Era
stufo di ascoltare i
crampi della fame, ed era stufo di sentirsi logorare le membra da quel
continuo
contrarsi e rimescolare vano dello stomaco che esigeva cibo da digerire.
La lucidità aveva cominciato
ad abbandonarlo un paio di ore fa, la gola gli bruciava e necessitava
di essere
irrorata, boccheggiava schiudendo le labbra e fremendo.
Non si era mai sentito tanto
male in vita sua.
Era fermo in quella posizione
da un giorno senza che avesse avuto la forza di strizzare dalla sua
carne le
ultime stille di energia, era rimasto là come un fantoccio
in disuso con il
corpo stanco e denutrito steso mollemente contro il muro a fissare un
punto
imprecisato dell’aria seguendo la traiettoria del pulviscolo
di cui era carico
il fascio di luce proveniente dalla finestra.
Gli scaldava la pelle, lo
baciava tiepidamente e gli dava un misero sollievo da quella condizione.
Al momento non era in grado
di difendersi, se avesse potuto mettere qualcosa sotto i denti forse
sarebbe
stato meglio disposto a chiamare a raccolta le sue forze, ma nel suo
attuale
stato non era in grado di affrontare neanche il minore dei pericoli.
Questi pensieri gli fecero
ribollire ancor di più il sangue, cominciava a dare segni di
impazienza.
Si aggrappò alla terra con le
dita scavandoci sofferente dentro con i polpastrelli, strappando la
rada erba
che cresceva per disgrazia sull’arido terreno non pavimentato.
Ringhiò.
Appoggiò il capo al muro di
pietra inspirando avidamente l’aria come se potesse dar
sollievo alla sua gola
disseccata.
Chiuse gli occhi deciso a
dormire ancora un po’ per preservare energie per quando
fossero state necessarie.
La sua mente venne assalita
da un vortice di pensieri neri dominati da un unico elemento comune, la
vendetta.
Le sue meditazioni si
tradussero in immagini velando la realtà, riducendola a
immagini sfocate,
chiazze di colore appena distinte dai residui sensi ancora desti.
Il clangore della porta
sbattuta con violenza gli apparve amplificato
all’inverosimile e sussultò preso
alla sprovvista dal botto che gli parve un tuono.
***
Il re aveva accolto con una
certa serenità la decisione della figlia e la presenza del
nuovo ospite, seduto
sul suo trono, con le braccia aderite ai braccioli, osservava la vivace
discussione
dei suoi sottoposti che sproloquiavano seriamente su come spostarsi ed
attraversare il breve tratto di monti che li separava dal mare senza
troppi
danni.
Accanto a lui c’era la moglie
cinguettante che pigolava apprezzamenti sull’aspetto di Goku
ad un ancella che
annuiva obbediente e rassegnante.
Bulma era al lato opposto del
trono del padre e nella sua inquietudine trovò il tempo per
dispiacersi
mentalmente per la poveretta che non era preparata ai discorsi della
donna.
Combattuta tra l’agitazione e
la soddisfazione per essere riuscita ad imporre la sua
volontà non ostante non
avesse alcun titolo militare per stabilire decisioni di questo tipo,
non era
più tanto sicura della sua volontà, si torceva le
mani insicura sulle reazioni
del prigioniero.
Come avrebbe preso quel che
desiderava l’esercito?
In fondo anche a lui serviva
un appiglio a cui aggrapparsi e lei glielo stava offrendo, offrendo per
amore,
per compassione.
Sapeva che Vegeta era la
persona che meno al mondo avrebbe desiderato avere compassione ed
elemosina, ma
in fondo era una convenienza, poteva girare perfettamente mimetizzato
senza che
il suo re potesse facilmente individuarlo, potevano averlo dato per
disperso,
potevano aver rinunciato alle ricerche.
Per quel che ne sapeva su
Vegeta, di Freezer aveva una ben misera opinione, sapeva che su di lui
faceva
sogni macchiati del suo sangue.
