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Autore: syontai    28/11/2014    7 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 59
Abbandonato

Leon scese da cavallo, liberandosi della spada, che gettò a terra con noncuranza: non ne avrebbe più avuto bisogno. Attraversò di corsa tutto il giardino, senza prendere fiato neppure per un secondo. Aveva così tanta voglia di abbracciare Violetta che neppure i tentativi di accoglienza da parte delle guardie, fatti di cerimoniosi inchini, riuscirono a fermarlo. Arrivò addirittura a scostare in malo modo una delle sentinelle che si era messa tra lui e l’entrata del castello. Una volta dentro fu sommerso da dolcissimi ricordi, tutti legati all’unica persona che aveva avuto desiderio di vedere in quei giorni. Si aggirava come preso dalla follia della febbre, per poco non andò anche a sbattere contro una domestica che portava un cesto di panni e che sembrò parecchio sorpresa del suo rientro. Prima ancora che le potesse chiedere di Violetta, però, la donna era scomparsa. In giro non c’era nemmeno Thomas…avrebbe voluto domandare almeno a lui, vista la sua amicizia con la ragazza. Amicizia che ad essere sincero non gli andava molto a genio. E Lena? Lena dov’era finita? Di solito si vedeva sempre in giro per il castello, magari nel bel mezzo di un battibecco con Lara. Si precipitò nella sua stanza, nella speranza di trovarla lì, ma c’era solo il letto preparato in vista del suo ritorno. Non si arrese e di corsa raggiunse la sommità della torre dove più volte si erano incontrati clandestinamente, salendo i gradini di legno a due a due. Niente neppure lì. Per un momento venne colto dal panico, ma subito cercò di rasserenarsi: probabilmente non gli era stato detto del suo arrivo. O forse gli avevano assegnato un lavoro più duro del solito. Sospirò, incrociando le braccia al petto, pensieroso. Poteva sempre andare da Humpty per salutarlo. Con quell’unica rassicurazione, scese le scale lentamente, come se sperasse che Violetta raggiungesse di corsa il loro posto. Nel tragitto per la biblioteca non incontrò nessuno, ma quando si trovò di fronte al portone di bronzo aperto rimase di sasso.
I suoi passi risuonavano sordi e aridi. Anni e anni di sapere erano ridotti in cenere. La stessa cenere che in quel momento si trovava sotto i suoi piedi. Nel mezzo dei milioni di domande che si affollavano nella sue testa serpeggiava un terribile presentimento: in sua assenza doveva essere successo qualcosa di molto grave. Si inginocchiò e afferrò una manciata di cenere, quindi la lasciò cadere lentamente di fronte ai suoi occhi, in una scia grigia e imperfetta.
Qualcuno bussò e lui si voltò di scatto. Era uno degli attendenti di Jade e lo guardava senza proferire parola. Il suo sguardo furioso e confuso pretendeva spiegazioni, ma nulla ruppe quella barriera di silenzio.
“Chi ha fatto questo? Come è potuto accadere?” chiese con voce tremante di rabbia. L’uomo non rispose alla sua domanda. “Vostra madre vi sta aspettando” Lo invitò con un gesto della mano ad uscire da quella stanza ormai spoglia, priva di tutto ciò che la rendeva viva. Perfino i soffitti erano stati anneriti dall’incendio e l’immensa decorazione al centro aveva subito l’attacco di macchie scure e dannose. Scostò con impazienza l’attendente e si diresse a passo spedito alla sala del trono. Avrebbe voluto evitare di incontrare Jade così presto, ma a quanto pare non aveva altra scelta se voleva sapere che cosa diamine era successo in sua assenza. Le guardie ritirarono le lance non appena lo videro arrivare e gli aprirono le porte, profondendosi in un lungo e rispettoso inchino. Imprecò di fronte a tanti stupidi ossequi, che se un tempo riteneva dovuti adesso non facevano altro che accrescere il suo odio per quel castello.
Seduta sul trono, Jade indossava un vestito completamente nero, mentre con un fazzoletto bianco si asciugava gli occhi inumiditi. Non appena lo vide represse a stento un singhiozzo e si portò una mano alla bocca. Si alzò in piedi e si precipitò dal figlio, abbracciandolo con disperazione.
“Madre” sussurrò Leon, sconvolto da quel gesto di affetto così slanciato. Avrebbe voluto ricambiarlo, ma nulla in lui gli dava un motivo valido per farlo. Quella donna non l’aveva mai amato e lo sapeva bene. Non l’aveva mai visto come un figlio, bensì come un’arma.
