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Autore: Midnight the mad    27/11/2014    2 recensioni
"Kurt scoprì di chiamarsi Kurt quando aveva quattordici anni, e decise di chiamarsi St. Jimmy più o meno nello stesso periodo. Tutta colpa di un diario.
E di una sigaretta."
"Alzò gli occhi al cielo, sibilando una bestemmia. Qualcuno dietro di lui rise. Si girò e vide una ragazza che lo osservava divertita. Lei sollevò un sopracciglio e canticchiò: - Look down, look down, Sweet Jesus doesn't care... -
Lui sbuffò. - E allora cosa dovrei fare? -
La ragazza alzò le spalle. - Beh, diventa tu Gesù, così almeno puoi risolverti tutti i problemi che vuoi. -"
"- Syd? -
- Già. Syd. Problemi? -
- No, è che tipo, sei... "incastrata" a fare Syd. Che lo sai già che alla fine morirai da drogata pazza e chissà cos'altro. Io fossi in te me lo darei un futuro, almeno con il nome. Concediti il beneficio del dubbio. -
- Tu sei la prima a non darti un futuro con il tuo nome. -
Lei scrollò le spalle. - Non ho mai avuto così tanta voglia di avere un futuro. Tu invece non vuoi altro. Quindi almeno datti una possibilità. -
- Sì, ma non voglio sperare troppo, capisci cosa intendo? Che poi se va male resto delusa. -
- E allora chiamati Whatsername. -"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Jesus of Suburbia, St. Jimmy, Whatsername
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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JESUS OF SUBURBIA
TALES FROM ANOTHER BROKEN HOME
(Stessa città,
stessa notte)
 
There is no place like home
when you have no place to go.
 
Fu solo quando anche quella frase comparve sul finestrino dell’autobus che St. Jimmy riuscì a risvegliarsi almeno un po’ dal torpore che la avvolgeva. Batté le palpebre un paio di volte e, senza neanche cercare di capire dove fosse, scese alla fermata successiva.
La notte la accolse come un lago di acqua scura mentre lei si guardava intorno rabbrividendo. Aveva iniziato a piovigginare. La ragazza chiuse gli occhi, ascoltando il gelo dei minuscoli aghi d’acqua che le graffiavano la pelle. Reclinò la testa all’indietro e solo in quel momento sollevò le palpebre, trovandosi faccia a faccia con un cielo coperto di nubi.
Di stelle non c’era traccia. Non che non se l’aspettasse, ma in quel momento si rese conto che quella era la prima volta, da quando era arrivata lì, che guardava il cielo. In realtà non sapeva neanche se si vedessero, le stelle, o se le luci della città, lì, fossero capaci di ucciderle tutte. Non ci aveva mai fatto caso, semplicemente. Eppure, da quanto tempo era lì? Mesi?
“Quand’è esattamente che smetti di guardare il cielo?” si domandò, avviandosi sotto la pioggia. Le sembrava di riconoscere il posto, non doveva essere tanto lontana da casa.
Chissà che ore erano. Non portava orologi da quando aveva iniziato a farsi domande sul tempo. Una volta in un libro aveva trovato una frase: Il tempo serve ma non esiste. Il tempo era solo una creazione umana, quindi? Chissà. Ma la cosa che le sembrava più importante era la percezione del tempo. Tutte le persone percepivano lo stesso tempo pur vivendo di più o di meno? Oppure no? La velocità di quello che si percepiva come “scorrere del tempo” poteva cambiare a seconda di quanto tempo vero e proprio si viveva?
Scacciò quelle domande, sentendosi incredibilmente vuota una volta che l’ebbe fatto. Perché per lei doveva essere sempre così complicato non pensare?
Arrivò a casa con la testa che sembrava volerle scoppiare e gli occhi che si chiudevano. “Casa.” pensò, guardandosi intorno nell’ingresso. Da quando aveva iniziato a chiamare così quel posto? Da quanto quell’appartamento era diventato un luogo in cui tornare?
La pioggia adesso scrosciava fuori dalle finestre, e St. Jimmy rimase imbambolata a fissare le gocce che si schiantavano quasi con furia – oppure con tristezza – sui tetti attorno.
Si riscosse quando sentì l’orologio della cucina battere le tre del mattino e si accorse di stare tremando. Doveva farsi una doccia calda e poi mettersi a letto, tutto qui. Non sembrava difficile.
Camminò fino al bagno, lasciando una scia di impronte con le scarpe sfondate e fradice. Non le importava di stare bagnando per terra. Non le importava di niente. Quella casa era vuota, sapeva di vuoto, e anche lei sapeva di vuoto. Nient’altro.