Non avrebbe dovuto
preoccuparsi più di tanto, in fondo era vantaggioso per
entrambe le parti, lui
avrebbe potuto divider con loro cibo, acqua, fatiche,
sangue… ed essere
ricompensato avendo così l’opportunità
di poter combattere contro il suo re e
loro avrebbero avuto una mano capace in più a cui far
impugnare una spada.
Per convincerli aveva avuto
un grande appoggio dall’amico Goku, ma lui non avrebbe certo
potuto aiutarla
con Vegeta.
***
Gli
venne adagiato sul labbro una superficie liscia e levigata,
sollevarono lievemente il recipiente e l’acqua gli invase la
bocca. Era fresca
e pulita, riusciva a distinguerne il puro brillio che emanava alla
luce, le sue
membra furono invase dalla balsamico refrigerio che gli concedevano.
Dopo averla bevuta tutta avidamente si vide cacciare in bocca un
boccone di qualcosa di non proprio saporito, ma sfamante.
Lo divorò ingordo, si accanì contro il cibo che
gli porgevano come
un disperato in presso cinto di morire di fame.
Dopo aver consumato il pasto abbandonò la testa
all’indietro
aspettando di prendere maggiore coscienza dell’ambiente
circostante e della
situazione.
Neanche un filo di gratitudine gli sfiorò i pensieri ma si
sentì
profondamente indignato per essere stato imboccato e livido di vergogna per aver
accettato suo malgrado le
gentilezze spinto solo da ciò che le viscere gli ordinavano,
annientando l’orgoglio
a cui obbedire.
Respirò più cosciente, riusciva addirittura a
percepire il
chiacchiericcio timoroso e basso.
Si sollevò nella penombra che marcava ancor di
più il suo profilo
demoniaco e affascinante illuminato a metà lasciando
l’altro lato della faccia
nell’ombra.
Le braccia scattarono in avanti, porse i polsi imprigionati a quei
soldati intuendo le ragioni della loro presenza, reclamando
vogliosamente ed
arrogantemente, dopo l’acqua e il cibo, la propria
libertà.
Tentennanti e lievemente stupefatti da quella prepotenza, da
quello sguardo irriverente, ingrato e addirittura infastidito per le
loro cure,
incoraggiate tanto dalla generosità quanto dalla stoltezza,
tirarono fuori il
mazzo di chiavi a cui Vegeta alludeva.
Il chiavistello scricchiolò.
***
Percepì il ruggito rabbioso del drago e lo strattonare della
catena che lo fissava irremovibile al suolo, i vincoli tintinnavano
metallici.
Immaginava la scena.
La povera bestia che lottava contro quegli anelli, che coalizzati
e irremovibilmente saldati l’uno all’altro, lo
costringevano lontano
dall’oggetto del suo desiderio.
Allontanò quella penosa
scena della patetica forza di volontà del rettile contrastata e schiacciata
nettamente della
catena dalla sua mente.
La disperazione rabbiosa del Drago non cessò, si
sentì il
raschiare degli artigli sulla terra, il rantolio causatoli dalla
pressione del
collare metallico che gli stringeva il collo, la lotta persa in
partenza contro
la sua prigione.
Si domandò il motivo di tanta lena, di tanto agitarsi, solo
quando
la tenda si scostò ne capì il motivo.
La prima cosa che vide farsi strada tra le sentinelle che
occludevano il passaggio fu l’impietoso sguardo di Vegeta,
appena
intravvedibile da sotto il cappuccio del mantello chiuso in modo che di
lui si
intravvedessero solo gli occhi adombrati.
Sullo sfondo vide il drago divincolarsi per raggiungere il suo
padrone con idrofoba frustrazione tendendo le catene fin quasi a
rischiare di
strozzarsi da solo con l’anello metallico che gli martoriava
il collo.
Alla fine, quando la tenda ingoiò completamente la figura
del suo
devoto padrone guaì mesto e rassegnato.
Lo svolazzare del mantello sfiorò appena le guardie che
costeggiavano il tappeto srotolato sulla terra battuta.
