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Autore: Angye    01/12/2014    4 recensioni
La storia comincia nell'episodio "Il salto del tonno" della serie Sam and Cat. Mentre si trova a Los Angeles con Sam, Freddie riceve una telefonata che lo avvisa dell'arrivo a sorpresa di Carly, a Seattle per qualche giorno. Il ragazzo decide di partire, Sam no, perchè sconvolta dall'aver scoperto il bacio che i due si sono scambiati in IGoodbye. Una serie di eventi e circostanze riporteranno Freddie, Sam e Carly sulla stessa strada e nelle rispettive vite. Il nuovo ragazzo di Sam non semplificherà le cose tra lei e Freddie. E, forse, arriverà il momento di chiarire ogni punto lasciato in sospeso e scoprire cosa significa, davvero, amare.
Storia sospesa, ma non abbandonata; riprenderà non appena possibile
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ringrazio la mia adorabile beta, Aduial, per aver betato questo capitolo a tarda sera, nonostante la stanchezza: sei unica!
 
Ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, le ricordate o le preferite e chiunque abbia speso del tempo per lasciare una recensione al precedente capitolo; risponderò in privato.
 
Buona Lettura.
 
 
 
 
 
Freddie, pietrificato accanto alla bruna, tentò invano di convincere il proprio sguardo ad abbandonare quello della ragazza che gli stava di fronte; una ragazza bionda e bassina che, in un primo momento, faticò a riconoscere come Sam.
Possibile che, nel giro di poco meno di un anno, lei fosse cambiata tanto?
Era sempre stata bella, troppo per una con quel caratterino, poiché il suo aspetto era l’ennesima arma a disposizione per ferire e prevaricare sugli altri, Freddie lo aveva imparato a proprie spese. Rammentava ancora bene, difatti, il primo giorno che l’aveva incontrata – vista – e come si fosse ingannato, a osservare i boccoli biondi e i grandi occhi di un azzurro impossibile, credendola una sorta di piccolo angelo. Del resto, se era amica di Carly, si era detto quel giorno di un lontano Settembre, mentre varcava la soglia della scuola media, di certo non poteva che essere una ragazza dolce e sensibile, una vera principessa, come il suo aspetto suggeriva.
E, poi, Sam aveva parlato e a Freddie quasi non era preso un colpo, scoprendo che, spesso, l’apparenza ingannava.
Altro che angelo, quella era un vero demonietto, che avrebbe fatto impallidire Satana in persona!
In quel momento, fermo sulla porta di casa sua, intento a divorarla con lo sguardo, Freddie comprese che, probabilmente, non avrebbe mai conosciuto ogni sfumatura di Samantha Puckett, se anche avesse avuto a disposizione tutta la vita; lei era come il mare, all’apparenza sempre uguale e, negli abissi più profondi, in continua trasformazione.
Se non fosse stato per quegli occhi – tempesta e brina – non l’avrebbe riconosciuta: i capelli d’oro chiaro erano bagnati e tenuti legati sulla testa da uno strano fermaglio, sebbene qualche ciocca, ribelle quanto lei, le sfiorasse il collo sottile e il viso aveva la stessa forma ovale, con gli zigomi bel delineati, ma i tratti erano più decisi, meno fanciulleschi di un tempo.
Le labbra erano imbronciate, ma dello stesso colore che Freddie aveva ricordato mesi prima, in Italia, seduto a un tavolino, intento a osservare una rosa scarlatta; perfino quella piccola gobbetta sul naso, unico neo su quel volto altrimenti perfetto, sembrava appartenere a un’altra persona.
Quando, involontariamente, gli occhi di Freddie scivolarono sul suo corpo, si accorse, finalmente, che lei era in accappatoio e che la curva pronunciata e decisa del seno era coperta solo dallo strato di spugna sottile, bagnato; era scalza e le gambe erano magre e tornite.