Si mise sotto la doccia e si lavò più velocemente che poté, poi uscì e si asciugò i capelli. Non aveva idea di dove cercarsi dei vestiti, non aveva neanche la forza di farlo. Alla fine si avvolse nelle coperte sul divano, completamente nuda, e chiuse gli occhi. Solo in quel momento si accorse di qualcosa che le premeva contro una costola, ma decise che non valeva la pena di spostarlo. La stanchezza la travolse e tutto diventò ancora più nero.
-
Il cielo era bellissimo, quella notte.
Cielo vero, vivo, così vicino che le stelle ti sembrava di poterle toccare.
Kurt prese un respiro e guardò lei, mentre lei guardava il mare, e il cielo che si specchiava nel mare e la musica scorreva fuori dal cellulare appoggiato sugli scogli.
 
‘Cause you’re a sky,
‘cause you’re a sky full of stars...
 
- Sai, secondo me lo sei davvero, Kurt. – disse la ragazza. Già, la chiamava sempre Kurt, mai St. Jimmy. Dopotutto, però, era stata lei stessa a darle quel nome.
- Un cielo pieno di stelle? – chiese, senza capire.
- Beh, sì. Sei... una distesa di silenzio e cose troppo profonde e poi ogni tanto spuntano delle luci, delle cose a cui tieni e per cui riesci a non essere così logica o a non pensare troppo. – Si morse il labbro. – Ma la sai una  cosa? Né le luci né il buio sono così belli se li guardi da soli. Però se li metti insieme sono la cosa più bella del mondo. –
Kurt sospirò. – Devi smetterla di dire queste cose. Sono molto peggio di quello che sembra. –
- Io l’ho visto, il tuo peggio, e ti giuro che non è vero. – ribatté lei.
La ragazza, per qualche motivo, sentì gli occhi sentirsi di lacrime. E stava già per svegliarsi, sapeva già cosa sarebbe successo dopo, quando aprì la bocca e riuscì a tirarsi fuori un: - No, tu non l’hai mai visto, il peggio. –
-
Quando si svegliò la luce della mattina filtrava dalle finestre e inondava il salotto. Doveva essere sicuramente più tardi delle sette, anzi, probabilmente erano almeno le nove. E, ovviamente, nessuno si era preso la briga di svegliarla.
Alzando la testa, però, vide Syd seduta a leggere su una poltrona. – Che ore sono? – biascicò.
La ragazza guardò l’orologio che aveva al polso. – Le otto e cinquanta, perché? –
- Non dovresti essere a lezione? –
- L’edificio si è completamente allagato per via del temporale di stanotte. Io l’avevo detto che quel posto fa schifo. – Sbuffò. – Comunque, lezioni sospese per almeno due giorni. Se vuoi puoi tornare a dormire. – La guardò meglio. – Esattamente dove è andato Jesus dopo che avete fatto sesso? – Aggiunse, con una smorfia.
- Dopo che... eh? – domandò. Poi capì. Giusto, i vestiti. Se n’era completamente dimenticata. – Non lo so dov’è. Ma non abbiamo fatto sesso. Non ho i vestiti perché non avevo voglia di cercarli. Se non è in camera sua per quello che ne so non è mai tornato, stanotte. Io sono arrivata verso le tre, ho fatto una doccia e sono andata a letto. Ieri sera non ero neanche capace di tenere gli occhi aperti, figurarsi di scopare. –
Sulla faccia di Syd si dipinse un’espressione preoccupata. – Ma se non è tornato allora che fine ha fatto? –
St. Jimmy scrollò le spalle. – Boh. Magari ha incontrato qualche figa per strada ed è rimasto da lei. Oppure è morto. In entrambi i casi, chiamalo e chiediglielo. – Detto questo si alzò tirandosi addosso la coperta, lo stomaco che brontolava. Solo in quel momento si accorse che il qualcosa di duro che c’era sul divano quando era andata a dormire la sera prima era un libro. Un suo libro.
Non fece commenti. Dopotutto non faceva differenza se Syd leggeva la sua roba o no.
- Ah, bello quel libro. – disse la ragazza, prendendo il telefono.
St. Jimmy scrollò le spalle. – Piace anche a me. – disse, poi si infilò in cucina. Trovò un piatto di passata di verdure avanzata dalla sera prima e la mise in forno a scaldare. Trovò un pezzo di pane secco, lo spezzettò e ce lo infilò dentro, poi arraffò un cucchiaio e tornò sul divano a mangiare.
- Mangi quello per colazione? – chiese Syd. – Ah, comunque lui ha detto che sta bene e torna. –
- Sì, mangio questo per colazione. Trovo la colazione molto discriminatoria nei confronti dei cibi. – rispose St. Jimmy. – Buon per lui. – aggiunse.
Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Syd si alzò e si stiracchiò. – Beh, io vado a fare la spesa. Ti serve qualcosa? –
- Mh... non lo so. La vendono la cioccolata calda fai da te? –
- Credo di sì. Se la trovo la prendo. Altro? –
- Per me no. –
Syd prese la giacca dall’attaccapanni e uscì.
St. Jimmy finì di mangiare, poi aprì la sua valigia alla ricerca di qualcosa da mettersi. Aveva lasciato i vestiti lì, non avendo idea di dove altro infilarli. Alla fine riuscì a trovare un maglione nero scolorito e un paio di leggins grigi. Erano macchiati di tempere in più punti, ma dopotutto non aveva importanza.
Dipingere. Già, avrebbe potuto farlo. Era da un po’ che non le capitava più di trovare una buona idea per un dipinto, però. Decise che ci avrebbe pensato su.
Prese il libro che Syd aveva lasciato sul divano e, prima di metterlo a posto, lo aprì per sfogliarlo. All’improvviso si bloccò.
Circa a metà lei aveva sottolineato una parte.
“Chimera” è il nome di un tipo di mostri, quei mostri favolosi inventati unendo parti di animali diversi. Ma chimera è anche un modo per dire sogni, i sogni più stravaganti e irrealizzabili. Ma “chimere” si nasce o si diventa? E io che tipo di chimera sono? E quali sono le mie parti?
E accanto ci aveva scritto:
“Ma una vita di sogni impossibili...”. Era una citazione, e non aveva finito la frase semplicemente perché non c’entrava tutta. Ma adesso c’era un’altra scritta un po’ sotto, e decisamente non era sua.
Che cos’è una vita di sogni impossibili?
Per qualche motivo le venne da sorridere. Doveva essere stata Syd. E perché non avrebbe dovuto risponderle nello stesso modo?
-
- Che fai? – domandò una voce dietro di lei.
St. Jimmy sollevò lo sguardo dal foglio e incrociò quello di Jesus. – Ah, buongiorno anche a te. – disse. – Comunque, direi che si vede cosa sto facendo. – aggiunse, intingendo per l’ennesima volta il pennello nella tempera.
- Che cosa sarebbe quello, scusa? – chiese il ragazzo, osservando il dipinto.
- Alla fine lo vedi. Che hai fatto stanotte? –
- Ti stavo cercando. –
Silenzio. St. Jimmy lo guardò.
- Sì, beh, ho provato in un bel po’ di locali, ma non eri da nessuna parte. –
- E perché mi cercavi? –
- Perché volevo... parlare con te. –
St. Jimmy rise. – Mi sembra che ieri sera fosse abbastanza chiaro che non volevo parlare con te. –
- Ieri eri incazzata, non so perché. Quindi ho deciso di riprovarci. –
Lei sospirò. – Ok. Di cosa vorresti parlare? –
- Di... di come si fa a non lasciarsi trascinare da tutto questo. Cioè, non odiare questa città. –
- Oh, ma io la odio. Eppure sono qui perché non ho una ragione per andarmene. E’ tutto qui, Jesus. Non è che serva una ragione per restare. Ma se non ne hai neanche una per andartene resti. Capisci cosa intendo? Insomma, avere una ragione per restare sarebbe meglio, ma sinceramente non saprei trovarne una. E tu? –
Jesus si morse il labbro. – Non lo so. – concluse.
- Beh, pensaci. E cerca di non incazzarti. Pensa che... beh, un posto dove andare non ce l’hai. Sarà brutto, ma rimarrai qui. –
- Perché parli come se lo sapessi meglio di me? –
- Perché è così che funziona. Senti, non so che cosa ci fai tu qui, ok? Ma sai come è andata secondo me? Secondo me i tuoi genitori volevano che tu facessi questa scuola, e ti ci hanno mandato, e tu sei qui tutto felice e contento con la tua bella valigia di sogni che ti hanno regalato senza che tu te ne sia costruito neanche uno. E ci resterai perché non puoi andare da nessun’altra parte, Jesus. Sei incastrato nella tua vita, tutto qui. Si è incastrati finché non si molla la vita, dall’inizio alla fine. E io non impazzisco pensandoci perché tanto so che non ci posso fare niente. Cioè, cazzo, guardami. Ti sembro felice? Ti sembro felice, Jesus? – Lo fissò dritto negli occhi. – No, non sono felice. Non sto male, quindi non ho la ragione per andarmene, ma credimi, non ho neanche una ragione per restare. – Non so perché non me ne vado. Forse è solo che non ho nessuna ragione per andarmene, visto che di ragioni per restare non ce ne sono. La prima volta che l’aveva scritto sul suo diario aveva quattordici anni. E la sua vita era sempre stata così. Restare finché non c’era un motivo per andarsene, e tutti i motivi per andarsene erano sempre presi al volo.