Si poteva dire che, non ostante le condizioni aspre della guerra,
quello fosse un abbaino molto confortevole.
Gli occhi le brillarono speranzosi, per un momento ebbe la
fantasia che avesse deciso di trattare, c’era la ceca
determinazione nel nero
delle sue iridi ma quando il suo sveltito procedere si arrestò
davanti al padre
ebbe l’impulso di nascondersi dietro l’ampio
schienale per timore che la
vedesse.
Si contenne.
Sentì i passi leggeri della madre raggiungerla, sempre
più vicino.
Le si accostò con aria complice e proteggendo la bocca con
la mano
a coppa adagiata al lato, bisbigliò
–Tesoro…è lui?
Bulma fece nervosamente cenno di si col capo.
-Oh cielo è davvero molto carino, tesoro sei stata
fortunatissima-
Bulma cambiò per un paio di volte tonalità di
colore le si
rimescolarono pensieri in disordine nella mente, alla fine quel che le
bisbigliò fu –Ma non ti vergogni?-
-Oh tesoro spero che quando tu ti sia trovata sola, con un ragazzo
così avvenente abbia lasciato perdere la pudicizia-
Bulma arrossì.
-Voglio
il mio drago e la mia sguattera-
Il silenzio di reverenziale timore si scompose a quella brutale
richiesta.
Sulla faccia di Bulma avvampò un intenso colore rosso, un
espressione di risentita collera.
-Il
drago mi appartiene, tu
mi appartieni, avrò entrambe le cose-
la afferrò per un braccio e prese a
strattonarla.
Ora erano alla resa dei conti, al seguito della loro pseudo
connivenza.
Per la sua arroganza si ritrovò un paio di lance puntate
contro, e
qualche lama di spada che gli additava il ventre.
Bulma si lasciò sfuggire un sorrisetto per la vittoria
personale.
-Qui tutti obbediscono a me, siamo nel mio
territorio,
qui
comando io, e non sono più la tua schiava, lasciami-
La mollò con mala grazia risalendo gli scalini del trono,
con aria
distinta sguaino la spada e in un silenzio quasi sacrale
puntò la lama al collo
del sovrano.
Prima che chiunque avesse potuto tentare un offensiva il re
sarebbe divenuto un chiazza rossa sui gradini.
La avvicinò maggiormente, Lord Brief si ritrasse fino a che
venne
ostacolato dallo schienale del trono, con la gola imprigionata.
-Ora?Ti senti tanto padrona della situazione donna?- La
fissò
satirico, ora era lui il vincitore.
Bulma trasalì. Ma si impose di non scomporsi;
abbandonò rilassate
le braccia lungo i fianchi.
Trafisse le file di eserciti con un occhiata e con un cenno del
capo gli invitò a dirigersi fuori a fare la guardia: sarebbe
avvenuto un
colloquio privato.
Guardò significativamente sua madre che rispose con un cenno
del
capo allontanandosi portandosi dietro una sconvolta ancella che fissava
inorridita la lama della spada satura di sangue raggrumato e secco.
Salì con solennità e decisione i gradini
ancheggiando con malizia
decisa ad adottare un diverso tipo di persuasione.
-Lascialo- articolò con voce bassa e misurata.
Le distanze si accorciavano, Vegeta sembrava totalmente immune al
suo fascino, alla sua sensualità.
Le dispiaceva dover recitare questa parte davanti al padre ma non
aveva altra possibilità.
Gli fu vicinissimo, rimase impassibile, maligno, senza lasciarsi
corrompere dalla sua femminilità, senza lasciarsi adescare,
no le avrebbe dato
soddisfazione lasciandosi soggiogare dalle sue arti.
-Davvero non vuoi lasciarlo? Eppure è vantaggioso. Per te.
Per me-
soffiò.
