Masquerade
- Capitolo quattro -
I’m not a morning person
- Allora,
com'è andato il primo giorno di scuola? - Le domandò amorevolmente la zia,
porgendole un piatto di pasta. C.C. guardò distrattamente la cena, chiedendosi
se fosse il caso di raccontare la verità: "Salvo essermi messa contro il
figlio più viziato e infantile dell'Imperatore, direi…"
- Tutto a posto. - Intuendo che il loro silenzio e i loro sguardi attenti fossero
un invito a proseguire, la giovane trattenne un sospiro esasperato e finito il
primo boccone, continuò. - I professori sono all'avanguardia, stesso si può
dire dei loro metodi. Inoltre non manca nulla in quella scuola, credo che sia
davvero la migliore in tutto il Giappone, se non in tutta la Britannia. - Aggiunse,
cercando di rispondere a tutte le loro domande anche se in realtà sapeva bene
di non aver soddisfatto la loro richiesta principale.
- E gli
alunni, come sono? - Chiese lo zio. - Sono stati gentili con te? Hai fatto
amicizia? - La speranza era evidente nel tono di voce quanto nello sguardo
preoccupato, non si rese nemmeno conto di aver appoggiato la mano su quella
della moglie.
- Mi hanno
accolto bene. Nonostante tutti loro siano dei ragazzini viziati, c'è ancora qualcuno
di umano fra loro. - Gli rispose, pensando ad alcuni dei membri del consiglio.
- La presidentessa del consiglio studentesco mi ha invitato a fare parte del
suo club.
- E' una cosa
splendida! - Commentò la zia, iniziando finalmente a mangiare e insieme alla
nipote e al marito. Inutile mentire a loro stessi: avevano mandato C.C. a
scuola con molto timore. Sapevano bene che era una ragazza molto particolare a
causa del passato difficile che aveva avuto e temevano che i ragazzi avrebbero
potuto essere crudeli con la nuova arrivata; certo, la giovane avrebbe saputo
difendersi e non avrebbe permesso a nessuno di prendersi gioco di lei. Ciò che
li preoccupava maggiormente era l'effetto che tale isolamento potesse provocare
sulla sua solida ma tormentata anima che prima o poi, devastata da così tante
tempeste, si sarebbe infranta, distruggendo con essa la massiccia maschera che
era abituata ad indossare. Ogni giorno per C.C. si ripeteva la stessa storia:
il noioso suono della sveglia la destava dal suo sonno e, prima ancora di
formulare anche il più piccolo pensiero, ancora prima di aprire gli occhi,
nascondeva la sua vera essenza dietro una pesante maschera impenetrabile, per
poi alzarsi e vestirsi d'indifferenza: era così pronta per il ballo in
maschera. Se fosse così forte da essere conscia di ciò che faceva, i suoi zii
non lo sapevano ma non osavano chiedere per timore ad allontanarla ancora di
più: avevano così deciso di attendere finché non sarebbe stata lei a domandare aiuto,
ad aprirsi, a mettere via quella maschera e quell'abito che pesavano troppo sul
suo esile corpo. Ma più passavano i giorni, più realizzavano che forse quel giorno
non sarebbe mai arrivato.
- Però, non
l'avrei mai detto che avevi un animo organizzativo!
- Mai avuto
infatti. - Puntualizzò la ragazza, sorseggiando la sua bibita gassata. - Lo
faccio per la pizza.
- Pizza? - I
loro volti confusi fecero sorridere divertita C.C. che annuì.
- I membri
del consiglio studentesco hanno sconti e buoni pizza da Pizza Hut! - I due adulti la guardarono e, dopo alcuni attimi di
silenzio, scoppiarono in una fragorosa risata. La nipote corrugò la fronte: che
cosa c'era di divertente nella pizza?
- Oh, C.C.! -
Sentì parlare la zia fra una risata e l'altra. - Sapevo che il tuo piatto
preferito fosse la pizza ma, voglio dire, non immaginavo a tal punto! - La
ragazza aggrottò le sopracciglia, insicura del significato di tali parole: cosa
c’era che non andava nel mondo, perché nessuno riusciva a comprendere il suo
amore incondizionato per la pizza?! Non c’era altra spiegazione: lei
apparteneva a una razza particolare di esseri umani, probabilmente solo pochi altri
eletti erano come lei ed era suo compito scovarli e portare nel mondo il verbo
della pizza. Prima di intraprendere un simile viaggio però, doveva finire
almeno la scuola. Così, non appena ebbe finito la cena ed aiutato la zia con i
piatti, si diresse in camera sua, pronta a dedicare tutta se stessa allo
studio; al contrario della maggior parte dei suoi coetanei infatti, C.C. era
conscia di quanto fosse fondamentale la conoscenza nella vita di tutti i
giorni: chi sapeva aveva più possibilità di poter chiudere la bocca alla gente
e di vincere ogni discussione avendo la piena ragione, ma non solo. Buoni voti,
nella casa degli zii, erano soprattutto sinonimo di una piccola parolina
magica: pizza.
Sì svegliò di
soprassalto, come se fosse stato risvegliato nel bel mezzo di un incubo.