Lo sguardo del ragazzo fu calamitato da una goccia d’acqua che, spericolata, si tuffava dai suoi capelli per atterrarle sul collo e cominciare la sua discesa verso la clavicola, anch’essa perfettamente visibile.
Dio, si sentiva un vero idiota: Sam era stata la sua ragazza, sapeva quanto fosse bella e affascinante, quanto quel corpo fosse femminile e sensuale, nonostante la proprietaria si comportasse da maschiaccio, perché, allora, gli sembrava di non riuscire a staccare gli occhi da quella figura, vestita di bianco, che teneva ancora un braccio sulla porta?
Mentre tentava, invano, di trovare qualcosa di civile e sensato da dire, si accorse di due cose:
primo, lo sguardo di Sam gli era sfuggito e, adesso, fissava, tormentato, un punto accanto a lui che, Freddie ne era certo, se avesse seguito, lo avrebbe portato a Carly e, secondo, Sam non era sola.
Alle sue spalle, di almeno una spanna più alto di lei, se ne stava un ragazzo dall’espressione curiosa, divertita e insolente al contempo.
Il cuore di Freddie cominciò una galoppata furiosa, mentre i suoi occhi si scontravano con quelli bruni del tipo, che, da quanto poteva vedere, era davvero troppo vicino a Sam, più di quanto occorresse per guardare fuori.
Quello, per di più, non sembrava assolutamente imbarazzato del fatto che la ragazza fosse in accappatoio e, anzi, qualche istante più tardi, sollevò una mano per asciugarle, con l’indice, una goccia d’acqua dalla nuca; lei rabbrividì e avvampò, facendo scattare lo sguardo, inquieto, sui piedi.
Fu il tocco del tipo a riscuotere Sam dallo stato di shock in cui sembrava caduta e, rabbrividendo, tentò di abbozzare un sorriso, sebbene ottenne solo di contrarre le labbra.
- Carly.- mormorò, emozionata e roca, e il suo alito si condensò, a causa del gelo, in una nuvoletta di vapore davanti al suo viso.
Sembrava stare affrontando una piccola guerra interiore, come fosse divisa a metà tra il desiderio di sporgersi e abbracciare la bruna e, al contempo, scappare il più lontano possibile.
Freddie, tuttavia, non ebbe modo di accorgersi di quale delle due avesse compiuto il primo passo quando, un momento dopo, si abbracciarono proprio sotto la porta, poiché era troppo concentrato a fissare, con gli occhi ridotti a due fessure, quello che ancora stava alle spalle di Sam.
Era un ragazzo decisamente ben piantato, con i muscoli tesi sotto la camicia scura e le spalle larghe, aveva i capelli scuri e occhi felini, la mascella squadrata e un filo di barba sottile sulle guance. Doveva essere più grande di tutti loro, sebbene Freddie non avrebbe saputo stimarne l’età precisa e sembrava perfettamente a suo agio, quasi strafottente.
- Ciao, Sam.- singhiozzò Carly, tentando, invano, di trattenere piccole lacrime negli occhi bruni e stringendo l’amica fino a farle male.
Per un istante, entrambe non sentirono più freddo, come se fosse stato sufficiente il calore emanato dall’altra per smettere di tremare, per non avere più paura.
Poi, l’istante passò e i ricordi tornarono prepotentemente alla mente, così come i motivi che le avevano separate drasticamente; Freddie, lì accanto, era già punto di unione e frattura eterna tra loro.
- Cosa… cosa ci fai qui?- chiese Sam, sciogliendo l’abbraccio e facendo un passo indietro, di nuovo accanto al tipo; non guardò mai verso Freddie.
- Noi… ecco… - la bruna parve faticare a trovare le parole adatte e l’imbarazzo rimbalzò tra le due ragazze, portandole a guardare altrove, anisiché l’una verso l’altra.
