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Autore: _yulen_    30/11/2014    2 recensioni
Yekaterina Danilenko è una ragazza di origine russe, ma che prima dell'Apocalisse abitava a Fargo, un piccolo paesino in Georgia. Orfana di madre, morta dandola alla luce, è cresciuta con il padre che nonostante la mancanza della moglie, è riuscito ad educarla.
All'età di cinque anni fa la conoscenza dei fratelli Dixon e da lì nasce una profonda amicizia che l'accompagnerà per tutta l'adolescenza, ed è proprio in quel periodo che si innamora di Daryl, il minore dei due fratelli.
Quando i morti iniziano a risorgere, Kate sa che potrebbe morire da un momento all'altro, ma non vuole andarsene senza prima essere riuscita a dichiarare il suo amore.
Tra fughe da orde di vaganti e lotte per sopravvivere, Kate dovrà riuscire a trovare il coraggio di confessare al suo amico di vecchia data i suoi sentimenti e un'altro piccolo segreto che potrebbe distruggere la loro amicizia.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Merle Dixon, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo17
 
 
 
 
 
 
 
 
Non avevo idea di cosa fare. Ero agitata, spaventata e sentivo che ogni respiro poteva essere l’ultimo. Glenn non se la stava passando meglio di me e si guardava attorno terrorizzato per poi tornare a posare lo sguardo sulla porta come se potesse aprirsi da un momento all’altro, rivelando ai morti la nostra presenza.
Dovevamo andarcene ma non sapevamo come, avevamo le armi silenziate è vero, ma loro erano più numerosi e noi saremmo stati accerchiati ancora prima di avere il tempo di sparare il primo colpo. Potevamo correre sì, ma sarebbe stato troppo rischioso e non potevamo nemmeno aspettare che se ne andassero.
Guardai la porta sotto cui una fessura permetteva di vedere i passi degli zombie andare avanti e indietro per sostare qualche secondo e poi riprendere a muoversi senza una destinazione ben precisa; era chiaro che dovessero aver sentito l’odore di carne perché non sembravano intenzionati a spostarsi più del dovuto.
Mi distesi sul pavimento cercando di poter vedere meglio attraverso il piccolo spazio, ma senza riuscirci.
«Aspetta!» disse piano Glenn avvicinandosi. «Proviamo con questo».
Prese un frammento di vetro dello specchio posto sopra a dei lavandini e lo fece scivolare in quel piccolo spiraglio.
Ce n’erano circa cinque tra noi e l’uscita sul retro, ma per quello che riguardava il resto del negozio non avevo idea di quanti ce ne fossero.
Controllai il caricatore della mia pistola e contai quanti proiettili avessimo: le pistole in nostro possesso erano entrambe Glock 33 con caricatore da nove colpi, in oltre ce n’era uno già in canna, aggiunsi anche quelli dell’arma che presi al soldato morto, quindi in tutto avevamo quaranta proiettili. Non sarebbe stato di certo facile passare tra loro, ma al momento non avevamo altre possibilità.
«Usciamo dalla porta d’emergenza e cerchiamo di raggiungere l’Hummer» bisbigliai piano.
«Cerchiamo?» chiese leggermente alterato.
«Non so, hai idee migliori?».
Restò in silenzio e abbassò il capo, facendomi capire che non aveva un piano.
«Come pensavo. Prendi il borsone, va avanti e fa strada, io ti copro le spalle. Usa la pistola per i bersagli lontani, quelli più vicini cerca di scansarli. È meglio risparmiare munizioni» dissi.
Strinse forte il pomello della porta e facemmo tre profondi respiri, poi si girò verso di me ed io annuii.
Velocemente aprì la porta e balzò fuori uccidendo due nonmorti, io lo seguii calciando al petto un altro zombie per allontanarlo, quello infatti cadde e approfittai di quel momento per eliminarne uno con il pezzo di vetro.
Proseguimmo così fino al retro del negozio dove trovammo l’area sgombra con mia somma sorpresa.
Sfruttammo quel momento per riprendere fiato dopo aver chiuso la porta e averci ribaltato un cassone della spazzatura davanti. Verificai velocemente di non avere ferite e mi avvicinai a Glenn che stava guardando la strada.
