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Autore: Flowrence    30/11/2014    4 recensioni
Narrandi
carmina
amoris.
( Mikorgan. )
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Morgan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell'autrice.
Inserisco qui le mie note perché ho da spiegare il motivo della mia scelta.
Questa fanfiction era partita come una poesia, fine a se stessa. Invece, leggendo la recensione di ayumi_L (che ringrazio), mi è giunta in mente un'idea che mi piaceva alquanto, perciò eccomi qui a svilupparla.
Si tratta di una Mikorgan ambientata ai tempi moderni, ma entrambi son ragazzi (e perciò un adattamento), ovviamente in Italia (ed è qui che si differisce con il passato di Mika, poiché lui non è mai vissuto, come tutti sapranno, lì, da giovane). Comunque, ho inserito gli altri luoghi che realmente ha visitato, poiché mi è sembrato fattibile e possibile, in tredici anni di vita. ( .. )
Dal momento che la disparità di anni tra l'uno e l'altro era troppo elevata (quando Morgan terminava le superiori, Michael era ancora alle elementari), e dato, perciò, che non è utile ai fini della narrazione, ho preferito dare loro una disparità di solamente tre anni. Morgan frequenta il terzo liceo Classico, perciò è sui sedici anni, e Mika frequenta il primo, stessa scuola.

 


Seduto comodamente sull'erba fresca, dopo una notte di pioggia continua e perpetua, il ragazzo sfoglia un libro.
Poesie. Le ha sempre amate. Con passione, ogni giorno, dopo aver concluso la mattinata a scuola, si dedica a quei tomi. La poesia che ha iniziato a leggere in quel momento è “Tristezze della Luna, di Baudelaire.
Il fanciullo è vestito con una semplice maglia bianca, abbastanza larga e lunga, che contrasta con quel corpo magro. Ha deciso, per quel giorno, di indossare anche un paio di jeans e un paio di converse; abbigliamento classico di un giovane, quale si sente ed è.
Quel giorno Marco ha preferito starsene in solitaria, non dialogare neanche coi suoi amici più stretti, neanche con Andrea. Non ha neppure accettato l'invito ad uscire, in quella giornata autunnale, e il suo gruppo di conoscenti se n'è andato a spasso con un numero minore di persone.
Lui, al parco, rimugina sul senso di quella poesia. Ogni opera cela un senso: a volte nascosto; altre volte palese, diretto, posto alla luce.

Capta improvvisamente un movimento, una figura entra nel suo campo visivo.
Alza lo sguardo, forse è un qualche compagno di classe che l'ha riconosciuto e gli si è avvicinato. Scambierà qualche parola, sorriderà, per circostanza o meno, in dipendenza al soggetto in questione. Oppure, solamente, risponderà con un cenno del capo e tornerà, chino, sulla lettura.
Eppure, ciò che vede toglie tutte e due le possibilità di torno.
Un ragazzo col capo abbassato, le spalle curve, il viso crucciato. Sembra perso nel suo mondo, pare non voler avere nulla a che fare con l'ambiente che gli sta attorno. Non voler condividere nulla con le persone. Per paura? Per diffidenza?
Marco lo osserva, per molto tempo. Rischiando di fare brutta figura, ma non volendo distogliere lo sguardo da quella persona. Ama gli enigmi, quindi rimarrà concentrato sul fanciullo dai ricci scuri finché non svelerà il suo, di mistero. Finché non si farà un'idea sul suo modo di approcciarsi col mondo.
Il fanciullo dall'identità ignota sposta un sasso dal terreno, con la punta delle scarpe da ginnastica. Ciò che stupisce Marco, è il colore. Giallo. Così come tutto il suo vestiario, sono colorate di una sfumatura appariscente. Ciò si discosta col carattere che si è figurato fino a quel momento: come può essere timido, se i suoi abiti destano, probabilmente, l'attenzione di molta gente?
Il soggetto che Marco sta esaminando alza lo sguardo, anch'egli, verso la figura altrui. Vi è un contatto visivo, in cui ognuno analizza l'altro, volendo quasi scavare dentro l'anima, scoprendone i pensieri, le emozioni del momento.
Marco lo vede alzare un sopracciglio, poi avvicinarglisi.
Cazzo. Si ritrova a pensare, non sapendo come comportarsi.
Fissare la gente, per alcune persone, è fastidioso. Che lo sia stato anche per quel ragazzo enigmatico?
“Ehm, ciao.” Prende parola, Marco, quando lo vede ormai fin troppo vicino.
Altri quattro passi e quella figura si sarebbe scontrata contro la propria, creando un contatto fisico. Ma l'altro fanciullo non ha voglia di compierli, e Marco glien'è grato. Niente contatto fisico, niente violenza: qualcuno, avrebbe potuto innervosirsi per quello sguardo fisso ed insistente. I classici bulli, ad esempio. E non che Marco non sappia difendersi, ma non ha voglia di alzare le mani, quel giorno.
“Ciao.” Risponde l'altro, catturando ancor di più l'attenzione dell'italiano. Ha una pronuncia strana, sembra straniero.
Inclina il capo di lato, Marco, alzando le sopracciglia di poco.
“Da dove provieni?” Gli domanda, incuriosito.
“Sono libanese.” Di poche parole, le essenziali; potrebbe aggiungere che suo padre è americano, per questo si chiama Michael, ma perché dirlo a quel ragazzo? Cosa può interessargli? E poi, non lo rivedrà più. È inutile aprirsi con una persona che non incrocierà più per il suo cammino. Inoltre, è divenuto, ormai, diffidente verso la gente. Perché con lui dovrebbe essere differente?