Fu quello a spezzare la tensione, rivolgendosi a Sam; quando parlò, la sua voce si rivelò calda e profonda. - Puckett, si gela, perché non li fai entrare?- disse, senza smettere di guardare Freddie.
La ragazza parve rendersi conto solo allora che, da cinque minuti buoni, erano tutti fermi sotto la porta, lei compresa, bagnata e tremante, in accappatoio.
- Oh!- esclamò, impacciata. – Certo, entrate, si gela, lì fuori.- disse, spostandosi per farli passare.
Carly fu la prima a varcare la soglia, fermandosi qualche metro più avanti, imbarazzata e, quando Freddie passò davanti a Sam, non potendosi impedire di lanciarle uno sguardo, di nuovo non incrociò i suoi occhi che, invece, sembravano cercare una qualche rassicurazione nel tipo.
- Sam, non vuoi… vestirti? Stai tremando.- mormorò Carly, accennando un sorriso.
- Sì… adesso vado.- rispose l’altra. – Hm, Dylan, tu… sì, insomma, pensa tu a metter su del tè o roba del genere! – sbottò, poi, brusca, rivolta al ragazzo, incamminandosi verso la stanza che divideva con Cat.
Il tipo, che Freddie aveva appeno scoperto chiamarsi “Dylan”, sbuffò, facendo roteare teatralmente gli occhi al soffitto. – Non metterci troppo, Puckett - le gridò dietro. – o stavolta la sfondo davvero la porta!- aggiunse, strizzandole l’occhio quando lei si volse a fulminarlo con lo sguardo.
Dylan tornò a guardare i due ragazzi e, superatili, si fermò dietro il bancone.
- Beh, potete togliere i cappotti e sedervi, se volete.- disse, indicando loro gli sgabelli. – Non sono un grande casalingo, dovrete accontentarvi di una tazza di caffè.- aggiunse, con un’alzata di spalle.
- Andrà benissimo, grazie… - rispose Carly, mentre sfilava il cappottino, osservandosi attorno con circospezione. Freddie l’aiutò – gesto che, si accorse, non sfuggì al tipo - e depositò entrambe le loro giacche sul divano.
Carly si sedette al bancone, accennando un sorriso. – E’ una bella casa, molto accogliente.-
Freddie, che vi era già stato e aveva troppi ricordi con Sam anche lì, si limitò ad appollaiarsi sullo sgabello e tacere, nervoso.
- Cat! –sentirono gridare, poi, d’improvviso.
- Non ci penso proprio a uscire, Sam!- rispose una seconda voce, più acuta, che Freddie riconobbe come quella di Cat. Dylan, intento a prendere il pacco del caffè dal mobile, ridacchiò, scuotendo la testa.
Freddie notò, interdetto e infastidito, che quel tipo sembrava perfettamente a suo agio, lì dentro, tanto da conoscere il posto di caffè, tazzine e cucchiaini.
- Cat! Vieni qui!-
- Sono nella vascaaa.- protestò ancora la voce, allungando la “a” finale, cantilenando.
- Dylan!- esclamarono, poi, in coro, le due ragazze.
Lui rise ancora, portandosi una mano alla fronte e, girando attorno la bancone, alzò le mani.
- Scusate un attimo.- disse, attraversando il salotto a grandi falcate e sparendo in camera di Sam.
Freddie fece tamburellare le nocche delle dita sul bancone, nervoso, poi si passò una mano tra i capelli, tentando di rilassare i muscoli tesi delle spalle.
Carly lo accarezzò con lo sguardo, preoccupata. – Freddie… - tentò, interrotta dal ritorno di Dylan, diretto alla porta del bagno.
- Cat?-
- No, Dylan, non mi convincerai a uscire! –
- Cat, ci sono qui delle persone.- gridò il ragazzo, indicando Freddie e Carly con l’indice e strizzando loro l’occhio.