Guardandosi intorno notò le tende bordeaux ancora chiuse, chiaro segno che
fosse ancora presto. Si gettò nuovamente sul letto e incollò gli occhi sul
tetto dell’antico letto a baldacchino che nei secoli era divenuto parte della
reggia imperiale; chiuse gli occhi e provò a riaddormentarsi ma la sua mente
continuava a macchinare diversi e confusi pensieri, impedendogli di riprendere
sonno. Dandosi per vinto, Lelouch si alzò e lanciando una rapida occhiata all’orologio
sul comodino, si accorse di come fosse ancora spaventosamente presto. Per un
ragazzo che solitamente si svegliava alle 07:30 del mattino, le sei e mezza significavano
notte fonda, nei weekend addirittura il suo orologio biologico cambiava
repentinamente, invertendo gli orari, dormendo quindi tutto il giorno e
svegliandosi la sera per godersi i piaceri oscuri che la notte celava nel suo
manto stellato. Deciso però a non perdere la giornata, il giovane principe
britanno si diresse in bagno e dopo essersi assicurato che l’acqua della doccia
fosse calda abbastanza da scottargli leggermente la pelle, si svestì ed entrò
in doccia ma neppure così riuscì a liberarsi dalla strana sensazione che lo
aveva destato e che sembrava non voler scomparire. Mezz’ora dopo, ormai
cambiato e profumato, uscì dalla stanza in direzione del gran salone dove lo
attendeva il momento più gioioso della giornata: la colazione con l’imperatore.
Giunto nei pressi del salone Lelouch, che fino ad allora aveva mantenuto
un’andatura e una postura degna di un figlio di Britannia, improvvisamente
s’irrigidì. Era tutto troppo tranquillo, c’era decisamente qualcosa che non
andava. Non appena i maggiordomi lo videro arrivare gli furono aperte le porte:
vide solo ombre sedute a tavola giacché il sole, che quella mattina come la
mattina precedente sembrava essersi levato più alto e spendente del solito, gli
batteva direttamente sugli occhi ametista, impedendogli di vedere bene. Il
tavolo, lungo abbastanza da poter contenere tutti i figli di Britannia con le
loro rispettive madri, come ogni mattina era decorato da diversi vassoi d’argento
contenenti ogni tipo di pietanza, dai diversi tipi di pane, brioches, focaccine
e pizzette a salcicce e bacon, per passare a muffin, pregiati macaron francesi, torte di ogni colore e sapore per
concludersi poi con la miglior frutta di stagione del regno. Ciò che non riusciva
mai a spiegarsi tuttavia era come fosse possibile che ogni mattina
quell’appetitoso banchetto si rinnovasse giacché nulla veniva mai buttato: chi
consumava tutto quel ben di Dio? Certo, era pur vero che spesso, al momento
della merenda o della cena molti di quei pasti venivano riproposti come
contorno, ma comunque non gli era chiaro. Una volta la madre gli aveva
accennato il fatto molto di quel cibo, se intoccato, veniva poi condiviso con
la servitù la quale, se non la consumava nel posto di lavoro, era libera di
portarsela a casa. All’inizio Lelouch pensò che fosse abbastanza plausibile
come idea, si rese ben presto conto però che, a meno che la servitù non fosse
composta in numero eguale all’ammontare di persone per cui quel cibo era pensato,
nemmeno loro sarebbero stati in grado di poter consumare tutto quel cibo e
negli ultimi anni, la domanda era sorta spontanea: non poteva essere che la servitù
stessa si occupasse di preparare una quantità così ingente di cibo solo per
assicurarsi la propria razione giornaliera in casa per loro e le loro famiglie,
vero?
- Buongiorno
tesoro. - La voce gentile della madre arrivò alle sue orecchie come una dolce
melodia; nonostante gli anni passati insieme, ancora si domandava come potesse
una donna come lei essersi innamorata di un uomo come suo padre. Spesso
preferiva pensare che dietro a quel sorriso d’angelo e quegli occhi limpidi,
sua madre nascondesse una natura arrivista e manipolatrice, preferiva non
credere che un soggetto come Charles potesse essere amato da una donna.
- Madre,
siete più splendente del sole stesso. - Vide seduta al lato opposto la sorella
e, incapace di trattenere il sorriso genuino che si fece strada sul suo volto, la
raggiunse. Sostenendosi sulle sue ginocchia, si abbassò all’altezza della
principessa di cui baciò la guancia. - Buongiorno Nunnally.
- Buongiorno
a te fratellone! - Lo salutò entusiasta l’ultima figlia di Britannia,
stringendo le mani del ragazzo fra le sue. - Come mai così mattiniero oggi?
- Ah, mi sono
semplicemente svegliato prima. - Rispose, prendendo posto a sinistra del
capotavola.
- Lelouch… - Marianne
rivolse uno sguardo preoccupato al figlio, invitandolo a guardare alla sua
destra.
- Madre? - Il
giovane ignorò del tutto l’avvertenza della donna, cominciando a servirsi. -
C’è forse qualcosa che…
- E’ inutile
Lelouch. - L’interruppe una voce maschile. - Per quanto tu possa ignorarmi, non
puoi ignorare il fatto di essere mio figlio. - Il ragazzo girò il capo e,
incontrando lo sguardo severo dell’imperatore, assunse una finta espressione
sorpresa.
- Padre!
Quando siete arrivato? - Domandò, assumendo quel finto sorriso che sin da
bambino aveva riservato a quell’uomo autorevole. - Perdonatemi, non Vi avevo
visto. A quanto pare solo il sole può oscurare la Vostra imponente figura… -
Aggiunse ironico, servendosi del the verde. L’aria, sino ad alcuni istanti
prima pacifica e famigliare, divenne densa e quasi irrespirabile in particolare
per Nunnally, la quale aggrottò preoccupata le sopracciglia, pregando
silenziosamente affinché entrambi gli uomini più importanti della sua vita non
iniziassero uno scontro armato di prima mattina.
- Tu lo voglia
o no, sei mio figlio. - Continuò il padre, non dando peso alcuno alle parole
del più ribelle dei suoi figli. - E come tale hai degli obblighi da assolvere.
