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Autore: Misukichan    29/11/2014    1 recensioni
Emily è una ragazza apparentemente comune. Vive con sua madre ai confini della città, vicino ad un fiume limpido. La sua vita viene sconvolta, in una piovosa giornata d'autunno, dall'intrusione, in casa sua, di un misterioso ragazzo dai capelli corvini che tenta di ucciderla e che - con sua enorme incredulità - pare riesca a leggerle nel pensiero.
Quando si sveglia, il giorno dopo, crede sia stato solo un sogno. E' a questo punto che, per la sua salvaguardia, sua madre decide di rivelarle i più misteriosi segreti legati a suo padre, che la porteranno a conoscere il più pericoloso e affascinante dei nemici.
-tratto dal primo capitolo-
Mi è capitato, un paio di volte, di riflettere sulla morte. Mi vedevo anziana, in una bella casa, con una famiglia. Non avrei mai pensato di morire giovane, per mano di un malato mentale che cerca di derubarmi.
«Malato mentale?! Pensalo di nuovo, se hai il coraggio!» il suo volto è furioso.
«Non è stato facile abbattere tuo padre, perlomeno pensavo che avessi preso da lui. Invece mi ritrovo fra le mani una mocciosa a dir poco inutile. Muori.»
-
«Tesoro, dobbiamo andarcene da qui.»
«Quello di ieri non era solo un incubo. Quel ragazzo... esiste davvero.»
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Prima che mi ammazziate, ci tenevo a dirvi che il mio immenso ritardo è dovuto a varie complicazioni della mia vita, e non a qualche inutile e patetica scusa. Detto questo, mi sembrava giusto ringraziare in anticipo chi recensirà questa storia e chi non mi ha ancora abbandonata, nonostante tutte le mie varie pecche. Siete voi che mandate avanti questa storia, siete fondamentali, altrimenti con tutto quello che sto passando non sarei qui ad aggiornare, le mie storie me le terrei per me. Vi voglio bene <3
M.

Mi hanno diagnosticato una depressione maggiore quando avevo 17 anni, dopo una crisi di nervi avuta in primavera.
Mia madre aveva insistito per farmi vedere un medico psicologo e ben presto le mie fondate ipotesi su una mia possibile instabilità mentale si sono rivelate corrette. Avevo sempre saputo, in fondo, di essere strana. Sono ancora in cura e credo che, tutto sommato, la mia personalità sia migliorata nel corso degli anni; ora, un anno e qualche mese dopo, posso dire di aver acquisito una maggiore consapevolezza e aver curato i miei frequenti sbalzi d'umore. Ma non è stato sempre così semplice, durante i miei periodi bui faticavo a reggermi in piedi e mangiavo poco, tant'è che dovettero ricoverarmi un paio di volte mentre mi sforzavo a capire chi fossi. Insomma, la mia vita non è stata sempre rose e fiori.
Mi sto preparando al primo incontro con la mia nuova psicoterapista in città.
Durante il tragitto non penso molto a cosa dire o a come presentarmi, mi infilo nelle orecchie i miei auricolari e spengo i pensieri. La dimora di questa dottoressa Martin non è davvero niente male, scopro quando arriviamo. E' una villetta singola con un grande balcone pieno di vasi di begonie, il suo studio è al primo piano. La dottoressa è seduta alla sua scrivania e non appena entro si alza in fretta e mi raggiunge, stringendomi la mano e caricandomi di una forte energia positiva.
«Tu devi essere Emily» mi sorride raggiante, «sono Martin, puoi chiamarmi semplicemente Anne se vuoi, accomodati pure.»
La dottoressa sta già analizzando il mio profilo sulle carte rilasciate dal mio vecchio psicologo, quando all'improvviso chiede sorridente: «quanti anni hai, Emily?»
«18» le rispondo.
«Noto con piacere che il dott. Johnson aveva già effettuato una diagnosi completa.»
La lascio in pace a sfogliare tutte le mie carte, che sembrano non finire mai. Sono una persona davvero complicata.
