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Autore: my words_ my freedom    28/11/2014    0 recensioni
la regola dice: "lontano dagli occhi lontano dal cuore" ecco, per qualche strano motivo, con me non ha funzionato. l'amore che provavo per un ragazzo mi ha spinto a partire per la Spagna dove sono rimasta per cinque anni. quando finalmente credevo di essere guarita da quest'amore decisi di tornare a Roma ma...
volete sapere cosa è successo in realtà e chi è il ragazzo che mi ha preso il cuore? allora leggete la storia (e magari recensite)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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angolo autrice
ciao a tutti, scusate il ritardo so che tra questo e il cpaitolo 7 è passato più di un mese ma ho avuto qualche problema sia con la storia che a casa. vi ringrazio che avevete continuato a seguirmi spero che il capitolo vi piaccia. per un qualiasi problemo fatemelo sapere con una recenzione. grazie e un bacione a tutti quanti. (vi prego abbaiate pazienza per il non capitolo non so quando riuscirò a pubblicarlo).


Capitolo 8
 
-Due cappuccini, un cornetto semplice e uno integrale.-
-Perfetto. Arrivano subito.- finisco di appuntare l’ordinazione sul taccuino e, prima di andarmene, lancio un cortese sorriso. Mentre mi allontano il mio pensiero corre a quelle mani. Quant’erano dolci. Quelle mani intrecciate, che quando sono arrivata sono scivolate lungo il tavolo fino a staccarsi. Un po’ mi è dispiaciuto disturbarli per prendere le ordinazioni, ma è il mio lavoro dopotutto.
Arrivata al bancone mi siedo su uno sgabello rosso che si trova accanto a questo, e ripeto quel che ho scritto ad una ragazza dai capelli biondi, pieni di boccoli vaporosi. Sentendomi parlare si gira, mostrando quel suo bel visino troppo piccolo per la sua capigliatura a dir poco “invadente”. Due occhioni azzurri fanno capolino da dietro le ciglia folte e ben truccate, le labbra carnose si stirano in un sorriso leggero e innocente in netto contrasto con l’abbigliamento provocante che ha addosso: camicetta bianca sbottonata più del necessario per far ben vedere i seni prorompenti, minigonna nera, talmente tanto stretta da farmi domandare in quale maniera riesca a muovere anche solo un passo, senza contare le scarpe con tacco 7 cm che la fa sembrare di molto più alta di me.
-Ok te li preparo su…- non finisce la frase, qualcosa dietro di me deve aver catturato la sua attenzione. Mi giro seguendo il suo sguardo e miei occhi incontrano una camicia nera aderente che fa intravedere i muscoli nascosti sotto di essa, con il colletto sbottonato, jeans scuri che si avvolgono alla perfezione alle gambe lunghe dal passo aggraziato. Un leggero sorriso mi appare sul viso: conosco solo una persona in grado di indossare degli abiti con estrema eleganza e, allo stesso tempo, essere tanto provocante.
-Ciao ragazze!- ci saluta il ragazzo con un sorriso sfavillante.
-Giuseppe!- squittisce Beatrice da dietro a me, uscendo dal bancone e buttandosi tra le sue braccia. Mi stuzzico il labro con i denti guardandoli così avvinghiati e notando che la gonna di lei si è leggermente alzata facendo intravedere parte delle natiche. Schiarisco la voce per far notare la mia presenza e Beatrice si allontana finalmente da Giuseppe. “Incredibile
nonostante i tacchi lui è comunque più alto di lei di qualche centimetro!”
Sento il mio sorriso allargarsi osservando la scena e vedendo sul viso di Beatrice piccoli segni di imbarazzo. Mentre la ragazza torna dietro al bancone, Giuseppe mi si avvicina.
-Vedo che sai ancora come si ride.- dice indicandomi con una mano e sedendosi sullo sgabello accanto al mio.
-Sì, a quanto pare mi ricordo come si fa.- rispondo non smettendo di sorridere.
Roberta ha deciso che Giuseppe doveva sapere ciò che mi era successo visto che in fondo si preoccupava sempre per me. Lui non l’aveva presa molto bene ed è stato difficile convincerlo che stavo meglio e ogni giorno veniva per passare un po’ di tempo con me per accertarsi che mangiassi qualcosa.