“Hm. Comunque, piacere, mi chiamo Marco.” Si presenta, allungando le dita verso l'altro, affinché costui possa stringerle. Un contatto fisico, è così che comincia la gran parte dei rapporti: un contatto più espansivo delle semplici e fredde parole, un contatto che unisce due anime meglio di quanto queste possano permettere.
Il fanciullo esita. L'unico contatto fisico che ormai conosce, dagli sconosciuti, sono pugni e schiaffi; può fidarsi? Ma poi, mentre sta ancora rimuginando sul da farsi, la propria mano s'allunga verso l'altra. Come se avesse vita propria, come se non fosse il ragazzo a controllare i propri arti, i propri movimenti.
“Michael.” Si presenta a propria volta, pronunciando quel nome con decisione. È fiero del suo nome, è da quello che è nato il suo soprannome, Mika. Se non si fosse chiamato così, gli sarebbe mai giunto alla mente?
Una strana luce attraversa lo sguardo di Marco e muta l'atmosfera, poiché anche l'altro se ne accorge. Michael.
“Co-cosa leggi?” Gli chiede, balbettando. S'è vergognato, e probabilmente è stato peggio, perché al balbettio si sono aggiunte anche le gote, alle quali il sangue è affluito.
“Oh, poesie.” Risponde, muovendo la mano in un largo gesto, che vuol dire tutto, che vuol dire nulla.
“Piacciono anche a me.” Ammette Michael, poggiandosi contro la rete che delimita il parco dalla stradina, poco distante dall'albero contro il quale sta ancora Marco.
“Oh, davvero? E qual è la tua preferita?” S'informa, lanciandogli uno sguardo sorpreso. Solitamente, le poesie non sono tanto apprezzate, ché la gente a malapena legge dei racconti in generale, figuriamoci delle opere in cui v'è da riflettere, in cui parecchie opinioni sono celate tra le parole, a volte perfino tra gli spazi tra una lettera e l'altra.
Allora, di Pascoli.” Mormora, lo sguardo per un attimo si fa vuoto, perso. E il ragazzo prova a ricordarsi alcune frasi. È la poesia che più sente affine a sé, seppur ve ne siano delle altre che apprezza particolarmente, anch'esse molto coinvolgenti.
'Giovanni Pascoli' sillaba Marco, col sorriso ad alzargli gli angoli delle labbra.
“Non male, ragazzino.” Approva.
Michael, a quel soprannome, accenna un lieve sorriso. Timido. “Non sono piccolo.”
“Ah, no? E quanti anni hai?” Si volta verso l'altro, scrutando il suo fisico. Coetaneo? No, o almeno non sembra. Escluderebbe anche l'idea che si passino solamente un anno.
“Ho tredici anni.” Esclama, mentre Marco scuote il capo, sorridendo.
I soliti bimbi che affermano di essere grandi.
“E tu?” Gli chiede, incuriosito da quei gesti. Possibile si passino tanti anni?
“Sedici.” Tre anni in più.
Le superiori, quindi. Si ritrova a pensare Michael, scrutandolo attentamente. Ora, vuole scoprire quale scuola frequenti: da ciò, si può comprendere il tipo di mentalità di un individuo. Ma anche da quelle poche parole che si sono scambiati può restringere il campo. Sembra portato per la letteratura, perciò... “Classico?”
Marco gli lancia una veloce occhiata, sorpreso. Come ha fatto ad indovinare subito? Solitamente, la gente non pensa a quel liceo; è l'ultimo istituto di cui si ricorda.
“Esatto.” Conferma, tornando a guardare il libro, che giace ancora, abbandonato, tra le sue mani. Ne carezza il dorso col pollice, tastando la liscia copertina. “Tu, invece? Quale scuola fai?”
“Anch'io.” Sorride. Chissà che non siano nello stesso istituto e non si siano mai incontrati: dopotutto, Michael frequenta quella scuola da davvero poco tempo, non parrebbe strano non essersi mai guardati, neanche di striscio.
Sta per aggiungere qualcosa, Marco, quando gli vibra il cellulare in tasca. Lo sfila da essa e lo prende in mano; un messaggio. Sua madre che gli chiede dove sia, per poter giungere a prenderlo. Tuttavia, Marco è vicino a casa sua: camminerà, piuttosto che scomodarla.
Risponde, quindi si aiuta con una mano ad issarsi in piedi, allontanandosi dal terreno, e stringe la raccolta di poesie di Baudelaire, lasciando che la mano si stendi lungo il fianco, in una posizione morbida e comoda.
“Bene, io devo andare.” Afferma, scrutando per un'ultima volta il fanciullo, e venendo ricambiato. “Ci si vede in giro, hm?” Se Michael è un abitudinario frequentatore del posto, probabilmente si incroceranno più avanti, anche solo di vista. Oppure, se scopriranno di trovarsi nello stesso istituto... beh, ancora meglio, per approfondire la conoscenza.
“Aspetta...” Lo ferma il ragazzo, quando l'italiano sta ormai fuori dal parco. Pochi secondi più tardi e non sarebbe riuscito a interrompere la sua lenta camminata, ché non sarebbe stato udito. “Qual è il tuo numero di telefono?” Insomma, Michael non si confida con una persona per poi rischiare di non incontrarla più.
Marco sembra per un attimo stranito, o forse è solo un'impressione altrui. Si ferma, estrae un blocchetto degli appunti che porta sempre con sé e una penna, scrive qualcosa, velocemente. Poi, torna sui suoi passi e gli consegna un foglietto, da dietro la rete. “Ecco.”
E, mentre Michael sta leggendo il numero, l'italiano sparisce dalla vista altrui, con un cenno della mano e un saluto borbottato.

   
 
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