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Autore: emrys_    28/11/2014    2 recensioni
La prima canzone dei DriveShaft venne rilasciata esattamente otto anni fa. "Doomsday" invase la scena musicale inglese spodestando band ben più famose di quella composta dai quattro originari di Portsmouth. Forse il successo fu dovuto, in parte, allo scandalo che accompagnò l'uscita del loro primo album: "Pauper Lunatic". Ciò non toglie che ad oggi i DriveShaft rappresentino una pietra miliare nella storia della musica britannica.
Noi di MTV vi proponiamo una compilation dei loro brani più celebri con tanto di introduzioni tratte direttamente dagli appunti, scritti di proprio pugno, della cantante Ophelia Withmore, appunti annotati in un moleskine blu che di recente è stato venduto ad un'asta per la bellezza di 5.300 sterline.
Genere: Erotico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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doomsday2

Traccia 1 


 


Doomsday – 3.40

 

 

 

27 Marzo

Eravamo finiti in un parcheggio, il buio era quasi totale solo la luce della sigaretta di Turner dava colore alle gradazioni della notte.
Era appoggiato al muro umido con curata nonchalance. Cominciai a pensare che anche i suoi respiri non fossero naturali, ma studiate incanalature di aria nei polmoni. Ero di fronte a lui. Mi strinsi nelle spalle, nervosa. Osservai le sue labbra arricciarsi attorno al filtro e lo sentii inspirare. Aveva un alone intorno che mi faceva credere di essere davanti a qualcosa di sovrannaturale. Mi sentivo come se stessi guardando una foto oscena e proibita. Non riuscivo a smettere.
Turner pareva una divinità mortale. Un Dio corrotto.
Se c’era una vita dopo la morte a lui non importava.


“Some say it gets better after this 
Waiting for a better life 
I'm waiting to get this”


Gettò il mozzicone di sigaretta e lo schiacciò con il tacco dello stivale. Pareva muoversi in un’altra dimensione con negli occhi la promessa di concederne un assaggio a me.

“I'll take you to places where you've never seen 
I'll take you to a world where you've been inside dreaming 
If you wanna go,I will take you to the top 
Leave it off cause it never gonna stop”
 

Turner era sincero. Si presentava per quello che era, un’anima torbida e nera quasi quanto i suoi occhi di antracite. Era un dannato e indossava la sua condanna come un giubbotto di pelle.
Mi tirò a se con poca grazia. Mi strinsi al suo petto e feci una smorfia per l’insensibile intrusione della sua lingua nella mia bocca. Turner non aveva mai finto con me. Non mi aveva mai promesso rose rosse e poesie. Mi aveva mostrato la sua anima. Mi aveva mostrato il suo essere per quello che era.
Un peccatore.

 

"What you see is what you get with me 
What you see is what you get with me 
What you see is what you get with me 
What you see is what you get..."


 


 

 

“… Ma in breve mi sentii impallidire e cominciai a desiderare in cuor mio che se ne andassero. La testa mi doleva e mi sembrava che le orecchie mi rintronassero. Ma gli uomini seguitarono a sedere e a chiacchierare. Il ronzio delle orecchie si fece più distinto… Diveniva sempre più intenso, sempre più distinto: ripresi a discorrere ancor più animatamente per sbarazzar…”


