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Autore: Blue Eich    27/11/2014    6 recensioni
Tutti credono che nei videogiochi Pokémon la vita sia tutta rosa e fiori: a dieci anni puoi già andartene di casa e girare il mondo. Ma proviamo ad analizzarla più da vicino, nei panni del silenzioso Rosso... Le cose non sempre sono come sembrano e la realtà purtroppo è orribile.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Blu, Pikachu, Prof Oak, Rosso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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● I n s i d e ●

 

Rosso si sentiva come se stesse galleggiando, ma apparentemente non c'era acqua attorno a lui. Era in un posto del tutto bianco, come una dimensione vuota. Tuttavia scorse una figura in lontananza: un signore anziano, con un lungo camice da laboratorio, le sopracciglia folte come cespugli e un libro aperto nella mano sinistra.

«Ciao! Benvenuto nel mondo dei Pokémon. Mi chiamo Oak! Però la gente mi chiama Professore dei Pokémon. Stai per cominciare la tua avventura, ma prima parlami di te: sei maschio o femmina?»

Rosso, che teneva le mani ficcate in tasca e lo sguardo basso, sentì il sangue salirgli prepotentemente al cervello. Ma che razza di domanda era? Poi, guardando il professore, notò che la sua espressione seria e penetrante non accennava a cambiare.

«Allora, sei una femmina?»

Scosse bruscamente la testa.

«Ho capito, sei un maschio. Mio nipote è stato tuo rivale fin da quando eri bimbo… Mmm, potresti ricordarmi come si chiama?»

Fu allora che Rosso arrivò alla conclusione definitiva che il professore aveva qualche problema. Forse Alzheimer, o semplicemente demenza senile. Scosse le spalle, per indicare che gli era indifferente.

«Ah, sì! Ora ricordo! Si chiama Blu!»

Fece un cenno con il capo in assenso. Non che gli importasse molto, francamente.

«Rosso!» esclamò poi il professore, con un entusiasmo improvviso. «La tua leggenda nel mondo Pokémon sta per iniziare! Ti aspetta un mondo di sogni e avventure con i Pokémon! Andiamo!»

 

Rosso aprì gli occhi, sentendosi come appena sveglio da un sogno. Gli ci volle un po' per realizzare che si trovava nella sua camera, uguale in tutto e per tutto a quella di ogni altro ragazzino della sua età, forse solo un po' troppo spoglia. Il letto era rilegato nell'angolo, insieme al vaso di una grossa pianta rustica. Davanti a lui c'erano una televisione e un Super Nintendo, come se ci stesse giocando fino a poco prima. Regnava un silenzio totale. Abbassò lo sguardo su di sé, trovandosi già la giacchetta a mezze maniche, i pantaloni, il berretto e le scarpe indosso. Forse doveva uscire.

Decise di dar retta all'istinto e scese le scale per il piano di sotto.

Chissà perché, ma non gli sembrò strano il fatto che ci fossero solo due stanze in casa, che non ci fosse un bagno, la cucina o un'altra camera da letto.

La mamma era seduta su uno degli sgabelli di legno che circondavano il tavolo del salotto e guardava pazientemente il vaso di fiori al centro di esso. La televisione in fondo alla stanza era accesa, ma trasmetteva sempre la stessa immagine luminosa.

Rosso provò a sedersi nel posto vuoto accanto a lei, ma rimase del tutto impassibile. Per un attimo, venne attraversato dal dubbio che potesse essere sorda, così le posò cautamente la mano sulla spalla.

Lei si girò, così all'improvviso da farlo sussultare. «Ascolta! Prima o poi tutti i giovani vanno via di casa. Lo dice anche la TV!» Lo sguardo di Rosso corse al massiccio apparecchio, a quanto pareva mal-funzionante. Non gli ispirava per niente fiducia. «Il nostro vicino, il Professor Oak, ti sta cercando.»

