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Autore: _ayachan_    31/10/2008    3 recensioni
Un'AU (breve) ambientata tra le colline dell'Oltrepò pavese, che vede entrare in scena la nobiltà e il popolino, intrighi e tradimenti, il tutto in un'atmosfera che, ora che ci penso, ricorda vagamente quella di Goldoni.
(liberissimi di insultarmi per l'audace paragone)
[Dedicata a sammy1987 per il suo compleanno]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Orochimaru, Rock Lee, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Deserving-7
Deserving


Aveva conosciuto il duca Jiraya al matrimonio di Naruto.
Aveva visto lui e il festeggiato comportarsi come padre e figlio, con affetto, rispetto e stima. Forse perché i veri genitori di Naruto erano morti molti anni prima, quando ancora si trovavano in Francia.
Aveva visto lo sguardo di Naruto che si posava su Jiraya, e quello di Jiraya che lo abbracciava come un consanguineo, nonostante fossero solo lontani parenti.
Aveva visto che si volevano bene.
Jiraya abitava a Torino, assiduo frequentatore della corte e delle dame. Aveva frequenti rapporti con il re, era ospite fisso ai suoi banchetti, e conosceva l’intera Italia e mezza Europa.
Il 16 giugno 1836, la mattina in cui trovarono il corpo di Naruto ancora imperlato dalla rugiada della notte, Jiraya era a Venezia.
Non appena Sasuke seppe, gli scrisse una lunghissima missiva.


*


Il funerale fu sontuoso, nonostante l’assenza del re. Sasuke premette al di là delle sue possibilità perché Naruto fosse seppellito a Montebello, ma riuscì a spuntarla solo con l’aiuto di Jiraya, accorso non appena possibile.
Sakura pianse, mentre la cassa veniva calata nel terreno, e Hinata aveva perso i sensi già in chiesa, senza sapere che suo padre pensava al prossimo genero.
La lapide sulla sua tomba fu di marmo bianco di Carrara, perfetta e abbacinante. Il sole splendeva alto nel cielo il giorno del funerale, e la pietra brillò con tutta la sua intensità.
Jiraya, Sasuke, Sakura e Hinata rimasero soli davanti al cumulo di terra, senza parlare, oppressi dai ricordi come se loro per primi fossero nella cassa. Quando Naruto era vivo, era impossibile pensare a lui e commuoversi; ma ora sembrava così facile che faceva male.
«Che ne sarà della sua stanza?» sussurrò Sakura, stretta nello scialle di seta turchese che lui le aveva regalato per il matrimonio. «Tutte le sue cose, il suo scrittoio...»
Nessuno le rispose. Hinata singhiozzava piano, ripiegata su sé stessa.
Poi Hiashi venne a prenderla, e Sasuke e Jiraya gli lanciarono un’occhiata lunga e intensa.
«Sono stanca» sussurrò Sakura, senza accorgersi di nulla. «Possiamo rientrare?»


«C’è la firma di Orochimaru»
Jiraya passeggiava lungo lo studio di Sasuke con un misto di ferocia e avvilimento.
«Le unghie. Cianuro. Deve essere riuscito a farglielo arrivare, in qualche modo»
Sasuke era seduto alla scrivania, le dita intrecciate davanti al viso e la fronte premuta contro il dorso.
«Cosa faceva su quella strada, in piena notte?»
Sasuke lo ascoltò parlare, senza sentirlo davvero.
I paesani sussurravano che Naruto fosse assiduo frequentatore della casa chiusa di Retorbido, e della signorina Margherita, che gestiva le sue tre ragazze con l’efficienza di un contabile. Ma nessuno lo diceva a voce alta, e, anche se fosse stato, Sasuke non ne avrebbe fatto un dramma.
Si passò le mani sul viso, stanco.
Aveva scritto tutti i suoi sospetti a Jiraya nella missiva che gli aveva mandato quando era ancora a Venezia, e non aveva nessuna necessità di sentirli ripetere a voce alta. Si sentiva nauseato, e angosciato, e in colpa. Naruto non avrebbe mai avuto a che fare con Orochimaru se non avesse conosciuto lui.
Com’era accaduto? Al primo ricevimento a corte. Naruto conosceva tutti, e vedendo un viso nuovo si era avvicinato, con quel suo sorriso aperto e sciocco.
Avrebbe dovuto allontanarlo, quel giorno. Sarebbe stato ancora vivo, ora.
«Cosa facciamo?»
Alzò lo sguardo, e vide Jiraya che lo fissava con occhi perfettamente sani. Non era impazzito per la rabbia o il dolore, aveva mantenuto l’autocontrollo. Forse perché non poteva ancora lasciarsi andare; non prima di fare quanto doveva.
«Voglio sapere perché» disse Sasuke, cupo. «Voglio sapere ogni più piccolo dettaglio, e poi agiremo»
Jiraya annuì. «So come fare»