C’era una grandissima orda lì che si guardava attorno annusando l’aria, ma fortunatamente non si erano ancora accorti di noi, usare quel momento per svignarcela era la nostra unica chance.
Estrassi dal borsone la Five-seveN del soldato mettendoci sopra il mio silenziatore e la porsi a Glenn insieme alle chiavi del fuoristrada, facendomi restituire la Glock.
«Questa è meglio che ora l’abbia tu, ha un rinculo minore e il doppio dei colpi» dissi. «Passami il tuo borsone e vai avanti».
Annuì e aprì il cancello, sparando per eliminare quanti più vaganti potesse. Io dietro cercai di fare lo stesso, tenendomi a debita distanza da ogni spazio che mi mettesse con le spalle al muro, e mentre i nonmorti cadevano come mosche, noi riuscimmo ad avvicinarci sempre di più al mezzo che ci avrebbe di nuovo riportati a casa.
Sparai l’ultimo proiettile rimasto nella mia pistola quando uno di loro – un altro soldato - si avvicinò al mio braccio per morderlo, fortunatamente fui abbastanza veloce da scansarmi e abbatterlo prima che potesse azzannarmi. Guardai il suo cadavere giacere ai miei piedi e mi chinai per prendere il walkie-talkie che aveva nel taschino del gilet insieme alla pistola e delle flash bang.
Subito mi venne un’idea: gli zombie stavano diventando sempre più numerosi e noi stavamo finendo i proiettili, l’unico modo per avere salva la pelle era distrarli o quantomeno rallentarli.
Lanciai alle mie spalle le accecanti in mio possesso che scoppiarono con un fragoroso rumore e con una luce fortissima che come pensai, riuscì a stordirli il tempo necessario che ci servì per salire in auto e mettere in moto.
Glenn schiacciò sul pedale dell’acceleratore con forza, facendo stridere le gomme sull’asfalto, lasciando sopra esso delle strisciate nere come la notte, l’attrito dei pneumatici sulla strada lasciano un enorme polverone dietro di noi.
«Non è andata male dopotutto. Non trovi?» chiesi sarcastica.
Mi guardò con un’espressione che tradussi come “ma mi prendi per il culo” e mi morsi il labbro per soffocare una risata.
«Apri il borsone ai tuoi piedi» disse.
Feci come mi aveva chiesto inarcando un sopracciglio e tenendo uno sguardo incuriosito mentre tiravo la zip. Dopo aver scostato i due lembi di stoffa guardai il contenuto che consisteva in oggetti della medesima forma e del medesimo colore. Ne presi in mano uno e ghignai divertita.
«Deodorante» constatai. «Sul serio? Quanti ne hai presi?».
Mi guardò per qualche istante prima di mettersi a ridere insieme a me. Gli avevo detto di prenderne una scorta, è vero, ma stavo scherzando. Almeno in parte.
A proposito!
Presi i due walkie talkie dal mio zaino e glieli mostrai, sventolandoli sotto il suo naso.
«Tu sai su che frequenza Shane ha sintonizzato il CB?».
«Do-dove li hai trovati?» chiese stupito.
Ignorai la sua domanda e posai una radio sul cruscotto mentre testavo il funzionamento dell’altra. Non rimasi sorpresa quando – dopo vari tentativi – capii che era rotta e quindi inutilizzabile, la seconda sembrava in condizioni migliori e anche se aveva l’antenna storta, funzionava ancora.
Sobbalzai leggermente quando le ruote iniziarono a marcare la ghiaia, segno che eravamo arrivati a destinazione sani e salvi ancora una volta.
Scesi con lo zaino in spalla, il borsone con le scorte che avevo preso io nella mano sinistra e i due walkie talkie nella mano destra.
Mi diressi verso il camper, dove vidi la maggior parte dei superstiti intenti a svolgere le proprie mansioni che spaziavano dal spaccare legna per la sera, a creare nuove trappole.
Individuai Shane seduto su una sedia da giardino mentre puliva la pistola e mi avvicinai a lui dopo aver lasciato la borsa ad Andrea.
«Ho trovato questi» dissi. «Uno è andato e non so né se si può aggiustare né come farlo, ma l’altro è in buono stato».
Posò giù la sua arma e prese i due apparecchi e sintonizzando quello funzionante sul canale del CB, il tutto tenendo uno sguardo attento e concentrato su ciò che stava facendo.