Il ragazzo attese, ma la madre non gli disse nient'altro e si limitò a rigirarsi verso il vasetto di fiori che decorava il tavolo. Forse la trovava un'attività illuminante, o si trattava di una particolare specie dotata di poteri ipnotici. Stette anche lui a fissarla intensamente per un po'. La sua bocca si piegò in una smorfia delusa: solo uno stupido fiore come tanti. Perciò, si disse, tanto valeva uscire ed esplorare quel fantomatico “mondo di sogni e avventure”.

 

Fuori il cielo era azzurro, ma senza nuvole. Gli alberi erano tutti uguali, mai uno più alto, più basso o più tozzo di un altro. L'erba era rasa, talmente rasa che al tatto non sembrava nemmeno erba. C'erano ovviamente delle persone, ma anche loro inespressive, che facevano sempre gli stessi quattro passi per poi ricominciare daccapo, senza dire una parola.

Rosso era esattamente davanti allo sbocco per il primo percorso. Enormi pezzi di staccionata lo delimitavano, separandolo dalla cittadina. Provò a muovere un passo sulle zollette d'erba, poi un altro.

«Ehi! Aspetta! Non andare!»

Avrebbe riconosciuto ovunque quella voce, ma soprattutto quel modo di parlare scandito da nette pause. A una velocità abbastanza buona per la sua età, il professore lo raggiunse.

«L'hai scampata bella!» esclamò, mostrandosi sollevato. «Nell'erba alta vivono i Pokémon selvatici!»

Prima che Rosso potesse rendersene conto, si udì uno squittio e davanti a loro comparve quello che, con molte probabilità, doveva essere un Pokémon. Teneva le zampette sulla pancia, aveva un'espressione mansueta e l'aspetto di un carino e sproporzionato topo giallo, con la coda a forma di tuono. Il Professore si limitò a lanciargli un oggetto sferico sul capo, che lo avvolse in una nuvoletta di fumo fino a farlo sparire. La palla in cui evidentemente era stato intrappolato fece due oscillazioni decise, per poi immobilizzarsi e illuminarsi.

«Puf!» esclamò ancora Oak. «I Pokémon selvatici appaiono all'improvviso! Hai bisogno di Pokémon tuoi che ti proteggano! Fidati di me! Seguimi!»

Rosso non ebbe neanche il tempo di obiettare, che già stava camminando per il villaggio dietro al professore, eguagliando il ritmo dei suoi passi. Quel giorno, venerdì 7 luglio 2000, Rosso di Biancavilla avrebbe ricevuto il suo primo Pokémon e, nonostante i dieci anni, sarebbe partito per il suo viaggio. Sempre con le mani in tasca e quell'andatura calma, entrò nel Laboratorio.

 

Il Laboratorio era l'edificio più grande di Biancavilla, con il tetto piatto e le finestrelle rotonde. Dentro, il pavimento era di legno. C'erano tantissime librerie stracolme di tomi, che contribuivano a dare all'ambiente un'aria più seriosa.

«Nonno! Non ne posso più di aspettare!» si lamentò il ragazzo che attendeva accanto a Rosso. Aveva un buffo taglio di capelli, sparati all'insù; indossava un maglione, una collana rotonda e degli stivali alti per resistere alle intemperie.

«Eh? Blu?» fece il professore, un po' confuso. «Come mai sei già qui? Ti avevo detto di venire più tardi!» Suonava come un rimprovero, ma non durò per molto. «Ah, fa lo stesso! Aspetta qui!»

Blu incrociò le braccia e prese a fissarli con un'evidente impazienza che mise Rosso un po' a disagio, ma cercò di ignorarlo e di concentrarsi sull'arzilla figura del professore.

«Ascolta, Rosso! Vedi quella palla lì sul tavolo?» Rosso avrebbe voluto girarsi per guardare, ma si sentiva come bloccato. «È una Poké Ball. Lì dentro c'è un Pokémon» annunciò Oak, senza avergli lasciato nemmeno il tempo di rispondere alla domanda precedente. «Puoi prenderlo! Avanti, è per te!»