“Sei tornato”. Jade lo strinse con forza senza decidersi a lasciarlo. Fu Leon a posarle le mani sulle braccia e ad allontanarla con un certo disagio. La donna socchiuse la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono. “E’ comprensibile che mi tratti in questo modo, Leon. Ho sbagliato con te…”.
Il principe non capiva più nulla: per tanti anni aveva sognato che sua madre smettesse di trattarlo con freddezza, ma ormai aveva perso completamente le speranze e adesso si trovava a sentirla pronunciare delle scuse nei suoi confronti. “Ho ricevuto il messaggio e sono tornato prima” precisò Leon, come se cercasse di giustificare la sua presenza in qualche modo.
“Leon, è successa una cosa terribile”. Da quel momento per Leon fu come trovarsi sul bordo di un baratro e una forza lo stesse spingendo indietro per farlo cadere. E per quanto provasse a resistergli, per quanto il cuore tentasse di opporsi, sapeva bene che la caduta era inevitabile.
“Un gruppo di ladri si è introdotto nel castello e ha rubato la spada di Cuori, il nostro cimelio di famiglia” cominciò a parlare Jade, fingendosi profondamente scossa. Leon tirò un sospiro di sollievo: finché si tratta di una stupida spada, a lui cosa importava? Certo, era un oggetto importante, a cui sua madre teneva molto, ma si sorprese nel pensare che la cosa non lo toccasse minimamente. Erano altre le cose che gli stavano a cuore ed erano state l’unico motivo per cui era partito un’ultima volta per la guerra. Stava cercando alcune parole di circostanza per consolare la madre, rimasta ferita da quel furto a tradimento, quando la donna riprese il suo discorso, interrotto unicamente per rendere ancora più devastante l’effetto che il seguito avrebbe avuto sul figlio. “Violetta era una di loro”. La devastante trappola era scattata in tutta la sua crudeltà e Jade faticò non poco a mantenere un’espressione afflitta, mentre dentro di lei si pregustava ogni singolo cambiamento sul volto di Leon: gli occhi sgranati, la bocca socchiusa in un pallido tentativo di ribattere, i lineamenti tesi.
“E’ arrivata qui in cerca di accoglienza solo per aiutare quei furfanti ad infiltrarsi nel castello! Si è avvicinata a noi, a te, solo per questo!” esplose la regina, muovendosi in modo poco regale avanti e indietro. Leon scosse la testa, portandosi una mano sulla fronte. Tutti i sensi si perdevano in un mare di ricordi, di promesse, mentre il seme del dubbio si insinuava nella sua mente. Perché tante volte aveva creduto troppo strano che una ragazza come lei si innamorasse di uno come lui, un ragazzo che non aveva nulla di quelli della sua età. Eppure ogni volta Violetta l’aveva rassicurato e alla fine si era convinto che fosse possibile, che quel sentimento fosse sincero. E lo credeva ancora. Fu proprio quella certezza, che già però si sgretolava sotto la sua presa, a infondergli quel po’ di spavalderia e arroganza sufficiente a farlo scoppiare in una sonora risata. Una risata intrisa di follia che gli gelava il sangue nelle vene. Jade lo guardò come se fosse diventato completamente pazzo.
“Pensi davvero che io ti creda? Sono sicuro che Violetta non farebbe mai qualcosa del genere, non hai alcuna prova” commentò sprezzante Vargas. Non era vero, non era sicuro più di nulla.
“E’ fuggita insieme ai ladri, non ti basta? Con lei sono andati anche Thomas e una serva, li hanno presi come ostaggi!” insistette la madre, facendolo irrigidire. “Hanno appiccato l’incendio alla biblioteca per creare un diversivo e fuggire con la spada”.
Leon provò un fortissimo senso di vertigini, come se una voragine si fosse aperta proprio sotto i suoi piedi, e una caduta infinita lo accompagnava inesorabile. Tutto tornava. Aveva sempre sospettato che Violetta gli nascondesse qualcosa, ma non pensava certo che si fosse servita di lui in quel modo. Il loro sentimento era stato sincero, puro, o almeno così era stato per lui. Non poteva pensare che alle sue spalle Violetta potesse aver riso di lui, della sua ingenuità. Neppure si accorse che le porte si fossero spalancate nuovamente e quando si voltò ebbe un puro moto di orrore.