- Chi? Non aspetto bambini, oggi.-
- Sono amici di Sam.- il tono in cui pronunciò la parola “amici” non sfuggì a nessuno dei due e Carly arrossì, chinando il capo sulle mani.
- Oh. D’accordo, arrivo.- la vocetta di Cat parve d’un tratto preoccupata e, meno di un minuto dopo, una furia dai capelli rossi spalancò la porta del bagno in asciugamani e, superato Dylan, imboccò la porta della camera da letto.
Il ragazzo sorrise, tornando in cucina. – Saranno qui a momenti, quanto zucchero?-
 
 
Sam, tremendamente agitata e nervosa, camminava su e giù lungo la stanza, decisa a scappare il più lontano possibile dai due ragazzi in salotto.
Cosa ci facevano lì? Perché erano venuti?
Si sentiva frustrata, arrabbiata, triste e nostalgica: rivedere Carly era stata una doccia gelata, non era pronta e forse non lo sarebbe stata mai.
Quando aveva aperto la porta e aveva visto Fredde, il suo cuore si era fermato, come congelato e la ragazza aveva quasi creduto di star sognando, fino a quando il gelo della notte non l’aveva fatta rabbrividire.
Freddie era apparso più bello che mai, con le guance rosse dal freddo, i capelli scuri in disordine, il giubbotto nero che cadeva perfettamente sulle spalle larghe, senza riuscire a celare i muscoli ben definiti. Ciò che, però, le aveva provocato una morsa al cuore, era stato il suo sguardo, i suoi occhi, di quel bruno denso e caldo, profondo, quasi capace leggere le anime altrui; e, poi, le sue labbra, carnose e rese viola dal freddo, l’avevano spinta a chiedersi se avessero ancora lo stesso sapore.
Se non avesse notato la chioma corvina al suo fianco, probabilmente sarebbe rimasta a osservarlo tutta la notte, indifferente al gelo, incapace di fare un passo e abbracciarlo, spezzata internamente dal desiderio di gridargli di andare via per sempre dalla sua vita e quello di gettarsi tra le sue braccia e piangere disperatamente - dopo averlo picchiato, ovviamente.
La presenza di Carly l’aveva aiutata a tenere a mente perché avesse deciso di chiudere ogni sentimento provato per Freddie Benson in un luogo remoto della sua anima e, del resto, anche rivedere lei l’aveva sconvolta moltissimo.
Carly sembrava la stessa di sempre, dolce e impacciata, i capelli bruni un po’ più corti di un tempo, le ciglia infoltite da un filo di mascara.
Tuttavia, la ragazza sembrava nervosa, i suoi occhi erano inquieti e tormentati e faticavano a incrociare quelli di Sam, quasi temesse di leggervi dentro un odio o un disprezzo che non avrebbe saputo sopportare.
Quando Carly si era sporta per abbracciarla, agendo d’istinto e mandando al diavolo ogni paura, Sam non aveva potuto fare altrimenti, poiché, nel profondo, sentiva di averne bisogno, anche se, probabilmente, si sarebbe trattato di un abbraccio di addio.
Forse, aveva pensato, quella era stata l’occasione data a entrambe per salutarsi come si deve, dando una fine adatta a quell’amicizia che era stata colonna portante delle reciproche vite per più tempo di quanto ricordassero.
Carly gli era mancata, tremendamente, fino a sentirsi incapace di essere ancora se stessa senza di lei e, rivedendola, Sam comprese che, per quanto dolore le avesse causato, mai avrebbe potuto dimenticare gli anni trascorsi a esseci l’una per l’altra, sempre e comunque.
Eppure, il loro rapporto era irrimediabilmente compromesso e, per quanto piacevole fosse quel calore che il semplice saperla lì le provocasse, Sam sapeva di non poter dimenticare, di non voler dimenticare.
Doveva calmarsi, uscire da quella stanza e affrontarli, chiedere loro perché fossero venuti e mandarli via, via dalla sua vita, per sempre.