«Che mi dici della tua ansia? E' passata? Non vedo più nessun'accenno nelle ultime pagine del tuo fascicolo.»
Tentenno mentre lei mi guarda in attesa di una risposta. Non so bene cosa dirle e come comportarmi ora, poi rispondo nella maniera più sincera.
«A dire la verità... questo ultimo periodo è stato a dir poco stressante, la mia ansia si è ripresentata.»
Il colloquio si conclude dopo un'ora di domande e risposte.
«Ci rivediamo la settimana prossima» mi sorride per congedarmi, «ah, Emily, volevo chiederti un'ultima cosa. Cosa stavi ascoltando quando sei entrata? Ho visto che indossavi gli auricolari.»
La guardo spaesata per la strana domanda, «Face to the floor, degli Chevelle» affermo sicura.

«Com'è andata il tuo primo incontro?» mi chiede mia madre, mentre accendo la radio in macchina.
«Nulla di che, le solite domande e risposte che fanno gli psicologi all'inizio per conoscerti meglio.»
«E' durata parecchio... Sono sicura che sia un bravo medico, ti troverai bene tesoro, vedrai.»
«Mamma, a proposito della tua decisione di ieri... non penso sia una buona idea abbandonare la scuola.»
«Si tratta di una cosa momentanea-»
«Si tratta del mio futuro» la interrompo bruscamente.
«Quando tuo padre si farà vivo...»
«...potrebbe essere troppo tardi» concludo la frase secca.
«come?» mi chiede lei spaesata.
«potrebbe essere troppo tardi! Come puoi sapere se e quando vorrà farsi vivo?»
La mamma ferma la macchina velocemente e si gira verso di me.
«Perché ho fede. Lo so che tornerà. Lo farà perché ci ama, perché ti ama» rimaniamo a fissarci per qualche secondo, poi riaccende la macchina. Per il resto del tragitto restiamo in silenzio.



I giorni seguenti comincio ad avere i primi incubi. I miei sonni sono disturbati, mi sveglio più volte e sono sempre sudata, a volte grido.
Le giornate non sono delle migliori, non posso svagarmi, non esco di casa. L'unica consolazione sono lo stereo e la mia musica.
Qualche giorno dopo ancora perdo la cognizione del tempo, sembra che le giornate non finiscano mai e, ora che la scuola non fa più parte della mia quotidianità, stento a riconoscere il sabato dal mercoledì. Quando però arriva la domenica, io e mia madre riceviamo una telefonata da Kae, che vuole vedermi.
Sono felice di poter uscire, chiedo a mia madre se posso andarci da sola e lei acconsente.
Quando arrivo trovo la solita caffettiera inquietante che sta bollendo sul fuoco e Kae mi chiama dalla soffitta, la scalinata che porta di sopra è fredda e piena di quadri di diverso tipo e di foto in bianco e nero, probabilmente molto vecchie. La trovo in una stanza in piedi davanti ad un tavolo, sta ispezionando una vecchia scatola con dentro varie cianfrusaglie. «Eccoti qui, sono felice che tu sia venuta» mi dice senza smettere di infilare la testa dentro quella marea di roba.
Entro e mi guardo intorno, ogni cosa sembra stramba e stravagante e il disordine regna, ma non proferisco parola, aspettando che mi dica di che cosa ha bisogno.
Mi avvicino a lei, pensierosa, e quando arrivo mi spinge a guardare dentro una grossa borsa.
«Emily, ti ho chiamato qui perché tu ti possa sentire libera di chiedermi e dirmi tutto, qualsiasi cosa ti preoccupa o qualsiasi domanda tu abbia. Sono qui per aiutarti.»
Annuisco, ancora pensierosa. Non mi vengono in mente domande, ma non voglio sembrare scortese ne disinteressata.
«Come faceva quel... coso, qualsiasi cosa sia, a leggermi nel pensiero?»