Humpty veniva trascinato esausto fino ai piedi del trono, sorretto da due guardie. I vestiti erano laceri e gli occhi azzurri che gli avevano sempre trasmesso tanta calma in un vicino quanto remoto passato presentavano i tipici contorni rossi di chi aveva versato troppe lacrime. Venne fatto inginocchiare con delicatezza ai piedi della regina e Leon raggiunse il lato destro dello scranno sconvolto. “Per farti capire di cosa sono stati capaci…” sentenziò Jade, facendo un cenno della mano alle guardie, che arretrarono. Humpty singhiozzava sommessamente, rimanendo in silenzio, e Leon fu tentato di chinarsi per vedere come stesse, non fosse che l’etichetta glielo impediva.
“Cosa ti è successo?” chiese Leon apprensivo, senza riuscire a reprimere l’ansia di voler sapere. Sperava che quell’uomo che con lui era stato tanto paziente avrebbe smentito tutto, ma se era stato mandato a chiamare dalla madre sicuramente non era certo per placare i suoi peggiori incubi. Humpty si sforzò di dire qualcosa, ma nessun suono uscì dalla sua bocca, solo un rantolo confuso. Fu Jade a parlare al posto suo. “E’ inutile, non può parlare…lo hanno torturato e gli hanno tagliato la lingua. Quando lo abbiamo trovato era troppo tardi, era stato chiuso in una stanza del castello perché non potesse dare l’allarme e smascherarli”.
Le parole di Jade risuonavano sorde nella sua mente, andando ad appesantire il suo corpo, ad offuscare i suoi pensieri, a distruggere tutte le sue speranze. Come avevano potuto fare quello ad un uomo buono come Humpty? Come aveva potuto Violetta fare questo a lui, lui, che tante volte si era confidato con lei, che le aveva dimostrato di amarla davvero? Si era preso gioco dei suoi sentimenti e non riusciva ad accettarlo.
“Violetta è davvero fuggita con quei ladri?”. Gli occhi di Humpty si riempirono di lacrime e l’uomo annuì, sebbene tentasse in qualche modo di fargli capire che c’era dell’altro, che doveva scavare fino a superare l’apparenza di ciò che era accaduto. Ma quella risposta bastò a Leon affinché il suo cuore si congelasse di colpo. Devastato fin nel profondo, non c’era più nulla di umano che valesse la pena di essere coltivato. Si sentiva esattamente come il mostro di un tempo, un essere senz’anima, senza cuore.
Dopo quel colloquio Leon si rinchiuse nella sua stanza dando ordine di non disturbarlo per nessun motivo. Si sedette ai piedi del letto e gettando un’occhiata verso i cuscini poteva ancora vedere il suo riflesso sbadito rotolarsi tra le coperte, tenendo stretta tra le braccia Violetta. Poteva sentire lo schioccare dei loro baci, che erano per lui la più crudele delle punizioni, poteva sentire quelle promesse tanto vane e tanto vuote. Promesse di un amore mai esistito, non da parte di Violetta almeno. Lui era convinto di averla amata davvero, sebbene avesse da poco fatto i conti con quel sentimento tanto strano. Lacrime miste di dolore e rabbia gli bagnarono il visto, mentre faticava a mantenere il controllo dei suoi gesti, talmente tanto era fuori di testa. Strinse talmente tanto i pugni che le unghie delle dita affondarono nella carne, procurandogli un dolore in cui trovò rifugio e conforto. Il dolore lo aveva sempre accompagnato nella sua crescita, era stato la madre che Jade gli aveva imposto con tutte le punizioni inflitte. No. Non sapeva amare. Solo adesso si rendeva conto di quanto tutto fosse stato falso. Era stato un idillio giunto al suo termine ed ora era tornato nella cruda realtà, dove lui non aveva alcuna possibilità di essere felice. Si alzò in piedi, incapace di stare fermo e si avvicinò alla finestra che dava sul giardino. La luce illuminò un viso pallido e freddo, tanto diverso da quello che aveva avuto il piacere di accogliere poco tempo prima. “Riuscirò a dimenticarti” sussurrò, incrociando le braccia al petto e tirando un sospiro profondo.
