Io la seguo da lontano, spiandone i movimenti troppo precisi per non farne trapelare un controllo fin troppo forzato, entro in casa dopo di lei, senza che mi inviti ad entrare, senza un cenno.
Sparisce in camera lasciandomi da solo al centro del suo salone troppo buio, troppo in disordine per essere davvero quello che ricordavo quando l’ho accompagnata a casa dopo l’incidente di Caroline, fatico anche a ritrovare il suo odore in mezzo ai piatti da lavare nel lavello, ai libri sparsi e accatastati sul tavolo e a qualche vestito buttato tra la sedia e il divano.
Forse è questo l’effetto che ho su di lei.
Le incasino la casa, la vita, il cuore.
Ma adesso che la vedo tornare, a piedi scalzi, con i capelli sciolti e spettinati, mentre si sforza di evitare il mio sguardo e mi sfugge in tutti i modi possibili, il mio ego e la mia speranza che mi spingono a credere di essere almeno un po’ il responsabile di tutto quel disordine, crollano in un istante.
Mi fa paura il suo silenzio, perché ci leggo dentro tutte le mie paure.
La osservo mentre si dirige verso una maglia poggiata sulla sedia accanto a lei, è una canottiera rosa chiaro, con il merletto bianco e un fiocco viola scuro sul davanti, me la ricordo perché è l’ultima cosa che le ho visto addosso. La prende, la piega, la poggia sul tavolo sopra un libro di antropologia culturale che, a giudicare dal volume e dal possibile peso, potrebbe tranquillamente essere usato come arma, se decidesse di scaraventarmelo addosso. Raccoglie una cinta che era buttata ai piedi della sedia, la arrotola nervosamente girandosela intorno alla mano e la posa sopra la canottiera piegata. Quando la vedo direzionarsi verso un foulard steso sul divano, mi decido a rompere l’immobilità che si è appropriata di me, togliendomi subito questo maledetto dente.
 
«E’ vero? Quello che mi hai detto.. è vero?»
 
Lo so è da stronzo insicuro, ma per lo meno ho ottenuto la sua attenzione.
Il suo corpo fa un sobbalzo, si ferma e si lascia scivolare tra le mani il foulard che aveva appena raccolto.
Sento il suo respiro che accelera e la vedo tentennare, in dubbio se aggredirmi ancora o concedermi la grazia.
 
«Secondo te?»
 
La sua voce è dura, con un retrogusto di sfida e dolcezza tutta insieme.
Si volta piano, cauta, bucandomi lo stomaco con il suo sguardo diretto e profondo.
Non ha bisogno di rispondere, non ho bisogno di sentire nient’altro da lei, un accenno di sorriso mi si dipinge sul volto senza che io possa farci nulla.
Sono definitivamente inerme e senza difese davanti a lei, di fronte al suo amore così potente da rendermi debole ed insicuro ed è qualcosa con cui non ho mai fatto i conti fino ad oggi.
Mi fa formicolare il cuore.
 
«Perché mi hai detto quelle cose?»
 
E poi è lei a parlare, a chiedere, a volere una risposta di cui sa di non aver bisogno, perché in fondo la conosce già.
 
«Secondo te?»
 
Ed infatti lascia andare un sospiro, scuote la testa ed arriccia le labbra, le basta guardarmi negli occhi per capirlo. Mi fissa per un tempo lunghissimo, scava in fondo alle mie intenzioni, cerca una spiegazione e, tra tutte le mille domande e offese che potrebbe buttarmi addosso in questo momento e che meriterei, pensa ancora a me, a cercare una giustificazione che possa scagionarmi.
Non ha bisogno di chiedermi cosa intendessi, vuole solo sentirmelo dire.
 
«Non mi basta.»
 
Lo dice in un unico fiato, mentre i suoi occhi ardono da sotto quelle lunghe ciglia scure, le sue guance sono di un rosso fuoco che non ha nulla dell’imbarazzo che la contraddistingueva quando l’ho conosciuta.
 
«Tu mi hai mandato via.»
 
Lo dico solo perché mi esce spontaneo, solo perché le mie reazioni vanno di pari passo alle sue, non perché voglia darmi intenzionalmente e continuamente la zappa sui piedi.
Il problema continuo ad essere io, continua ad essere la sua presenza dentro di me.
Il suo sguardo cambia espressione, capisce qual è il punto che ha innescato la miccia, indurisce lo sguardo, vorrebbe sfidarmi, glielo leggo dentro, dal respiro che cerca di dominare, dalla bocca stretta e imbronciata.
Ma poi, nell’istante in cui si specchia dentro di me, lascia andare un fiato più forte, liberatorio.
Scioglie le braccia che ancora stringeva duramente e fa un passo verso di me.
Io la seguo con lo sguardo, immobile di fronte a tanta determinazione e inchiodato dalle mie stesse insicurezze, seguo le sue braccia che scivolano su quella maglia di velo azzurro e fanno un leggero attrito su di essa, sollevandola leggermente. Sono ancora perso su quel movimento delicato quando la sua voce mi arriva piano, risoluta, ad un palmo di distanza.
 