«Ehi! Nonno! E io?» si intromise il nipote, quasi indignato che la prima scelta toccasse all'altro.

«Abbi un po' di pazienza, Blu, ce n'è uno anche per te.»

Il ragazzo stette fermo al suo posto, con i pugni stretti. E così era lui il suo rivale di sempre, Blu. Nei suoi confronti sentiva come se fosse ovvio che si fossero da sempre conosciuti, ma non ne conservava alcun ricordo concreto. Non poté fare a meno di notare un luccichio malinconico nei suoi occhi, segno che, forse… Forse non era l'unico a trovare quel mondo strano, spento, meccanico. Avrebbe voluto chiederglielo, ma dalla bocca non gli usciva alcun suono, e il suo sguardo serio era sempre ombrato dal berretto.

Comunque, la Poké Ball era sul tavolo, al perfetto centro. Quando avvicinò la mano per prenderla, Blu gli si fiondò addosso e lo spinse poco più in là, come una palla da rugby.

«Non esiste, Rosso! Questo Pokémon lo voglio io!» La Poké Ball sparì dal tavolo, tanto grande e tanto vuoto adesso, per finire nelle tasche invisibili di Blu.

«Blu! Ti pare il modo di comportarti?!» lo rimbeccò il professore, senza muoversi, ma corrugando le sue sopracciglia folte che rendevano facile paragonarlo a una tartaruga centenaria.

«Nonno, lo voglio io questo!»

«Ma io… Uhm, e va bene, tieniti pure il Pokémon. Te ne avrei dato uno comunque… Rosso, vieni qui da me.»

Ora nello sguardo di Blu c'era fierezza, come se non si pentisse di ciò che aveva fatto. Guardava Rosso quasi con astio, ma non seppe spiegarsi il perché.

Andò dal professore, come gli era stato ordinato, ed ebbe la sensazione che le gambe gli si muovessero da sole fino ad arrivargli davanti.

«Questo è un Pokémon che ho catturato stamane! Puoi prenderlo… Ma attento, è ancora selvatico e ribelle» si raccomandò, dandogli un'altra Poké Ball. Rosso la prese tra le mani: era semplicemente una sfera di plastica. A lui non importava quale fosse il suo Pokémon, gli bastava averne uno.

Adesso che aveva completato il suo obiettivo, non aveva ragione di stare ancora lì. Prese a incamminarsi verso l'uscita, ma venne distratto dalla voce di Blu.

«Aspetta, Rosso!» lo chiamò. «Proviamo i nostri Pokémon! Coraggio! Ti sfido!» Cominciò a dirigersi molto lentamente verso di lui, dando il via all'incontro. Il loro primo incontro.

In realtà Rosso non ne aveva alcuna voglia, ma allo stesso tempo non poteva sottrarsi. Si sentiva come incollato al pavimento. Sarebbe potuto scoppiare un incendio o esserci un terremoto che loro sarebbero stati ancora lì, ma qualcosa gli diceva che era un'ipotesi impossibile.

Le due Poké Ball, al lancio, si aprirono in sincronia e magicamente sparirono dal campo di battaglia. Da una parte uscì un cagnolino con due grandi orecchie e una voluminosa coda, dall'altra un topo ciccione che emetteva scintille dalle guance. La lotta iniziò, ma non era come Rosso aveva sempre immaginato. I Pokémon non potevano schivare gli attacchi, né lanciarne uno in più quando l'avversario era distratto. Dovevi stare lì, ad aspettare come uno scemo. Nel frattempo, avresti anche potuto prenderti una tazza di tè verde… Se solo quella paralisi alle gambe fosse svanita.

La lotta si susseguì monotona, a suon di Tuonoshock e Colpocoda. Perché Blu continuava a usare Colpocoda? Era una mossa inutile, che non gli avrebbe permesso di vincere. Il suo Eevee non reagiva minimamente nonostante tutte quelle scariche elettriche, né un taglietto, né una smorfia di sofferenza. Stava lì, fiducioso, eseguendo l'ordine del suo padrone, finché dopo l'ennesimo attacco sparì dal campo sempre col musino sorridente.