Sentendomi osservata alzai lo sguardo per vedere Lori guardarmi, tra le mani aveva un bastone e lo stava stringendo così forte che le nocche le erano diventate bianche, dall’altra parte anche Daryl mi stava osservando torvo, e spazientita dal loro modo di comportarsi tornai con l’attenzione all’ex poliziotto.
«Non funziona perché si sono staccati dei fili e non fanno più contatto» spiegò Shane.
«Riesci ad aggiustarla?» chiesi.
Dopo aver ottenuto una risposta affermativa me ne andai, cambiando direzione e tornando verso il mio fuoristrada per scaricare il resto delle cose che erano rimaste, anche se Glenn e gli altri avevano già preso tutto. Infatti a parte la borsa con i deodoranti e quella con la mia frutta non c’era nient’altro.
Sbuffai e mi tolsi gli stivali per far respirare i piedi indolenziti. Anche i polpacci e i muscoli delle cosce iniziavano a dolermi insieme alla spalla.
«Sei stata in città di nuovo?».
Alzai il capo per vedere Daryl a un palmo dal naso, in attesa di una risposta, il suo volto era deformato da una smorfia di rabbia.
Ma che cazzo!
Sobbalzai sorpresa.
«Non ti è bastata la volta scorsa?!».
«C’era Glenn con me, non ero sola» ribattei.
«Come c’era quando sei tornata con una gamba rotta?» chiese tagliente. «La  prossima volta evita di sparire per così a lungo, non posso perdere tempo a cercarti. Ho di meglio da fare».
Lo spinsi con tutta la mia forza e lo guardai.
«E io non credo di averti chiesto di farlo».
Mi chinai per rimettermi gli stivali e prendere le mie armi, diretta dove ancora non ne avevo idea, ma il bosco mi sembrò un buon posto dove starmene per i fatti miei.
Non mi importava se avesse passato tutto il pomeriggio a cercarmi, per quanto mi riguardava avrebbe pure potuto continuare a fare qualsiasi cosa stesse facendo prima di accorgersi che non ero più lì.
Accidenti a lui! Perché doveva fare sempre così? Perché doveva sempre rovinare tutto?
Eppure quando eravamo nel nostro paese e passavamo la notte vicini, il mattino seguente non si comportava in quel modo, era un po’ acido le prime ore, ma poi gli passava e tornava ad essere il solito Daryl di sempre.
Bah, vallo a capire.
Passeggiai fino a trovare un piccolo ruscello dall’acqua non troppo profonda, pulita e azzurra come quella della cava. Sapevo di essermi allontanata troppo, ma per tornare al campo avrei dovuto solo seguire il corso e in qualche modo sarei riuscita a non perdermi.
Tolsi i calzini e gli stivali, risvoltai le gambe dei pantaloni fino alla ginocchia e immersi i piedi, dondolandoli. La freschezza dell’acqua portò un’ondata di sollievo in tutto il corpo e subito il mio organismo bramò un bel bagno ristoratore.
Girai la testa a destra e sinistra per avvistare eventuali pericoli, ma a parte me non c’era nessun’altro lì. Mi spogliai velocemente, levando anche la biancheria e lasciando pistola e coltello sulla riva in modo che fossero facilmente recuperabili. Mi immersi fino a metà busto, sorreggendomi sul bordo del torrente per non scivolare.
L’acqua ora sembrava più fredda, ma non era un problema. Annullava le vampate di calore date dalla temperatura alta e fu come trovare un’oasi nel bel mezzo del deserto dopo giorni di pellegrinaggio.
Non era come essere nella vasca di casa mia, mancavano il sapone e il miscelatore del rubinetto, ma poter eliminare lo sporco incrostato sulla pelle senza dover lavarmi a pezzi era già un passo avanti. Alla cava dovevo sempre stare attenta che non arrivasse qualcuno proprio mentre ero nuda, per questo mi lavavo con un secchio d’acqua e uno straccio ormai consumato e macchiato che invece di levare la sporcizia sembrava farla attaccare ancora di più.
Una volta che la mia pelle tornò pulita come era sempre stata uscii, rabbrividendo quando il vento sfiorò il mio corpo bagnato.