«E quindi saboti le cose? Pensi di non meritare qualcosa e allora rovini tutto? Io ti ho chiesto di andare via in quel momento Damon... non ho detto di non volerti vedere mai più e anche se l’avessi fatto, le persone litigano, si urlano addosso, ma restano
 
Non ho mai visto i suoi occhi così veri, intensi.
La mia donna bambina è sbocciata in una donna che profuma di me.
L’incertezza ha lasciato posto ad una sicurezza che non la fa più tremare, che non le fa più abbassare la testa, non la fa più mentire o apparire costantemente perfetta.
Non ha più belle parole per coprire ciò che è, per nascondersi.
Adesso è sporca Elena.
 
E’ sporca a causa mia, è sporca di me.
 
E mi sfida, come io ho sempre fatto con lei, scopre il bluff, mi smaschera, capisce le mie paure e prova ad anticipare le mie mosse.
Chiude la partita senza avermi dato possibilità di fare più alcuna mossa e sarebbe un niente darle ragione, ammettere di essere io la parte sbagliata in tutta questa storia, voltare le spalle e andarmene per sempre da qui.
Di nuovo.
Per il suo bene.
Ma purtroppo per me, il suo bene, è diventato il mio e sarebbe stupido, inutile ed assolutamente presuntuoso, anche per uno come me, pensare di poterla influenzare o cambiare, sarebbe comodo credere di poterla allontanare per proteggerla da me, quando mi ha ampiamente dimostrato che non ha bisogno di essere difesa, né da me, né da nessun altro.
Sarebbe da vigliacchi non ammettere quanto lei abbia invece già cambiato me.
 
«Tu, mi rendi vulnerabile.»
 
Scelgo la strada forse più contorta, ma è l’unica più vera per me.
Respiro forte e faccio finalmente un passo verso di lei che, al contrario, stavolta è immobile e sul punto di attaccare se sbaglio anche solo una parola.
 
«Tu, mi fai provare cose che non ho mai provato. Mi fai sentire responsabile. Tu, mi fai paura, perché non sono più da solo.»
«Stai peggiorando la tua posizione.»
 
Lo capisco dalla sua fronte che si contrae, dai suoi occhi che diventano piccoli e mi scrutano, dalla sua voce piccola, piena di paura e distanza, che non capisce, che non è ciò che si aspettava.
Ma prima che possa fare anche solo un minimo movimento lontano da me, riempio lo spazio vuoto tra di noi avvicinandomi fino a prenderle il viso tra le mani e sfiorarle il corpo con il mio.
 
«Io, non sono uno che resta Elena. Ma tu, tu mi fai tornare
«Perché?»
«Perché preferirei darti tutte le sicurezze di questo mondo pur di non farti ancora così male. Perché sono la scelta più sbagliata, ma l’unica che vorrei tu facessi. Perché sei la cosa migliore che mi sia mai successa. Perché fai venire fuori la parte migliore di me. E io ho bisogno di te. Tu sei il bene e io ho bisogno di questo bene nella mia vita!»
 
Sono senza fiato quando sento le sue lacrime cominciare a scorrermi tra le mani e il mio cuore si blocca istantaneamente.
Non dice niente, piange, piange e basta.
E io non so che altro fare, cos’altro dire, per chiederle di perdonarmi.
Non ce la faccio a vederla così, a sapere di esserne responsabile, a guardare i suoi occhi languidi e profondissimi che mi guardano pieni e disperati.
Di una disperazione che ora sono io a non capire.
 
 
Ma poi, d’improvviso, nel suo silenzio e tra le mille lacrime che le scendono ancora e bagnano le mie mani, sento le sue guance aprirsi in un piccolo, timido e incredulo sorriso. Un sorriso che mi esplode dentro lo stomaco, tornando a far battere il mio cuore e allora capisco che forse, non sono completamente irrecuperabile ed imperdonabile, forse, solo lei potrebbe davvero amare uno come me.
Non mi interessa sapere perché, mi basta sentire di meritarlo.
Come se l'amore si dovesse davvero meritare.
E allora non ce la faccio più a tenerla a distanza, a non poterla toccare come vorrei, a non poterla baciare, a non riprendermi quella dolcezza che mi ha fatto capire che lei era quella perfetta per me e che l’ha esposta fino a scoprirsi del tutto.
 