Poteva farcela, non era sola: Cat e Dylan erano lì per lei.
Come evocata dalla sua mente, la rossa fece il suo ingresso in camera.
- Sam? Che succede?- domandò, tremando come un pulcino bagnato.
Ferma al centro della stanza, Sam incrociò il suo sguardo. – Carly e Freddie sono in cucina.- confessò, in un soffio.
L’espressione di Cat cambiò d’improvviso: le sopracciglia si sollevarono, sorprese, sugli occhi, lo sguardo si fece pensieroso, le labbra si imbronciarono, preoccupate.
- Oh.- disse, mettendosi seduta a testa china. – Loro sono… venuti a prenderti?-
- Prendermi?-
- Sì, insomma… a riportarti a casa?- le chiese, con voce tremante.
Cat, per quanto svampita e strana, conosceva Sam davvero bene e, in cuor suo, sapeva che non avrebbe mai potuto sostituire Carly nel cuore dell’amica, nonostante non dubitasse che Sam le volesse molto bene.
Aveva sempre temuto il giorno in cui Carly si sarebbe resa conto di quanto le mancasse Sam e sarebbe tornata a prenderla, strappandola a lei.
Sam era stata il suo punto di riferimento da quando la nonna era andata in ospizio e l’idea di perderla e restare sola la gettava nel panico, rattristandola tremendamente.
- Cat.- la voce di Sam era dolce, come raramente capitava di udirla. Le mani della bionda si posarono su quella di lei, mentre la ragazza si chinava sul pavimento, per guardarla negli occhi. – Questa è casa mia, adesso.- le disse, abbozzando un sorriso.
Ed era vero, Sam lo sapeva. Los Angeles era diventata casa sua, Cat, Dice, Goomer e Dylan erano la sua famiglia, proprio come, un tempo, lo erano stati Carly, Freddie, Spencer e Gibby.
Non si sarebbe mai sradicata dall’unico posto che era stato in grado di farla sentire al sicuro, da quando aveva lasciato Seattle, e allontanata delle uniche persone che erano stati capaci di entrarle nel cuore, da troppo tempo a quella parte, solo perché il suo cuore era ancora straziato all’idea di perdere per sempre Carly e Freddie.
Aveva chiuso con quella vita, non sarebbe tornata indietro.
- Davvero?-
- Davvero.-
Cat sorrise, abbracciandola di slancio.
- Cat, non stringere! Cat!- sbottò l’altra, impacciata, cercando di scrollarsi l’amica di dosso.
- Sbrigati, allora, andiamo a vedere perché sono qui.- mormorò la ragazza dai capelli rossi.
- Cat!- la fermò Sam, mentre l’altra già era sulla porta. – Devi vestirti!- le disse, scuotendo la testa, rassegnata.
- Oh!-
Cat aprì il suo armadio e ne tirò fuori un abitino blu pastello, poi si rivolse a Sam.
- Dovresti andare in cucina.-
- Da sola? Perché? Non ci penso proprio.-
- Una volta non hai detto che Freddie è l’unico ragazzo che avessi mai amato?-
L’innocenza con cui Cat pronunciò quelle parole colpì Sam come un pugno dritto allo stomaco.
-Volevo farti sentire in colpa.- rispose, mentre un’ondata di nausea le faceva girare la testa.
Non voleva ricordare l’amore per Freddie, non voleva rivivere ogni momento, immensamente felice o tremendamente straziante, vissuto con lui.
- Beh, comunque sia, Dylan non sembra molto contento e, se non ricordo male, il tuo amico Freddie è un tipo ben piantato.- spiegò la ragazza, pensierosa.
- Quindi?-
- Quindi, non credo sia un bene che se ne stiano troppo vicini.-
- Tra me e Dylan non… e poi con Freddie è finita anni fa e… - il balbettio confuso di Sam s’interruppe, penosamente e Cat le lanciò un’occhiata eloquente.