Passarono tre giorni e il proposito di Leon di rimuovere ciò che era accaduto negli ultimi mesi dovette confrontarsi con i continui ricordi che quella stanza gli suscitavano. Vargas non usciva mai dalla sua camera, se non raramente per mangiare. Cacciava chiunque provasse a entrare in malo modo e a tavola era taciturno e scortese. “Ha bisogno di tempo” aveva detto Jackie alla regina, che si era limitata ad annuire. La pazienza non era mai stato un tratto fondamentale del suo carattere, tutt’altro, ma sapeva bene che con quel ragazzo l’unica cosa da fare era saper aspettare. Leon avrebbe strisciato ai suoi piedi, riconoscendola come l’unica persona che non l’avesse mai tradito. Per un attimo soltanto sentì i rimorsi di una madre che per anni e anni avevano tardato a farsi sentire, ma essi svanirono di fronte all’immagine gloriosa di un Paese delle Meraviglie unito sotto un’unica corona, la sua.
“Mia signora” esordì Jackie, sedendosi affianco alla regina, che aveva appena finito di squadrare l’uscita della sala da pranzo che Leon aveva superato a grandi falcate per tornare nella sua stanza. “A proposito di Leon…ormai il matrimonio con la Ferro è destinato a saltare visto che vi è stata rubata la spada”. Jade la incenerì con lo sguardo, poiché le era stato ricordato quel fatto che ancora le bruciava. La merce di scambio le era stata sottratta da sotto il naso e il suo più grande desiderio era di vedere le teste di quel gruppo di ladri rotolare ai suoi piedi. “Per quanto questo mi addolori, penso che Leon dovrebbe in ogni caso prendere moglie. Potrebbe aiutarlo a superare questa situazione di stallo”. Jade le prestò vagamente attenzione, convinta da quelle parole. Si, Leon aveva bisogno di una distrazione, qualcosa che non gli facesse pensare a Violetta e lo aiutasse ad accrescere il suo disprezzo.
“Chi proporresti?” chiese la regina.
“Una serva che lavora qui al castello…si chiama Lara. Penso che sia la più indicata a…”. Non riuscì nemmeno a finire di parlare che un mare di risate la sommersero. Alla regina addirittura lacrimavano gli occhi per il ridere. “Una serva, questa è buona! Non se ne parla nemmeno, non me ne verrebbe nulla da un matrimonio così poco vantaggioso”. Jackie si morse la lingua per il nervoso: che credeva di ottenere? Era ancora presto per manipolare in modo così netto la regina e per di più lei stessa riteneva quella proposta una follia. Se solo non fosse stata ricattata da quella serva impicciona…
“Forse avete ragione, la mia è stata un’idea dettata dall’ingenuità” si affrettò a controbattere la donna, ottenendo un’occhiata di derisione. “Dettata dalla stupidità, vorrai dire” la corresse Jade. Jackie divenne rossa dall’imbarazzo e dalla rabbia: non si era mai sentita umiliata in quel modo in tutta la sua vita. Odiava Jade, che aveva tanto poco cervello quanta arroganza. Fremeva dalla voglia di rivelarle il suo piano per renderla una povera pazza in balia della sua volontà, ma non poteva tradirsi in quel modo. Sorrise invece forzatamente, sollevando la caraffa di cristallo e versando dell’acqua nel calice della regina. Lo prese per la base e approfittando di un attimo di distrazione della donna vi versò un po’ della sua pozione. Ancora una volta avrebbe dovuto ingoiare gli insulti di Jade, ma presto avrebbe ottenuto la sua vendetta. Jade non sembrò accorgersi dello sguardo maligno della serva e si limitò a sorseggiare l’acqua, che le risultò fresca, anche se dal sapore strano. Ma forse se lo stava solo immaginando.
 
Violetta allontanò Maxi con uno spintone, guardandolo sconvolta. Non sapeva nemmeno in che modo commentare quel gesto, ma forse la sua faccia colma di disapprovazione riusciva benissimo a quello scopo. Aveva sempre creduto che Maxi avesse un debole per lei e le parole di Beto gliel’avevano confermato. Quell’amore era costruito, finto e forse un tempo avrebbe potuto cadere in quella trappola, ma dopo aver avuto la possibilità di innamorarsi veramente nella sua mente tutto appariva chiaramente come un’enorme bugia. Maxi dal conto suo si sentiva umiliato: non pensava di essere respinto in quel modo. Eppure la connessione tra di loro…non poteva essere un caso, no? Facendosi coraggio poggiò le mani sulle sue braccia, quasi all’altezza delle spalle, e si sporse nuovamente, ma questa volta Violetta arretrò rapidamente, ripresasi dalla sorpresa.
“Maxi, io non…”.
“Hai ragione, ho esagerato, non avrei dovuto essere così diretto” si difese Maxi alzando le mani, rosso per l’imbarazzo.