«Fa’ l’amore con me.»
 
 
 
 
Unbreakable.
 
 

 

Elena

 
«Fa’ l’amore con me.»
 
Bassa e roca è la sua voce, come piace a me, come solo lui riesce a smuovermi dentro, arrivandomi nei polmoni e sbattendomi sul cuore.
Piccolo e consapevole è il suo sorriso che reagisce al mio.
Io che vivo di emozioni, lui di istinti.
Io che gli ho urlato di amarlo e lui che mi ha lasciato finalmente leggerglielo addosso.
Noi che finalmente siamo noi.
Noi che questa non sarà la prima e nemmeno l’ultima.
E’ una danza silenziosa, la nostra, iniziata molto tempo fa, quando ancora i nostri passi erano un camminare indeciso, uno scappare senza meta.
Quando i nostri passi erano soli e noi eravamo spaventati anche dalla nostra stessa ombra.
Non erano un venire a riprenderci, torturarci, amarci, allontanarci.
Quando le mie lacrime erano solo mie, per causa sua, mentre adesso si mescolano con i nostri sorrisi, si asciugano tra le sue dita.
Mi basta.
Tutto questo è più di quanto volessi, è più di un ti amo detto perché non ne potevo più.
Più di un perdono che in confronto non ha più nessun senso.
E’ la riva dopo una tempesta in alto mare, il pozzo in mezzo ad un deserto senza confini, un’àncora dentro la piena del suo fiume.
E’ la cura che lenisce le ferite, ma non le cancella.
 
«Fa’ l’amore con me.»
 
Tutto torna tra di noi, tutto si chiude, in un cerchio che non pensavamo neanche di voler disegnare.
Me lo soffia ancora, ad un centimetro di distanza, con lo stesso tono irrinunciabile con cui io l’ho mormorato a lui tempo fa.
Con la stessa voce profonda con cui si è esposto fino alla carne viva.
E io resto inerme, immobilizzata dal suo tornare, frastornata dalle sue parole, con il cuore esploso in mille pezzi e la sua fronte poggiata sulla mia.
Sconfinato è il mare che gli leggo dentro e che scende dai miei occhi.
 
Incredula, soddisfatta, amata.
 
Questo sento, questo sono mentre scelgo di lasciarmi trasportare dalla corrente, certa, assolutamente certa, che riusciremmo a nuotare insieme, che il suo lasciarsi amare e il mio coraggio erano le uniche cose che mancavano per non farci affogare.
E vorrei vedesse nei miei occhi che ciò che sono diventata è solo per merito suo.
Vorrei sentisse che non ho più paura di amarlo, né di essere l’unica ragione che lo tiene a galla, perché lui, solo lui, mi ha dato quello che disperatamente cercavo.
 
Nonostante.
 
Quell’essere amata nonostante tutto, nonostante fossi chiusa in un armadio, nonostante non avessi niente, nonostante avessi bisogno di tutto, nonostante cercassi tutto il contrario.
E’ proprio questo che adesso mi spinge però a metterlo in guardia, come non ho mai fatto, come farò altre mille e mille volte, perché non saremmo noi, lui non sarebbe Damon e io non sarei io, se non lo facessi.
 
«Il fatto che tu sia tornato, non significa che io debba restare..»
 
Lo sussurro con un tono diretto che gli fa allentare la pressione con cui mi tiene il viso tra le mani, d’istinto le abbassa e prova a scivolare via, ma sono io a riprenderlo adesso e non aver più intenzione di lasciarlo andare.
 
«Se devo farlo, me lo devi chiedere.»
 
