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Autore: Gio_Snower    28/11/2014    3 recensioni
Quel mattino alzarsi da quel letto caldo, staccandosi dalla sua bella moglie, gli sembrò particolarmente difficile; però lo fece, sebbene controvoglia e faticosamente: il lavoro era al secondo posto nella sua vita.
Al primo posto, ovviamente, c'era la sua famiglia. Era sposato con sua moglie da nove anni, sì, già nove anni, e avevano un bel figlioletto di sette anni, di nome Daniel, che però amava chiamare Dan.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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HERO 
 
 
Quel mattino alzarsi da quel letto caldo, staccandosi dalla sua bella moglie, gli sembrò particolarmente difficile; però lo fece, sebbene controvoglia e faticosamente: il lavoro era al secondo posto nella sua vita.
Al primo posto, ovviamente, c'era la sua famiglia. Era sposato con sua moglie da nove anni, sì, già nove anni, e avevano un bel figlioletto di sette anni, di nome Daniel, che però amava chiamare Dan.
Si trascinò verso il bagno, si sbarbò, pensando "che rottura", si lavò i denti ed il viso, si pettinò e si vestì velocemente. Sua moglie gli preparava sempre i vestiti per la mattina dopo e glieli lasciava sul cassettone del letto, così che lui non si dovesse mettere a frugare, magari perdendo pure tempo. Amava così tanto la sua compagna, la adorava. Certo, a volte litigavano, s'erano sposati molto giovani, presi da una strana follia, da un amore dirompente, e lei prendeva le sue cose ed andava dalla madre, per poi piangere con le amiche. Lui rimaneva a casa quei pochi giorni, da solo visto che lei si portava sempre dietro Daniel, poi l'andava a prendere, spesso con un mazzo di fiori, ma senza scuse. Tornavano a casa e lei piangeva mentre facevano l'amore, gli straziava il cuore vederla così, quindi glielo chiedeva sempre, mentre erano a letto: "Perché piangi, amore mio?", allora lei sorrideva e con voce fioca chiocciava "Piango dalla felicità, tesoro." e lui la baciava, mormorandole che le era terribilmente mancata, che non sarebbe felice senza di lei e senza il loro figlioletto, che sarebbe perso, nell'oscurità. 
Sbirciò verso il letto e vide i bellissimi riccioli ramati di sua moglie sparsi sul cuscino, il suo volto tranquillo nel sonno e quelle lunghe ciglia scure. Non poté trattenersi dall'avvicinarsi silenziosamente per posarle un leggero bacio sulla guancia e darle una piccola carezza. 
Prese la borsa con il cambio e le cose essenziali, ad esempio il portafoglio ed il cellulare, e uscì dalla camera da letto attento a non far rumore, socchiudendo leggermente la porta. 
Passò davanti alla camera da Daniel, contrassegnata da una nuvoletta azzurra con scritto il suo nome attaccata alla porta, l'aveva attaccata lui stesso, e l'aprì leggermente. 
Il suo amato piccino dormiva scomposto, come lui, e i ricciolini dorati gli ricadevano sul viso, minacciando di entrargli in bocca. Non se ne preoccupò e richiuse la porta, attento a non svegliarlo, e si avviò verso il corridoio. 
Uscì di casa e guardò l'orologio, erano appena le sei e mezza del mattino. 
Dopo aver preso l'ascensore, fare le scale richiedeva troppi - decisamente troppi - sforzi, ed essere uscito dal condominio, si avviò verso il bar. Come poteva iniziare una buona mattina se non con del caffè? 
Ordinò un caffè nero alla giovane, ma poco attraente, cameriera che indossava - notò sovrappensiero - un paio di ballerine nere con i brillanti. Molto chic, pensò con sarcasmo. Sua moglie lo rimproverava spesso per quel suo lato così "ostico", come lo definiva lei, gli diceva sempre: "Sam, dovresti vergognarti", al che lui rispondeva con un'alzata di spalle ed un leggero sorriso e un  "Ti amo anch'io per come sei, Lucia", facendola sorridere anche se lei tentava di nasconderlo. 
Controllò l'ora e sospirò; poteva far con calma, era giusto. Non odiava il suo lavoro, anzi, l'amava molto, però certi giorni era difficile anche il solo sopportarlo. Era un lavoro pesante dal punto di vista emotivo e, finite le scuole superiori, si era stupito nel ritrovarsi in un mondo così diverso e del carico che i colleghi anziani portavano sulle loro spalle. Uomini coraggiosi, aveva pensato dentro di sé all'epoca, quando era ancora un novellino, ed ora anche lui aveva il suo bel bagaglio pesante. Era diventato coraggioso? Lo sperava. 