Il tintinnio della porta mi convinse a sollevare gli occhi dal libro. Istintivamente lancia un’occhiata all’orologio che segnava l’una e dodici minuti. Se non avessi visto quattro persone davanti a me, avrei creduto di sentire rumori inesistenti come il protagonista del racconto che stavo leggendo.
Com’era ovvio riconobbi i quattro uomini in un istante. Mi guardavano con alterigia da dietro il bancone e sembrava si fossero messi in posa per farsi fotografare. Ad ogni modo finsi indifferenza. Vedere persone famose in questa zona di Londra non era così raro.
Con calcolata lentezza feci un’orecchia sul libro e lo risposi sul bancone sul quale tenevo i piedi. Mi lasciai andare all’indietro appoggiando la schiena alla sedia come se davanti a me non ci fossero gli Arctic Monkeys.
«Begli anfibi» disse quello più vicino a me. Alex Turner in carne ed ossa. Risposi con una scrollata di spalle ed uno sguardo di sfida.
«Chiedo scusa signori» sorrisi «il ristorante è chiuso» nessuno di loro mosse un muscolo per un paio di secondi, dopodiché O’Malley borbottò un “cerchiamo da un’altra parte” e fece per andarsene.
Turner tuttavia parve non avermi sentito. Si avvicinò al bancone, vi si appoggio con l’avambraccio e con un movimento fluido si tolse gli occhiali da sole rivelando due enormi occhioni neri contornati da delle occhiaie altrettanto grandi.
Mi guardò dritto negli occhi con la sicurezza di chi era abituato a farlo e mi sorrise accondiscendente.
«La porta era aperta»
Feci un mezzo sorriso sarcastico, aveva ragione, dovevo aspettare che Liam finisse il suo turno e mi ero dimenticata di chiudere l’ingresso, ma di certo non avrei lavorato di più a causa di una mera questione retorica.
«Ciò non toglie che siamo chiusi» questa volta fui meno cortese.
Turner distolse lo sguardo e si concentrò sui miei stivali, fece per sfiorarne uno con un dito, ma prontamente mi ritrassi. Sorrise con l’obbiettivo di schernirmi.
«Sono sicuro che possiate fare un eccezione» tornò a guardarmi «per noi» calcò il “noi” con un cenno della testa verso i suoi compagni. Se anche fossi stata ben disposta nei suoi confronti (e sia chiaro non lo ero) quella semplice allusione alla sua celebrità mi fece irrigidire ancora di più. Odiavo gli arroganti, come se solo perché faceva parte di una band famosa il Signor Turner fosse immune alle leggi degli uomini.
Anche io lo schernì con un sorriso e non gli risposi nemmeno limitandomi a scuotere la testa in senso negativo.
Serrò la mascella.
Cook, che fino a quel momento era rimasto immobile ad assistere insieme agli altri due, si avvicinò nella speranza di convincere il suo capricciosissimo cantante a trovare un altro ristorante. Gli sussurrò qualcosa che non mi presi nemmeno la briga di capire.
Turner continuò ad osservarmi impassibile. I suoi occhi troppo grandi sembravano ardere di fiamme nere, era alterato e la cosa mi piaceva. I muscoli della mandibola contratti elargivano ulteriore magrezza al suo viso appuntito mentre il ciuffo scomposto gli copriva la fronte.
Sembrava in procinto di cedere, lasciandomi la soddisfazione di aver privato una presuntuosa star internazionale della sua cena, quando il mio capo e Megan fecero la loro comparsa richiamati dalle nostre voci.
«Withmore adesso parli anche da sol….. Salve» il mio capo parve spaesato quando si trovò dieci paia di occhi a fissarlo. «In cosa posso esservi utile?» domandò grattandosi nervosamente i pochi capelli biondi che gli erano rimasti.
«Vogliamo mangiare» rispose Turner senza troppi preamboli. Con la coda dell'occhio vidi Megan sbiancare alla vista del cantante che le riservò un sorriso così malizioso da farla sussultare.

Porco.

«Mi dispiace, ma il locale è chiuso» guardai Turner con la soddisfazione di una bambina alla quale i genitori avevano appena dato ragione e di nuovo gli concessi un mezzo sorriso sarcastico.
Eppure, la vittoria mi scivolò tra le dita nel giro di tre secondi. Quelli che erano serviti a Megan per avvertire il nostro capo della enoooorme importanza degli nostri ospiti.
«Oh bè, in questo caso…..»

Stupida, stupidissima Megan.

Capii che se avessi voluto salvarmi avrei dovuto mettere le cose in chiaro fin da subito. Così mentre il Signor Hutchins si rivolgeva agli Arctic Monkeys con un tono tanto untuoso quanto i suoi radi capelli, mi alzai dicendo chiaramente che il mio turno era finito. Il gesto mi garantì da un lato il sorriso adorante di Megan e dall’altro un’occhiata torbida dal capo.
Poco male.
La mia collega fluttuò verso il bancone e in un batter di ciglia il grembiule nero della divisa andò a fare compagnia alla sua camicetta azzurra… che prima non era così sbottonata o sbaglio?
Roteai gli occhi al cielo del tutto indifferente alla scena, anzi per fare un’uscita di scena degna di nome me ne sarei andata sbadigliando.