Lo dico talmente sottovoce che mi costringo a staccare leggermente la mia fronte dalla sua, posare i miei occhi dentro i suoi e studiare la sua reazione alle mie parole, perché non sono certa gli siano arrivate.
Ma Damon è ad un soffio da me e respira piano, lento, su di me, non le vedo, eppure me ne accorgo dai suoi occhi che si fanno più piccoli e dalle piccole rughe intorno ad essi, che le sue labbra si sono aperte in un leggero sorriso, mentre le mie lacrime hanno finalmente smesso di scendere.
E’ l’unica sicurezza che voglio da lui. L’unica di cui ho bisogno per non farmi ancora male.
Damon riporta cauto il palmo della mano su di me, mi sfiora, mi accarezza, apre completamente le sue dita sulla mia guancia e io lo lascio fare, chiudo gli occhi e mi lascio prendere senza più riserve.
Non mi importa più nulla delle litigate, degli sbagli, della notte, del mio lavoro che non è ancora come vorrei, di quanto dovremmo entrambi rimboccarci le mani per questo futuro dentro cui vediamo solo noi.
La sola e unica cosa che sento adesso sono le sue labbra che piano, delicate, sfiorano le mie.
Una volta, due, tre, quattro volte, pianissimo, dolci, lasciandomi piccoli baci morbidi con i tempi di un respiro, che mi fanno impazzire e quando non le sento più, sollevo lo sguardo e trovo il suo, ad aspettarmi.
E lo fa, mi guarda negli occhi in un modo così intenso da togliermi il fiato, in un modo in cui non mi aveva mai guardato, come se il suo mondo fosse tutto davanti a lui, mi respira sulle labbra e con una voce dolcissima, bassa, imbarazzata, ma sicura e ferma, placa le mie residue insicurezze e mi da l’unica che cerco.
 
«Resta con me Elena, resta e prenditi tutto di me.»
 
E non mi serve più altro.
Non mi serve sentire più nient’altro per aggrapparmi alla sua t-shirt e tirarlo a me, stringerlo e baciarlo dappertutto.
Ed è istinto, urgenza, desiderio, bisogno, amore.
E’ il sapore dell’amore quello che sento sulla sua bocca, tra le sue mani, sulla mia pelle.
 
Non ne uscirai più viva Elena.
 
Non indietreggerò più Damon, resterò qui e ti lascerò libero di andare se vorrai.
Ma promettimelo Damon, promettimi che tornerai sempre da me.
Promettimelo mentre mi baci dappertutto, mentre i nostri vestiti sono già sul pavimento.
Promettimelo mentre le tue mani stringono le mie, mentre il tuo corpo mi spinge sul divano e tu entri dentro di me.
Promettimelo che resisterai per me.
Promettimelo, mentre il desiderio di te diventa più forte del mio bisogno di certezze.
Fa’ l’amore con me Damon.
Fallo e sii consapevole che questo amore ha cambiato entrambi.
Senza limiti, senza condizioni.
Io che amavo con moderazione, con la testa infarcita di regole e aspettative.
Tu che raccoglievi l’amore che pensavi di meritare.
 
Promettimelo e resterò Damon.
Resterò, perché tu mi rendi infrangibile.
 
 
 
 

 
 
 
 
 
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Ce l’ho fatta…
 
Non posso credere di essere riuscita a concludere questa storia.. e se voi siete arrivate fino a qui, dopo tutta questa lunghissima assenza, dopo tutte queste lunghissime e forse anche un po’ pesanti pagine, non posso che esserne orgogliosa e onorata.
Perché questa storia è nata da un bisogno, dalla voglia che leggere voi aveva trasmesso a me, dalla possibilità di mettermi in gioco ed esorcizzare esperienze ed emozioni.. e poi è proseguita grazie a voi, a tutte tutte voi, ed è finita soprattutto GRAZIE a voi.
Perché quando la realtà entra prepotentemente dentro una passione, è difficile riuscire a gestire entrambe.. ma con le unghie e con i denti ho voluto farlo e dare a voi e a questi miei Damon ed Elena la giusta conclusione.
Ed è stato difficile, questo è stato per me il capitolo più complicato, perché ero insicura, lo sono ancora, perché avevo mille finali, non tutti positivi in realtà, e forse qualcuno si è pure mischiato, ma alla fine, come al solito, loro hanno scelto per me.. Quindi nonostante le mie aspettative, la loro realtà ha nuovamente preso il sopravvento!
 
Non vorrei essere prolissa, anche perché capisco che non ne potete più di leggere! ;) perciò l’unica cosa che ancora voglio dirvi è GRAZIE… per il viaggio, la compagnia, il sostegno, la pazienza. Per quelle persone che mi hanno incoraggiata e per quelle che in qualche modo ho ‘conosciuto’ qui.. meravigliose, che porto dentro e continuerò a seguire a tutti i costi, anche se un po’ ‘lontana’.
 
Forse, se vorrete, se riuscirò, mi piacerebbe un epilogo..
Intanto vi abbraccio e vi ringrazio ancora ancora ancora con tutto il cuore.
 
Ale

Ps.Avevo delle immagini per voi.. ma non sono riuscita a caricarle.. chiedo venia! Se qualcuno sa come fare.. magari ne terrò conto se ci saranno prossime volte... :-)
  
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