-Bene ora è meglio che inizi a lavorare. Cosa ti serve?- mi chiede alzandosi e andando dietro al bancone.
-Sta facendo Beatrice per me. Grazie comunque.-  il mio sguardo torna a posarsi sulla ragazza che ha la gonna ancora troppo alzata. Con un gesto involontario abbasso un po’ la mia gonna. Abbiamo la stessa divisa o quanto meno si può dire che è simile. A differenza della sua la mia gonna nera è molto più larga, plissettata, per consentirmi un’ampia libertà di movimento e arriva poco sopra il ginocchio, ma l’imbarazzo che potesse alzarsi troppo mi ha spinto ha indossare un paio di pantaloncini sottili, e dello stesso colore della gonna, così che non si notino molto ma che mi diano sicurezza. Ricordandomi dell’ampia scollatura di Beatrice la mano mi sale per chiudere anche gli ultimi bottoni della camicia, bianca, ma non quasi trasparente come invece è quella di lei. Non posso farci niente sono sempre stata molto imbarazzata ad indossare cose femminili. Dentro quegli abiti mi sentivo goffa e impacciata e poi, vuoi mettere la comodità dei jeans con l’eleganza di una gonna? Non c’è paragone! Per me l’eleganza viene dopo a tutto. Non serve a niente visto che spesso, oggi, la si scambia con la volgarità, in pratica: più pelle hai scoperta più sei affascinante. “Cazzate!” penso mentre mi sciolgo i capelli. La sensazione di solletico dietro la nuca che mi danno i capelli liberi dall’elastico è di immensa sicurezza. “Tanto per non lascare troppa pelle scoperta.”
Una volta finito di sistemarmi non riesco a trattenermi e do una sbirciatina. Le mani della coppia a cui ho preso le ordinazioni si sono di nuovo incontrate e si stringono mentre gli occhi, che si specchiano gli uni dentro gli altri, ridono. Lo noto solo adesso, un anello, sull’anulare della donna. Un piccolo brillante fa capolino incastonato nella montatura d’oro. Una proposta di matrimonio! Sono tentata di andare da loro e chiedere “a quando le nozze?” e magari offrire la colazione. Ma no. Sono a lavoro mi devo dare un contegno.
-Due cappuccini e due cornetti.- mi annuncia Beatrice venendomi incontro seguita dal rumore dei suoi tacchi. Mi volto di scatto e scendo dallo sgabello ringraziando di avere le scarpe da tennis invece che i tacchi a spillo come i suoi, di sicuro mi sarei già rotta una gamba.    
Appena riacquisto l’equilibrio prendo il vassoio con le ordinazioni e mi dirigo al tavolo.
Strano. Non mi ero mai resa conto quanto il bancone distasse dal tavolo. Mi guardo dietro un attimo e sembra che il bancone non si sia allontanato di neanche un passo e a me sembra di aver corso per quasi un ora. Qualcosa non va. Chiudo gli occhi e respiro profondamente. “Ok Elena. Un passo dopo l’altro. Non è difficile. Prima un piede e poi l’altro.” Riprendo a camminare e sembra vada tutto bene. Ma… perché sembra che la stanza si muova? Leggermente, ma credo si muova veramente! Sembra ci sia un terremoto, neanche di primo grado ma pur sempre un terremoto. Fisso lo sguardo sul tavolo della coppia che ride e scherza. “Ma non si rendono conto di tutto ‘sto movimento?” mi guardo attorno e sono tutti tranquilli. Ok forse sono io. Continuo a camminare. “Dio che caldo. Ma chi ha alzato così tanto la temperatura?” provo a tenere il vassoio con una mano ma mi trema troppo, vuol dire che sbottonerò la camicia una volta arrivata. Un motivo in più per accelerare il passo. Ecco finalmente il tavolo. Poso il vassoio, -ecco quel che avevate chiesto.- tento di dire ma mi esce solo un sussurro. Provo a sorridere ma deve sembrare il sorriso di una malata perché  l’uomo mi chiede –Si sente bene signorina?-
“No che non sto bene! Qui gira tutto, e il mondo si è colorato di enormi chiazze nere che si allargano e mi impediscono di vedere!” faccio un leggero segno di si con la testa. Non devo attirare troppa attenzione. Con un gesto lento della mano mi libero della presa dell’uomo. Mi giro per tornare indietro. Muovo un piccolo passo ma… che fine ha fatto il pavimento? Sotto i piedi non sento più niente. Mi manca il respiro. Qualcosa di freddo mi tocca la guancia. Non vedo più niente se non il nero. Le orecchie mi fischiano, un rumore assordante e insopportabile poi… più niente.
