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Autore: Gru    26/11/2014    5 recensioni
"Ma noi non siamo pericolosi! E se... e se lo spiegassimo? Potremmo dire loro che siamo bravi, eh papà? Veniamo fuori sotto una grande coperta e... e poi diciamo che... no, anzi, scriviamo un bigliettino! Scriviamo un biglietto e lo spingiamo verso il primo umano che passa, così lui capirà e lo dirà agli altri umani, e potremmo uscire! Eh papà?"
Raccolta di drabbles su quanto la vita sia ingiusta con le persone sbagliate.
(La cronologia disordinata dei capitoli è ispirata ad una fanfiction in lingua inglese che ho letto tempo fa. Spero di non venire arrestata per questo.)
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Età: 6 anni

“Ridammelo, Mikey!”
“Ma è mio!”
“Non è vero, l’ho toccato prima io!”
“Smettila, Raph…”
“Non fare il Sensei, Leo. Era dalla mia parte!”

Splinter rilasciò un lungo sospiro ad occhi chiusi. Stava aprendo una lattina di minestra in scatola nella cucina male illuminata della tana, mentre alle sue spalle i quattro bambini aspettavano la cena seduti su delle pile di cuscini poste sui quattro sgabelli intorno al tavolo. Lanciò un’occhiata verso l’ennesimo litigio: Raffaello ora si stava sporgendo pericolosamente verso Michelangelo, che con uno sguardo vagamente preoccupato stringeva un cucchiaio nelle manine, con una mano allungata verso di lui e l’altra sulla faccia di Leonardo, il quale lo aveva arpionato per il guscio cercando di trattenerlo. 
“Raffaello, rimettiti al tuo posto. Il tuo cucchiaio è lì alla tua destra, vedi?” 
Il piccolo mutante, richiamato dal padre, smise di dimenarsi e, dopo aver esitato solo un secondo sotto il suo sguardo severo, si riaccasciò pesantemente sullo sgabello, afferrò con astio la posata e incrociò le braccia sbuffando ma senza osare alzare gli occhi. Splinter ebbe la sensazione che quel cucchiaio non fosse affatto sfuggito al figlio mascherato di rosso, ma preferì lasciare da parte quel pensiero, almeno per il momento: iniziava a percepire un leggero mal di testa, e il mutante non desiderava altro che mettere a letto i bambini e dedicarsi a qualche ora di salutare meditazione. 
Il silenzio che era calato nella cucina fu interrotto dalla vocina esitante di Michelangelo. “Raphie… se vuoi lo prendo io, quello…”
Benchè impegnato nel versare la minestra in una piccola pentola per metterla a scaldare, anche dando le spalle alla scena Splinter riuscì a  immaginare l’occhiataccia da parte dell’interpellato e il tono della risposta che l’avrebbe seguita. “No!” sputò infatti seccamente Raffaello al fratellino che, mortificato, abbassò la testa senza dire più nulla.
Massaggiandosi con le dita lo spazio in mezzo agli occhi, Hamato Yoshi dovette ricorrere a tutta la concentrazione che gli era rimasta per non lasciarsi sfuggire un altro sospiro. Era incredibile come a volte il figlio più irruento e precocemente testardo si impuntasse senza alcun apparente motivo su questioni così poco rilevanti, ma che solo in quel particolare momento sembravano acquistare un’importanza vitale. La cosa lo preoccupava soprattutto perché temeva di non riuscire ad aiutarlo: se solo avesse capito cosa lo rendeva più irrequieto dei suoi fratelli, cosa mutava il suo umore così rapidamente da confondere chi gli stava intorno… Ma Raffaello era decisamente il meno incline a confessioni che potessero rivelare anche solo una piccola parte di quella nube di pensieri che oscurava sempre più spesso il suo sguardo verde smeraldo.
“Non essere cattivo con Mikey” mormorò Donatello, che aveva  cercato di rendersi il meno possibile partecipe alla discussione, ma che vedendo l’espressione afflitta di quest’ultimo si era arrischiato ad intervenire. 
“Ha cominciato lui! E’ stato lui, quello cattivo” scattò subito Raffaello, fulminandolo con uno sguardo che celava in mezzo all’ira anche una nota di risentimento. Ad un tratto però, come se si fosse ricordato di qualcosa, la sua espressione sfumò in un ghigno, e si rivolse nuovamente a Michelangelo: “Sai cosa succede alle tartarughe cattive, Mikey?” fece con un sorrisino molto poco innocente che fece stringere il fratellino al cucchiaio con più forza, come faceva con il lembo della veste del padre quando attraversavano insieme una stanza buia. 
Raffaello, soddisfatto della reazione, continuò: “Quando vanno a dormire, gli umani scendono nei tombini ed entrano in silenzio nella loro stanza…”
Splinter rischiò di rovesciare la minestra sul piano cottura. Con il gesto sospeso a mezz’aria e la bocca aperta dalla sorpresa, le parole pronunciate ingenuamente del figlio lo colpirono con violenza e inaspettatamente; voleva girarsi e impedirgli di continuare a spaventare i suoi fratelli con quelle storie, avrebbe dovuto farlo da subito, ma quella sera era particolarmente stanco, e il suo mancato intervento, lo sapeva, sarebbe costato a tutti. Quello che non sapeva, era che il discorso di Raffaello  avrebbe scioccato più lui dei suoi bambini.