Mi guardai e rimasi sorpresa nel vedere che non c’erano più chiazze di fango ed erba sulle braccia, anche il sangue rappreso sulle mani e sotto le unghie era stato lavato via.
Mi rivestii velocemente, notando come la colorazione della mia carnagione fosse più chiara dove i vestiti la coprivano, mentre le altre zone, quelle più esposte al sole erano scure, sul naso e sulle guance c’era una leggera spruzzata di efelidi che avevo solo da bambina e che con la crescita erano scomparse.
Lavai anche i capelli e poi li raccolsi, tenendoli legati in una bandana che portavo solitamente al polso.
Ritornai indietro con calma, assaporando quella calma che però non durò a lungo. Appena iniziai ad avvicinarmi infatti, la voce della gente che discuteva si fece più distinta così come il rumore della legna che veniva spaccata e quello del fuoco che stava già scoppiettando.
Stavo per entrare nella mia tenda quando qualcuno mi bloccò, afferrandomi per un braccio. Mi voltai e vidi Amy guardarmi con un’espressione preoccupata, ma prima che potessi chiederle cosa fosse successo lei mi anticipò.
«Per fortuna sei qui» disse trafelata. «Si tratta di Merle».
Passai una mano sul volto e la guardai sospirando. Era mai possibile che non potessi passare qualche ora in tranquillità senza che lui combinasse qualcosa?
«Cos’ha fatto ora?».
«È meglio se lo vedi tu in persona».
La seguii fino al furgone di Daryl, dove Merle, seduto con un braccio legato ad una corda che passava dentro i cerchioni, era tenuto sott’occhio da Shane.
Appena mi vide iniziò a ridere e si strofinò il naso insanguinato con il dorso della mano. Il suo labbro inferiore era spaccato e anch’esso perdeva sangue.
Mi voltai verso l’ex poliziotto e gli chiesi di lasciarci soli anche se lui non sembrò disposto a lasciarmi lì senza protezione.
«Mi sono già occupata di lui mentre era in queste condizioni» lo rassicurai. «Non fatene parola con Daryl e cercate di tenerlo lontano da questo scempio se dovesse tornare».
Mi inginocchiai di fronte a Merle e guardai la ferita che sanguinava. Scossi la testa e andai a  prendere una bottiglia d’acqua, delle garze e del disinfettante con il quale iniziai a pulire il labbro e il naso, il tutto tenendo la bocca chiusa nonostante volessi dirgli tante di quelle cose che non mi sarebbe bastato un giorno per finire di rimproverarlo.
Mi avvicinai di più a lui per verificare se l’osso del naso fosse rotto, ma a parte il sangue che aveva quasi smesso di colare non trovai ulteriori ferite.
In quella posizione ero a pochi millimetri dal suo volto e questo lo fece sogghignare di nuovo.
«Lo trovi divertente?» chiesi. «Perché ti assicuro che non lo è».
Presi la bottiglietta e svitai il tappo prima di passargliela. Bevve qualche sorso per sciacquarsi la bocca e sputò quel misto di saliva, sangue e acqua per terra.
«Ti preferirei vestita da crocerossina» disse senza smettere di ridere.
Inarcai un sopracciglio e strinsi i pugni per combattere la voglia di colpirlo e lo slegai, assicurandomi che andasse a dormire. Almeno non avrebbe infastidito nessuno. Quando si addormentò del tutto mi allontanai per parlare con Shane che appena mi vide smise di fare ciò che stava facendo.
«Che ha combinato per finire in quelle condizioni?» chiesi.
Infilò una mano in una delle tasche dei suoi pantaloni e trafficò fino quando trovò ciò che stava cercando. Estrasse una bustina dal contenuto bianco e me la lanciò.
«La prossima volta non mi limiterò a legarlo».
Annuii capendo dove volesse arrivare.
«Non ci sarà una seconda volta. Lo terrò più sotto controllo».
Sapevo che sarebbe stato impossibile guardarlo ventiquattro ore su ventiquattro, ma pur di non farlo finire in qualche guaio di nuovo avrei fatto l’impossibile. C’ero riuscita una volta, tempo fa, potevo farcela di nuovo.
Entrai nella mia tenda e gettai la busta in un sacco che usavo come bidone della spazzatura.