 
***
-Ele…na! Sve…gliati!- sento qualcuno che mi grida ma è lontano, come se provasse a parlarmi dall’altra parte della stanza. Qualcosa mi colpisce la faccia più volte, un tocco leggero ma allo stesso tempo anche forte e deciso. Provo ad aprire gli occhi ma ho la vista troppo offuscata. Li chiudo prendo un respiro profondo che mi fa entrare aria fresca nei polmoni e anche qualcos’altro… qualcosa con un odore dolce, pungente e molto forte che mi fa pizzicare le narici. Faccio un altro respiro e noto che c’è una cosa appoggiata sul mio collo. Non ho messo collane sta mattina. Provo ad ingoiare la saliva ma la mia bocca è talmente secca che farebbe invidia al deserto del Sahara. Qualunque cosa io abbia sul collo non si è spostata anzi mi preme da entrambi le parti delicatamente.
-Elena! Forza! Apri gli occhi!- ora la voce la sento chiara. È come se di colpo tutta l’acqua che sentivo in testa se ne fosse andata, fosse evaporata, sparita, ed ora mi consentisse di sentire bene. Oltre a quella voce riesco a percepire anche un certo mormorio, debole, ma pur sempre molto vicino. “Oh no. Ti prego fa che non ci sia troppa gente. Fa che non se ne sia accorto nessuno.”  Ma è una speranza vana. Sento troppe voci e mi stanno vicino. Chissà quanta gente si sarà accorta del mio svenimento. Fosse per me resterei con gli occhi ben chiusi, il fresco del pavimento si è fatto strada nel mio corpo e ha preso il posto del caldo tropicale. Sento un brivido percorrermi tutta la schiena e le voci farsi sempre più forti. “Merda che casino! Andate via non c’è nulla da vedere!” ma niente sono ancora tutti sopra di me.
Mi costringo ad aprire gli occhi. L’unica cosa che riesco a vedere sono solo tante macchie rosa che si muovono e mi fissano. –Bene così, coraggio. Va tutto bene, sei sveglia adesso.- mi dice la macchia più vicina a me con un tono dolce. In mezzo a quel rosa sfumato appaiono due chiazze nere e profonde che mi guardano e sembrano sorridermi. “Ok la cosa è molto inquietante.” La macchia si gira e grida alle altre di allontanarsi per farmi respirare, poi torna ad osservare me.
Lentamente la vista mi si schiarisce e le macchie informi, rosa tornano ad assomigliare a delle persone. Davanti a me, che mi sorride e mi accarezza delicatamente la guancia, c’è Giuseppe. Toglie la mano dal mio collo (che aveva messo per controllarmi i battiti presumo) e con quella sposta il braccio di una ragazza dai boccoli biondi, Beatrice. Mi sorride anche lei, tiene tra le dita una piccola boccetta trasparente con un liquido incolore dentro che guardo con sospetto. –È alcol.- mi sussurra chiudendo la boccetta e poggiandola accanto a me.
Mi rendo conto che non mi trovo nel punto dove ho perso i sensi. Ho le spalle appoggiate al muro e le gambe distese davanti a me in una posizione a dir poco scomoda. Con un gesto automatico le piego fino a far arrivare le ginocchia sotto il mento per appoggiarmici sopra. La folla pian piano si dirada e rimane solo Giuseppe con me che mi osserva con quei suoi occhi neri e profondi, mi sembra di perdermici dentro per questo sono costretta a scuotere la testa e a farlo ripete quando finalmente rompe il silenzio imbarazzante che si era creato –Se non ti conoscessi direi che sei svenuta per un calo improvviso di zuccheri.- mi dice.