“Non è assolutamente per questo” disse Violetta, cercando le parole adatte, anche se era certa che nulla potesse aiutarla in quel momento, quello in cui avrebbe dovuto sbattergli in faccia la cruda realtà. “Ti sono grata per tutto quello che hai fatto per noi…”.
“L’ho fatto soprattutto per te” ci tenne a precisare il ragazzo, abbassando lo sguardo
“E per questo te ne sarò riconoscente di cuore! Ma io…non provo nulla se non affetto nei tuoi confronti. Un affetto che si può provare tra amici”.
Con quell’ultima parola era sicura di averlo demolito del tutto, ma cos’altro poteva fare? Essere chiara era l’unico modo per proseguire il viaggio senza fraintendimenti. Maxi però sembrava non volersi arrendere: “Adesso per te è così, ma forse con il tempo…non puoi saperlo. Non puoi concedermi una possibilità?”.
“Non posso” rispose direttamente Violetta. C’era ancora quella promessa, tutto ciò che le rimaneva. Perché anche se non avrebbe potuto aspettare Leon fisicamente al castello, lo avrebbe aspettato comunque col cuore. Maxi stava per chiederle il perché, ma qualcuno sbucò all’improvviso da un cespuglio: era Thomas.
“Vi ho trovati finalmente!” esclamò sollevato, passandosi una mano sulla fronte. Nella mano destra teneva alcune foglie spesse e lunghe e un bastoncino. “Ho trovato l’occorrente per fare una fasciatura a Lena, almeno per permetterle di camminare”. Violetta ringraziò mentalmente l’amico per aver interrotto quella conversazione, che stava prendendo un brutta piega. Maxi avrebbe capito il perché della sua risposta? Oppure avrebbe provato ad affrontarla nuovamente? Con quelle domande, raccolse le borracce che le erano cadute e si inginocchiò ai piedi del torrente per riempirle.
In religioso silenzio e in fila indiana tornarono dove avevano lasciato Lena, che non appena li vide fece per alzarsi in piedi faticosamente. Thomas però saltellò più in fretta, facendola distendere e cominciando a medicarla per poi applicare la fasciatura.
“Mio padre mi aveva insegnato a riconoscere le piante mediche principali” disse indicando un fagotto di erbe che aveva tirato fuori dalla tasca. Nonostante le lamentele di Lena Thomas concluse il suo lavoro alla perfezione.
Furono costretti a rallentare la marcia per il castello di Quadri dove speravano di trovare gli altri ad attenderli. Più volte Lena li aveva pregati di lasciarla in un villaggio di strada, perché poi in qualche modo se la sarebbe cavata da sola.
“Non se ne parla nemmeno, come pensi che accoglierebbero una straniera in tempi di guerra come questi? Siamo vicini al fronte…non possiamo rischiare” rispose una volta Thomas, mettendola a tacere. Tra Violetta e Maxi le cose si stavano svolgendo nel peggiore dei modi. Lui la cercava continuamente e approfittava di tutti i momenti in cui rimanevano più o meno soli per riprendere il discorso, mentre lei cercava di sviare in ogni maniera. Violetta era sicura che prima o poi avrebbe dovuto affrontarlo, ma non ci riusciva in quella situazione di incertezza. E per quanto suonasse egoista, aveva bisogno di Maxi per raggiungere sana e salva la destinazione, glielo aveva dimostrato durante il combattimento alle rovine.
“Dal tuo racconto quindi c’era uno specchio che ti ha mostrato alcuni frammenti del passato” disse una sera Thomas, cercando di fare un rapido schema del regno di Quadro tracciato con un sottile ramoscello. “Non ne avevo mai sentito parlare a dire il vero…si tratterà di qualche stregoneria. Però potrebbe essere stato messo lì da qualcuno che è dalla nostra parte”.
“Oppure semplicemente poteva trattarsi di una trappola ordita da quel mostro” provò a ipotizzare Lena, che allungò le mani verso i resti del fuoco che avevano dovuto spengere per non essere localizzati da nessuno durante la notte. Si erano fermati nei pressi di una vecchia fattoria abbandonata e Maxi si era proposto per fare il turno di guardia, così i tre nel frattempo ne stavano approfittando per fare il punto della situazione.
“Non credo che le due cose fossero collegate. Però avevo letto di un posto nel Regno di Quadri, dove si trovano degli specchi magici. E se fosse un indizio? Forse quel qualcuno vorrebbe che lo raggiungessimo lì”.