Sperai che per quando Daryl fosse tornato, Merle avrebbe riacquistato parte della sua lucidità o avrebbe iniziato a urlargli contro, e quelli erano problemi nei quali preferivo non venir coinvolta.
Mi cambiai velocemente in abiti puliti e mi distesi sulle coperte, giurando che sarei stata lì soli cinque minuti, finendo però con l’addormentarmi, cotta da quella giornata.
Quando andavo in città mi stancavo facilmente e la sera appena chiudevo gli occhi riuscivo subito a crollare in un sonno che durava fino la mattina del giorno dopo, e fu proprio alle nuove luci del sole che mi svegliai, sbadigliando e strofinandomi gli occhi ancora semichiusi.
Uscii dando il buongiorno alle persone già deste, restando sorpresa di come in due mesi le cose si fossero sistemate così in fretta. Credevo che per il genere umano non fosse rimasto nulla se non una vita costantemente in fuga, e invece lì eravamo riusciti a sistemarci, creando questa nuova vita.
Amy, vedendomi, mi chiamò per chiedermi se volessi aiutare lei e la sorella a preparare la colazione ed io accettai volentieri nonostante non fossi proprio una cuoca.
Entrammo nel camper e mentre preparavamo i piatti ci lasciammo coinvolgere in una chiacchierata tra ragazze molto diversa da quella avuta durante il mio piccolo ricovero. Infatti questa volta i toni delle nostre voci erano molto più bassi in modo che il discorso non raggiungesse orecchie indiscrete. Sembrava un po’ come se ci stessimo confessando, solo che il nostro era un argomento che un prete avrebbe preferito non sentire.
Amy iniziò ad arrossire quando io e Andrea ci confrontammo sulle nostre avventure giovanili e ci mettemmo a ridere sommessamente davanti il suo evidente imbarazzo.
«E se dovessi passare la tua ultima notte di fuoco con chi lo faresti?» mi chiese la sorella minore risvegliandosi dal suo disagio.
La guardai in un misto tra il divertito e il dubbioso per la sua domanda.
«La mia scelta ad esempio sarebbe Ryan Gosling».
«Amy!» la riprese la sorella sorridendo.
Scossi la testa con un sorriso sulle labbra, e quando vidi che stava aspettando una risposta posai il coltello con il quale stavo tagliando il pane. Subito il mio pensiero volò verso Daryl.
Sarebbe stato lui senza ombra di dubbio, almeno sarei morta come una ragazza felice essendo riuscita ad esaudire il mio desiderio più nascosto, ma non volevo scoprirmi così tanto. Nessuno ne era a conoscenza a parte la mia migliore amica ed Amy ed era meglio così, non credo che avrebbero capito perché lui e non qualcun altro.
A volte nemmeno io riuscivo a capire perché mi struggessi così tanto per una persona che non ha mai pensato a me nemmeno per un secondo e che mi vedeva solo come un’amica, mentre altre ragazze, che neppure conosceva, avevano la fortuna di stringerlo anche solo per una notte.
Ricordo ancora il suono che il mio cuore faceva quando lo vedevo sparire con la conquista della serata per andare a fare Dio solo sa cosa. Quello era il peggior tipo di dolore che io abbia mai conosciuto e provato.
Quando dovevo chiudere io il bar restavo anche ore a bere, fino a tornare a casa alticcia. Non era un comportamento maturo, lo so, ma era l’unico modo che conoscevo per riuscire ad addormentarmi.
Mi appoggiai contro uno dei sedili del camper e la guardai facendo finta di pensarci.
«Se potessi scegliere credo che passerei la mia ultima notte con Chester Bennington».
«Il cantante dei Linkin Park? Sul serio?» commentò divertita.
«Ehi! È il mio sogno erotico da quando ho iniziato a seguirli, e credimi che li conosco dal loro esordio» risposi piccata ma senza smettere si sorridere.
Salutai le due sorelle e reggendo due piatti mi diressi verso la tenda di Merle e Daryl, che prima che andassero a caccia, avrebbero avuto bisogno delle energie necessarie.
«Mi piacevi di più quando portavi le birre» commentò il più grande quando mi vide arrivare.
Lo guardai di sottecchi, notando come le pupille fossero molto dilatate e come la sua espressione fosse serena, la stessa che c’era sulla sua faccia il giorno prima.