Non m’interessa se sei d’accordo o meno, non m’importa se ti piace o no, come
mio figlio tu farai ciò che io ti dico. - La voce forte del padre risuonò
solenne nella stanza e rimbombò con prepotenza nella testa di Lelouch, il quale
udiva tale frase ripetersi più volte, creando un eco che per un momento lo scombussolò.
- Se fosse
umanamente possibile, ti assicuro che farei rimuovere ogni singola cellula,
goccia di sangue e parte di DNA presente nel mio corpo che proviene da te. - Controbatté
Lelouch, assicurandosi di trasmettere nella frase tutto l’astio, la rabbia e il
ribrezzo che provava per il padre. L’imperatore si adirò e, alzandosi dalla
sedia, fece per colpire il figlio.
- Tu, piccolo
insolente…
- Charles,
amore mio, calmatevi! - Lo fermò la moglie, tenendo fermo il braccio alzato del
marito. - Lelouch, chiedi scusa a tuo…
- Mai! -
Urlò, colpendo il tavolo con i pugni serrati e alzandosi a sua volta. - Potrai
anche essere l’incubo di tutti i tuoi sudditi e dei tuoi nemici, ma per me non
sei altro che un vecchio assetato di potere e con un incurabile complesso di
Dio! - Charles, fino ad allora adirato, lentamente si ricompose e tornando a
sedersi rise, mentre la sua famiglia lo osservava perplessa. - Cosa c’è
vecchio, ora sei diventato pure paz…
- Lelouch vi
Britannia. - Autoritario come solo l’imperatore sapeva essere, la sua voce
acuta zittì il figlio e provocò un forte senso di inadeguatezza in tutti i
presenti. - Figlio mio, mi somigli più di quanto tu non voglia ammettere. - Il
giovane indietreggiò di scatto, facendo cadere la sedia dietro di se.
- Che cosa vai
blater…
- Rimproveri
me per la mia sete di potere ed il mio complesso di Dio quando tu per primo sei
così. - Continuò, ingaggiando una guerra di sguardi che sapeva aver vinto in
partenza. - Credi forse che non sappia quanto segretamente brami prendere il
mio posto un giorno? Credi forse che io non sappia di cosa saresti capace pur
di divenire imperatore di Britannia?
- E’ un posto
che mi spetta di diritto! - La risata del padre accese in lui un fuoco
indomabile, un fuoco che da anni ormai divampava in lui e che ancora non era
stato capace di domare, fuoco che in passato gli aveva già causato innumerevoli
problemi perché l’unico modo per spegnere, seppur temporaneamente,
quell’incendio di emozioni, era attraverso il compimento di atti illeciti che
gli avevano arrecato non pochi problemi giudiziari.
- Sì, ti
spetta di diritto! - Convenne il padre, cogliendo di sorpresa il moro, sorpresa
che tuttavia svanì nell’istante stesso in cui l’imperatore mostrò la sua
espressione. - Ma ti spetta come diciassettesimo in linea di successione.
Diciassette sono un bel numero di persone da scavalcare persino per te…
Lelouch. - Il viso del giovane si contorse in un’espressione di rabbia pura, i
denti digrignati dall’impotenza. Strinse i pugni, deciso ad avvelenare
quell’uomo con le sue parole una volta per tutte ma un suono metallico lo
distrasse; con la coda dell’occhio vide il volto spaventato della sorella, le
mani consunte in una preghiera. E seppur nemmeno la presenza della sua adorata
sorella fosse sufficiente a calmare quel urgano di emozioni che lo travolgeva,
decise di calmarsi e non provocare ulteriori dissidi nel cuore dell’ultima
Principessa di Britannia, da sempre in conflitto a causa dei sentimenti che
provava nei confronti di entrambi gli uomini che più amava.
- Io non sono
come te. - Il tono si abbassò leggermente, prendendo la frase il suono di un
sussurro intriso d’odio. - Io sono migliore di te. E un giorno avrò la tua
testa! - Uscì di scatto dalla stanza e, senza dare nemmeno il tempo ai
maggiordomi di eseguire le dovute cortesie, sbatté i portoni che aprì con tutta
l’adrenalina che gli scorreva in corpo. Giunto dinnanzi alla limousine nella
quale era già stata riposta la sua cartella, si gettò sui sedili anteriori,
ancora furente di rabbia.
- A scuola. -
Ordinò, stringendo i pugni. L’autista, sorpreso da tale richiesta, si mostrò
titubante.
- Sua
altezza… - Il principe lo fermò con un gesto della mano, chiudendo gli occhi e
strofinandosi le tempie.
- Peter fa
come ti ho richiesto, per favore. - Notando nella voce del ragazzo il
caratteristico tono esausto e rassegnato che prendeva in seguito ad un
confronto con l’imperatore, l’uomo decise di non intromettersi e portarlo a
scuola. Dopo un lungo sospiro, Lelouch appoggiò la testa sul finestrino e
socchiuse gli occhi, cercando di scrollarsi di dosso quella strana sensazione
di essersi dimenticato qualcosa d’importante che lo perseguitava sin da quando
aveva aperto gli occhi mentre il suo autista, vedendo il principe ribelle con
una pessima cera, si domandò quale fosse l’affanno di andare a scuola così
presto il giorno in cui le lezioni sarebbero iniziate un’ora dopo.