«Intendi quel servitore del diavolo? Vedi, anche loro hanno il potere. Ultimamente, da quando tuo padre è sparito dalla circolazione, il loro potere è aumentato, forse quadruplicato, sono diventati più forti e pronti a tutto per vincere. Questa battaglia dura dall'inizio dei tempi, gli Angeli bianchi non possono permettersi di perderla, sarebbe una vera catastrofe» spiega lei, chiudendo il contenitore da cui stava prelevando degli oggetti.
«Per rispondere alla tua domanda, leggere nel pensiero è solo uno fra le tante cose che gli Angeli possono fare.»
«Anche mio padre può leggermi nel pensiero?» chiedo ad un certo punto.
«Bé, presumo di sì, se lo volesse. Per questo motivo sei qui oggi. Siediti vicino a me.»
Mi osserva a lungo, poi continua: «noto che hai al collo la collana che ti ho dato, come ti avevo detto.»
Annuisco.
«Prova a togliertela» mi ordina.
«Ma mi hai appena detto che...»
«So cosa ho detto, è solo per ora, ti voglio insegnare qualcosa.»
Faccio come mi dice, tolgo la collana dalla testa e la appoggio sul tavolo, poi resto in attesa mentre Kae mi fissa. Ad un certo punto percepisco qualcosa di strano e mi guardo intorno. Non è cambiato nulla, Kae mi sta ancora fissando e le sue labbra si inarcano leggermente in un lieve sorriso.
«Lo senti anche tu?» chiedo sbalordita.
Lei non risponde e questa strana sensazione si amplifica, è come se fossi osservata, perseguitata da qualcuno. Comincio a temere che sia l'Angelo nero, venuto a mantenere le sue terribili promesse dell'altro giorno, ma poi mi rendo conto che Kae è concentrata.
«Che diavolo mi stai facendo?» esclamo, guardandomi le mani e le braccia, sentendo quella sensazione di impotenza ingrandirsi, sento una presenza imposta e sbagliata nel mio cervello, comincio a sudare.
Mi agito e cerco di restare concentrata, ma strane immagini cominciano a vorticarmi nella mente. Dopo un poco si interrompono e Kae ritorna in sé come svegliata improvvisamente da un sogno, da una trance.
«Che mi hai fatto?» chiedo ancora, riprendendo fiato.
«Sono entrata nella tua testa» mi dice lei, come se fosse ovvio. Mi stizzisco.
«Perché l'avresti fatto, sentiamo?» le chiedo, arrabbiata.
«Per farti imparare. Togliendoti lo schermo di protezione che la collana ti garantiva, ti ho messa in una possibile situazione di pericolo. Gli Angeli malvagi sono capaci di fare anche questo, entrare nella tua testa e captare ogni tuo minimo pensiero, ogni ricordo o sensazione. Adesso sai cosa si prova quando succede, così nel caso succederà saprai rendertene conto» poi aggiunge, «sei davvero combattiva, proprio come tuo padre. La tua mente si è subito ribellata al contatto e non è stato così facile restare.»
«Anche se mi rendessi conto che qualcuno stia penetrando la mia mente, cosa potrei fare?»
«Se hai la collana sarai automaticamente protetta, non ti servirà fare nulla. Però sono qui per prepararti ad ogni eventualità, ti insegnerò gran parte delle cose che so e tu dovrai collaborare.»
«Che cosa sei tu?» le chiedo improvvisamente.
Lei scoppia in una risata.
«Voglio dire, sei umana giusto?»
«Giusto» sorride lei.
«E allora come puoi fare una cosa del genere, sei una specie di veggente?»
«Sì, se ti piace definirmi così. Sono qualcosa del genere.»

Siamo sedute al tavolo al piano di sotto davanti a due tazze fumanti di tè. Nessuna delle due parla, ma io ho tantissimi pensieri che mi vorticano in testa e le nuove esperienze di oggi mi hanno confusa ancora di più. So che mi abituerò a tutto questo, ma per adesso mi sembra ancora tutto un'assurdità.