Non mi ci volle molto per capire che doveva aver trovato qualcos’altro per farsi.
«Sant’Iddio, non di nuovo» sbottai posando i due piatti su un ceppo.
Mi avvicinai a lui prendendogli il volto tra le mani e lo girai un paio di volte per controllare come rispondeva agli stimoli. Sembrava come in una sorte di trance, i suoi occhi si muovevano piano ogni volta che gli facevo passare una mano davanti per vedere se almeno rispondeva ai miei movimenti.
Sospirai e abbassai il capo, il mio sguardo cadde sul suo taschino dal quale sbucava un’altra bustina.
«Innanzitutto dammi quella roba» dissi facendo un altro passo verso di lui.
Sorrise beffardo, estrasse il pacchetto dalla tasca e sollevò in alto il braccio per non farmelo prendere. Mi alzai sulle punte per cercare di arrivarci, ma lui era troppo alto. Saltai un paio di volte, prendendo anche la rincorsa, ma non ottenni nessun risultato, se non che le braccia iniziarono a farmi male.
«Avanti, non ho tempo per questi giochetti» protestai.
Ghignò nuovamente e fece scivolare la bustina oltre il bordo dei suoi pantaloni.
«Se la vuoi vieni a prenderla».
«Merle!» urlai incredula.
«Non fare così bambolina, le altre volte non ti lamentavi quando dovevi spogliarmi».
Lo guardai sbalordita prima di arrossire più per la rabbia che per l’imbarazzo.
«Va’ al diavolo! Vuoi fare il bambino? Accomodati, ma questa volta non ti difenderò, sappilo».
Me ne andai da lì camminando con passo pesante e borbottando cose che avrebbero fatto rabbrividire persino il più cattivo dei criminali.
Drogarsi era una scelta sua, come era sua la vita che aveva deciso di rovinare, ma sapeva quanto Daryl lo odiava quando prendeva quella roba, e sapeva quanto io non riuscissi a sopportarlo quando era così soggiogato da quelle sostanze che lo rendevano molesto.
Vidi alcune delle donne andare giù alla cava per lavare i panni e mi aggiunsi a loro offrendomi di aiutarle. Anche se odiavo fare il bucato, in quel momento preferii trovarmi lì con loro che con Merle. Se voleva continuare su quella strada non lo avrei fermato.
Ci ho provato, tante di quelle volte che ho perso il conto, e non è servito a nulla. Fin quel momento ho creduto che fosse recuperabile, e che non tutto fosse perduto, ma mi sbagliavo gravemente e quello che poi ne avrebbe pagato le conseguenze non sarei stata io, ma il fratello, come se nella vita non ne avesse già avute abbastanza di delusioni.
Mi sedetti sul bagnasciuga, presi una maglia e la immersi nell’acqua.
«Perché non ci racconti un po’ di te» propose Jacqui. «Sei qui da mesi ormai, ma non sappiamo nulla».
Scrollai le spalle e smisi di strofinare l’indumento che avevo preso dal cesto.
«Non c’è molto da sapere. Ero la stessa persona che sono adesso, forse un po’ meno tesa e più pulita. Lavoravo come guardia all’Okefenokee National Wildlife, mi assicuravo che non arrivassero bracconieri privi di scrupoli, questo fino a due anni fa. Poi ho iniziato a lavorare in un bar nella città in cui sono cresciuta».
Ripresi a grattare una macchia di fango che si era incrostata su una manica e mi fermai per asciugarmi la fronte con il dorso della mano.
«Avevo un sogno: arruolarmi nell’Esercito. Ma non l’ho fatto per non lasciare mio padre a casa da solo, quindi ho ripiegato sul piano B e ho aperto un mio negozio di tatuaggi».
Anche se non era proprio ciò che volevo mi sentii comunque soddisfatta. Per me ogni tatuaggio aveva un senso, una storia da raccontare. Ogni tanto capitava che arrivassero persone chiedendomi strani disegni, ma non obiettai mai, non era quello il mio lavoro.
Quelli che avevo io - tranne quello sulla spalla, quello dietro l’orecchio destro e quello all’interno del medio destro – me li ero fatta da sola.
