Comincia a
girarmi la testa in quella posizione.
Quasi che
avesse già predisposto tutto che sarei venuto io a fare
irruzione. Ma il
profilo dice il contrario.
Riesco
finalmente ad identificare quello che sembra un coltellino nelle sue
mani, che
spostandomi mi acceca per qualche secondo con il riflesso del sole.
Già.
Vedrò
il
sole ancora una volta?
Vorrei
averlo notato più spesso, a fermarmi per strada e pensare
“Quant’è bello il
sole”, ma nessuno ci pensa mai.
Il mio
dolore passa dalla testa al viso, quando muovendo il coltellino sul mio
zigomo
sinistro affonda la lama nella mia pelle spingendo verso il basso,
facendo
colare del liquido scarlatto lungo il lato sinistro del viso.
Il non
poter urlare di dolore è una forma di sofferenza in
sé, ma le mie corde vocali
essendo parzialmente paralizzate riescono solo a far uscire qualche
gemito,
poco udibile dato i muscoli delle labbra addormentati.
Invece che tagliuzzarmi un altro po’,
scrive
qualcosa sul muro che non riesco a leggere, con lo stesso sangue che
continua a
scivolare sul mio mento e a creare piccoli cerchietti rossi sul
colletto della
mia camicia.
La mia
angoscia sale quando, sforzandomi a ricordare qualcosa sul profilo,
ricordo che
questa non era la parte peggiore.
I corpi
delle tre vittime erano stati ritrovati con varie cicatrici da scosse
elettriche.
Non vedo
più l’S.I.
Non riesco
neanche pensare
come si deve, come se,
insieme alla parte destra del mio cervello, si fosse paralizzata anche
la
sinistra.
Prego in
silenzio, che non abbia degli scatti d’ira, come è
successo con Marylin Dana,
la seconda vittima, trovata con lividi
su tutto il corpo dovuti ad attacchi di isteria dell’
assassino.
Passati 5
minuti.
Magari i
prossimi minuti fossero così facili.
All’improvviso
sento freddo al petto ed al collo, e mi accorgo che con il coltellino
ha fatto
saltare i primi due bottoni e adesso si è allontanato.
Il freddo
sparisce all’improvviso, sostituito da un caldo
insopportabile accompagnato da
un suono acuto e dall’odore di pelle bruciata.