Sospirò. – Cerca solo di non spegnerti. Quando inizi a morire, allora credimi, è una ragione valida per andarsene. – Concluse. Beh, almeno si era sfogata, pensò. Anche se non era servito a niente.
Jesus aveva lo sguardo basso, fisso sul dipinto. Non fece commenti, disse solo: - Mi sta guardando. –
St. Jimmy sorrise. Già. Osservò il dipinto. Una catena montuosa che si rifletteva in un lago, e attraverso la montagna, una galleria. Una galleria che, insieme al suo riflesso, era un occhio che li fissava.
- E tu che motivo avevi di venire qui? – chiese lui, dopo un po’.
- Beh, c’era l’Università. C’era non vedere i miei genitori. C’era... vedere un po’ questo pezzo di mondo. – Sospirò. In teoria c’era un altro motivo, anche, ma non si sentiva come se l’avesse omesso, visto che non era neanche sicura che c’entrasse qualcosa.
Lui fece una smorfia. – Tutti incastrati, già. – mormorò. Poi scrollò le spalle. – Sei brava. – disse, indicando il dipinto con un cenno del mento.
- Solo per i disegni strani. – ribatté.
- Dipingi spesso? –
- Prima sì. Era da un po’ che non lo facevo più. –
- E gli altri dipinti dove sono? –
- Erano appesi in camera mia insieme ai poster. Adesso probabilmente saranno nella spazzatura, oppure mia madre li terrà con se per piangerci sopra. Non ne ho idea. –
- E non ti importa? –
- Questa roba mi serve a tirarmi fuori la roba dalla testa, principalmente. – rispose. – Quindi... beh, in realtà non così tanto. –
- Ti dispiace se lo tengo io, quindi? – chiese lui.
- Fai come ti pare, però ti conviene farlo asciugare, prima. – Diede l’ultima pennellata di azzurro al cielo e andò all’acquaio a sciacquare il pennello.
- St. Jimmy? –
- Mh? –
- Perché tua madre dovrebbe piangere sui tuoi disegni? –
Sentì un sorriso amaro affiorarle alle labbra. – Ma per la pazzia che ha portato via la sua adorabile bambina, che domande. – rispose. Si rese conto che la voce le si era indurita. – Non credo di esserle mai davvero piaciuta. C’era qualcosa in me che le faceva paura, immagino. E poi è successo quello che è successo, e allora le cose sono degenerate. Ma sarebbe solo l’ennesimo racconto di una famiglia caduta in disgrazia, e immagino che di storie del genere tu ne abbia già sentite fino alla nausea. – Mise il pennello ad asciugare e si girò. – Ti basti sapere che era una ragione abbastanza forte da farmi scappare. E non dico andarmene. Dico scappare. –
-
Quando Syd arrivò a casa Jesus era tornato ed era in cucina a parlare con St. Jimmy. Lei decise che al momento non voleva disturbarli. O meglio, forse non voleva vedere lui dopo che aveva iniziato a ignorarla per andare dietro a St. Jimmy dopo che avevano fatto sesso. Ma dopotutto, che cosa doveva aspettarsi. Quella del giorno prima per Jesus era stata una fuga da se stesso, e lei era stata la prima persona che gli era capitata sotto mano. Non c’era niente di romantico.
Però... Syd chiuse gli occhi, risentendo le note di Shine on you crazy diamond. Era passato così poco, e lui neanche sembrava più lo stesso ragazzo.
“Che accidenti gli hai fatto, St. Jimmy?”
Subito dopo averlo pensato capì che era un’idea stupida. Se Jesus era interessato a lei, erano fatti suoi. Quella era la realtà, punto.
E a quanto pareva non importava né il fatto che Syd fosse interessata a lui... né che lo fosse a St. Jimmy.
Capì di essersi sbagliata circa mezzo minuto dopo, quando vide un libro appoggiato sul tavolino del salotto con sopra un post-it con scritto il suo nome sopra e un segnalibro circa a metà. Lo prese e staccò il foglietto.
Bianca come il latte, rossa come il sangue. Sì, ne aveva sentito parlare, ma non l’aveva mai letto. Le sembrava un libro semplicemente strappalacrime, e non le erano mai piaciuti i libri strappalacrime.
Lo aprì nel punto segnato e trovò una frase sottolineata con l’evidenziatore giallo.
Una vita senza sogni è un giardino senza fiori, ma una vita di sogni impossibili è un giardino di fiori finti.
Sorrise. Quel modo di comunicare iniziava a piacerle. Afferrò una penna e scrisse: E se tu sei una chimera...

Ed eccovi l'ultima parte di Jesus of Suburbia, spero che vi sia piaciuta! Fatevi sentire :) 
 
  
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