Tra le conoscenze di Jiraya non c’era solo la nobiltà, ma anche le fasce più basse del popolo. Attraverso una serie di canali segreti e ben protetti, una rete sotterranea e impercettibile aveva iniziato a muoversi e serrare le maglie.
Fu più semplice del previsto.
Nell’arco di una settimana Sasuke seppe tutto.
E allora fu preso dallo sconforto.

«Non ho abbastanza denaro» mormorò, di nuovo nel suo studio, i lineamenti resi duri dalla luce incerta delle candele. «Per colpire uno come Orochimaru, io sono troppo debole»
Jiraya, seduto sulla poltrona di velluto dall’altra parte della scrivania, lo scrutò torvo.
«Mi pare che lo scorso inverno i vostri boschi abbiano prodotto una forte quantità di castagne» disse, asciutto.
Sasuke scosse la testa. «Non solo i miei boschi. Le castagne hanno invaso il mercato, e il prezzo è calato vertiginosamente. I miei forzieri non sono mai stati molto ricchi, riesco a malapena a mandare avanti questa villa senza sfigurare in un ricevimento...»
«Sfigurare!» ripeté Jiraya, con una smorfia sprezzante. «E’ in questione l’onore dell’amico migliore che abbiate mai avuto, e voi mi parlate di sfigurare
Sasuke lo fulminò con lo sguardo. «Sto per avere un figlio! Voglio che questo bambino abbia tutto ciò che gli spetta, e muoversi per distruggere Orochimaru è uno sforzo che oltrepassa abbondantemente le mie capacità economiche! Finirei sul lastrico, solo per pagare le informazioni sui suoi spostamenti! E questo, Naruto non lo vorrebbe»
«Ma il vostro debito verso Naruto è notevolmente superiore a quanto credete, duca» sussurrò Jiraya, minaccioso.
«So tutto» Sasuke fece un cenno brusco. «So che amava Sakura, so che l’amava al punto da permetterle di sposarmi, e prendere Hinata al mio posto. Non è passata una sola notte, da allora, senza che io mi svegliassi e fossi oppresso dal senso di colpa. Non venitemi a fare lezione su ciò che devo a Naruto!»
«No» Jiraya si alzò, attraversò il tappeto e si fermò davanti alla scrivania, posando le mani sul ripiano di ebano lucido. «Voi non avete nemmeno la più piccola idea di quanto dovete a Naruto. Voi non sapete nulla. Voi siete sempre stato, in qualche modo, la cagione della sua rovina. E lui lo sapeva. Lo sapeva, e nonostante ciò vi è stato amico molto al di là di quanto io possa comprendere»
Sasuke fissò Jiraya con confusione e irritazione. «Che diamine state dicendo?»
«Sto dicendo che se Naruto è rimasto coinvolto in un matrimonio che non meritava, è per causa vostra. E che se è rimasto orfano, quando ancora non sapeva nemmeno chiamare il nome di suo padre, è sempre per causa vostra e della vostra famiglia»
Jiraya fissò Sasuke, e lo vide vacillare.
«Come?» balbettò, senza comprendere.
«Minato Uzumaki, il padre di Naruto, era più di un figlio per me. Sono stato suo amico fin dall’adolescenza, gli ho insegnato metà delle cose che sapeva, e come ringraziamento lui mi aveva nominato padrino di Naruto. Poi, poco dopo il battesimo, lui e sua moglie Kushina sono stati avvelenati, alla corte del re di Francia. Volete sapere per quale ragione?» si sporse verso Sasuke, senza distogliere gli occhi dai suoi. «Sono stati avvelenati perché circolava la voce che il re avesse stretto un accordo con i Savoia, in modo da donare il ducato di Montebello agli Uzumaki. Gli Uchiha, storici proprietari del ducato, erano praticamente in rovina, e il re voleva privarli dei loro terreni in favore di un accordo pacifico con la Francia. Voi eravate appena nato, credo»
Il volto di Sasuke si accese improvvisamente d’ira. «State insinuando che la mia famiglia ha fatto assassinare quella di Naruto?» inveì, scattando in piedi.
«Io non insinuo nulla» sibilò Jiraya. «Ci sono tutte le prove. Il capro espiatorio della famiglia fu Madara Uchiha, il fratello di vostro nonno. Le accuse caddero su di lui, e lui confessò di aver agito spontaneamente, senza il consenso dei suoi consanguinei. Fu decapitato a Parigi, due mesi dopo la morte degli Uzumaki. Nel frattempo, non so come, gli Uchiha riuscirono a risollevare le proprie sorti economiche, e così i Savoia decisero di ripiegare sulla cessione di un altro ducato... Ma Naruto rimase orfano. A nemmeno un anno di vita, rimase solo con me, e questo a causa della vostra famiglia»
Sasuke si risedette lentamente, con un curioso ronzio nelle orecchie.
Sapeva che un certo Madara era stato cancellato dall’albero genealogico della famiglia. Qualche volta aveva sentito suo padre sussurrare qualcosa riguardo al suo nome, ma mai era stato pronunciato a voce alta. E ora gli dicevano che Madara Uchiha aveva agito per conto degli Uchiha, per salvare la propria famiglia... in cambio della distruzione di quella di Naruto.
«Non è possibile» mormorò, scuotendo la testa.