-E faresti bene.- rispondo secca.
-Mi credi stupido o solo ingenuo?- distolgo lo sguardo dai suoi occhi “non può entrarmi in testa con tutta questa facilità.”
-Nessuna delle due.- dico passandomi una mano sul petto. La camicetta è stata aperta non molto ma comunque troppo per me. Lentamente riporto i bottoni a posto, nelle loro asole.
-L’ho fatto per permetterti di respirare meglio.- mi informa Giuseppe con un tono distante ma riesco comunque a cogliere una certa sfumatura di imbarazzo. Gli sorrido per ringraziarlo. Sono contenta che sia stato lui a soccorrermi invece che qualcun altro.
Faccio passare lo sguardo su tutta la sala. Le persone sono tornate ognuno al proprio tavolo e parlano, gesticolano, ordinano come se non fosse accaduto niente. “Meglio così.” La coppia che ho servito, e accanto alla quale sono svenuta,  sta pagando alla cassa. La ragazza tiene un bicchiere di vetro in mano con un liquido arancione al suo interno e osserva l’uomo mentre porge i soldi a Beatrice che li prende sorridendo. “Che bel sorriso che ha, così dolce, innocente, delicato.” Non posso far a meno di pensare. Ma l’espressione di pace sparisce dal suo volto quando butta un’occhiata a Giuseppe che mi sta parlando ma che io nuovamente non sto ascoltando. -… non puoi continuare così lo vuoi capire?-dice con tono gentile.
-Così come?- chiedo lanciandogli uno sguardo di sfida.
-Lo sai come. Hai fatto colazione sta mattina?-
-No.- dico velocemente.
-E ieri hai cenato?-
-…no…- sussurro sperando che non mi senta.
-Perché ti ostini a non mangiare? Non lo capisci che ti fai solo del male?-
“Non lo faccio apposta. È che la storia con Mirko mi ha chiuso completamente lo stomaco, e i morsi della fame sono l’unica cosa che mi impediscono di pensare a lui.”  Mirko… al solo pensiero del suo nome gli angoli degli occhi mi pizzicano per le lacrime che spingono per scendere. “No. Ho già attirato troppo l’attenzione, non posso anche piangere.”  -È che non ho molta fame.- dico sventolando una mano facendo segno di lasciar correre.
-Sì certo.- fa lui buttando le braccia al cielo. -È perché non hai fame che sei svenuta. È perché non hai fame che il tuo stomaco brontola.- “Cazzo! Hai scelto proprio il momento peggiore per farti sentire!” Poso un braccio sulla pancia e stringo sulla bocca dello stomaco vuoto. All’inizio fa un po’ male ma poi svanisce ogni traccia sia di dolore che di rumore.
Torno a cercare Beatrice con lo sguardo, so che ha una cotta per Giuseppe e non voglio che pensi che stia provando a portarglielo via. Vengo distratta da due paia di gambe che si avvicinano lentamente a noi. Alzo gli occhi e vedo gli sposini che mi sorridono. Quando finalmente arrivano davanti a me l’uomo mi chiede –Come si sente?-
-Molto meglio grazie.- sorrido anche se il loro interesse mi turba un pochino. Non mi conoscono affatto perché si preoccupano?
-Tenga, questo l’aiuterà a riprendersi.- è stata la donna a parlare e mi offre il bicchiere di vetro che tiene in mano. –Oh, no, grazie sto ben…- mi affretto a dire ma Giuseppe si intromette prendendo il bicchiere in mano –Grazie, signora. Elena lo prenderà immediatamente. Vero?- dice mettendomi sotto al naso il liquido che dall’odore sembra spremuta d’arancia. Lo fulmino con lo sguardo ma lui continua a sorridere con quell’espressione da “guardami male quanto ti pare ma ti romperò le scatole finchè non lo berrai.” Con un sospiro prendo il bicchiere e ringrazio la coppia alzando un angolo della bocca. I due se ne vanno salutando con un gesto della mano e con i ringraziamenti di Giuseppe.