Scosse la testa e finì il caffè con un sorso, bruciandosi leggermente la lingua e imprecando, pagò il caffè e si avviò verso la caserma. 
I suoi colleghi lo salutarono appena entrò. Beckett, appoggiato al distributore dell'acqua, in divisa, gli fece un cenno del capo che ricambiò, mentre Jonny si avvicinò a lui.
"Allora?", domandò lui.
"Allora cosa?", chiese. 
"Lucia ed il nostro piccolo Daniel? Come stanno?", specificò.
"Ah", fece, "Stanno bene. Daniel ha un compito per casa: scrivere sul suo eroe."
"Scriverà su di te, allora!", esclamò Jonny. 
Non trattenne una smorfia mentre rispondeva: "No, su Capitan America."
"Oh", rispose l'altro, ma vedeva bene che tratteneva le risa mentre gli posava una mano sulla spalla con fare compassionevole.
"Almeno non ha deciso di scrivere sul suo personaggio preferito di Gumball, ma su un personaggio decente, anche se di fantasia", disse, rincuorato almeno su questo.
Jonny rise. "Su con la vita, Sammy!"
Il capo entrò in quel momento e li squadrò uno ad uno.
"Jackson!", sbraitò rivolto verso di lui.
"Sì?", domandò, non aspettandosi niente di buono.
L'uomo si avvicinò a grandi pazzi, i baffi grigi ben curati che risaltavano sul volto rubicondo, e si fermò di fronte a lui.
"Non ti cambi?", chiese. 
"Un attimo, Bill", rispose, "Sai che sono vecchio, ormai. Mi muovo alla tua stessa velocità!", scherzò.
Bill rise, divertito, poi gli diede due pacche sulla schiena mentre gli altri ridacchiavano.
"Su, vai a cambiarti, non si sa mai quando potremo avere una chiamata". 
Giusto. Si concentrò ed andò a cambiarsi, si mise la divisa, pesante ma necessaria, e preparò le sue cose in caso di una chiamata d'emergenza, disponendole ordinatamente, così da poterle prendere senza problemi e con velocità. 
Tornò nella sala "ricreazione", dove di solito si accomodavano aspettando una chiamata o un qualche compito da portare a termine.
"Fra poco ci sarà il Giorno dell'Eroe, eh, Jack", sentì dire Beckett mentre si sedeva al tavolo, appoggiando la schiena contro il muro. 
La schiena gli doleva un poco visto che la sera prima Dan aveva voluto giocare con lui, salendoli in groppa, picchiandolo, facendo finta di essere due dinosauri o un cattivo ed un buono. Il risultato? Qualche ematoma, uno sotto la scapola, uno vicino al fondo-schiena, e così via. 
Pensò alla Giornata dell'Eroe, dove avrebbe partecipato ad una piccola conferenza riguardo il suo lavoro come pompiere, spiegando alla gente quanto gli piacesse svolgere il suo dovere e quanto fosse bello ricevere le emozioni di chi aveva salvato, la commozione nello stringere un bambino, di una donna che piange ringraziandoti, di un uomo che ti guarda rispettandoti, ammirandoti. 
Pensò a suo figlio, a come avrebbe voluto essere il suo eroe...
"E tu Sam?", gli chiese Jack. 
"Cosa?", domandò, sollevando lo sguardo.
"Ci sarà tuo figlio alla Giornata dell'Eroe?".
"Sì, credo.", rispose, "Lucia pensava di fare un picnic dopo."
"Sei un uomo fortunato!", esclamò Jonny, "Una bella moglie premurosa, un bel figlio, una vita pressoché stupenda."
"Non mi lamento, infatti.", disse con sincerità. Amava la moglie, amava il figlio ed amava pure il suo pesante e onorevole lavoro. Cosa poteva voler di più? Niente.
Eppure c'erano quei giorni...
C'erano quei giorni in cui aveva pensato di cambiare lavoro, di cambiare città, di trasferirsi in campagna con suo figlio e sua moglie, stanco di quella sensazione di impotenza di fronte alla morte. La soddisfazione, i ringraziamenti, le vite che riusciva a salvare; solo queste cose lo facevano andare avanti, ovviamente insieme alla sua famiglia, il fulcro della sua forza.
La sirena suonò mentre Bill urlava di muoversi: c'era una chiamata d'emergenza.