«E oltre a quello sul braccio ne hai altri?» chiese Amy interessata.
«Otto» annuii. «Uno dietro l’orecchio destro» dissi mostrando la chiave di violino raffigurata. «Uno che copre tutto il busto fino alla coscia sinistra, il mio nome in cirillico sul polso sinistro, la data di nascita di mio padre all’interno dell’anulare sinistro, quella di mia madre all’interno del mignolo sinistro, un altro tribale sulla schiena in basso, un orso all’interno del medio destro, e un aquila a due teste sulla spalla destra. Questi ultimi due sono molto significativi nella mia nazione».
Restarono sorprese nel vedere tutti quei disegni dei quali ero molto orgogliosa, Amy in special modo, ma avevo l’impressione che a quella ragazza piacesse tutto. Era sempre felice e sembrava che nulla potesse abbatterla.
«Hai detto che quello sulla spalla e quello sul dito sono importanti nel tuo paese natalo, quindi non sei americana» disse Lori.
«Seriamente, ho la faccia ad americana?» chiesi. «Sono nata in Russia. Quella sulla spalla si chiama aquila bicipite araldica ed è il nostro emblema, proprio come l’orso» risposi con fierezza.
«E prima che me lo chiediate, no. Kate non è il mio vero nome. È Yekaterina, ma a Merle non piaceva così ha deciso di cambiarlo in Kate» continuai e sorrisi.
Anche se era stato lui a trovare il diminutivo per il mio nome usava lo stesso chiamarmi con nomignoli fastidiosi appunto perché sapeva che mi irritavano, quando poi capii che non avrei potuto farci nulla per farlo smettere, accettai il fatto che lui sarebbe stato il mio peggior incubo. In senso buono è ovvio. Presi quel suo modo di scherzare come una specie di dimostrazione d’affetto.
 
«Yekaterina è un nome da pornostar».
 
È questo quello che mi disse un giorno, dopo la mia ennesima protesta sul fatto che avesse cambiato il mio nome che a me piaceva perché era quello di mia madre. Avevo poco più di sei anni e rimasi interdetta da quella parola che mi sembrava così brutta. Non era la prima volta che lo sentivo parlare usando certi termini che mio padre evitava sempre di dire in mia presenza e che non voleva per nulla al mondo che ripetessi, anche se con la crescita presi quel brutto vizio di imprecare come una camionista quando qualcosa non andava nel verso giusto. Alcuni credevano che la mia fosse la brutta influenza dei due fratelli, ma io sapevo che non era così e questo mi bastava.
Dopo che finimmo di lavare i vestiti tornammo indietro, e quando passammo davanti all’accampamento di Merle e Daryl vidi solo il più piccolo dei due, seduto per terra con le gambe incrociate e una corda tra le mani che stava annodando.
Con il cuore in gola mi avvicinai ed entrai nella loro tenda trovandola vuota, nemmeno la sua pistola c’era ed era sparito pure il fucile.
Passai una mano tra i capelli e cercai nei dintorni, convinta che fosse in qualche stato di catalessi o che fosse svenuto per il troppo caldo, ma non lo trovai. Non c’era traccia di lui o del suo passaggio ed io stavo seriamente iniziando a preoccuparmi.
Tornai da Daryl che non si era mosso di un solo centimetro dalla sua posizione,  sembrava ancora più assorto di prima nel suo lavoro e non batté ciglio quando mi vide arrivare.
«Lui dov’è?» gli chiesi.
«Ho consigliato a quell’idiota di farsi un giro viste le sue condizioni» rispose neutro.
Sembrò che la cosa non gli importasse molto, e spalancai gli occhi stupita più per il fatto che lo avesse allontanato nonostante non stesse bene.
«Un giro? Sul serio? Se hai visto com’era avresti dovuto tenerlo qui e tenerlo d’occhio».
«Non sono la sua balia, che si fotta».
«Non sarai la sua balia, ma sei suo fratello. Hai idea di cosa possano fare caldo e droga insieme?».
«Se ti interessa tanto il suo stato perché non vai a cercarlo?» chiese ancora concentrato sulla corda.
Spazientita dal suo atteggiamento gliela strappai dalle mani, obbligandolo così ad alzarsi e guardarmi. Per un attimo mi sentii intimidita di fronte la sua altezza e feci qualche passo indietro, ma poi riacquistai la mia confidenza di poco prima e lo fronteggiai.