Osservo quello che ho in mano. Il bicchiere è liscissimo, trasparente e lucido talmente tanto che da lontano mi è sembrato di vetro quando in realtà è di plastica. Faccio girare il succo che c’è dentro come se fosse vino. Non so cosa sto aspettando, forse che il liquido evapori da un momento all’altro così da far credere a Giuseppe che io lo abbia bevuto. Ma non succede niente. Il succo è ancora nel bicchiere e Giuseppe, ora, mi fissa dall’alto con le mai incrociate sul petto. Non so per quale assurdo motivo, ma inizio a pensare a come mia sorella sarebbe riuscita ad uscire da questa situazione. Sicuramente, Francesca, avrebbe fatto gli occhi dolci, assunto un espressione e una voce da bambina e chiunque le fosse stato difronte sarebbe caduto ai suoi piedi. Ma io non sono in grado di fare gli occhi dolci. Da ragazza ci ho provato più di una volta ma sembravo solo ridicola. Quindi, che altra strada mi rimane? Potrei alzarmi e rovesciare il succo sulla camicia di Giuseppe fingendo che sia stato un incidente. Ma, conoscendolo, si metterebbe a ridere, si toglierebbe la camicia, andrebbe al bancone, prenderebbe un altro bicchiere di succo con qualcosa di ipercalorico da mangiare e resterebbe a fissarmi e a tormentarmi finchè io non abbia messo fino all’ultimo boccone in bocca. No, meglio di no. Al solo pensiero sento la nausea assalirmi. Sposto lo sguardo da Giuseppe al bicchiere. “Andiamo dopo tutto è solo un succo. Cosa potrebbe succedere?” mi costringo ad avvicinare il bicchiere alla bocca, lo inclino leggermente per far scendere abbastanza liquido da inumidirmi le labbra. “Coraggio.”  Apro la bocca e faccio entrare un sorso che ingoio immediatamente. È buono. Mando giù l’ultima sorsata e serro la bocca nella paura che possa tornarmi tutto su. Non accade niente.
Butto fuori tutta l’aria che ho nei polmoni e riprendo a respirare regolarmente. Che strano. Il sapore aspro, tipico del succo d’arancia, non riesco a sentirlo, non quanto me ne sarei aspettata, almeno. È come se quel gusto fosse stato alleggerito da qualcosa dal sapore dolce come…come lo zucchero. “Fanculo agli sposini! Non potevano accontentarsi di farsi gli affari loro?”
Porgo il bicchiere vuoto a Giuseppe con un espressione disgustata.
-Cosa succede?- mi chiede. –Non ti è piaciuto il succo? Mi pareva fosse il tuo preferito da ragazza.-
Gli lancio un occhiataccia. Allora è stato lui a dire alla coppia di prendermi quel succo. –Sì mi piace.- dico alzandomi. –ma non con sei cucchiaini di zucchero!- ora gli sono davanti e tocca a me stringere le braccia al petto.
-Beh, almeno ora siamo sicuri che non sverrai di nuovo per carenza di zucchero.- dice posando le mani sui fianchi. Un espressione di minaccia mi compare sul viso. Non sarò in grado di fare gli occhi dolci per far sciogliere gli altri, ma sono un esperta di espressioni minacciose per piegare chi voglio o solo per spaventarlo. Con mia sorpresa Giuseppe inizia a ridere di gusto pure. –Cosa c’è da ridere?- dico cercando di mantenere un espressione offesa.
-La tua faccia.- continua a ridere.
-La mia faccia? Cosa ha la mia faccia?-
Non smette di ridere poi mi dice –Sei sempre così bella quando ti fingi arrabbiata.- batto le palpebre perplessa. Nessuno mi ha mai detto che sono bella, non con quella espressione. Di solito si spaventavano o se ne andavano infastiditi, ma… dirmi di essere bella…
Torno a guardarlo. Ha smesso di ridere ma gli è rimasto comunque un sorriso stupendo sul viso. Respingo l’istinto di fiondarmi tra le sue braccia e… baciarlo? “Ma che diavolo mi metto a pensare?! Io non posso volerlo baciare. Che assurdità. Devo aver sbattuto la testa molto più forte di quel che credo. E poi lui sta con Beatrice che donna sarei se ci provassi con il suo ragazzo?” Giuseppe mi guarda con uno sguardo indagatore –Elena va tutto bene?-
-Sì, è tutto apposto.- rispondo muovendo una mano davanti alla faccia come per cancellare un pensiero.