Nello sguardo di Blu adesso c'era stizza. Rosso non riusciva a capire cosa potesse avergli fatto di così tanto grave in passato, perché del passato non ricordava nulla in particolare. Disse qualcosa sul rinforzare il suo Pokémon e andò via, veloce com'era entrato.

Poco dopo, Pikachu – quello era il nome del topo ciccione – uscì, materializzandosi alle spalle di Rosso.

«Come?» fece Oak, con un tono estremamente sorpreso, ma senza spostarsi neanche di un millimetro dalla sua posizione. «Ma guarda questo… È strano, ma pare che Pikachu non ne voglia sapere delle Poké Ball. Dovrai portartelo appresso così. Questo dovrebbe farlo felice! Così gli puoi parlare e vedere se gli piaci.»

Rosso si voltò verso il mostriciattolo. Aveva delle strisce sulla larga schiena ed era piuttosto basso. Riguardo al muso aveva la bocca a w, gli occhi piccolini e le guance grandi come ciliegie. Beh, non aveva molta scelta, doveva davvero portarselo in giro così, a piede libero. Ma aveva la sensazione che non ci sarebbero stati imprevisti. Provò a dargli una carezza, ma ricevette in cambio uno sguardo di sufficienza e rifiuto, insieme a un breve verso. Okay, evidentemente non gli piaceva.

 

 

Pikachu seguiva Rosso ovunque, era diventato la sua seconda ombra, con la coda a saetta che ondeggiava furiosamente di qua e di là a ogni passo. Anche lui, come l'Eevee di Blu, doveva essergli completamente devoto: se lui sceglieva una mossa poco furba, doveva usarla lo stesso; se lui voleva camminare in tondo per ore, doveva seguirlo lo stesso.

Più il viaggio andava avanti, più Rosso si rendeva conto di più cose.

Per le strade c'erano solo ragazzini. Con berretti sportivi e pantaloncini, o con cappelli di paglia e retini per farfalle, o anche ragazzine in divisa da scout che correvano felici nei prati. Solo bambini. In giro, da soli. Nemmeno un adulto. A prima vista sembravano il ritratto della felicità, ma in realtà c'era sotto qualcosa di macabro. Rosso lo capì dopo le parole del Tenente Surge: “I Pokémon elettrici mi hanno salvato la vita durante la guerra!” Allora quei bambini non gli sembrarono più tanto felici. Bambini senza famiglia, che passavano le loro giornate a giocare spensierati perché non avevano nessuno, una sorta di paradiso spaventoso, perché Rosso viveva nella paura di venire ipnotizzato come loro… E aveva paura ogni qualvolta incrociava il loro sguardo sorridente. Non si può sfuggire al loro sguardo: devi sfidarli tutti, uno alla volta. Non puoi saltare dall'altra parte, non puoi strisciare per terra come un lombrico. Devi batterli tutti, uno a uno, non hai scampo.

Rosso iniziava seriamente ad avere paura di se stesso. Non aveva mai fame o sete, non doveva mai andare in bagno o dormire. Poteva continuare a correre quanto voleva e nemmeno Pikachu si stancava mai di stargli dietro, anche con un solo punto salute, anche se era stato Paralizzato dal Tuononda di un Magnemite. Non c'era la cognizione del tempo, non esistevano la notte e il giorno, ma c'era sempre quel perenne cielo azzurrissimo. Tutti gli orologi della regione di Kanto non ticchettavano. Solo un orologio ticchettava: quello sulla sua Scheda Allenatore, che contava le ore e i minuti da quando aveva lasciato casa. Non aveva scelta: doveva continuamente sfidare quei poveri bambini e catturare nuovi Pokémon, intanto che, nel timer, le ore aumentavano. Se per caso perdeva un incontro, quando riapriva gli occhi era davanti al bancone dietro cui un'Infermiera Joy stava fedelmente curando la sua squadra. E se le riparlavi lei la curava di nuovo, di nuovo, di nuovo.

