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Autore: Clockwise    28/11/2014    4 recensioni
Oscar Wilde, aforismi per l'animo complicato di Sherlock.
Fra violini, fantasmi, cravatte, neonate, manoscritti del '600, opere teatrali, i Queen, gigli e teschi.

Noi dobbiamo sopportare il peso di questo tempo triste.
Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire.
(Shakespeare, King Lear)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Fra le righe'
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Di nuovo qui, nuovo capitolo bello lungo uscito fuori da chissà dove, totalmente fuori dai piani. Ma vabbè, ormai dovrei saperlo che i piani non li rispetto mai. Noticine alla fine perché fanno molto professionale. Per qualsiasi dubbio, non esitate a chiedere!
Grazie infinite a chi legge, segue, recensisce, preferisce, ricorda.
A voi, ditemi che ne pensate.
Ciao ciao! =)
-Clock

 

Palinsesto
(in gioventù)

 
 
 
Gli uomini invecchiano, ma non migliorano.
Oscar Wilde
 
 
 
«Toc toc?» trilla Mrs Hudson, facendo capolino dalla porta con un vassoio per il tè. Sherlock alza la testa, sbattendo le palpebre da dietro la mascherina da sub – il meglio che abbia trovato, dopo che uno schizzo di acido ha distrutto la lente dei suoi occhiali protettivi, l’ultima volta.
«Ti ho portato il tè, ho fatto tardi perché non sentivo rumore e pensavo dormissi, e mi sono detta “per una volta che Sherlock dorme non andrò a disturbarlo”…» chiacchiera la donna, posando il vassoio sul tavolino ed entrando in cucina, dove lui è seduto.
«Che ore sono?» chiede Sherlock, sollevando gli occhiali.
«Le otto, caro» risponde lei, raddrizzandosi e guardandosi intorno, le mani sui fianchi.
«Oh, ma che cosa hai fatto, Sherlock? Guarda che disastro, avevo pulito tre giorni fa… Non sono la tua governante, signorino, non sto qui a pulire i tuoi pasticci… Oh, guarda il mio povero lavandino…»
Sherlock si alza, i muscoli indolenziti, e prende una tazza di tè, rimanendo però in piedi. Sono già cinque ore che è lì seduto e non se ne è accorto affatto.
Mrs Hudson, rassegnata a dover pulire e disinfettare di nuovo, scuote la testa, sospira, si accomoda sulla poltrona di John e prende la sua tazza di tè.
«A cosa stavi lavorando, Sherlock?»
«Analisi biochimica di un pacco che mi è stato recapitato la scorsa notte, una pagina del Primo Folio di Shakespeare, chiaramente un falso…»
«Che cos’è il Primo Folio?» domanda candidamente l’anziana donna, sorseggiando il suo tè.
Sherlock si avvicina alla finestra.
«La prima pubblicazione delle opere complete di William Shakespeare, 1623. Risulterebbe autentica al carbonio 14, ma è assolutamente impossibile, e per di più questa parte dell’opera è andata perduta.»
Mrs Hudson prende un sorso di tè, sbattendo le palpebre.
«Hai ritrovato un’opera perduta?»
L’uomo scuote la testa, impaziente.
«Il Cardenio1, recitato dai King’s Men nel 1613, ispirato da un passo del Don Chisciotte, attribuito a Shakespeare, non se ne è mai trovato il copione. Fino ad ora.» Solleva le sopracciglia con ironia, fissando il tè fra le sue mani che va freddandosi.
«Molly non può darti una mano?» chiede la donna, posando tazza e piattino sul vassoio. Sherlock emette un verso di fastidio.
«No, perché Molly è in vacanza e il laboratorio è off-limits finché non torna lei. Ordini di Mycroft» spiega, amaramente sarcastico. Si decide a prendere un sorso di tè e storce involontariamente il naso – è freddo.
«Oh, a proposito, come sta la cara Molly? È da Capodanno che non la sento più, è tanto dimagrita, peccato per quel suo fidanzato, sembrava un bel tipo…»
«è stata lei a lasciarlo» la informa seccamente Sherlock, posando la tazza quasi piena sul vassoio e posizionandosi davanti alla finestra. La signora Hudson sgrana gli occhi.
«Ma davvero? E io che ho sempre pensato fosse una ragazza giudiziosa…» commenta, scuotendo la testa. Sherlock solleva le sopracciglia.
«Oh, ma lo è.»
La signora Hudson assume un’espressione confusa.
«Non capisco, che vuoi dire…»
«Niente, niente. In ogni caso, devo andare a fare delle ricerche» annuncia Sherlock, liberandosi della vestaglia mentre si dirige nella sua camera.
«A proposito di Shakespeare?» indaga Mrs Hudson, alzandosi e prendendo il vassoio. Sherlock fa un verso di assenso, infilandosi una giacca mentre torna in soggiorno.