«L'altro giorno, quando mi sono vista quel ragazzo davanti mi sono sentita perduta, senza via di scampo» comincio, sorseggiando il mio tè, «era come se... non ci fosse nessuno lì con me, non sono sicura che mio padre sia qui. Non sono sicura mi voglia proteggere» continuo, «quel ragazzo, ha un nome?»
«Quel ragazzo, con alte probabilità, è il figlio di Lucifero in persona.» butta lì lei, tranquilla, sorseggiando il suo té. La cosa più assurda è che ne sta parlando come se si parlasse di una partita di football del sabato sera.
«Si chiama Leonard.»
«Allora è vero, anche a scuola si è presentato in questo modo, come mai non è discreto?»
Lei scoppia a ridere nuovamente.
«Pensi che a qualcuno della scuola possa venire in mente che forse lui potrebbe essere il figlio di Lucifero?»
Ignoro la sua domanda sarcastica e continuo.
«Quanti ce ne sono? Di Angeli intendo?»
«Tanti. Non saprei quantificarli.»
«All'incirca?»
«Gli Angeli dei più alti livelli sono pochi, come tuo padre. Gli altri sono angeli comuni. Sono meno di un ottavo della popolazione degli Stati Uniti, immagino.»
«Wow» esclamo.
Passiamo un pomeriggio interessante. Sono curiosa di sapere, non voglio essere impreparata a niente. Per battere il mio nemico, o almeno difendermici, ho bisogno di conoscerlo il più possibile. Quando ormai è già buio, preparo le mie cose per andarmene.
«Quindi, ricapitolando, i nemici di mio padre vogliono me, perché pensano che io possieda l'arma celeste di cui parlano tanto. Ma non mi è ancora chiaro perché pensano che ce l'abbia io. Dove potrei conservarla? E poi, se ce l'avessi non dovrebbero sentirlo nella mia mente?»
«Probabilmente pensano che il segreto sia al sicuro dentro alla tua mente grazie ad un sigillo.»
«Un sigillo?»
«Quello che hai sul collo è un sigillo.»
Le mille nozioni di oggi mi galleggiano nella mente, ma ancora non hanno un senso compiuto. Ho promesso a Kae di andarla a trovare ogni pomeriggio, e lei in cambio ha promesso che avrebbe provato a convincere mia madre a lasciarmi tornare a scuola.
Mentre cammino verso casa mi rendo conto di non avere al collo la mia collana. Mi fermo e frugo nelle tasche e poi nella borsa, ma del sigillo neanche l'ombra. Un brivido d'ansia mi scorre su per la spina dorsale.
«Cos'è, hai scordato la tua unica arma di difesa? Certo che per essere la figlia di tuo padre, sei proprio stupida.» quella voce glaciale alle mie spalle mi fa sobbalzare dallo spavento. Mi blocco e non oso muovermi.
Sono spacciata.
Comincio ad avanzare lentamente, ogni passo in più è un passo in meno verso casa.
«Dove credi di andare? Sei consapevole che senza collana posso ancora leggerti nella mente, vero?» sogghigna.
Mi fermo e chiudo gli occhi cercando di ricordare i consigli di Kae per respingere le intrusioni.
«Ma che stai facen-» subito dopo scoppia a ridere, «non ci posso credere, sei così debole! E quello era un tentativo di sbarazzarti di me? Mi dispiace dirtelo ma non sarà così facile» ride ancora, divertito. Malignamente divertito.
Gli occhi mi si riempiono di lacrime di frustrazione.
«Non ho niente di quello che cerchi, per favore lasciami andare...»
Si avvicina e mi prende le braccia da dietro, immobilizzandomi.
«Lasciami andare o mi metto ad urlare!» lo minaccio.
Scoppia in un'altra fragorosa risata.