Percorrendo
lo stesso corridoio che aveva attraversato il giorno precedente, si domandò se
non avesse sbagliato edificio, tuttavia era del tutto sicura di trovarsi nel
posto giusto. Mantenendo il passo felpato, si avvicinò all’aula che quella
mattina sembrava essere stranamente silenziosa. Non era mai stata una ragazza
mattiniera e puntuale a meno che non fosse per qualcosa di estremamente importante
- come la pizza ad esempio. Non potete capire cosa significasse la puntualità
quando si trattava di ricevere la pizza che, se fosse arrivata con 20 minuti di
ritardo, sarebbe divenuta gratis, permettendole di mangiarne due. Avvicinandosi
sempre di più alla sua destinazione, si domandò se non avesse letto male
l’orario: le lezioni avevano inizio ogni mattina alle 08:30 e lei, da alunna
diligente quale era, era uscita di casa alle 08:20, conscia che la camminata
richiedesse ben più di dieci minuti giacché solo cinque erano quelli necessari
a raggiungere l’edificio dall’ingresso principale. Presupponendo che fossero le
08:40, C.C. si fermò a pochi passi dalla porta ma non udì nulla, solo il
ticchettio delle lancette dell’orologio fissato sopra la lavagna. Forse le
lezioni iniziavano formalmente alle nove? Eppure la mattina precedente… Senza
porsi ulteriori domande, entrò nell’aula che trovò vuota tranne che per la
presenza di un ragazzo dai lisci capelli scuri che, perplesso quanto lei, aveva
lo sguardo fisso sui banchi vuoti. Il giovane, vedendo la coetanea entrare, alzò
un sopracciglio.
- E’ forse
opera del consiglio studentesco? - Le domandò, incrociando le braccia e appoggiandosi
sulla cattedra. La compagna, occupata a scrutare l’aula con l’intenzione di
trovarvi un qualche segno che spiegasse la situazione, ignorò completamente il
principe che ridusse gli occhi a due fessure. - Si può sapere che…
- Se pensi
che stando in piedi con quella faccia da pesce lesso avrai la risposta che cerchi,
fai pure. - Senza nemmeno incrociare il suo sguardo si voltò in direzione della
porta. - Ma non immischiarmi nella tua stupidità. - Lelouch, che quella mattina
aveva sopportato fin troppo, fermò la ragazza stringendole con forza il polso, obbligandola
a voltarsi e guardarlo negli occhi. Incontrando per la prima volta i suoi occhi
a pochi metri di distanza, iniziò fra loro una violenta danza di sguardi fra
loro uguali e contrapposti: quelli viola di lui impregnati di troppi sentimenti
confusi, nonché riflesso della stanchezza di chi combatte una guerra senza fine
da molto tempo, e quelli miele di lei, impenetrabili e sicuri sotto quella
barriera di indifferenza che la caratterizzava da tempo immemore. Entrambi con
un’unica grande caratteristica in comune: raccontare la storia di un mondo
sconosciuto. Resosi conto della forza che stava esercitando sul suo polso,
Lelouch sciolse la presa.
- Hai
qualcosa che mi appartiene. - Affermò, mettendosi le mani in tasca. -
Ridammelo.
- Eri troppo
occupato a ribellarti a mamma e papà mentre ti insegnavano le buone maniere?
- Non ho
intenzione di chiederti per favore, tu mi hai ruba…
- Io non ti
ho rubato proprio niente. - Lo interruppe, abbandonando il peculiare tono
sarcastico e sfidandolo con lo sguardo, seria ed impassibile. - L’ho trovato
per terra e l’ho raccolto.
- Sai che mi
appartiene, altrimenti ieri non me l’avresti mostrato a lezione.
- E chi dice
che stavo guardando te e non il ragazzo davanti a te? - Ormai prossimo a
perdere la pazienza, Lelouch chiuse gli occhi.
- C.C.!
- Oh, siamo
passati a chiamarci per nome? - La ragazza si avvicinò piano a lui, le mani unite
dietro la schiena e il capo leggermente piegato. Ma ciò che lo rese inquieto
furono quei suoi grandi occhi dorati e quel sorriso malizioso che ne
illuminavano il volto: c’era in lei qualcosa di strano, qualcosa di così
sconosciuto e allo stesso tempo così conosciuto che lo attraevano. Quel suo
irritante atteggiamento, quell’indifferenza con la quale parlava, quel suo modo
così distante e contemporaneamente così intim... Di
ragazze ne aveva conosciute molte, le aveva anche avute tutte, non una sola era
mai riuscita a scappargli dalle mani; eppure C.C. era un enigma, un enigma che
non era ancora riuscito a risolvere e che aveva la sensazione non sarebbe mai
riuscito a comprendere. La sua voce lo distolse nuovamente dai pensieri.
- Da quando
in qua così tanta confidenza… Lelouch?
- Il viso della ragazza era ormai a pochi centimetri dal suo. Sogghignò divertito
nel sentire pronunciare il proprio nome con un simile tono, fra il provocatorio
e l’ironico, per un momento pensò che probabilmente nessuno avrebbe mai
pronunciato così il suo nome, troppo spaventati dal titolo che lo affiancava.
C.C. alzò piano la mano e, allontanandosi dal castano, gli mostrò l’accendino
che tenne sospeso fra l’indice e il medio ma prima che potesse far un ulteriore
passo indietro, sentì una forte pressione sul polso che le cancellò il sorriso.
- Non avrei
mai detto fossi una legata alle buone maniere. - Commentò Lelouch, facendo
attenzione a non farle del male. - Inoltre… - Continuò, togliendogli
l’accendino dalle dita con la mano libera. - ...Non ci hai detto il tuo
cognome. Il tuo nome è quindi l’unico modo che ho per rivolgermi a te. - C.C.
fece per rispondere ma vide qualcosa che le fece leggermente corrugare la
fronte. Il moro, incuriosito, ne seguì lo sguardo e realizzò cosa stesse
guardando così intensamente: la lavagna coperta dal suo solito telo bianco. Che
non ne avesse mai visto uno prima? Prima che potesse realizzarlo però la
giovane sciolse la presa e si diresse piano verso la cattedra.