 
Quando arrivarono sul posto, l'edificio era completamente in fiamme, avvolto da nere spirali di fumo e da lingue di fuoco rosse e gialle, spaventose, e il rumore della sua voracità sembrava un urlo. Si fiondarono subito dentro. Il soffocante calore che non li toccava solo grazie alle tute. 
Una donna era svenuta a terra, la prese in braccio e la passò a Jack.
"Portala fuori!", ordinò, e Jack si fiondò giù dalle scale. 
"Cazzo!", esclamò, mentre un gradino si sbriciolava sotto il suo peso. Saltò, una questione di pochi attimi, e arrivò di sopra.
"L'edificio è sgombro!", lo informarono.
Ma poi si sentì una cosa inaspettata: il pianto di una bambina.
"Torniamo indietro... non possiamo fare niente! L'edificio sta crollando!", dissero.
Non pensò nemmeno, corse in cerca di lei, gridando "Dove sei? Dove ti trovi?", ma la piccola era troppo spaventata per rispondergli, sebbene il suono della sua disperazione lo guidasse. Si tolse il casco che cominciava a soffocarlo, nonostante sapesse i pericoli a cui andava incontro facendolo. In quel momento cadde una trave, che lo colpì sulla nuca, facendolo sanguinare; ma non si fermò, e continuo a cercarla.
La trovò.
Era una piccina, non più grande di suo figlio Daniel, ed era incastrata sotto una trave caduta da chi sa dove. Non si era fatta male, ma non poteva scappare. Le fiamme ruggivano, salendo sempre di più. Non c'era tempo. 
Alzò la trave con grande fatica, sudando, imprecando, e dopo qualche minuto riuscì a liberarla. 
Le fiamme, però, li avevano ormai raggiunti. 
Si guardò intorno e non vide vie di scampo, tranne la finestra. 
"Butterò giù la bimba dalla finestra, la quinta, quarto piano. Preparate i tendoni", disse, poi si rivolse alla bimba.
"Ti farò cadere, ma sotto ci saranno dei grossissimi tendoni, non devi aver paura, okay?"
Lei annuì, piangendo silenziosamente. "Sei una brava bambina", gli disse, pensando a Daniel. 
Le fiamme dietro di loro. Non c'era attesa, non c'era tempo.
Salì sul comò mezzo scassato, ferendosi il piede con qualcosa di così acuminato e forte da trapassare la spessa tuta. Sapeva che non c'era più tempo, sapeva di non poter salvare sia sé stesso che la bambina.
Pensò a Daniel, che non avrebbe visto crescere, a Lucia, che avrebbe lasciato sola. In un attimo tutta la sua vita fino ai suoi venerandi trentatré anni gli scorse davanti agli occhi, mentre sorrideva pensando "Volevo essere un Eroe per mio figlio". Solo per un istante si pentì di non poter vedere suo figlio crescere, solo per un istante si pentì della moglie che avrebbe lasciato, la splendida donna con cui era stato per molti anni, che l'aveva amato e che aveva portato per nove mesi suo figlio in grembo.
Aprì la finestra e la gettò.
Si sedette, le fiamme gialle davanti a lui divamparono, inghiottendolo nel ritorno di fiamma. 
 
 
"Mio papà è un Eroe.
Lo ha detto la mia mamma, sapete?
Ha salvato una bambina della mia età, ma...
Vorrei che avesse salvato anche sé stesso."
Singhiozzò il bambino al microfono, le lacrime rigavano il suo volto 
e quello di tutti i presenti alla Giornata dell'Eroe, in memoria di Samuel Jackson,
pompiere morto per salvare una vita, padre di famiglia ed Eroe.
"Il mio papà è un Eroe, il mio Eroe, ma anche quello di altri.
La moglie di Samuel piangeva mentre ascoltava il suo bambino parlare del padre morto."
Si avvicinò a lui e lo abbracciò, si sporse verso il microfono e lo disse:
"Mio marito è un Eroe, ma è morto.
Non ha mai commesso azioni malvagie, mai.
E amava il suo lavoro, e penso che per lui, salvare così tante vite e per ultima quella di una bambina dell'età di nostro figlio, sia stato il traguardo più grande. 
Gli Eroi esistono, vivono fra noi. Sono pompieri, poliziotti, soldati, medici.
Sono persone normali, sono umani... e loro ci salvano. 
Mio marito è ed era uno di questi."
La voce della donna si spezzò.
"Era il mio Eroe e lo sarà per sempre."
   
 
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