«Voglio lei»

Mi bloccai. Avevo sentito bene?
«Al» Helders si era avvicinato all’amico e collega e lo stava tenendo per un braccio «Dacci un taglio.»
«Cazzo Matt, non sei mio padre» rispose l’altro divincolandosi. «Ho detto che voglio lei» ripeté indicandomi con gli occhiali da sole. Lanciò un’occhiata al mio capo come a dirgli che doveva provvedere ad esaudire il suo desiderio.
«Il mio turno è finito» dissi con una freddezza artificiale. Scandì bene le parole e mi diressi verso la cucina.
Il Signor Hutchins mi piombò addosso con l’ardore di un falco che artiglia una preda, e le sue dita mi strinsero il braccio con la stessa forza. Non l’avevo nemmeno sentito arrivare. Mi sussurrò che se non avessi mosso il culo mi avrebbe messo sotto con la sua utilitaria e che l’avrebbe fatto passare per un incidente. Ovviamente mascherò il tutto nell’atto di consegnarmi il grembiule.
Espirai violentemente dal naso e borbottai anche un paio di “cantante del cazzo”.
«Vado» presi il grembiule.
Megan mi guardava con rancore.
Il capo con odio.
E Turner con un mezzo sorriso sarcastico.

 

 

Il Signor Hutchins insisté nel farli accomodare in quello che riteneva il tavolo migliore, che guarda caso era proprio quello perfettamente visibile dalla strada. I quattro di Sheffield si stavano ancora facendo leccare il culo quando entrai in cucina.
Sbattei la porta consapevole di essermi fatta sentire.
«Andy» chiamai «Riaccendi tutto, ci sono altri quattro clienti»
«Ma abbiamo chiuso!»
«A quanto pare non per quei fottuti Arctic Monkeys»
«Arctic Monkeys?» Liam balzò fuori da dietro la sua postazione di lavapiatti e mi guardò con gli occhi sgranati. Persi un battito nel vedere quella meraviglia zaffirina.
Risposi con un cenno della testa verso la sala e lui corse ad affacciarsi all’oblò della porta.
«Mi stai dicendo che Alex Turner, Matt Helders, Jamie Cook e Nick O’Malley sono qui?»
«Non te lo sto dicendo, te lo sto mostrando»
«Non ci posso credere» si mise le mani nei capelli e guardò attraverso la finestrella con la bocca aperta. «Quello è Alex Turner! E’ seduto nel nostro ristorante!»
«
Nel mio ristorante vorrai dire!» Il capo entrò spalancando la porta e per poco non colpì Liam in pieno viso, ma non parve curarsene. Quella sera ero io al centro dei suoi pensieri.
«Lyla vedi di fare bella figura o giuro su Dio che ti licenzio» mi colpì più volte sulla spalla col suo indice grassoccio «Tu e lui!» strillò con voce nervosa indicando Liam. «Sorridi e sii carina per l’amor del cielo. Anche se ti è difficile.» 
Ad oggi non so con quale stoica forza di volontà mi trattenni dall’imprecare e mandare al diavolo lui, il ristorante e quei fottuti Arctic Monkeys, ma resistetti, concedendomi un paio di imprecazioni a mezza voce non appena il Signor Hutchins tornò in sala.
«Lyla, è una figata assurda!» Liam stava molto meglio di me. Lui era al settimo cielo. Non riuscì a trattenermi dal sorridergli, in fin dei conti lo capivo. Io e lui suonavamo in una band, rispettivamente voce e chitarra dei DriveShaft. Certo, non facevamo altro che piccoli concerti in pub microscopici, ma anche i Beatles hanno fatto la loro gavetta al Cavern, no?

Liam era convinto che anche per noi il momento sarebbe arrivato molto presto. Mi ripeteva come un mantra quella frase, incolpando il mio pessimismo del nostro mancato successo discografico. Devi crederci Lyla, produrremo un album! E’ il nostro momento!
«Cazzo Lyla, è il nostro momento» come immaginavo. Roteai gli occhi al cielo. «Scommetto che se Alex Turner ti sentisse cantare ti pregherebbe di duettare con lui!»
«Come no» risposi annoiata. Ovvio, anche per me la nostra band era di vitale importanza. Aveva priorità su ogni aspetto della mia vita, ma quella sera ero davvero troppo stanca ed incazzata per fingere di credere alle sparate di Liam. Il sorrisetto stronzo di Turner mi aveva rovinato l’umore e nemmeno una nomination ai Grammys mi avrebbe fatto venire voglia di sorridere.
Ad ogni modo mi sforzai di farlo, ma solo per amore di Liam. All’epoca facevo tutto per amore di Liam e lui non sembrava nemmeno in grado di accorgersi della mia esistenza.
Bene, non solo il sorriso stronzo di Turner ci si metteva anche la consapevolezza del mio amore non corrisposto a rovinarmi la giornata. Il mio umore crollò più velocemente della borsa di Wall Street nel ’29.
Sbuffai e cercai di farmi coraggio. Prima cominciavo, prima finivo.