- C’è
qualcosa lì…
- Si chiama
lavagna. - Ironizzò, appoggiandosi ad un banco e piegando le braccia. Divertito
dalla situazione, continuò. - Non dirmi che non ne hai mai… - Decisa che i
gesti l’avrebbero zittito meglio di qualsiasi parola, C.C. alzò il telo che
copriva la grande tavola verde e gli occhi di entrambi si spalancarono,
trovando la risposta alla loro domanda: scritto in caratteri cubitali -
probabilmente era opera di Rivaltz vista la grafia, lessero “La classe domani
entrerà alle ore 09:30”. Rimasero in un silenzio stagnante per qualche minuto, momenti
nei quali le lori menti si erano staccate dal corpo ed avevano iniziato un
viaggio indietro nel tempo per poter ricordare in che momento si fossero persi
una simile comunicazione. C.C. dal canto suo si sorprese, era stata abbastanza
diligente per tutta la lezione, oltre ad aver disegnato tanti piccoli Cheese-kun e pezzi di pizza era sicura di aver preso
appunti di tutto ciò che aveva detto il professore; Lelouch dal suo canto
invece si soprese per il fatto che nessuno dei suoi amici lo avesse avvisato.
Come al solito non aveva seguito la lezione ma d’altronde, non era una novità,
non ne aveva bisogno; eppure in passato i suoi amici si erano preoccupati di
informarlo riguardo a queste cose, che fosse una specie di strategia per
indurlo a prestare attenzione? Ciò che lo sorprese ancora di più fu il fatto
che Shirley, nei suoi innumerevoli messaggi, non avesse avuto la premura di
“ricordarglielo”. Sospirò esasperato: l’unica occasione in cui si sarebbe
potuta mostrare utile, si era dimostrata completamente inutile. Scosse piano la
testa e si diede un leggero colpo sulla fronte e vedendo C.C. ancora ferma
davanti alla lavagna, ghignò.
- Non dirmi
che non sai leggere.
- Non dirmi
che il colpettino che ti sei appena dato sulla fronte ti ha reso più stupido di
prima. - Gli rispose a tono, continuando a dargli le spalle. - Ti facevo meno
stupido di così.
- Non
parlerei tanto se fossi in te, dopotutto non sono il solo a non essersi
ricordato che oggi si entrava un’ora dopo. Ti facevo più furba di così! - La ragazza
si voltò e, guardandolo - palesemente annoiata, dritto negli occhi per qualche
istante, si chiese se davvero un simile soggetto fosse uno dei possibili eredi
al trono di Britannia. Un po’ più di originalità nelle risposte almeno, no?
Risolvendo che l’indifferenza fosse la miglior risposta per un tipo come lui in
costante ricerca di attenzione, C.C. si diresse nuovamente verso la porta ma una
voce irruppe con violenza nell’aula, frantumando i timpani di entrambi i
ragazzi che si portarono le mani alle orecchie.
- Lelouch!
Oh, eccoti! - Prima che potesse realizzare cosa stesse accadendo, il moro sentì
due braccia avvolgerlo con forza mentre una testa colpì piano il suo petto,
provocandogli un leggero fastidio. Abbassando lo sguardo vide una familiare
testa arancione i cui capelli erano raccolti da un laccino verde in una mezza
coda.
- S-Shirley?!
- Oh,
Lelouch! - Urlò nuovamente lei, allentando la presa ma sprofondando la testa
sempre di più nel suo petto. - Perché non mi hai detto che saresti venuto a
scuola? Sarei venuta anch’io con te! - Ancora troppo scioccato dall’essersela
improvvisamente trovata fra le braccia, al Principe di Britannia non rimase
altro che chiederle come fosse giunta fino a lui.
- Shirley ma…
Tu come hai fatto a sapere che ero qui? - Alzò un sopracciglio e, scrutando la
ragazza, cercò di capire se negli anni fosse divenuta un’indovina o se si fosse
segretamente arruolata nel FBI o nella CIA e avesse da loro imparato le
migliori tecniche d’inseguimento: certamente si era dimostrata una perfetta
stalker, conosceva ogni sua singola mossa, aveva memorizzato le sue abitudini e
aveva imparato a prevederlo come forse solo Charles era capace di fare. Alle
volte temeva che ogni qual volta lo toccasse fra le sue mani nascondesse delle
cimici o dei GPS per poter spiarlo meglio… L’idea lo fece rabbrividire e non
poté evitare di allontanare leggermente la ragazza da se per poter cercare un
qualche segno che valorizzasse la sua tesi.
- Ecco, io… -
La vide arrossire e in quello stesso momento si pentì di averglielo chiesto.
Sospirò, pronto a sentire la sua lunga quanto noiosa avventura mattutina. - Sì ecco,
essendo che oggi entravamo un’ora dopo ho pensato che… Sì, sai, siccome siamo
fidanzati ho pensato che sarebbe stato bello fare colazione insieme! Non da te
chiaro, so bene che la situazione sarebbe alquanto scomoda. Quindi, sì, ecco…
Ho pensato che sarebbe stato bello fare una specie di picnic-colazione! Ho
preparato tutto io con le mie stesse mani e solo ed unicamente le tue cose
preferite! Così saremmo potuti stare da soli tu ed io, ormai è tanto che non… -
Nel sentire menzionare il fatto di essere soli, Lelouch alzò di scatto gli
occhi verso la porta ma trovò l’uscio vuoto. Di lei era rimasto solo il profumo
che ancora impregnava l’aria con prepotenza, lasciandogli un messaggio con l’intenzione
di fargli sapere che non era ancora finita: il loro gioco era appena iniziato.