«Oh, sì che lo è» insisté Jiraya. «Posso fornirvi tutte le prove. E sapete qual è il dettaglio più interessante, che ancora non vi ho raccontato? Il dettaglio è che Naruto sapeva tutto, fino all’ultimo particolare. Ho cercato di nasconderglielo, e per questo l’ho portato via dalla Francia quando aveva solo dieci anni, ma in un modo o nell’altro i sussurri sono arrivati fino a lui. Il giorno del suo matrimonio l’ho rimproverato aspramente, perché non capivo cosa lo spingesse a fare tanto per un Uchiha; ma lui non mi ha risposto. Era un suo vizio, tacere nei momenti importanti... e non mi ha risposto. Per ragioni che mi sfuggono totalmente, Sasuke, Naruto vi adorava. Credo che voi e Sakura foste le persone che più amava sulla faccia della terra, e la cosa mi urta profondamente. E mi addolora, perché ora capisco che aveva riposto la sua fiducia nel luogo più sbagliato»
Sasuke rimase in silenzio, sopraffatto.
Al loro primo incontro, aveva pensato che Naruto fosse un giovane sciocco e irritante, vuoto come un guscio di noce, e aveva cercato di evitare la sua compagnia. Ma poi, chissà come, se lo era sempre trovato attorno, finché, piano piano, avevano finito per diventare amici. Non si era mai reso conto che aveva fatto tutto Naruto. Lui non aveva mai mosso un passo nella sua direzione, eppure, per qualche strano motivo, Naruto aveva desiderato il suo affetto. E mai, mai una volta lo aveva ingannato, tradito, o sfruttato. Mai.
Era la persona più incomprensibile che avesse mai incontrato.
La migliore.
«Il giorno in cui vi conobbe, Naruto mi scrisse» bisbigliò Jiraya. «Disse di aver incontrato l’ultimo degli Uchiha, e di essersi sorpreso profondamente nello scoprire di non odiarvi. Disse che vi aveva visto scostante e antipatico, ma che in fondo si sentiva simile a voi. E’ un reduce. L’ultimo della sua dinastia, come me. Ecco cosa disse»
Sasuke si passò le mani sul volto, pallido.
Naruto. Naruto lo aveva amato, e ora Naruto era morto, probabilmente a causa sua.
Suo figlio. Suo figlio attendeva solo di nascere, di crescere come un Uchiha, di crescere nel modo migliore. Naruto avrebbe voluto che fosse così, perché voleva che lui e Sakura fossero felici.
Vendicarlo era suo preciso dovere. Distruggere Orochimaru era l’unica cosa che davvero contasse.
Ma la memoria di Naruto, così, sarebbe davvero stata onorata?
Crescere il figlio di Sakura nelle difficoltà era davvero la cosa migliore?
Naruto probabilmente avrebbe detto di no. Senza spiegarlo, naturalmente.
Ma Sasuke era egoista. Un orgoglioso Uchiha egoista...
E decise che avrebbe fatto a modo suo.
«Jiraya» disse sottovoce, in tono vibrante. «Ho bisogno ancora dei vostri favori. Voglio che Orochimaru venga privato di ogni potere, economico o fattuale. Voglio che mendichi per le strade, che i cani gli rubino il cibo, che anche il più umile ciabattino lo disprezzi. Voglio distruggerlo»
Jiraya sorrise, con un lampo di trionfo negli occhi.
«Non è sufficiente» replicò, allontanando le mani dalla scrivania ed eliminando l’aura minacciosa che lo ricopriva. «Orochimaru è un uomo che si rialza, qualunque cosa gli succeda. Lo conosco fin dall’infanzia, e se vi dico che probabilmente non era nemmeno figlio di suo padre, ma dello stalliere, vi sarà chiaro come l’ambizione riesca a portarlo dovunque. Per fermarlo, dovremo ucciderlo»
Sasuke scosse la testa, stringendo i denti. «Non posso. Per fare questo non basterebbe attingere alle mie casse, dovrei seriamente indebitarmi, e non credo nemmeno che troverei qualcuno disposto a...»
«Non ce ne sarà bisogno» lo interruppe Jiraya. «Dove voi non arriverete, sopperirò io. In fondo questa era la mia intenzione fin dall’inizio, ma volevo verificare che tipo di persona foste. Il Re e i suoi cortigiani hanno sempre guardato a Naruto come un inconveniente imbarazzante, un orfano che non sapevano come sistemare. Ora che è morto se ne sono sentiti persino sollevati, e io ho deciso che lo avrei vendicato, anche da solo. Ma volevo che voi foste al mio fianco, per Naruto. Se mi aveste deluso, credetemi, avrei fatto in modo di distruggervi»
Sasuke fissò Jiraya, e lesse nei suoi occhi che non mentiva, né si gloriava a vuoto.
Se avesse deciso di non occuparsi della vendetta di Naruto, sarebbe stato rovinato.
Sospirò, posando la fronte sul palmo. Non provava rancore. Solo una grandissima desolazione.
Naruto doveva essere stato amato davvero molto da quell’uomo.
«Un ultima cosa» riprese Jiraya, assottigliando gli occhi con aria pensosa. «Gli Hyuga. Anche loro devono pagare»
«Non Hinata» intervenne Sasuke. «Hinata amava sinceramente Naruto, non merita di soffrire per l’idiozia di suo padre. Se Hiashi avesse saldato il suo debito con Orochimaru, lui non avrebbe fatto uccidere suo genero. Ci vuole qualcosa che che colpisca unicamente Hiashi»
Jiraya annuì. «Forse so cosa potremmo fare, e per questo non servirà nemmeno del denaro»