In effetti, se anche a Freddie non fosse interessato assolutamente nulla di lei e della possibile attrazione che sentiva per Dylan, di certo a quest’ultimo non sarebbe sfuggito il fatto che lei si fosse praticamente pietrificata alla vista di Freddie.
Dylan non sapeva molto di Seattle e della sua vita, prima che giungesse a Los Angeles, ma, di certo, immaginava che avesse avuto un ragazzo e, era inutile negarlo, lei gli piaceva, come dimostravano quei piccoli gesti che la mettevano tanto in imbarazzo.
In definitiva, quindi, dato il carattere impulsivo di Dylan, il suo essere un ex-lottatore e la sconfinata capacità di Freddie di dare sui nervi, era il caso che tornasse in salotto, decise.
- Datti una mossa, caramellina, non devi andare a una cena di gala!-
 
 
Sam raggiunse il salotto con indosso un pantalone della tuta e una maglietta a maniche lunghe verde scuro, i capelli ancora umidi e l’aria di chi non ha davvero idea di cosa dire per smorzare la tensione.
A peggiorare le cose ci pensò il suo stomaco, che, come ogni volta che si sentiva tesa, cominciò a brontolare nervosamente, desideroso di cibo come un poppante col ciuccio.
La prima cosa che notò fu Dylan in cucina, intento a versare il caffè bollente in alcune tazze color arcobaleno – comprate, ovviamente, da Cat – e immediatamente lo raggiunse, consapevole che mettere qualcosa tra sé e i due ospiti – fossero stati migliaia di chilometri sarebbe stato meglio, ma poteva accontentarsi del bancone  - l’avrebbe aiutata a celare il tremito delle mani.
- Beh… - esordì, guardando la ragazza bruna di sfuggita e abbozzando un sorriso. – vedo che avete già sistemato i cappotti.- ironizzò.
- Il tuo amico è stato molto gentile.- rispose Carly, tentando anche lei di sorridere.
- Si chiama Dylan.- fece Sam, voltandosi a guardarlo. – Non ti sei nemmeno presentato?- lo sgridò.
Il ragazzo, portandosi il cucchiaino con cui aveva girato il caffè alle labbra, sorrise, insolente.
- Nessuno ha chiesto il mio nome.- precisò, con un’alzata di spalle. – E, poi, lei non mi piace.- aggiunse, indicando Carly con un gesto del capo.
La ragazza aggrottò le sopracciglia. – Ma se nemmeno mi conosci!- protestò.
- Ignoralo, ha un problema: è idiota.- intervenne Sam, facendo roteare gli occhi al soffitto.
Dylan la colpì alla fronte con l’indice. – E invece no, ho un motivo valido se lei non mi piace.- insistette, afferrando la mano che Sam aveva usato per tirargli uno scappellotto.
- E quale sarebbe?- domandò Carly, incrociando le braccia sul petto e guardandolo, sarcastica.
- Semplice: - fece Dylan, chinandosi sul bancone come se le stesse confidando un segreto. – sei arrivata e hai spedito Sam a vestirsi, ti sembra un comportamento amichevole? Non si fa così.- finse di scuotere la testa, deluso.
Carly non poté fare a meno di ridere e Sam arrossì bruscamente, colpendolo al fianco con un pugno e strappandogli di mano la tazza di caffè. – Bennett, mi stai dando sui nervi. Vedi di stare zitto, se non hai nulla di interessante da dire!- lo rimbeccò, sorseggiando la bevanda.
Gli occhi le volarono, involontariamente, a Freddie che, appollaiato sullo sgabello, fissava entrambi con aria imperturbabile.
Dylan si schiarì la voce e Sam, sbuffando, lo guardò di traverso. – Cosa c’è, adesso?- chiese.
- Dato che ci tieni tanto alle presentazioni, perché non mi illumini?- rispose il ragazzo.