 

 

Raggiunsi i fantastici quattro con in faccia un sorriso di plastilina. Evitai accuratamente di guardare Turner. Ero convinta che lui avrebbe scoperto subito la mia finta usandola contro di me.
«Cosa volete ordinare… Signori
«Scusaci se ti abbiamo obbligata a rimanere oltre l’orario di chiusura.» sorrisi ad O’Malley e gli dissi che non doveva assolutamente preoccuparsi vantandomi di uno stakanovismo che non era del tutto sincero. Potevano farmi tutte le scuse del mondo, ma se Turner continuava a guardarmi con quei suoi occhi da cucciolo uniti al sorriso da lupo, a me non sarebbe cambiato nulla.
Il soggetto dei miei pensieri si rimise gli occhiali da sole e si appoggiò alla sedia in una controllata posizione casuale. Anche se non potevo vederlo, sapevo che mi stava guardando con la stessa imperturbabilità con la quale avrebbe guardato un film al cinema.
Cominciai a prendere le loro ordinazioni e ero (quasi) arrivata a pensare che per il resto della serata Turner se ne sarebbe rimasto zitto e perso nei suoi pensieri brumosi, ma evidentemente quella non era proprio la mia giornata.

«Come ti chiami?»
Lo guardai per qualche secondo allettata dall’idea di mentire, ma Turner non si meritava nemmeno le mie bugie.
«Lyla.»
«Il nome intero, bambolina»
«Lyla»
«Così i tuoi genitori hanno deciso di chiamarti con un soprannome, eh?»
Sollevai lo sguardo su di lui e il non poterlo vedere negli occhi mi innervosì. Spinsi lo sguardo contro il nero delle sue lenti, ma niente, capire cosa gli stesse passando per la mente era impossibile.
Alzai un sopracciglio per mascherare l’irritazione. Pensai di offenderlo.
Si, dai.
Lo avrei offeso.
Presi fiato «Ophelia» dissi, invece.

Wow.
Ci sono proprio andata giù pesante.

Sbuffai più per la mia ignavia che la boria di Turner.
«L’ultima Ophelia di cui ho sentito parlare è morta. Suicida» specificò facendo roteare il coltello tra le dita lunghe e magre «Vedi, amava un pazzo. Che poi, ironicamente, non era davvero pazzo quindi lei si è ammazzata per niente» non capivo dove volesse arrivare, ma mi sembrava che mi stesse insultando. «Direi che Ophelia sia un nome disgraziato» concluse.
Rimanemmo tutti in silenzio. Lo sguardo omicida che Helders lanciò al suo cantante mi lasciò interdetta. Cosa stava succedendo? Alex tirò su col naso e piegò il collo come a volersi sciogliere i muscoli «Che c’è? Parlavo di Shakespeare! Adesso non si può più nemmeno parlare dell’Amleto?» domandò contrariato come se non fosse stato lui a dare inizio a questo conversazione di cattivo gusto.
«Cristo Alex!» sbottò Cook esasperato «Stai esagerando, la prossima volta non t…»
«L’ultimo Alexander di cui ho sentito parlare» interruppi «E’ noto in Russia per aver ucciso almeno una cinquantina di persone con un martello» conclusi allungandomi per farmi consegnare i loro menù.
Mi sentii estremamente fiera di me stessa. Mi aveva sfidato e aveva incassato il colpo.
Certo è che lo incassò con classe. Non riuscì a trattenere un ghigno «Mi piaci» mi disse facendo schioccare la lingua.
Non risposi non avendo idea di come farlo. Stavo per prendere proprio il menù che giaceva intoccato davanti a lui quando con uno scatto me lo rubò da sotto le mani.
«Anche se ti meriteresti una punizione per la tua insolenza»
Aggrottai la fronte e feci una smorfia incredula con la bocca. Avevo sentito bene?
Turner mi guardava protetto dalla barriera fumé dei suoi Ray-Ban mentre sul tavolo cadde un’atmosfera da obitorio.
Feci il giro del tavolo e mi avvicinai a lui per cercare di prendere il menù, ma di nuovo il cantante me lo impedì divertendosi nel farlo. Tirò di nuovo sul col naso e girò il viso verso di me.
Notai che il movimento del suo collo sembrava incontrollato. La testa gli pendeva sempre da un lato e faceva fatica a tenerla dritta.
La mano che teneva il menù era vittima di un tremore  involontario.