I Pokémon quando li sconfiggi spariscono, ma tu non lo sai se muoiono o meno. Rosso arrivò alla conclusione che non morissero, che fossero sempre gli stessi monotoni Pidgey a ripresentarsi ogni volta. Altrimenti, si disse, ne aveva sconfitti talmente tanti che la specie avrebbe già dovuto essersi estinta.

 

Rosso arrivò a un punto dove non c'erano più bambini da sfidare: ci passava tranquillamente davanti, trionfale. Le poche volte che incontrava Blu si sfidavano e basta e, come al solito, lui non aveva voce in capitolo. A proposito di Blu: Rosso, all'inizio, non si spiegava come mai – di punto in bianco – avesse sostituito il suo amato Rattata con un Growlithe. Poi si era ricordato della frase con cui aveva esordito al loro incontro alla Torre di Lavandonia: “Rosso, che ci fai qui? I tuoi Pokémon non sono morti!” e aveva sentito una fitta di senso di colpa. Gli aveva ucciso un Pokémon. Eh già.

Era successo tutto quando erano entrambi sulla MN/Anna. Le onde del mare si muovevano placide, ti sfidavano tutti, persino gli chef, i marinai e gli aristocratici nelle cabine pressoché spoglie. Potevi cercare oggetti nei cestini della cucina, o fare un giro sulla prua della nave.

Blu, dopo avergli raccontato come andava il Pokédex, aveva sfidato Rosso alla solita lotta e Rosso aveva come al solito vinto. La cosa diversa dal normale era che Blu era sì riuscito a curare la sua squadra dopo lo scontro, ma aveva finito i rimedi proprio quando gli rimaneva solo Rattata esausto… La nave era salpata prima che lui potesse scendere e raggiungere il Centro Pokémon o il Pokémon Market.

Per questo, nonostante avesse sorriso, quella volta alla Torre Rosso comprese tutta la falsità dietro a quel sorriso. Comprese che non era lì alla Torre per divertimento, o per cercare il leggendario buried alive dell'ultimo piano. Era lì per pregare in onore del suo compagno di squadra morto.

Loro due erano uguali. Gli unici ad avere emozioni in quel mondo meccanico, ma senza la libertà di esprimerle. Ma in fondo Blu invidiava Rosso, fin dal primo momento. Blu sapeva che loro erano stati creati, ma Rosso era la versione beta, per questo non poteva parlare e ci metteva così tanto a rendersi conto della cruda realtà.

Blu diventò Campione della Lega e i loro sguardi solenni si incrociarono. Era diventato Campione della Lega perché era stato creato per questo, per essere il rivale che perde sempre e vuole vendicare la morte di un suo Pokémon, ma fallisce miseramente.

E dopo la Lega che cosa c'è? Dopo la Lega non c'è niente. Dopo la Lega puoi cercare Mew sul fantomatico furgoncino di Aranciopoli, o l'Isola dei Pokémon rosa. Ma ormai hai vinto tutto, sei diventato Campione e i tuoi Pokémon non possono diventare più forti di così. Ma il timer continua a scorrere e, sia Rosso che Blu, hanno ancora una speranza. Quando le ore e i minuti diventeranno così tanti da non starci più sulla Scheda, forse moriranno. Già, perché loro non possono nemmeno uccidersi. Non ci sono coltelli da nessuna parte, né armi da fuoco, né Pokémon disposti ad attaccarli. Non possono buttarsi in un laghetto per affogare o dare calci a un albero o a un muro, perché le loro gambe immediatamente si paralizzano.

Molte persone sognano di entrare in un videogioco, ma come la storia di Rosso e Blu insegna non è poi così bello, perché è tutto programmato e non hai le stesse libertà della vita reale.

 

 

 

Angolo Autrice
Avevo quest'idea macabra ed ho deciso di realizzarla, mettendo insieme tutte le leggende più famose che conosco!
Spero vi sia piaciuta e che lascerete un commento. Alla prossima!
-H.H.-

 
   
 
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