«Perché non chiedi a John di aiutarti? Sono sicura che gli farebbe piacere» tenta la donna, scrutandolo attenta. Sherlock si irrigidisce per un momento, il suo sguardo si vela; l’attimo passa e riprende ad abbottonarsi la giacca, gli occhi mascherati.
«Probabilmente è impegnato.»
Mrs Hudson sente un tonfo al petto.
«Sherlock» sussurra, avvicinandosi, allungando la ‘o’ con una nota di dispiacere. L’uomo alza lo sguardo su di lei. «Da quando ti sei arreso?»
Sherlock abbassa di nuovo gli occhi, consapevole di essere un libro aperto per lei, e sorride appena.
Vuole dire qualcosa di arguto, ironico e pungente, ma non ci riesce. Perché ha perso il conto delle volte in cui si ritrova a chiedere il parere di John durante una qualsiasi riflessione, a fare una richiesta sovrappensiero, allungando la mano che però rimane vuota e si ritrova a fissarla stordito, a sentire la polvere cadere nell’appartamento silenzioso. Gli manca così tanto John che si vergogna ad ammetterlo perfino con sé stesso. Con la signora Hudson, però, apparentemente non c’è mai stato bisogno di confessioni: lei ha sempre saputo, e basta.
«Devo andare» mormora roco, e si scosta garbatamente. La donna lo guarda prendere il manoscritto e altre scartoffie dalla cucina e scendere giù, con la stessa malinconia del ragazzo geniale che aveva conosciuto tanto tempo prima. Pensava che fosse guarito, e invece…
 
~~~
 
«Sherlock! Sherlock è per te!»
Sherlock si volta infastidito, gli occhi saettano fino a trovare l’imprudente che lo ha distratto dalle sue riflessioni. Victor Trevor2. Rotea gli occhi e afferra la lettera che il ragazzo gli tende, rosso fino alle orecchie.
«Che cos’è?» chiede, esaminando l’involucro. L’altro si stringe nelle spalle.
«N-non lo so, me l’ha data Gloria Scott, dice che è per te.»
«E perché non me l’ha data lei stessa?» domanda l’altro, assottigliando gli occhi mentre strappa un lembo della busta con precisione. La campanella suona e la classe inizia a riempirsi di studenti ciarlieri. Sherlock rivolge loro un’occhiata ostile e torna alla lettera.
Victor si stringe nelle spalle, lanciando occhiate nervose intorno a loro.
«N-non lo so, dice che si vergognava…»
Sherlock sbuffa e capovolge la busta, lasciando cadere sul palmo aperto quello che ha tutta l’aria di essere un biglietto d’auguri. Gli studenti intorno a lui iniziano ad additarlo e a darsi di gomito, vociando.
«Ooh, Holmes ha ricevuto un biglietto!»
«Ooh, chi è la sfortunata, Holmes?»
«O lo sfortunat-o
«Ehi, è Trevor!»
«Trevor, ti fai Holmes? Che coraggio, Trevor…»
Sherlock corruga le sopracciglia, salvo poi distenderle un attimo dopo: oggi è il 14 febbraio, san Valentino. Fra tutte le feste stupide, questa è la più insulsa di tutte.
Victor incassa la testa fra le spalle, pigolando in sua difesa. Sherlock non si pena neanche di aprire il biglietto; lo lascia cadere nella pattumiera con tutta la busta e si siede al suo posto, apparentemente sordo agli schiamazzi, le battute e i commenti dei suoi compagni.
Ne ha ricevuti e riceve talmente tanti, che se ci prestasse attenzione farebbe marcire il suo Mind Palace. In questo, e solo in questo, sia chiaro, prende un po’ esempio da Mycroft: si lascia scivolare tutto addosso. Mycroft lo fa con eleganza e un sorriso tagliente e superiore, sottilmente velato di minaccia, mentre Sherlock si limita a drizzare le spalle e camminare dritto per la sua strada, gli occhi duri. Deve affinare la sua tecnica, lo ammette. Certo è, che non è poi tanto facile sopportare tanta stupidità tutta insieme, e non c’è giorno in cui Sherlock non si chieda quando potrà finalmente abbandonare quella scuola terribile. Camminare da soli è così faticoso: le spalle devono essere doppiamente robuste.
Victor viene presto dimenticato e passa la lezione a nascondere il suo viso paonazzo dietro il manuale di biologia. Soltanto nella ressa di fine lezione riesce ad avvicinare di nuovo Sherlock.
«Comunque io volevo dirti che non mi importa di cosa dicono gli altri e che tu sei un bravo ragazzo e non è giusto che ti prendano in giro perché non te lo meriti e tu sei molto meglio di tutti loro messi insieme» sputa fuori tutto d’un fiato. Sherlock solleva un sopracciglio.
«Hai detto un’intera frase senza balbettare una volta» osserva.
«L’ho preparata durante la lezione.»
Sherlock, che nel frattempo l’aveva dedotto, alza alche l’altro sopracciglio, mentre le orecchie di Victor virano ad un bel rosso veneziano. Poi lascia, indulgente, che Victor lo accompagni alla mensa.
 