*


Alla fine dell’estate Sakura già si mostrava raramente in pubblico, costretta nelle fresche stanze della villa da una gravidanza leggermente problematica. Per questo fu la seconda celebre assente al matrimonio tra Hinata Hyuga e Neji Hyuga, che si svolse nella chiesa di Montebello agli inizi di settembre.
Jiraya si era impegnato a fondo per trovare la persona che più di tutte odiasse Hiashi, e quando aveva scoperto che tale persona era Neji, da lui formalmente adottato, si era trovato davanti a un dilemma.
Aveva scavato nel passato del giovane, fino a scoprire che probabilmente era il frutto di una relazione illecita del fratello di Hiashi, Hizashi, con una dama di compagnia. Era venuto a sapere che Hizashi era misteriosamente morto prima di sposarsi ed ereditare il casato, e che la linea di successione si era così spostata da lui a Hiashi. Poi Neji era cresciuto come la copia esatta di suo padre, e Hiashi aveva subodorato il pericolo che qualcuno lo proponesse come legittimo successore; prima che chiunque potesse prenderlo sotto la sua protezione, dunque, lo aveva adottato e ridotto al silenzio.
Giunto al termine delle sue ricerche Jiraya aveva realizzato che la cosa peggiore che potesse capitare a Hiashi era perdere l’influenza della figlia, unica erede del titolo nobiliare di Naruto, in favore del suo peggior nemico. E così si fece strenuo promotore dell’unione tra Neji e Hinata.
Dovette faticare non poco per contattare Neji, per sondare il terreno con Hinata e, infine, aggirare la sorveglianza di Hiashi. Decise di chiudergli ogni possibilità per quello che riguardava l’alta nobiltà, e di fatto lo rese inviso alla maggior parte dei nobili che frequentavano la corte. Dopo cinque mesi di inutile ricerca, Hiashi aveva perso le speranze di maritare di nuovo la sua primogenita, e allora Jiraya si era presentato come garante per Neji.
C’erano state molte liti, minacce e intimidazioni. Se Neji fosse stato solo, probabilmente sarebbe uscito sconfitto dalla diatriba; ma al suo fianco c’era Jiraya. E, dopo l’esperienza di Orochimaru, Hiashi sapeva che non poteva scherzare con i potenti.
Così aveva dovuto cedere. Masticando fiele, era stato costretto ad abbandonare i suoi piani su Hinata, per riversare ogni speranza sulla secondogenita, Hanabi. Aveva visto il titolo più importante del suo casato finire nelle mani del figlio di una dama di compagnia, e, livido, aveva rifiutato di partecipare al matrimonio a causa di una forte indisposizione.
Con profonda soddisfazione, dopo aver concluso quella faccenda, Jiraya si era allora volto verso Orochimaru.