“Mi sembra un po’ troppo azzardato, Thomas. Cosa ne sappiamo di questo posto?” domandò Lena, per niente convinta dall’idea dell’amico.
L’altro sembrò pensarci un attimo prima di tracciare una linea un po’ tremolante sul terreno, scostando la paglia rimasta del fienile. “Significherebbe solo allungare di qualche giornata. Che cosa ne dici, Violetta?”.
Violetta, sentendosi chiamata in causa, sussultò appena. Si sentiva smarrita. Da quando era arrivata nel Paese delle Meraviglie aveva sempre avuto come riferimento il castello di Cuori, fuori di lì lei non sapeva proprio come muoversi. Trappole, magia, mostri terribili…era come sentirsi catapultati negli incubi che faceva da piccola, con l’unica differenza che quel sogno stava durando da fin troppo. Neppure il pensiero di Leon riusciva a consolarla, anzi non avere sue notizie le metteva ulteriore ansia addosso. Per quanto riguardava lo specchio trovato alle rovine, era e rimaneva un mistero. Però se si trattava di Alice, non doveva temerla, o almeno questo le aveva fatto capire Beto.
“Penso…forse dovremmo andare lì. Alice potrebbe averci voluto dire qualcosa”.
Thomas e Lena rimasero in silenzio, ma poi fu quest’ultima a prendere la parola, timorosa. “Alice non era tornata nel suo mondo? E anche se fosse rimasta qui nel Paese delle Meraviglie dovrebbe essere morta ormai, no?”. Lena aveva ragione, poteva lei credere in un fantasma e seguirne maniacalmente delle ipotetiche impronte che potevano essere state equivocate? Però la presenza di Alice era tangibile, reale, l’aveva sentita nei sogni, l’aveva avvertita anche al castello in più di un’occasione. Beto voleva che la trovasse, ma se non aveva nemmeno la più pallida idea di dove iniziare a cercare!
“Non so come spiegarlo, ma penso che dovremmo andare lì”. I suoi due amici si guardarono all’inizio un po’ perplessi, poi si voltarono verso di lei e annuirono. “Il posto di cui parlo è l’Isola Riflessa che si trova in mezzo al fiume Emuif. Domani studieremo meglio un piano, adesso dovremmo pensare a riposarci” concluse saggiamente il Bianconiglio, stendendosi sul giaciglio preparato alla bene e meglio.
Violetta provò a prendere sonno, ma la mente era tormentata da quello che le stava succedendo tutto intorno. Si girò dall’altra parte e incrociò gli occhi di Lena, stesa su un fianco. Sembrava avere paura quanto lei, forse anche di più. La luce della luna filtrava a malapena in quel capannone e Maxi non era ancora rientrato per chiedere il cambio. Non poté fare a meno di pensare che forse aveva voluto di sua volontà staccarsi da tutti per poter riflettere.
“Non riesci a dormire?” le chiese Lena. Violetta annuì, stringendosi nelle braccia.
“E’ per Leon? Sei preoccupata per lui?”.
“Non si tratta solo di lui…stiamo facendo un viaggio che non sappiamo dove ci porterà e quello che desidero io è di tornare a casa, di poter riabbracciare mio padre. Mi manca tanto”. Lena chiuse gli occhi e sospirò impercettibilmente, quando li riaprì sembravano accesi di una fievole e tiepida fiamma.
“Anche io ho paura. Molta. Ma avevi ragione quando volevi convincermi a fuggire da quel castello. Prima non sapevo cosa significasse vivere, cosa fosse l’avventura. Mi piace viaggiare con voi. A volte vorrei tornare tra quelle quattro mura al sicuro, ma so che per me è iniziata una nuova fase ed è tutto merito tuo”.
Nel momento in cui agisci in un certo modo o prendi una determinata decisione tutto ciò che ti è intorno ne subisce le conseguenze. Leon, Lena, Thomas...ognuno a modo suo, grazie alla tua presenza, è stato libero di scegliere la sua strada. Le parole di Beto si accordavano perfettamente con quello che le stava dicendo Lena. Ma se gli altri erano in grado di capire quale era la loro strada, a lei sembrava di brancolare nel buio. Fu una canzone appena sussurrata proveniente dalle labbra socchiuse di Lena a farle ritrovare una pace che credeva perduta, che era certa potesse avere solo al fianco di Leon. E proprio sul bilico dell’incoscienza provocata dal sonno ebbe come l’impressione di sentire le labbra del principe di Cuori premute sulla fronte.