Oramai le distanze erano troppo intime e lei già stava
aderendo il
suo corpo con il suo, ora sperava di non doversi degradare davanti al
padre,
sperava in un qualche cedimento sull’impugnatura
dell’arma, sperava che avrebbe
ricercato la sua bocca, l’avrebbe rifiutata, sperava che la
prigionia lo avesse
reso almeno un po’ voglioso.
Non funzionò.ebbe come unico effetto quello di infastidirlo, e di farsi allontanare.
Dovette spingersi più oltre.
-Pensaci, da solo non puoi attraversare le montagne, se io tuoi ti
cercassero ti ucciderebbero, o peggio…- e ora doveva andare
a far leva su i
suoi punti dolenti esposti.
-Potresti di nuovo unirti a loro, certo se volessi tornare a farti
calpestare la boria da quel viscido serpentino ed arrogante…-
-Sta zitta-
Rimise la spada al suo posto.
-Vattene vecchiaccio, prima che ci ripensi-
Il re non se lo fece ripetere due volte si alzò quanto
più
velocemente potè e si diresse verso l’uscita,
guardo Bulma inquieto.
Bulma gli fece cenno di si con la testa rispondendo alla domanda
che si, sarebbe stata in grado di cavarsela.Il re scostò la tenda lasciando dietro di se una momentanea quite.
-Avanti, parla, dopo giorni rinchiuso in quella tomba un po’
di
risate mi faranno bene- incrociò le bene e
sollevò leggermente il mento in atto
di superiorità.
-Qual è il problema?- disse con aria davvero poco
diplomatica
abbandonando del tutto il ruolo di ammaliatrice.
-è tutto a tuo vantaggio, avrai la possibilità di
mangiare, bere,
nasconderti, potrai combattere, uccidere. Non ti chiederò di
intrattenere
rapporti, ne di parlare
con qualcuno e nemmeno lo spererò perchè tanto
sarebbe utopistico, solo di impugnare la spada e uccidere chi hai sempre
odiato, ti
sembra sgradevole?-
-Mi stai dunque chiedendo di ammazzarti?- ironizzò con un
sorriso
slargato.
-Non ti conviene, avresti un esercito contro, ti ucciderebbero- lo
provocò.
-E io ucciderò loro-
Bulma sorrise furbesca.
Gli ultimi mesi a contatto con uomini i cui arti supplementari
erano spade le avevano offerto la possibilità di imparare a
ragionare come un
soldato.
-Così come ucciderai l’esercito del tuo re?-
Vegeta ringhiò infastidito da quella insinuazione che
camuffava
sotto una domanda il suo cruccio più logorante.
-Non è il mio re-
Fece per andarsene.
-Allora? Non hai risposto. Come li ucciderai?-
Si fermò: la domanda era urtante, lo metteva faccia a faccia
con
il suo limite.
Limite che gli avvelenava la mente e i pensieri di odio, ciò
che
gli ispirava il disgusto per se stesso, non tanto i genocidi con cui si
macchiava
le mani di rosso per conto di altri, ma la sua incapacità di
fare di più.
Chissà, forse era questo che l’aveva spinto ad
apprendere qualche rudimento
delle arti occulte.
-Sia chiaro, io non faccio parte di questa buffonata. Volete un
aiuto? Volete una guida?D’accordo. Ma quando io
sarò il vostro nuovo nemico di
voi rimarrà solo il sangue a nutrire la terra e il brutto
ricordo, sono stato
abbastanza chiaro?-
Bulma seguì la traiettoria dei suoi passi ritornandogli
vicino,
piantò i suoi occhi azzurri nei suoi e con un sorriso
urticante sibilò.
-Cristallino-
Scusate
il lungo silenzio^^' ma ho avuto una carenza di ispirazione ( e dire
che quesa scena me l'ero immaginata molte volte, avevo
programmato anche una rigida successione dei fatti a cui pensavo di
attenermi ma, non solo non ho postato la mia opera concepita solo
mentalmente ma ho anche fatto in modo di dimenticarla per sempre,
resettata del tutto-_-'.
Spero che questa sia altrettanto valida^^