Il salone principale era immenso.
Le grandi vetrate sul lato sud e ovest erano schermate da pesanti tendoni color vinaccia, e a est e nord le pareti erano coperte da alte librerie ricolme di volumi classici e moderni, in almeno cinque lingue diverse. La notte, per illuminare l’intero ambiente, i sei grandi lampadari di cristallo che pendevano dal soffitto venivano accesi, e la luce si frammentava in milioni di prismi, adagiandosi sulle coste dei libri in immobile attesa.
Al centro del pavimento si stendeva un ampio tappeto d’angora rossa, circondato da sofà francesi ricoperti di broccato, e sui raffinati mobiletti d’angolo ardevano tre candele armoniosamente posate su un candelabro in ferro battuto.
La luce era perfettamente controllata, e cadeva precisa sulle pagine ingiallite di un Macchiavelli dal valore inestimabile. Una mano bianca e sottile, solcata da piccole vene azzurrine, si muoveva lenta seguendo i ghirigori dell’inchiostro.
Orochimaru amava leggere almeno una decina di pagine prima di andare a dormire. Le selezionava con cura, prendendole dai libri che preferiva, e se le godeva come il piacere più grande, immergendosi in fitti brani di strategia, storia o politica. Non amava le letture ludiche, le trovava noiose e inutili.
Di solito, quando era ora di coricarsi, Kabuto bussava a uno degli ingressi del salone e gli comunicava che erano le undici. A quel punto Orochimaru richiudeva il libro, lo riponeva nella sua esatta posizione, e poi seguiva il fido servitore fino alle proprie stanze, dove trovava la camicia pronta e un catino di acqua tiepida per sciacquarsi.
Aveva abitudini molto metodiche; per questo, quando sentì bussare leggermente alla porta nord, guardò l’orologio posato sul tavolo, constatò che erano solo le dieci e un quarto, e si accigliò.
«Kabuto?» chiamò, posando il libro sul divano. «Sei tu?»
Non ottenne alcuna risposta, ma non si allarmò. Ciò che fece, invece, fu tendersi verso il mobiletto accanto al divano, aprire il primo cassetto ed estrarre un minuscolo coltellino in argento, affilato come un rasoio. Con la vita che conduceva, era sempre pronto a doversi difendere.
Ma la porta si aprì normalmente, senza la lentezza tipica della cautela, e sulla soglia non c’era altri che Kabuto, avvolto nella solita livrea grigia. Orochimaru lo scrutò, teso.
E dopo neanche un secondo, il corpo senza vita del servitore si ripiegò su sé stesso e cadde faccia a terra, andando a cozzare sul marmo con un tonfo raccapricciante.
Orochimaru balzò in piedi, sollevando la mano armata. Nello stesso istante la luce dei lampadari si spense bruscamente, privata dell’energia elettrica, e l’ombra asciutta del padrone di casa si allungò sul tappeto d’angora, disegnata dalle fiammelle delle candele.
Orochimaru trattenne il fiato, in ascolto. Sentiva il cuore battere rapido nel petto, e il sudore formarsi sulla fronte e sulla schiena, ma tutto ciò che fece fu far guizzare gli occhi da un capo all’altro della stanza.
Sentiva di non essere solo. Avvertiva il respiro sottile di un altro essere umano, oltre a lui, ma non capiva dove potesse nascondersi. Dietro le tende, forse? La mano sul coltello iniziò a farsi umida, scivolosa; riprese a respirare, sforzandosi di farlo lentamente, ma capì presto che l’angoscia glielo avrebbe impedito.