 
Andres si svegliò tirandosi su di colpo. Aveva ancora il fiatone, procuratogli da un incubo. Fiamme. Fiamme ovunque che lo avvolgevano. Ma non volevano lui, e lo sapeva bene. Al suo fianco sentiva il respiro regolare di Emma, che era rimasta rannicchiata stretta a lui. Non sapeva nemmeno lui come interpretare il suo gesto la sera prima. Follia, disperazione…che cosa lo aveva spinto a baciare Emma? Non la amava, lo sapeva, eppure sul suo volto vedeva disegnato un sorriso sereno e non poté fare a meno di intenerirsi. Le voleva stare accanto, lo voleva davvero. Emma poi non gli procurava alcun problema, non era come Libi che tentava continuamente di sbattergli in faccia la realtà, che gli diceva quanto fosse cambiato. Si, era cambiato, e forse proprio per questo tra loro non aveva funzionato. Il vecchio Andres era perfetto per Libi, ma il nuovo non poteva averci nulla a che fare.
“Va tutto bene?”. Emma si era appena svegliata con un vigoroso sbadiglio e lo guardava con aria confusa. Era diverso dall’Andres che l’aveva baciata la sera prima, era come se fosse tormentato da qualcosa. Tutti i suoi pensieri furono stroncati dal ‘si’ secco di Andres. “Dovremmo riprendere il viaggio…seguiremo la catena di monti ancora per un po’, poi scenderemo a sud e raggiungeremo il castello di Quadri”. Emma annuì e lo osservò alzarsi, mentre dava delle forti scrollate sui pantaloni e sulla casacca. Ebbe la tentazione di chiedergli se magari si fosse pentito. Per lei non sarebbe stato un problema fare un passo indietro, non voleva certo costringerlo. Allo stesso tempo però avvertiva quel classico egoistico proposito di voler essere felice che l’amore portava con sé. Si convinse quindi che si sarebbe fermata solo nel momento in cui Andres le avesse detto di farlo. Per metterlo alla prova, gli afferrò le spalle con un po’ di impaccio e gli stampò un bacio sulle labbra, fredde e morbide allo stesso tempo. Quando si separò non vi era alcuna traccia di rifiuto nell’espressione di Andres, che anzi si aprì in uno sparuto sorriso. Però continuava a non sentirsi tranquilla, anzi si sentiva sempre più agitata. Decise di tenere per sé quei timori non appena il ragazzo le porse la mano. Avevano un viaggio a cui pensare.
Il terreno arido e spoglio era continuamente flagellato da folate di vento invernali. I due avvertivano il freddo congelargli le ossa, sebbene si fossero coperti come meglio potessero, e stringendosi ai loro mantelli procedevano poco alla volta. In lontananza si scorgeva un piccolo villaggio, ma decisero di non fermarcisi: le provviste erano più che sufficienti e avrebbero corso un rischio inutile sostandovi. Andres si chiese se la notizia del furto della spada fosse ormai trapelata. La notte faceva troppo freddo per proseguire, quindi non appena videro una locanda furono seriamente tentati di approfittarne. In fondo si trattava solo di mantenere i cappucci e fingersi semplici viandanti. Non appena entrarono un forte odore di alcol li stordì. Risate sguaiate e allegri avventori popolavano quella calda e accogliente osteria. C’era anche un manipolo di soldati seduti qua e là con dei boccali di birra in mano.
“Una stanza, per favore” disse con voce roca Andres all’oste dietro il bancone, che li squadrò per un attimo prima di tirare fuori un librone con una penna d’oca. “Nome e cognome?”.
“Nicolas Garnier e…”. “Palu Garnier, sua moglie” completò Emma. L’uomo si limitò ad annotare tutto, quindi prese una chiave di bronzo che teneva in una portachiavi appeso alla cintola e gliela passò, in cambio di qualche moneta. “Primo piano, stanza quattro”. Andres lo ringraziò con un cenno della mano. Mentre passava di fronte ai soldati con lo stemma di Quadri abbassò ancora di più il cappuccio e trascinò Emma con sé nella loro stanza. Non era niente di eccezionale, ma tutto sommato confortevole. Andres non riusciva a ricordare da quanto tempo non dormiva su un letto e quando si sedette sul materasso gli sembrò di sognare a occhi aperti. Emma si sedette vicino a lui, nel silenzio più totale.