«Sai cosa me ne faccio dei tuoi inutili tentativi di chiedere aiuto. Sta volta non la passerai liscia» mi lascia improvvisamente, ma un dolore acuto, immobilizzante che parte dalla testa e si estende da tutte le parti mi pervade completamente. Cado a terra tremante, ogni mio sforzo di respirare e di restare lucida è quasi vano. Non vedo nulla. «T-ti pre-» lo guardo con gli occhi pieni di lacrime, ma lui non si ferma, ha preso il pieno controllo sulle mie percezioni, mi sta torturando e il fatto sembra intrattenerlo, sembra dargli piacere, mi guarda come se stesse guardando il suo programma preferito in tv. Chiudo gli occhi e comincio a pregare, ma dopo poco perdo i sensi.

Emily, svegliati.

Mhm...
S... sto morend... morta... st...

Emily non sei morta, apri gli occhi.
Ma chi... p-papà?
Coraggio, guardami.
Apro gli occhi.
Leonard è sparito. La strada buia e desolata è sparita. Sono... su una spiaggia soleggiata? Sono sdraiata a terra, e poco più in là c'è una distesa di acqua, davanti a me un uomo.
Mi guarda, poi mi porge una mano.
Sono Adam... tuo padre.
Lo guardo negli occhi, sono esattamente identici ai miei, poi guardo la sua mano, me la porge mentre mi sorride.
Gli volto le spalle.
Emily, guardami.
Mi volto, ora è serio.
«Perchè ci hai messo tanto?»
 Sei stata tu a farmi venire qui.
Non ha nemmeno bisogno di aprire la bocca, la sua voce risuona nella mia mente.
«Perchè hai abbandonato me e la mamma?» lo guardo inespressiva.
Tesoro... Ho dovuto farl-
«potresti parlare come tutte le persone normali?»
Non posso. Io sono solo un immagine nella tua mente, sto parlando attraverso di te.
Ho dovuto lasciarvi... L'ho fatto per il vostro bene.
«Una vita fatta di continui spostamenti pensi che sia "il mio bene"? Non ho amici, li ho lasciati tutti, la persona che vedo di più al momento è uno sporco assassino che probabilmente mi ha uccisa.»
Non ti ha uccisa, Emily non mi resta molto tempo... devi ascoltarmi attentamente ora.
«Mi stai lasciando di nuovo?» chiedo con un lieve tremolio nella voce.
No. Te lo prometto. Solo, ora ho bisogno che tu mi ascolti. Concentrati, chiudi la mente, crea la tua barriera, proteggila. E' l'unico modo che ti salverà.
Scaccialo.
«Ma come?»
L'immagine di mio padre si fa meno nitida e sempre più lontana. Tutto si fa sfuocato.
«...papà aspetta, come d-devo...»
Uno scossone mi risveglia, riprendo coscienza. Sento ancora la stretta intorno al collo, ma adesso non posso permettermi di morire. Devo dare speranza a mia madre, devo dirle che ho parlato con papà. Cerco di concentrarmi sulle sue ultime parole che ho sentito di sfuggita. Ricordo anche il pomeriggio con Kea, richiudo gli occhi e cerco di chiudere la mente. All'inizio ovviamente non funziona, sforzarsi di non pensare a nulla mi riempie la testa di pensieri. Mi ci vogliono vari tentativi, ma poi le mie condizioni così disperate mi permettono di svuotare la mente.
Conto fino a 10, cercando di respingere ogni sua influenza su di me, fino a quando sento che la stretta sul mio collo si affievolisce. Quando riapro gli occhi, decisa, il ragazzo è sollevato e inclinato, come se ci fosse una potente barriera che lo respingesse. Lui è sconvolto, i suoi occhi sono spalancati e la sua bocca semi aperta.
«Che c'è, Leonard? Mi credevi davvero così incapace?» un sorrisetto di vittoria mi dipinge il volto, mentre lui non risponde.
La sua figura svanisce in un fruscio e mi ritrovo sdraiata da sola, ansante, su un fianco dolorante. Finalmente una macchina passa, mi vede, si ferma.
Mi sa che sta volta ho vinto io.







  
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