Da quando aveva portato con se nelle fogne le quattro tartarughe mutate, lo smarrimento per il rapido succedersi di eventi sempre più strani e spaventosi era stato subito sostituito dalla determinata volontà di proteggere quelle fragili creature, e da quando queste avevano raggiunto una sufficiente maturazione si era sempre premurato a questo scopo di metterle in guardia da ogni possibile pericolo, il principale dei quali, come aveva amaramente intuito, era rappresentato dal mondo a cui aveva appena smesso di appartenere. 
Ma forse, nell’ossessione di preservare i suoi figli da quella minaccia, era arrivato persino a scordarsi delle sue origini. Certo, dopo la sua mutazione aveva ulteriormente preso coscienza - come se non le avesse già sperimentate negli ultimi tempi -  sia della brutalità che dell’indifferenza della specie umana: all’orrore per la facilità e l’assenza di scrupolo con cui colui che considerava un fratello aveva distrutto tutto ciò che amava, tutto ciò di cui aveva bisogno per vivere, si era sommato il ribrezzo per la noncuranza che gli uomini avevano nei confronti dei beni che avevano e che davano talmente per scontati da abbandonare tra i rifiuti.
Tuttavia in Splinter c’era ancora un’evanescente consapevolezza di appartenere a quel genere di individui di cui iniziava a vergognarsi, e ne accettava le responsabilità. Ma aveva appena capito che i suoi figli avevano assimilato un’immagine mostruosa della sua razza di provenienza, e sentì un’ondata di tristezza e senso di colpa invadergli il petto. Sapeva che se gli esseri umani fossero venuti a conoscenza dell’esistenza della sua attuale famiglia avrebbero pensato di essa la stessa cosa, l’avrebbero considerata come lo stesso gruppo di mostri di cui ora Raffaello si stava servendo per atterrire suo fratello. Ma avendo vissuto in un corpo e in una mentalità umana a lungo, era in grado (e si sentiva in dovere, da un certo punto di vista) di calarsi nei panni di una persona appartenente alla “normalità”, che pensa di rientrare nei parametri del giusto solo perché non conosce altre realtà. Poteva farlo: era un uomo saggio, ma soprattutto era un uomo.
“…e quando meno se lo aspettano le afferrano per i piedi e…”
“Basta così”. Il tono  fermo e secco del padre fece sobbalzare le quattro tartarughe, intrappolate fino a quel momento nella muta tensione creata dal racconto di Raffaello. Michelangelo, appena sollevato dall’interruzione, smise di trattenere il fiato e cercò con foga gli occhi del padre. “Papà, se lo è inventato, non è vero? Digli che non è vero!” implorò con gli occhi grandi che cercavano un suo cenno per tranquillizzarsi, una rassicurazione per se stesso più che una contraddizione al fratello. 
Splinter sospirò, con un groppo in gola. “Raffaello, non devi spaventare i tuoi fratelli con queste storie. Sì Michelangelo, era solo un’invenzione, puoi dormire tranquillo” rispose infine cercando di mantenere un’espressione per lo meno controllata. Poteva vedere anche le spalle degli altri due figli rilassarsi, nonostante loro non avessero osato chiedere la stessa conferma. 
Stava per tornare alla cena, quando colse la vocina di Raffaello, più esitante dopo la recente sgridata. “Ma tu hai detto che gli umani sono pericolosi.”.
Il mal di testa si era trasformato in una serie di fitte ritmiche e costanti che si propagavano fastidiosamente nel cranio. L’uomo-ratto esitò per un attimo e si volse di nuovo verso i figli, ma non si sedette subito. Temeva che se si fosse abbassato al loro livello non sarebbe riuscito a mantenere il controllo e la razionalità di fronte alla curiosità che stava nascendo sui loro visi.
“E’ vero, Raffaello, gli umani possono essere un pericolo per noi, ma questo perché non ci conoscono, e non sappiamo cosa potrebbero… pensare vedendoci.”
“Siamo così diversi da loro?” chiese piano Leonardo. Splinter si sorprese nel vedere l’espressione seria e matura di suo figlio, un’espressione che si poneva in contrasto con la sua età e con la spensieratezza che avrebbe dovuto caratterizzarla. Il suo bambino, che viveva da cinque anni con quattro mutanti tra binari e tunnel fognari, aveva comunque capito di appartenere ad una minoranza, la più piccola e sconosciuta, e per questo la più incompresa.
Si sedette finalmente intorno al tavolo con loro, e li osservò con calma, prendendo tempo. Come poteva spiegare loro che non avevano niente in meno di quelle misteriose creature della superficie a cui invece mancava la capacità di giudicare non superficialmente senza metterli in pericolo? Come sarebbe riuscito ad infondere ai suoi figli la stessa stima che provava nei loro confronti senza illuderli di poterla trovare anche altrove? “Figli miei, tutti siamo condizionati dall’aspetto delle cose. Vi ricordate quando avete assaggiato per la prima vota il riso? La forma di quei piccoli chicchi era diversa da quella delle cose che avevate mangiato prima, tanto che non eravate molto sicuri di volerli provare. Spesso si teme ciò che non si conosce, è nell’istinto di ogni essere vivente.”
Michelangelo aveva ascoltato ogni parola come i suoi fratelli e alla fine il suo viso aveva assunto un’espressione sollevata, il solito sorriso entusiasta aveva preso il posto del cipiglio confuso. “Ma noi non siamo pericolosi! E se… e se lo spiegassimo? Potremmo dire loro che siamo bravi, eh papà? Veniamo fuori sotto una grande coperta e… e poi diciamo che… no, anzi, scriviamo un bigliettino! Scriviamo un biglietto e lo spingiamo verso il primo umano che passa, così lui capirà e lo dirà agli altri umani, e potremmo uscire! Eh papà?”
Hamato Yoshi non si era mai sentito così vecchio. Avrebbe preferito un mal di testa cento volte peggiore di quello che lo stava già massacrando piuttosto che vedere puntato su di lui quello sguardo così carico di aspettativa in speranzosa attesa di una risposta che non gli avrebbe potuto dare, lo avrebbe preferito a quella odiosa sensazione di angoscia che lo induceva al desiderio ancor più intollerabile di fuggire e liberarsi dalle catene della responsabilità.
Non ce la faceva. Non riusciva a guardare suo figlio negli occhi, lui che era stato preparato a ben altre sfide, all’apparenza più ardue. Lo sguardo corse sugli altri bambini: Donatello seguiva l’evoluzione del discorso in silenzio con il suo cucchiaio il bocca e aspettando la risposta del padre, Leonardo taceva con la testa bassa, disorientato dal silenzio del saggio ratto, mentre Raffaello aveva appoggiato il mento sulle braccia incrociate sul tavolo, come se si aspettasse già che le speranze del fratellino venissero infrante da un momento all’altro, senza però osare intervenire come era solito fare per contestare i fratelli. Forse in fondo sperava anche lui di sbagliarsi.
 Tornò a guardare quest’ultimo, la cui fiducia non aveva regredito di un passo, e si costrinse a sorridergli. “Forse per ora è meglio aspettare” disse con il consueto tono pacato della voce nel tentativo di non sconvolgere troppo le sue aspettative, senza avere il coraggio di cancellarle del tutto, senza avere il coraggio di tradire la sua fiducia nel mondo. Vide il suo sorriso cedere per un attimo alla delusione, per poi tornare sul suo volto solo più attenuato di prima dopo il buffetto riparatore del padre.