«Perché ci ho provato e non lo trovo da nessuna parte».
Si riprese la fune, avvolgendola attorno a un braccio e mi voltò le spalle, facendomi alterare più di quanto non fossi in realtà.
«Prova in città, visto che ti piace tanto quel posto».
Inarcai un sopracciglio, non capendo dove volesse arrivare a parare. Odiavo quando non parlava chiaro, facendomi scervellare per interpretare le sue parole e i suoi malumori.
«Senti, non so quale sia il tuo problema, e se non mi parli non posso nemmeno aiutarti. Ma se sei arrabbiato con me perché vado ad Atlanta sappi che lo faccio perché mandare Glenn da solo sarebbe troppo rischioso».
Mi guardò per qualche secondo e arretrò di qualche centimetro, raccolse la balestra e si diresse verso il bosco senza degnarsi di rispondere.
Lo seguii continuando a chiamarlo senza riuscire a farlo voltare. Anche se lui perseverò nel non calcolarmi, io continuai a parlargli, riuscendo a costruire tre frasi nel giro di mezzo minuto. Solo poche volte mi fermai per prendere fiato prima di ricominciare.
«Ehi! Ascoltami quando ti parlo!».
«Cosa vuoi adesso?».
«Una spiegazione. Perché ti preoccupi per me, poi fai come se io non esistessi e infine mi cerchi perché sparisco per qualche ora?».
«Non avevo di meglio da fare».
Stavo per dirgli di andare a fanculo come avevo fatto con il fratello quella stessa mattina, ma poi mi ricordai delle sue parole e ghignai.
«Non è quello che hai detto ieri».
«Non l’ho fatto perché non volevo ti mettessi a piangere come una poppante».
Sbarrai gli occhi incredula e lo spintonai per sorpassarlo.
«Vai al diavolo, Dixon!».
Prima di riuscire a fare un altro passo, mi afferrò per un braccio e mi spinse contro un albero, tendendomi per l’avambraccio in modo che la mia schiena non urtasse contro il tronco.
«Puoi fare quel cazzo che ti pare della tua vita, ragazzina» disse marcando bene l’ultima parola. «Vuoi andare a morire? Fallo, non sei mai stata una mia responsabilità».
Mi liberò dalla sua presa e si allontanò con una calma innaturale.
Sospirai di liberazione quando non sentii più il suo fiato su di me, ma fu una sensazione che durò poco e che sparì nello stesso istante in cui quella parola iniziò a fischiarmi nelle orecchie. Non mi chiamava più in quel modo da quando avevo sedici anni, e sentirmelo dire ora che ne avevo ventotto mi dava ancora più fastidio.
«Non sono più una ragazzina!».
«Lo sei perché non sei capace di badare a te stessa!».
«Ho passato due settimane da sola prima che tu mi trovassi, sono sopravvissuta…».
«Stavi per morire. Se non ti avessi salvata saresti morta» continuò senza farmi finire di parlare.
«A te che importa?!».
«Mi importa!» rispose urlando.
Sul suo volto si dipinse un’espressione di smarrimento, come se non capisse cosa avesse appena detto o cosa ci facesse nel bosco.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*angolo autrice*
Squillo di trombe per annunciare che per una volta yulen è riuscita a mantenere la sua promessa.
 
Ecco il diciassettesimo capitolo come da programma.
Nonostante il fato mi abbia remato contro, sono riuscita a finire di scriverlo e ora posso pubblicarlo.
Con l’arrivo delle vacanze Natalizie credo che avrò più tempo da dedicare alla scrittura, perciò gli aggiornamenti saranno più frequenti
(o almeno lo spero). Parlo di due, forse tre capitoli al mese, dipende dalla mia vena creativa
e da quanto riesco a scrivere, ma ho già in mente come entrare nella stagione uno che, credo, sarà quella più simile alla serie TV.
Infatti il prossimo capitolo sarà l’ultimo fuori serie, poi inizieremo ad entrare nella storia vera e propria.
Vi saluto e grazie a chi segue questa storia lasciandoci pure un parere e grazie anche a chi la segue da dietro le linee.
Ciao, ciao
 
yulen c:
   
 
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