~~~
 
Sa benissimo che non appena Mycroft lo scoprirà – e lo scoprirà presto – verrà a fargli il terzo grado, ma non gli importa: ha bisogno del laboratorio. Anche Molly gli sarebbe di grande aiuto, ma è in vacanza. Davvero non capisce come le persone vogliano riposarsi: una volontaria condanna ad un tedio senza fine, cosa ci sarà mai di allettante. Se poi è Molly a farlo, adesso che gli serve, diventa davvero una seccatura.
Tamburella le dita sul tavolo, stringendo gli occhi dietro le lenti del microscopio. C’è una labile traccia di un elemento che non riesce ad identificare nell’inchiostro…
«Sherlock, hai mai avuto…»
«Non ora, Molly.»
Sherlock alza la testa dal microscopio e sbatte le palpebre. Bene, ora comincia anche ad avere allucinazioni.
«Hai mai avuto una fidanzata? Fidanzato? Voglio dire, quand’eri più giovane, prima che John…»
«Molly, perché stiamo avendo questa conversazione?»
«N-niente, io volevo solo… Mi sembri così solo, mi chiedevo se tu sia sempre stato così solo.»
«Carino da parte tua.»
«N-no, no, io non volevo dire…» la ragazza chiude gli occhi ed inspira. «Niente, lascia perdere.»
Sherlock risponde qualche ora dopo, quando Molly si sta infilando la giacca per tornare a casa.
«Non sono fatto per andare d’accordo con le persone.»
Molly alza gli occhi su di lui, sorpresa di incontrarli così vulnerabili.
«Io non…» tace, incerto. Redbeard. Victor. E adesso John. Sono venuti, gli hanno carpito un sorriso, e se ne sono andati.
A Molly sembra improvvisamente così giovane, così simile allo Sherlock che ha conosciuto tanti anni fa.
La ragazza non chiede altro, non ha più importanza. Si avvicina, stringendo il manico della borsa, esitante. Sherlock sbatte le palpebre e si focalizza sulle mani che stringono il manico della borsa: unghie laccate, rosa pallido, limate e levigate, manicure fatta in casa, un buon lavoro, unghia del pollice mordicchiata. È stata Molly a scaricare Tom, ma ha ancora dei ripensamenti.
Sherlock solleva lo sguardo sul suo viso. Non è più la ragazza goffa e impacciata che parla con i cadaveri e ha una cotta per lui, è cresciuta, si è fatta più disillusa, più combattiva. Lui invece? A tratti gli sembra di essere tornato ragazzo, così maledettamente solo – aveva creduto, per diverso tempo, giorni assolati, che non lo sarebbe mai più stato (illuso).
«Ma adesso non sei più solo. Ci siamo noi.»
Sherlock corruga le sopracciglia e sbatte le palpebre. Perché sta divagando? Deve rimanere concentrato.
Con un sospiro di frustrazione, torna al microscopio.
 
~~~
 
Greg beve l’ultima goccia del suo caffè, sperando gli dia la forza di affrontare tutto quello che c’è oltre il bicchierino di carta. Strizza le palpebre, deglutendo a fatica. È davvero disgustoso.
Sally marcia nell’ufficio, trascinando quasi letteralmente per la collottola quello che a tutta prima Lestrade non esita a definire un caso perso.
«Ecco a te, Greg, tutto tuo. Divertitevi, tu e lo strambo
«Io non userei questo linguaggio se la mia ambizione fosse quella di fare carriera, Constable3 Donovan» dice il ragazzo, con voce strascicata, senza neanche voltarsi verso la donna, accasciandosi su una sedia.
«Io non parlerei, sei fossi in te, considerata la tua posizione e che…»
«Tutto quello che dico potrà essere usato contro di me in tribunale? Ops, ti ho rubato la battuta. Quanto tempo è che aspetti di dirla?»
Sally fa per replicare e Greg, che riconosce i segni di una sfuriata, mette le mani avanti.
«Ok, ok, basta così. Sally, vai pure, grazie.»
La donna fulmina il ragazzo con un’ultima occhiata e marcia fuori dalla porta. Il ragazzo, dal canto suo, rotea gli occhi con un mezzo sorriso strafottente, stravaccato sulla sedia di plastica verde dell’ufficio dell’Ispettore di Scotland Yard. Greg assottiglia gli occhi, studiandolo. Pallido e longilineo, troppo magro, zigomi sporgenti, zazzera di ricci scuri, abiti larghi ma tenuti con cura, profonde occhiaie e occhi arrossati. E un inconfondibile odore di erba.