Mettendosi in tasca il suo accendino il moro rise divertito, stupendo la
fidanzata. Se lei si sarebbe occupata di rendergli la vita un inferno, lui si
sarebbe occupato di scovare tutti gli scheletri che la ragazza aveva nascosti e
avrebbe preso l’impegno di distruggerli uno ad uno, distruggendo con essi quel
sorriso da stregatto che gli faceva bollire il
sangue. Avrebbero giocato a distruggersi. Ma ciò che la nuova arrivata non
sapeva, era che Lelouch della distruzione e dei bagni di sangue ne era il dio.
Assaporando in anticipo la vittoria, guardò l’orologio e realizzò avere ancora
quindici minuti a disposizione prima che i primi compagni iniziassero ad
arrivare.
- Lelou… - Prima che potesse finire di pronunciare il nome
del fidanzato, Shirley si ritrovò sulla cattedra, le gambe divaricate mentre la
mano del fidanzato iniziava a farsi strada sotto la sua gonna. - Lelouch! Non
qui ti prego, potrebbero arrivare i nostri compagni!
- Finiremo
prima. - Rispose lui sfilandole l’intimo, facendo arrossire la ragazza che
strinse le gambe nel vano intento di coprirsi. Ma il ragazzo fu più rapido e ne
afferrò le ginocchia, impedendole alcun movimento.
- Lelouch,
per favore, potremmo finire nei gu… - Il Principe di
Britannia sentì il forte bisogno di urlarle di chiudere il becco ma preferì
contenersi e spostare la sua attenzione sui grandi seni della giovane. Se
voleva averla lì, sulla cattedra nella quale da lì a poco il suo carissimo
professore avrebbe appoggiato le proprie cose, la prepotenza non sarebbe
servita. Optò quindi per l’opzione che sapeva funzionare meglio.
- Shirley… -
Disse piano, quasi in un sussurro. Con un braccio ne cinse la vita attirandola a
se, premendo le loro intimità. Appoggiò l’altra mano sulla sua e guardandola
dritto negli occhi, convenne: - Hai ragione, è da tanto che non stiamo da soli...
E adesso voglio recuperare tutto quel tempo perso inutilmente. Vuoi davvero
dire di no al tuo fidanzato che non ha altro che un forte voglia di te? - Poté
chiaramente vedere riflesso nel volto di Shirley la battaglia che stavano
combattendo dentro di lei la ragione e il cuore, ognuno dei due gridando cose
opposte. Se c’era qualcosa che tuttavia la Fenette aveva imparato era che,
chiunque delle due vincesse, era sempre la sua anima a pagarne le conseguenze:
negli anni infatti si era corrosa, sapeva bene che l’amore per Lelouch era un
amore distruttivo, un amore che l’avrebbe portata a perdere se stessa. Ma vedere
quegli occhi ametista così pieni di desiderio, sentire la sua voce parlarle in
un tono così soave, sapere che, nonostante tutto, anche lei gli era mancata… Le
bastava. Appoggiò tremante una mano sulla guancia di Lelouch, il quale recepì
il messaggio e si chinò a baciarla; fu un bacio rapido, frenetico da parte
della ragazza e del tutto indifferente da parte del moro che cedette solo per
poter averla vinta. Si staccò subito da lei e, prima che Shirley potesse
avvicinarsi nuovamente a lui, Lelouch ne tappò la bocca.
- Non vorrai
che ti sentano, vero… Darling?
Avrebbe
potuto dormire un’ora in più. Avrebbe potuto sognare di ritrovarsi in un
paradiso fatto di pizza e Chesse-kun per un’altra ora
e invece no. E invece, per qualche folle ragione, si era stupidamente distratta
e si era persa la comunicazione. Qualcosa dentro di lei le diceva che l’annuncio
era stato fatto in quegli attimi in cui aveva mostrato l’accendino al
principino, inoltre così si sarebbe spiegato il leggero mormorio che seguì
alcuni istanti dopo e che non si seppe spiegare. Sospirò, decisa a non pensarci
più, da lì a poco si sarebbe dovuta riavviare in classe; aveva preferito
andarsene, per oggi aveva giocato abbastanza inoltre irritare qualcuno come
Shirley era fin troppo semplice e per nulla gratificante. Seduta su una
panchina appena fuori dall’edificio scolastico, ripensò a ciò che era avvenuto
poco prima in aula non poté evitare di contenere un sorriso: quel Lelouch era
proprio uno stupido. Era il tipico ragazzino viziato che, una volta superata la
crisi adolescenziale, sarebbe divenuto il solito noioso aristocratico legato
alle tradizioni e alle regole, probabilmente avrebbe anche cominciato ad
apprezzare la fidanzata, dopotutto era un abbinamento perfetto per uno come
lui. Per ora almeno aveva trovato due persone con cui divertirsi: la ragazza i
cui capelli e temperamento avevano il colore del fuoco - Karen, se mal non
ricordava, e il capriccioso Principe di Britannia. E lei che credeva che si sarebbe
annoiata da morire…
- C.C.? -
Voltò il capo in direzione della voce che l’aveva chiamata e riconobbe il ragazzo
giapponese del consiglio studentesco. - Buongiorno! Anche tu mattiniera? -
Risolvendo che forse il giovane era uno dei pochi a non meritare di essere
vittima dei suoi giochetti e delle sue ironie, C.C. scosse il capo.