Consumarono la cena in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri. Dopo aver portato diligentemente le loro ciotole al lavabo, i bambini furono accompagnati da Splinter alla loro cameretta. Michelangelo non fece le solite storie per andare a dormire. Nessuno di loro parlò molto, in effetti, ma quando Splinter passo davanti alla porta socchiusa dopo aver riordinato la cucina, diretto alla sua stanza, notò che due dei suoi figli erano ancora svegli: Michelangelo, girato su un fianco, giocava distrattamente con le linee del piastrone di Raffaello, il quale invece gli permetteva di usare come cuscino il suo braccio, mentre passava ritmicamente e con delicatezza la mano sul guscio del fratello. Ancora una volta nessuno dei due sembrava aver bisogno di parlare, ma entrambi parevano un po’ più sereni.

Disteso sul suo futon, fissando il soffitto e incapace di chiudere gli occhi, Hamato Yoshi si chiedeva se il mondo sarebbe mai stato capace di guadagnarsi il perdono dei suoi figli.





NOTE  DUBBIOSE DELL'AUTORE:
...che teme che un secondo capitolo più o meno sulla stessa linea del primo (tanti pensieri e poca azione: ok che è una raccolta introspettiva, ma...) possa annoiare un po'. Se tutto va bene la prossima dovrebbe essere un po' più movimentata. Certo, c'è anche la possibilità che diventiamo tutti vecchi e incapaci di intendere e di volere (figurarsi di leggere una fanfiction.. anche se... mumble mumble...) prima del prossimo aggiornamento. La causa? Sempre la stessa... -.-
Grazie ancora a chi mi ha seguito fin'ora, sia a chi ha lasciato una recensione (che gioia... sigh...) e sia a chi non lo ha fatto, che ha comunque contribuito ad una buona causa: accrescere il livello di esaltazione di una persona già molto esaltata per quattro recensioni può portare a conseguenze pericolose... u.u
Un bacio a tutti quanti!
Gru
   
 
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