«Allora, mister Holmes, io sono…»
«So benissimo chi sei. E io non sono mister Holmes, quello è mio fratello. Chiamami Sherlock.»
Greg deglutisce.
«Come vuoi, Sherlock. Io sono…»
«Sergente Lestrade, sì, lo so. Fidanzato, tifoso dell’Arsenal4, ex-suonatore di trombone nella banda della scuola, in attesa di promozione, sveglio ma non particolarmente acuto, anche se qualcosa deve esserci, per ambire con diritto alla posizione di Ispettore, no, Detective Ispettore, come ho detto c’è un minimo di perspicacia…»
Greg corruga le sopracciglia, cercando di tenere dietro al fiume di parole che escono piatte dalle labbra del ragazzo.
«Aspetta, aspetta… Mi hai dato dello stupido?»
Il ragazzo rotea gli occhi.
«Meno stupido della media nazionale. Che è comunque spaventosamente alta» dice, con una serietà tale che Greg non può fare a meno di scoppiare a ridere. Il ragazzo, Sherlock, assottiglia gli occhi. Sputerebbe fuori insulti degni di una vipera, se solo non fosse così maledettamente stanco…
«Ok, scusa, scusa. Senti, non so chi tu sia, o quale trucco di magia abbia usato, ma non abbiamo tempo per queste cose. Dobbiamo sapere chi è il ricettatore…»
«Non ve lo dirò mai» afferma Sherlock, incrociando le braccia al petto. Lestrade si raddrizza e gli punta un dito contro.
«Senti, sei in un brutto guaio, per possesso di droga è previsto l’arresto, ma se ci dici chi è il pesce grosso e che cosa ci facevi su una scena del crimine, che è zona riservata, magari chiudo un occhio…»
«Non se ne parla» proclama lapidario Sherlock. «A meno che non possa indagare su quel crimine.»
Greg spalanca gli occhi.
«Drebber e Stangerson in Brixton Road5, posso trovarvi il colpevole entro la fine della giornata.»
Greg solleva le sopracciglia, lanciando un’occhiata all’orologio. Sono le sei, gli farebbe comodo una notte di straordinari in meno.
«Come sapevi di Brixton Road? Perché eri lì? Cosa stavi facendo?» chiede, incrociando le braccia al petto.
«Investigavo, visto che voi siete tanto inetti da non vedere a un palmo di naso e non riconoscere il colpevole nemmeno se vi ballasse la salsa davanti con un gonnellino di banane» sputa fuori, velenoso. «Per esempio, avete notato il segno rosso sulla nuca di Drebber e le scarpe sporche di fango? Chiaramente è stato assassinato da Stangerson, ma…»
«Ah, la coca ti ha sciolto la lingua, eh?» contrattacca Greg, notando con soddisfazione che il ragazzo chiude la bocca infastidito.
«Spiegami un po’, perché dovrei lasciare venire un cocainomane con me su una scena del crimine? Cosa sei, un genio?»
«Sì» risponde Sherlock, sicuro. «Io deduco. Dall’osservazione di dettagli. Come ho fatto prima, e so di non aver sbagliato.»
Greg riflette. Effettivamente, non ha sbagliato nulla, riguardo lui stesso. E probabilmente, gli dice una vocina nella testa, neanche su Drebber e Staggerson. Si fida e non si fida, non sa che fare.
«Allora facciamo così» inizia, posando le mani sulla scrivania e guardando Sherlock dritto negli occhi. «Tu vieni con me a Brixton Road, ma in cambio mi fai il nome del ricettatore e non tocchi coca per il resto della tua vita. Sono stato chiaro?»
Sherlock assottiglia gli occhi, valutando la proposta.
«Un caso ogni giorno.»
«Sei pazzo? Questa è la prima e l’ultima volta.»
«Allora puoi sognarti il ricettatore.»
Greg grugnisce.
«Uno al mese.»
«Ogni tre giorni.»
«Alla settimana, e niente coca, eroina né fumo di qualsiasi tipo. Quella roba ti uccide.»
«Andata.»
Greg allunga la mano e Sherlock, dopo qualche incertezza, la stringe. Greg sente una stretta fiacca che l’altro cerca di rendere baldanzosa invano con gli occhi sbiaditi ma fieri, e la mano è fredda. Si chiede se stia facendo la cosa giusta, fidandosi di quel ragazzo, eppure qualcosa gli dice che c’è una grande mente, là sotto. Di solito il suo istinto non sbaglia e rischiare, buttarsi, gli dà una scossa di adrenalina assolutamente piacevole.
 