- Il
contrario… Non sono affatto una persona mattiniera. - Suzaku si limitò a
sorriderle gentile, insicuro se fosse il caso di porle ulteriori domande,
dopotutto si era mostrata molto riservata sin dall’inizio. Tuttavia ciò non l’avrebbe
fermato dal fare amicizia con lei: più un’anima era sola e smarrita, più
sentiva il forte bisogno di avvicinarsi e salvarla.
- Posso? -
Vedendo la compagna assentire, prese posto e si guardò intorno. - La prima volta
che arrivai qui, tutto questo mi sembrava un universo alternativo. - C.C., che
sino ad allora aveva osservato il vuoto, rimase immobile ma spostò gli occhi
verso il castano che, notando di averne catturato l’attenzione, proseguì. - Tutt’ora
credo che lo sia. Qui noi tutti ci dimentichiamo chi siamo, viviamo come dei ragazzi
che hanno solo voglia di vivere. Purtroppo poi quando torniamo a casa veniamo
devastati nuovamente dal peso dei nostri titoli e delle nostre responsabilità...
- Lo sguardo basso e la voce cupa rivelarono la battaglia costante a cui erano
esposti ragione e sentimento, una danza sanguinaria dalla quale nessuno dei due
riusciva ad uscirne vincitore, causando solo devastazione. Sospirò, pensando a
quell’unica persona la cui sola esistenza era capace di mettere in pace ogni
sua inquietudine e continuò. - Credo che sia per questo che la famiglia Ashford
si occupi da generazioni di questa scuola, aggiungendo ogni anno una nuova
attività e rendendola il più completa possibile, per far sì che i ragazzi
possano allontanarsi da quella realtà che li opprime.
- Ma a che
serve vivere in un mondo fittizio? - La domanda spiazzò Suzaku che si limitò a
guardare la ragazza. - Scappare dalla realtà, anche se per poco tempo, non risolve
i problemi che lasciamo nel mondo vero. Anzi, forse tornarci poi è doppiamente
più difficile perché la realtà ti viene sbattuta in faccia senza pietà.
- Però per lo
meno ti sei potuto distrarre un po’ ed essere feli...
- Felice? -
Lo interruppe C.C., voltando il capo verso Suzaku. - Può considerarsi vera
felicità qualcosa che si prova in un mondo fittizio? - Il compagno sbarrò gli
occhi, trovandosi per la prima volta a porsi una simile domanda lui stesso. -
Sostieni inoltre che qui tutti si dimentichino chi sono… Perché dunque nessuno
si dimentica il titolo del tuo amichetto viziato e della sua sorellina? Perché
nei loro confronti persino i professori hanno dei riguardi? Non credere che non
abbia notato come il tuo amico abbia passato ore a dormire mentre il prof
spiegava! - Capendo che la ragazza si riferisse a Lelouch, Suzaku non poté che
asserire.
- Purtroppo
per quanto riguarda i principi le cose sono ben diverse. Puoi dimenticare chi
sei, ma non a chi devi obbedienza. - Spiegò lui, cercando ancora una risposta
alla domanda di C.C. - Però credo che anche per loro questa sia una via di
fuga.
- Su questo
non c’è dubbio. - Ironizzò la ragazza dai lunghi capelli smeraldo. - Quindi secondo
te questa via di fuga, per quanto fittizia, può aiutarci nella nostra
quotidianità?
- S-sì… -
Rispose titubante. - Forse hai ragione, non si può considerare vera felicità…
Però è pur sempre una fonte di sollievo: per alcune ore durante la giornata
vivi e sogni la vita che vorresti invece di quella che ti è stata imposta, ti
diverti e chi lo sa, magari trovi anche la forza di reagire. Dopotutto è questo
il motto della stessa presidentessa: “Vivi ogni giorno come se fosse il tuo
compleanno!” e non credo sia un giorno preso a caso, in fin dei conti il
compleanno è quel giorno in cui tutto ti è concesso illimitatamente. Il giorno
dopo tutto torna alla normalità ma ti rimangono i ricordi. Molti per il loro
compleanno ricevono doni speciali che possono cambiargli la vita, esattamente
come l’Ashford Academy. Forse questa vuole solo essere un’esperienza che ti
insegna a rendere possibile la convivenza fra i tuoi piaceri ed i tuoi doveri,
oppure per altri che ne hanno il coraggio sufficiente può essere una pedana
dalla quale buttarsi nei propri sogni senza voltarsi indietro. L’importante è
non perdersi dentro questa realtà. - Rimasero per alcuni momenti in silenzio,
attimi nei quali Suzaku temette di aver detto qualcosa che avesse potuto in
qualche modo infastidire o ferire la compagna ma si ricredette nel momento in
cui la vide alzarsi e posizionarsi davanti a lui.
- E’ dunque
questa la tua teoria, Suzaku Kururugi? - Si era detta “basta giochetti”, aveva
deciso che il giapponese non meritava essere una sua vittima innocente, ma era
più forte di lei. Sul suo volto si dipinse quel solito sorriso malizioso che la
caratterizzava e, guardando il ragazzo fisso negli occhi, continuò. - Allora facciamo
un gioco: entro la fine di quest’anno scolastico io mi occuperò di provare a te
che la tua teoria è sbagliata, ossia che una realtà fittizia non può risultare
in nient’altro che non sia mera disperazione. Tu invece ti occuperai di
provarmi il contrario. - Gli porse la mano, pensando che quell’anno si sarebbe
divertita più di quanto non avesse mai immaginato. - Ci stai? - Suzaku rimase
sorpreso da tale proposta ma senza farsi attendere oltre gli diede la mano,
sigillando il loro patto. Troppo tardi però si accorse di non aver chiesto
qualcosa di fondamentale e vedendola avviarsi verso la porta, la chiamò.