Sam assottigliò lo sguardo. – Abiti sempre al sesto piano?- chiese.
- Sempre.-
- Buono a sapersi.-
Dylan rise e porse la mano a Carly. – Se dovessero trovarmi morto, tu potrai dire alla polizia chi mi ha fatto fuori.- disse alla bruna. – Piacere di conoscerti.- aggiunse.
- Lei è Carly.- si affrettò a dire Sam.
Gli occhi di Dylan si posarono su Freddie e il ragazzo tese la mano anche a lui, sollevando le sopracciglia, in attesa, insolente; con lentezza estenuante, l’altro l’afferrò e la strinse, probabilmente con più forza di quanto occorresse e entrambi si fissarono per qualche momento.
- Lui è Freddie.- aggiunse Sam, in un soffio, captando la tensione nell’aria.
Anche Carly parve accorgersi di quel silenzio teso e, per spezzarlo, si rivolse a Sam.
- Hai una coinquilina, vero?- chiese.
Sam annuì. – Cat, è in camera a vestirsi e si sarà incastrata nel vestito, come al solito.- rispose.
Come evocata, la ragazza dai capelli rossi comparve in salotto, correndo e, per un soffio, non inciampò sullo scalino.
- Eccomi, dannatissima chiusura lampo!- esclamò, raggiungendo il gruppetto.
Cat si fermò di fronte a Freddie, sorridendo. – Ciao, è bello rivederti!- disse, abbracciandolo leggera.
- Grazie, come stai, Cat?- domandò lui.
- Molto bene, anche se quando piove ho sempre paura che un fulmine possa colpire l’antenna sul tetto.- rispose, allarmata.
Dylan ridacchiò, facendo il giro del bancone e, raggiunta la ragazza, le posò un braccio sulle spalle. – Tranquilla, Cat, ne abbiamo già parlato, ricordi?- le chiese.
Lei annuì. – Sì: a casa siamo al sicuro.- rispose, ripetendo come fosse una filastrocca.
- Dylan, lasciala in pace.- intervenne Sam, divertita. – Cat, ti presento Carly, Carly, la mia amica Cat.- aggiunse, indicando prima l’una poi l’altra.
La ragazza dai capelli rossi guardò, per la prima volta da quando era giunta in soggiorno, la bruna, osservandola attentamente e rammentando a se stessa che non doveva essere gelosa di lei o aver paura che volesse rubarle Sam.
Le tese la mano, incerta. – Piacere di conoscerti.- disse, in tono troppo serio per apparire disinvolta.
Carly annuì, tentando un sorriso. – Piacere mio, Cat, complimenti, questa casa è bellissima.-
Cat piegò di lato la testa in un moto infantile e gioioso. – Oh, lo so! E’ tutta opera di Sam!- esclamò, raggiungendo la bionda dietro il bancone e abbracciandola di slancio.
- Non so come ci sia riuscita, ma tutti i mobili arrivano dal set di “Travestiti”, il mio show preferito!- spiegò, euforica.
Sam, imbarazzata, sorrise. – E’ anche merito di Dice: ha rischiato di finire in cella.- disse.
- Potere delle coinquiline?- fece Cat.
- Non ci pensare nemmeno.-
- Perché non venite a sedervi qui? E’ più comodo.- s’intromise Dylan, adagiato sul divano.
- Oh, sì accomodatevi!- esclamò Cat. – Io preparo dei muffin per tutti.- aggiunse.
- Non vorremo disturbare, - disse Carly. – non sappiamo che piani avevate per la serata, volevamo solo parlare con Sam.- spiegò.
- Tu e Dylan non dovevate uscire?- domandò la ragazza dai capelli rossi, piegata sotto al bancone.
- Non è il caso, rimanderemo, ci sono ospiti.- rispose.
- Sono più tranquilla, allora.- sospirò Cat. – Non mi piace che usciate in moto quando piove così tanto, è da irresponsabili!- decretò, riemergendo rossa in viso per la fatica.