-Bene.- dice lui tornando a sorridere e dirigendosi verso il bancone. Lo seguo guardando a terra non riuscendo ad afferrare neanche uno solo di tutti i pensieri che mi frullano in testa.
Mentre lui sciacqua il bicchiere nel lavello dietro al bancone io mi siedo su uno degli sgabelli. Riesco a sentire la voce squillante di Beatrice nonostante la porta che ci divide dalla cucina dove ora si trova, probabilmente per un ordinazione. “Beatrice è una ragazza fortunata.” Non riesco a far meno di pensare. Prima ancora di pentirmene mi sento chiedere a Giuseppe –Come va tra te e Beatrice?- lui alza lo sguardo per osservarmi con una strana espressione in viso. “Tasto dolente?”
-È una ragazza simpatica, ha forse il volume della voce un po’ troppo alto- dice toccandosi un orecchio con una mano e bagnandosi qualche ciocca di capelli. –Ma non stiamo insieme, se è questo quello che stavi chiedendo.-
“Non stanno insieme? Giuseppe è ancora libero?” –Scusa credevo… insomma il suo atteggiamento fa intuire tutt’altro.- provo a giustificarmi. A lui scappa una risata –Sì. Si prende molte libertà, non sei la prima a chiedermi se stiamo insieme ma no… non è proprio il mio tipo.- dice con un sorriso malizioso.
-E chi sarebbe il tuo tipo?- chiedo con tono di sfida.
Lui torna a guardare l’acqua che scorre nel lavandino e, con gesti meccanici, ricomincia a lavare ciò che c’è dentro. Proprio quando credo che non risponderà lo sento dire –Una ragazza che mi ha lasciato molto tempo fa. Lei era perfetta per me. Credo di non aver mai amato nessuna come lei. Mi piaceva molto il suo sorriso. Riusciva a farlo brillare anche quando era buio.- rialza lo sguardo e noto che il sorriso malizioso si è trasformato in uno debole, quasi triste e carico di ricordi. “Chi sa chi è questa ragazza.” Mi prende una leggera stretta alla bocca dello stomaco a pensare che una ragazza possa aver fatto perdere la testa a Giuseppe e che non sia successo il contrario. –Ed ora dov’è?- chiedo con la voce ridotta quasi ad un sussurro.
-Qui a Roma, ci vediamo spesso ma ora siamo solo amici.- dice piegando la testa di lato. “Come mai?” vorrei chiedere ma lui mi precede come intuendo il mio pensiero –A lei piace un altro, e a me va bene così. L’importante è che lei sia felice.- finalmente riesco a capire cos’è la morsa che mi sta torturando lo stomaco. Invidia. Invidia per questa ragazza che ha rubato il cuore a Giuseppe. Invidia per la sua vita. E invidia per Flavia che mi ha portato via Mirko. Perché al mondo c’è chi ha tutto e non se ne rende neanche conto e chi non ha quasi niente ma si costringe ad andare avanti con un sorriso stampato sul viso? Come Giuseppe. Come… me. No, io qualcosa ce l’ho. Ho Roberta che mi sprona in continuazione. Ho Giuseppe che mi appoggia sempre. Ho Francesca che con la sua innocenza mi sorprende e mi fa sorridere. Ho la mia forza quella su cui ho sempre fatto affidamento e che non mi ha mai tradito. E, in fondo, ho ancora Mirko, anche se non ho capito bene che ruolo avrà nella mia vita, quello dell’ex? Non gli si addice. Deve essere per forza qualcos’altro. Dopotutto noi siamo legati da qualcosa di più profondo di una semplice amicizia o di un banale amore.