Che cazzo stava succedendo?

«Alex ora basta!» il ruggito di Helders mi fece sobbalzare, si avventò sulla mano di Turner che gli concesse di appropriarsi del menù senza resistere. «Ti stai rendendo ridicolo» disse porgendomi il menù con delle scuse nello sguardo.
Turner sbuffò e alzò la mani come un ladro che si arrende davanti all’eventualità dell’arresto.
«Scusalo» disse Cook richiamando la mia attenzione «Quando è stanco, Al diventa un vero stronzo»
Allora non ero l’unica ad averlo notato.
«Stanco?»
«Siamo appena tornati dalla Nuova Zelanda. Era l’ultima tappa del tour» Mi sentii un po’ in colpa, ma feci di tutto per non darlo a vedere. 
Cook, O’Malley e Helders erano persone a posto non avrei dovuto essere così maleducata prima.
«Piccola Lyla» Turner mi accarezzò un braccio «Cosa mi consigli di prendere?»
Mi allontanai con uno scatto «Un pungo in bocca»

 

 

 

«Grazie davvero e scusate. Era il terzo ristorante che non ci lasciava mangiare e non ne potevamo più» sorrisi a Matt Helders ripetendo per l’ennesima volta che era stato un piacere avere gli Arctic Monkeys da noi a cena.
Bè, non tutti gli Arctic Monkeys, ma questo non lo specificai.
Tesi la giacca ad O’Malley aiutandolo ad infilarla mentre Jamie Cook si complimentava col cuoco.
Da quando lo avevo caldamente invitato a farsi del male, Turner non aveva più aperto bocca, anche se non so se fosse stato per la mia acidità o la sua condizione non proprio perfetta (avevo notato che barcollava)
Mi allontanai dai quattro di Sheffield, che si dovevano soffrire un’ultima leccata di culo dal Signor Hutchins e cominciai a pulire il tavolo.
«Voglio portarti fuori a cena» sussultai e mi girai di scatto trovandomi Turner dietro le spalle.
Si era tolto gli occhiali e le macchie violacee che gli contornavano gli occhi sembravano peggiorate. Trovai ridicolo il mio pensiero eppure convenni che quell’aria stanca un po’ bohème gli donava. Il viso ancora troppo infantile assumeva un carattere diverso grazie ai tratti tipici della mancanza di riposo.
Lo osservai curiosa di scoprire se c’era anche solo una minima macchia su quel viso perlaceo e schifosamente perfetto.
Niente.
Non un neo, una venatura. Il suo viso era una bianca distesa di omogenea perfezione diafana. Nemmeno la barba osava crescere o intaccare quella pelle di seta.
Mi chiesi se non stessi parlando con un disegno in bianco e nero invece che una persona. Il sangue pareva vergognarsi all’idea di colorirgli gli zigomi alti e affili. L’unica nota di colore era il labbro inferiore molto più grande di quello superiore e volutamente lasciato socchiuso. Sembrava una rosa in mezzo ad un deserto di neve.
Gli occhi forse erano troppo grandi per un viso così scarno, ma l’espressione da cucciolo abbandonato stava così bene su quella faccia da bimbo che arrivai alla conclusione che quelle perle nere fossero state volute così da una forza più grande. Qualcuno le aveva create dal nulla con devozione e riserbo. Per il proprio piacere e secondo il proprio gusto. Come un pittore il quale finito il suo dipinto si allontana di un passo per vederne la perfezione nell’insieme del tutto.
Stava ancora aspettando una risposta. Con aria annoiata fece schioccare la lingua.
«Allora?»
«Cosa?» domandai ancora persa nell’oblio nero dei suoi occhi.
«Dove vuoi andare? Ti ci porto»
«Con te non voglio andare proprio da nessuna parte»
«Come fai a dirlo?» Aggrottai la fronte e lo guardai come se mi avesse appena detto che il basso non era uno strumento importante quanto la chitarra. Decisi di ignorarlo e gli diedi le spalle, ricominciando da dove mi aveva interrotto.
«Perché non vuoi venire a cena con me?»
«Perché non mi piacerebbe»
«Come fai a sapere che una cosa non ti piace se non l’hai mai provata?» Non mi lasciai intenerire dal suo tono da bambino.
«Io odio il formaggio e so per certo, senza il bisogno di provarla, che la fonduta non mi piace. Perché c’è il formaggio» spiegai.
«Io sarei il formaggio o la fonduta?»
Mi fermai e tornai a guardarlo negli occhi «Mi stai prendendo il giro, vero?»
«No» fece un passo avanti «Voglio portarti fuori a cena»
«E perché mai?»
«Bè, ho pensato che una suicida e un assassino avrebbero molto di cui parlare, non trovi?» Questo gioco di domande retoriche mi aveva confuso. Rimasi a bocca aperta: mi aveva fregato.
Non riuscii a non sorridere, fu un gesto spontaneo. Turner mi sorrise sghembo.