~~~
 
«Mrs Hudson! L’ho trovato! Mrs Hudson, è iniziata!»
La signora Hudson sobbalza, voltandosi verso la porta. Si alza dalla poltrona, abbandonando la sciarpa per Amanda che sta lavorando a maglia, e si dirige nel corridoio, stringendosi lo scialle sulle spalle. Sherlock, dopo aver lasciato sbattere la porta dietro di sé, sta salendo le scale con foga inusitata.
«Sherlock, caro? Che succede?»
La testa ricciuta dell’uomo fa capolino dalla ringhiera, capovolta. Sventola un foglio.
«L’ho trovato, l’ho trovato! È un palinsesto! Oh, è fatto così bene…!»
La testa scompare e il tono concitato si affievolisce in un vago mormorio. La signora Hudson sale lentamente le scale, incuriosita.
Nel soggiorno, Sherlock è impegnato a tirare giù metà dei libri sulla sua mensola, aprendoli, sfogliandoli voracemente, e poi gettandoli dietro di sé. La donna guarda il disordine che si va creando, con un sospiro. Finalmente, Sherlock interrompe la sua ricerca, alzando in aria un volumetto rilegato in pelle.
«Amleto! Ma certo, chi altri… Poi vediamo… Oh, detesto gli indovinelli, ma questo è fatto su misura… Wilde, Byron…»
«Cosa succede, Sherlock, cos’hai scoperto?» si avvicina la donna, cauta. Il detective si volta verso di lei, entusiasta.
«Un palinsesto! Il foglio è un originale del seicento, ma il testo antico è stato cancellato e sostituito con un altro. Quando ho fatto le prime analisi ho utilizzato un angolo del foglio senza scritte, ecco perché sembrava autentico, invece è un falso. Il mistero sta in quello che c’è scritto» spiega, piazzando il foglio sotto il naso della donna.
Cardenio: “è giunta l’età infelice dei nostri inganni, il mondo piange la nascita della rosa, il cielo si oscura nel bacio taciuto.
Oh, povero Cardenio! Ingannato, tradito, misero Cardenio! Povero, pazzo Cardenio!
Ma basta lacrime: si alza il vento, la battaglia si approssima. Alle armi i vinti! Si proteggano le rose, si tolgano le maschere: la verità si mostri, impavida e mortifera! Si brucino i cuori, perché l’amore cessi di essere dolore.”
La donna si porta una mano al petto, alza lo sguardo su Sherlock, cercando spiegazioni. Ma il detective corruga le sopracciglia e piega la testa di lato. Sotto il titolo, una dedica: “all’eroe senz’ali.”
Sherlock si raddrizza, uno sguardo fiero negli occhi pallidi. Un sorriso felino gli incurva le labbra.
«È ora di chiamare John. Gli piacerà: ama fingersi scrittore.»
Sorride, lasciando una pacca gentile sulla spalla della donna e si allontana, tornando a razziare la libreria, cercando chissà cosa, il cellulare in una mano. La donna scuote la testa, poi torna giù.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Il palinsesto è una pagina di manoscritto o libro il cui testo originale è stato cancellato e sostituito.
  1. Stando a Wikipedia, è un’opera perduta attribuita a Shakespeare, di cui non si ha il copione. Cardenio è un personaggio del Don Chisciotte. Il testo, ovviamente, l'ho inventato.
  2. Compagno di università di Sherlock, nel canone.
  3. Grado minore di Sergente nella polizia londinese – mi è sembrato verosimile che sia Donovan che Lestrade abbiano fatto progressi nelle rispettive carriere. Non sapevo tradurlo e l’ho lasciato così.
  4. Che squadra tifa Lestrade?
  5. Da “Uno studio in rosso”.
  
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