-Elena mi sembri sconvolta. Ho detto qualcosa che non va?- mi chiede preoccupato Giuseppe strappandomi dai miei pensieri. –No, non preoccuparti. Sono solo un po’ stanca.- dico portandomi una mano alla testa che inizia a farmi male.
-Va a casa.- mi suggerisce lui. –Il turno è quasi finito. Ti copro io non preoccuparti.- mi fa l’occhiolino e mi indica la porta con uno straccio con il quale sta asciugando un piattino da caffè. Gli sorrido, prendo la borsa e la giacca e me ne esco lasciandogli un leggero bacio sulla guancia.
 
***
 
-Giuseppe mi ha detto che sei svenuta.- mi rimprovera Roberta piazzandomisi davanti con i pugni sui fianchi.
-E a me ha detto che non avrebbe riferito niente a nessuno. Ma non l’ha fatto, quindi come fai a sapere che è vero?- rispondo acida.
-Elena…-
-Roberta…- le rifaccio il verso. Non mi va che i fatti miei li vengono a sapere tutti quanti. Una promessa è una promessa, e lui non avrebbe dovuto dire niente, soprattutto a Roberta che è molto apprensiva.
-Non è stato lui a dirmelo, in realtà.- si siede accanto a me come una madre si posa sul letto della figlia malata che delira. Non sopporto tutte queste premure. Prima Giuseppe, ora lei. Io non sono malata. Sto bene. Sto più che bene. Ma loro continuano a guardarmi come se lo fossi e come se capissero il male che sto passando.
Mi alzo di scatto. Questo loro modo di fare mi fa incazzare. –Non mi interessa chi te lo ha detto.- dico secca. –So il motivo per cui sei qui. Per dirmi che non sono normale, che dovrei mangiare di più e che, se così fosse, mi sentirei sicuramente meglio. Beh ti sbagli. Io sto bene così.- sto urlando e mentre parlo ogni volta che mi riferisco a me mi indico con due dita premendo sul cuore. –Ma se questo non ti va bene, posso anche trovarmi un altro appartamento. Non mi crea problemi vivere da sola.- cerco di abbassare un po’ ma scandisco bene ogni parola, tanto per essere certa che capisca. Aspetto una sua risposta con le braccia incrociate sul petto e tutto il peso spostato su un’unica gamba. Dal viso ho cancellato ogni tipo di emozione, soprattutto il dolore che mi fa leggere negli occhi degli altri la pena quando non mangio niente. Cerco di mantenere la rabbia e l’alimento con il pensiero “Non sono malata. Sto bene così. Voi sbagliate a vedermi come se fossi in punto di morte. Non sono malata. Non sono malata. Non sono malata…” continuo ad osservare la mia amica incalzandola con lo sguardo di ribattere qualcosa ma lei non lo fa. Sospira e abbassa lo sguardo a terra come a dire “capisco che fa male, ma possibile che tu sia così testarda?” serro le dita delle mani in pugni ben stretti ignorando il male che mi fanno le unghie che cercano di conficcarmisi nei palmi. Stringo i denti per non urlare e per resistere alla tentazione di mollarle uno schiaffo talmente forte da farla cadere  terra nel punto esatto che ora sta fissando.
Mi giro, e a passi lunghi e svelti mi rivolgo verso la cucina, i pugni ancora ben stretti, come la mascella, le guance che bruciano per la rabbia e gli occhi che pulsano per le lacrime. “Non ti azzardare a piangere.” Arrivata nella stanza apro il frigo in cerca di qualcosa di gasato da bere, ma non c’è niente solo acqua del rubinetto, latte, uova, carne, mozzarella, affettati di ogni tipo e altro. Sento la nausea salirmi dallo stomaco alla gola. Provo ad ingoiare il nodo che mi si è formato lì in fondo e a prendere fiato ma vengo solo percorsa da un enorme singhiozzo, tento di trattenerlo e inizio a tossire come una pazza e sento le lacrime scendere. Afferro velocemente una bottiglia d’acqua e ne verso il liquido in un bicchiere, il più possibile. Lo bevo con voracità e me ne verso subito un altro. I colpi di tosse si fermano ma le lacrime continuano a scendere. Butto il bicchiere nel lavello e mi attacco direttamente alla bottiglia immaginandomi l’acqua, trasparente scendere fino allo stomaco e depositarsi lì. Per un attimo è bello sentirsi piena di niente. “Sono forte. Loro non sanno niente di me. Nessuno.” Quando anche tutta l’acqua nella bottiglia finisce poso il contenitore sul tavolo cercando di non metterci troppa forza per evitare di romperla.