«E’ un sì?»
«Devo lavorare»
«Quando?»
«Sempre»
«Allora ceniamo qui» Fece un altro passo e la vicinanza mi mise in imbarazzo. Mi riavviai i capelli con un gesto rapido della mano.

Svelto come un gatto, Turner mi prese il polso e se lo avvicinò al viso.
«Let it be» lesse ad alta voce. Sul polso sinistro, sulla parte esterna, avevo tatuato il titolo di quella che io consideravo la migliore canzone di sempre.
Non dissi nulla, ma nemmeno cercai di liberarmi dalla sua presa. Mi stupii del calore della sua mano. Avevo immaginato che il suo tocco fosse freddo e nervoso, ma al contrario le sue dita erano calde e morbide come un maglione di lana.
Distolsi lo sguardo e non so per quale motivo, ma lui ne approfittò per accostarsi ancora di più. Eravamo una di fronte all’altro, lui teneva la mia mano stretta nella sua ed eravamo così vicini che potevo sentire il debole profumo di tequila del suo fiato.
I suoi occhi imprigionarono i miei in una prigione di vuoto nero. Aveva le pupille dilatate. La fronte increspata e un mezzo sorriso da lupo.
«Io…» ansimai
«ALEX!» Mi spaventai e feci un piccolo salto sul posto. Da dietro la spalla di Turner scorsi un Matt Helders estremamente incazzato. «Il taxi è qui, muovi il culo.»
«Arrivo mammina» Turner fece schioccare la lingua mentre mi scansionava il viso per l’ultima volta. «Ci vediamo» disse rivolto a me.


 

Rimasi immobile, esitante e confusa. Non avevo capito niente di quello che era appena successo.
«Cosa vi siete detti?» Guardai Liam con aria stralunata. Quando era arrivato?
«Come?»
«Tu e Turner! Cosa vi siete detti?» ripeté euforico.
Deglutii a vuoto
«Credo di avere un appuntamento con lui»


Cornerstone

Salve a tutti :) Mi chiamo Julia e cavolo è davvero un sacco che non scrivo! Spero che il capitolo vi sia piaciuto anche perchè ci ho davvero messo molto a scriverlo! Comunque non voglio parlare troppo, però ho pensato che sarebbe meglio cercare di chiarire bene come funzionerà questa storia.
All'inizio ci sarà sempre una "slice of life" ovvero dei piccoli episodi della vita di Lyla dove scopriremo cosa l'ha ispirata per scrivere il testo di una canzone.
Sotto il piccolo epidosio ci sarà il capitolo vero e proprio dove racconterò la storia di Lyla.
Episodio iniziale e capitolo sottostante NON AVRANNO ALCUN LEGAME TRA LORO. Per intenderci meglio se nel capitolo tal dei tali Alex si spacca il naso nell'episodio seguente non avrà necessariamente il naso rotto.

La canzone di questo capitolo è "doomsday" dei Kasabian (nuovo album) anche se magari non vi piacciono i miei kasabianucci adorati vi consiglierei di concedervi un ascolto o perlomeno di leggere il testo della canzone visto che l'intero capitolo sottostante è scritto grazie all'atmosfera che quella canzone ha creato nella mia testa (lo so è strano, ma non so come spiegarlo)

Vi ringrazio per la lettura e spero di avervi regalato minuti piacevoli :) p.s. Quando parla del nome Alexander, Lyla si riferisce a Aleksandr Pičuškin (http://it.wikipedia.org/wiki/Aleksandr_Pi%C4%8Du%C5%A1kin)

  
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