“Spero di riuscire a trovare presto gli altri…e che stiano tutti bene” disse Andres, infilandosi sotto le coperte senza tante cerimonie. Emma fece lo stesso sul lato destro del letto.
“Ce la farai…in fondo sei il nostro capo” sorrise la ragazza, dandogli un bacio sulla guancia. Andres si volle illudere e credere alle sue parole. Non si sentiva affatto un buon capo, non era stato in grado di proteggere i suoi compagni. Non era stato in grado di aiutarli quando il drago li aveva attaccati, non aveva saputo elaborare un piano. E adesso erano separati in un regno che nessuno di loro conosceva bene, ma che era risaputo essere il più misterioso di tutto il Paese delle Meraviglie. Lentamente riuscì a prendere sonno, sebbene con il timore di non essere all’altezza della missione. E di nuovo le fiamme presero con forza il dominio sui suoi sogni.
L’odore del legno bruciato, il crepitare del fuoco, le urla. Era tutto così realistico. Andres si girò a destra e a sinistra, strizzando gli occhi chiusi e sperando che quel sogno finisse. Qualcuno lo scuoteva per le spalle, chiamandolo con veemenza.
“Andres!”. Il ragazzo aprì gli occhi e si mise seduto, stordito. Emma lo guardava terrorizzata. Era notte fonda eppure fuori brillava una strana luce. Inoltre dalla porta provenivano grida disperate. Un odore aspro e forte stravolse i suoi sensi: fumo. Non ci volle molto per collegare: la locanda stava andando a fuoco. Scattò in piedi, seguito da Emma e insieme afferrarono tutto quello che avevano. Non appena aprirono un’ondata di fumo gli venne addosso. Tossendo e annaspando percorsero il corridoio ormai in fiamme.
Il salone sembrava essere diventato l’Inferno. Travi in fiamme cadevano dall’alto, mentre in giro erano sparsi feriti e morti. Non riusciva a capire come fosse potuto accadere, sentì solo lo scalpitare dei cavalli all’esterno. Stando attenti a non rimanere preda del fuoco che avanzava riuscirono a uscire dalla locanda e si ritrovarono nel bel mezzo di un’azione di guerriglia. Andres le conosceva bene. I soldati combattevano contro alcuni uomini che indossavano cappucci o maschere. Un uomo a cavallo coordinava le azioni e li spronava, menando fendenti contro gli avversari. Chi erano quei tizi? E cosa volevano? La notte venne dilaniata da un ruggito poderoso e dall’alto planò vicino a loro un’animale fiero e possente, che riconobbe subito: Rampante. E in groppa a lui, con il viso preoccupato e pallido, i cui occhi luminosi fendevano il buio, gli tendeva la mano una ragazza. Una ragazza con lunghi capelli corvini che svolazzavano disordinati.
Libi era tornata. 











NOTA AUTORE: capitolo molto doloroso con una nota finale di speranza...come noi tutti pensavamo Leon è tornato con una brutta sorpresa e adesso crede che Violetta si sia servito di lui per tutto il tempo. In un certo senso se ne è anche convinto visto che ha sempre avuto dei dubbi sul fatto che Violetta potesse amare uno come lui...Quello che Leon non sa, o meglio che sa meglio di noi, è che per lui è impossibile dimenticarsi di Violetta, e anche se adesso Leon subirà un altro brusco cambiamento non dobbiamo perdere la speranza :3
Per quanto riguarda Maxi...non si arrende il ragazzo .-. Violetta a quel punto stava per parlargli di Leon, ma Thomas li interrompe. Inoltre la sera stessa il gruppo decide di fare tappa all'Isola Riflessa credendo di poter trovare un indizio sullo specchio trovato nelle Rovine. 
E poi finalmente torna un personaggio che amo: la mia Libiiiiii <3 Eheh, credevate che se ne sarebbe stata via per sempre? E invece no, è tornata! :3 Ah, ricordatevi degli incubi che fa Andres, ha a che fare con la sfida contro il Tempo dell'inizio della storia di cui ancora non sappiamo nulla :3 Ma in realtà vorrei sentire anche vostre ipotesi in proposito :3 Grazie a tutti voi che mi seguite, anche se non ho mai tempo per rispondere leggo sempre le vostre recensione con le lacrime agi occhi per la riconoscenza, giuro. Spero solo che questo capitolo vi sia piaicuto :3 Alla prossima! Con affetto,
syontai :3 
  
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