Sposto una sedia e mi ci butto sopra distrutta, i gomiti appoggiati al tavolo e il viso coperto dalle mani. Sento i passi di Roberta entrare in cucina. Mi asciugo le lacrime per non farmi vedere da lei, non le darò la soddisfazione di farmi vedere così distrutta dalle parole e gli sguardi di tutti gli altri… non voglio farmi vedere distrutta da me stessa… perché in fondo lo so che fa male, ma io sto bene e conta solo questo. Se loro non mi capiscono non mi interessa, io decido cosa fare del mio corpo e della mia vita.
Sento la mano di Roberta che mi si posa sulla spalla. “Non piangere di nuovo. Fregatene di ciò che ti dirà.” E ne sono convintissima di questo pensiero finchè non inizia a parlare. –Mi dispiace Elena.- mi volto a guardarla. È davvero dispiaciuta. Non so che dire quindi lascio che continui lei. –Non volevo farti stare male è solo che… sono preoccupata… per te. So che non posso costringerti a fare qualcosa, perché sei così testarda, che in un modo o nell’altro non la faresti comunque… volevo solo essere sicura che tu fossi consapevole di quello che ti stai facendo. È la tua vita e io non ho voce in capitolo, lo so. Voglio solo sapere…-
-Ne sono consapevole.- le impedisco di finire la frase. Con sollievo sento che la mia voce e ferma e non ha neanche quella sfumatura roca che hanno tutti dopo aver pianto o dopo essere stati troppo in silenzio. Serro le labbra fino a farle diventare una linea sottile e annuisco come per confermare ciò che ho appena detto.
-Bene.- sussurra lei prima di abbracciarmi. Ricambio la stretta portando le bracca dietro la sua schiena.
Sono felice che abbia finalmente capito ma dentro di me riesco a sentire anche una cosa diversa… una sensazione di vuoto come… di abbandono. Sono riuscita a convincere Roberta a lasciarmi stare senza spiegarle niente, senza farle capire il motivo per cui mi faccio questo e lei ha accettato senza insistere più. Marta, la ragazza spagnola, non mi ha mai chiesto niente neanche quando mi vedeva digiunare. Stava in silenzio, ma era un silenzio rassicurante come se mi dicesse “So che non mangi perché c’è qualcosa che non va. Non pretendo sapere cosa so che quando sarai pronta me lo dirai.” E alla fine così succedeva, sempre. Io le dicevo cosa non andava, lei mi ascoltava, mi capiva, mi dava consigli e aspettava che tutto si risolvesse (anche dandomi una mano a volte) e io tornavo a mangiare.
Con Roberta tutto questo non è mai accaduto. Lei ha sempre creduto di sapere cosa succedesse prima di me e pretendeva che l’ascoltassi senza che lei sentisse cosa io avevo da dirle. E così ha fatto anche adesso. Ha rinunciato a capirmi e ha accettato la situazione o almeno vuole farmelo credere, perché so che cercherà un modo per farmi fare quello che vuole lei, ma io non ho più quindici anni, non sono più la ragazza insicura di una volta, non ho più un bisogno disperato di qualcuno che mi stia accanto, ad ogni costo, pur di stare male io. No. Ho imparato a stare sola anche nei momenti più difficili, a contare solo sulle mie forze e ad accettare il peso delle mie scelte. Eppure… quella sensazione di abbandono mi si è depositata in fondo allo stomaco. Nonostante lei sia qui accanto a me, materialmente parlando, non lo è con lo “spirito” e so che non proverà mai a capirmi. Cercherà delle soluzioni che non avranno successo e alla fine abbandonerà per disperazione. Io devo solo aspettare che rinunci all’idea, vana, di cambiarmi.
  
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