«Mostrati» sibilò allora; non per spavalderia, ma perché l’azione era infinitamente meglio di quella sospensione eterna.
E, obbediente, l’assassino si mostrò.
Le tende frusciarono, ondeggiarono con il loro rosso così cupo, nere dove le candele non le illuminavano. Le fiammelle del candelabro tremarono, scosse dalla corrente improvvisa, e Orochimaru si voltò di scatto, brandendo il coltello dritto avanti a sé.
Non vide la sagoma scura che lo raggiungeva alle spalle, ma sentì la sua mano serrarsi sul polso, troppo sottile e troppo fragile, e serrarlo fino a farlo crocchiare sinistramente.
Ebbe a malapena il tempo di inspirare, brusco, e chiedersi come mai le guardie non avessero fermato l’intruso; poi, semplicemente, avvertì un’ondata di dolore assoluto all’altezza dei reni. Sentì la lama penetrare nella carne, incidere la stoffa e i tessuti interni, e poi la sentì torcersi leggermente, e gemette, dolorante e furibondo.
Cadde in ginocchio, con il pugnale conficcato nella schiena, e si piegò sulle mani, sentendo lo stomaco contrarsi; sputò sangue sul tappeto già rosso, e i capelli stretti in una coda gli ricaddero sulla spalla, immergendo le punte nella pozza nera.
«Questo è per Naruto Uzumaki» sibilò una voce su di lui, una voce sconosciuta e distorta dal ronzio che gli invadeva le orecchie.
Poi sentì dei passi leggeri che si allontanavano, e la vista gli si annebbiò.
Provava nausea. Una nausea irriducibile, e il freddo più intenso della sua vita.
«Kabuto!» chiamò, dimenticando che il servo era già cadavere, incurante delle parole biascicate che si mescolavano con il sangue nella sua bocca. «Kabuto!»
Cadde sui gomiti, il suo stomaco tentò di liberarsi, inzaccherando mani e vestiti, e il pavimento ondeggiò sotto di lui.
Gli sembrò di sentire un crepitio lontano, mentre ricadeva su un fianco e tentava di girarsi sulla schiena. Il coltello nelle sue reni si piegò, incise altra carne, gli strappò un urlo di dolore e lo spinse a rannicchiarsi in posizione fetale.
Non aveva la forza di raggiungerlo con una mano. Non riusciva a estrarlo.
«Kabuto...» ansimò, senza fiato.
E quando alzò gli occhi verso i tendoni, vide soltanto una grande, calda vampata di fuoco.
E pensò che fosse l’inferno che si schiudeva al suo ultimo sguardo.






Continua



Non era l'ultimo, chiedo perdono!
Non so contare, avevo creato due capitoli 6! ç_ç Me scema!
Comunque, rating arancione non per l'arf, ma per la violenza. Relativa, si intende.
All'inizio avevo previsto qualche scena succosa tra Sasuke e Sakura, poi mi sono ricordata che siamo nel 1836 in un paesino padano, quelli se si sfiorano le mani svengono per l'eccitazione, figuriamoci il resto... Quindi mi sono limitata ad ammazzare qualcuno trucemente, e tanti saluti. Per la cronaca, l'assassino è Kakashi! Che però non conosce direttamente Naruto.
Ciò detto, sembra che tutto si sia risolto, vero...? Ebbene, c'è un ultimo capitolo, un po' agrodolce, che vi attende. Un capitolo del quale vado misteriosamente orgogliosa! XD Questa storia era nata un po' come una sciocchezza, e invece mi sono trovata a vagare su Wikipedia alla ricerca delle date delle battaglie di Montebello! ò.ò
Comunque, la prossima sarà l'ultima volta che ci troviamo su queste pagine, quindi...
Arrivederci!
(perdonatemi se non rispondo alle vostre recensioni, ma casco di sonno!)
  
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