- Ma cosa ci guadagniamo
in tutto questo? - C.C. si voltò e, in seguito ad un’espressione pensierosa
fece spallucce.
- Se avrai
ragione tu, farò quello che vuoi.
- E se invece
avrai ragione tu? - Notando lo sguardo ed il sorriso di C.C., Suzaku si pentì
di avergli posto una simile domanda.
- Se vincerò
io… - La vide avvicinarsi e per un momento pensò avesse delle strane
intenzioni, ma si rasserenò quando sentì la mano della ragazza sulla spalla e la
vide avvicinarsi al suo orecchio. Facendo attenzione ad usare il tono giusto,
C.C. sussurrò piano: - …Dovrai rivelare al mondo intero il nome della tua lei. -
Suzaku indietreggiò, il terrore evidente nei suoi occhi verdi. Lei non poteva
sapere, non poteva in nessun modo sapere di lui e…
- Ci vediamo
in classe, Kururugi Suzaku. - Lo salutò e si diresse all’interno dell’edificio,
il sorriso stampato sul viso: per non essere una persona mattiniera, aveva
avuto una mattina pressoché interessante.
Ma se C.C. fosse
potuto tornare indietro nel tempo, quella mattina sarebbe entrata in classe all’ora
prestabilita oppure non ci sarebbe proprio andata
poiché le conseguenze di quegli atti erano
troppe da sopportare persino per lei.
Allora però
non sapeva che quell’interessante mattina era solo l’inizio di una lenta e
triste agonia.
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SALVE SALVINO AMICINI! ^-^
Come promesso, eccomi qui! Temevate che sarei mancata
alla mia promessa, eh? E invece no, buashuashuahaha! *^*
No dai, seriamente parlando, mi sono presa l’impegno di scriverla e la porterò
al suo fine, costi quel che costi. (: Opinioni? Vi è piaciuto o c’è qualcosa
che non vi ha convinto? Ho voluto esporre la situazione famigliare di Lelouch
per spiegare meglio perché il suo personaggio prende nuove sfaccettature e da
dove derivi tanto odio represso, dopotutto nell’anime non abbiamo avuto molta
occasione di vederli interagire, quindi mi sono immaginata come sarebbe stata
la convivenza con un uomo come Charles e questo è il risultato! Se vi state
chiedendo in che momento la classe è venuta a sapere che si entrava un’ora dopo
sì, è avvenuta in quei due/tre minuti in cui Lelouch, andando al banco, ha
perso l’accendino e poi veniva a scoprire che ce l’aveva C.C.; come avrete
notato infatti cambio molto spesso il punto di vista, questo per permettere al
lettore di personificarsi il più possibile nel personaggio e vedere ma
soprattutto sentire le cose come le
prova quest’ultimo. Lelouch, pur essendo un ragazzo molto razionale, è anche
molto emotivo e nella serie l’ha dimostrato diverse volte ed in quel momento,
preso dalla rabbia e dal fastidio, non ha sentito l’annuncio. C.C. dal canto
suo, troppo occupata a giocare col principino, si è distratta e non ha prestato
la dovuta attenzione, perdendosi così la comunicazione. So bene che non siamo
abituati a vedere un Lelouch intraprendente con le donne, tuttavia questo è
secondo me come si sarebbe sviluppato il suo personaggio in un mondo “normale”,
dove il Geass è inesistente e di conseguenza Charles
ha potuto continuare a vivere una vita normale con la sua ultima consorte. E
invece cosa ne pensate di C.C. e Suzaku?! *-* Ho sempre pensato che nell’anime
abbiano dato loro poco spazio, sono convinta che sarebbe stato bello vedere
lei, la mente di Lelouch e lui, la sua mano destra, fare “amicizia” e talvolta
agire insieme per far dannare Lelouch! X°D Perché se non l’aveste notato io sì,
AMO tormentare Lelouch, buashuashuaha! *,..,* Ai fan di
Shirley invece dico che non mi dispiace affatto come Lelouch la tratta anzi,
merita di peggio, non la sopporto! è.é Ma se posso
darvi un consiglio, vi direi di proseguire nella lettura giacché il
fatto che io non la sopporti non significa che avrà una brutta fine. La serie
come avrete compreso è lontana dal finire, molte cose devono ancora avvenire e
persino Shirley, al momento debito, avrà (come tutti) la sua propria
soddisfazione. Non aggiungo altro sennò vi faccio spoiler e non sia mai! ù.u Come sempre colgo l’occasione di ringraziare i miei
migliori lettori, coloro che si prendono dei minuti del loro prezioso tempo per
lasciarmi una recensione che è quanto mi basta per sentirmi felice: Eris_Elly, nye, AliceBaskerville
e il dolcissimo Pizeta.
A voi ragazzi va il mio più grande grazie, siete la ragione per cui sono
tornata il mese scorso e per la quale questo mese, nonostante i mille impegni
universitari, non ho desistito e mi sono ritagliata - mi mancava poco per
inventare delle ore, löl - del tempo per poter
scrivere questo nuovo capito. (: Danke.
♥ Ringrazio anche tutti gli altri
miei lettori e spero di poter rispondere presto ad una vostra recensione, sia
essa positiva o negativa (con la dovuta educazione, chiaro) mi farà piacere
riceverla! ^.-
Ci vediamo il prossimo mese con un nuovo capitolo, a
presto ciccini! :-*
xoxo,
Prinny *