Dylan sorrise, angelico. – Ti ho fatto una promessa, Cat e, difatti, sono venuto in macchina.-
- Sì, d’accordo, Bennett, vincerai il premio di “idiota dell’anno”.- s’intromise Sam, diretta al divano.
-  Non preoccupatevi, fanno sempre così. Andate, forza.- disse Cat, rivolta a Freddie e Carly, che osservavano i due intenti a discutere.
- A quanti premi sono?- stava chiedendo Dylan.
- Ho perso il conto, ormai.-
- Sam, davvero, non c’è bisogno che cambi i tuoi programmi per noi.- intervenne Carly, sedutasi sulla poltrona alla sinistra del divano; Freddie fece lo stesso, sulla poltrona a destra.
Dylan distese le braccia sulla spalliera e afferrò il telefono sul ripiano dietro di lui.
- Ordiniamo la cena, che ne pensi?- chiese a Sam.
- Certo. Carly, sul serio, non è un problema; fermatevi a cena, è tardi ormai. - disse.
- D’accordo, allora.-
Il ragazzo telefonò alla pizzeria preferita di Sam e ordinò pizza per tutti, mentre Sam e Carly tentavano di fare conversazione, imbarazzate.
Sam si era resa conto, quando aveva visto Cat abbracciare Freddie, che, da quando era arrivato, non si erano salutati né rivolti la parola.
Si sentiva tremendamente a disagio e non voleva che lui credesse che fosse arrabbiata o gli serbasse rancore, soprattutto non voleva che Freddie credesse che lei fosse ancora innamorata di lui, così si impose di rivolgergli la parola alla prima occasione.
- Come siete arrivati?- domandò, tirando le gambe sul divano.
- In macchina, siamo partiti ieri notte.- spiegò Carly.
 Sam sgranò gli occhi. – Da Seattle?! Saranno almeno diciotto ore di viaggio!- esclamò.
- Diciotto e quaranta minuti.- sorrise Carly, annuendo.
- E quale macchina avete usato?-
- Quella di Freddie.-
Sam si volse a guardare il ragazzo che, istintivamente, incrociò gli occhi di lei.
- Hai una macchina, Benson?- domandò.
Tutti gli occhi si puntarono su di loro e la tensione nell’aria divenne palpabile.
Lui, dopo un istante infinito, annuì. – L’ho comprata qualche settimana fa da un amico di T-bo.- rispose.
- Beh, congratulazioni.-
- Grazie.-
- Come sta Spencer?- domandò Sam, tornando a rivolgersi a Carly.
La ragazza sorrise. – E’ eccitatissimo per la Mostra, non fa che parlarne, in effetti è ossessionato.- rise.
- Già, ci credo. E Gibby?-
- Ha trovato lavoro al Pear Store ed è dimagrito tantissimo, dovresti vederlo!-
- Cavoli.-
- Già.-
Di nuovo, il silenzio calò nella stanza, dato che nessuna delle due ragazze sembrava trovare il coraggio di porre all’altra le domande che più stavano al cuore ad entrambe.
In sottofondo, la vocetta di Cat che canticchiava una canzone sullo zucchero filato era l’unico rumore udibile, misto allo scroscio della pioggia.
Dylan, seduto accanto a Sam, poteva percepire perfettamente il nervosismo di lei e si sentiva impotente, incapace di aiutarla; avrebbe voluto afferrarle le mani e dirle che sarebbe andato tutto bene, ma aveva la sensazione che tra lei e quel tipo tutto muscoli vi fosse o vi fosse stato qualcosa in passato e che a lei avrebbe dato particolarmente fastidio mostrarsi bisognosa di conforto di fronte a lui.
Così, il ragazzo si accontentò di passare un braccio attorno alla ragazza e lasciar cadere, casualmente, la mano sul suo fianco, possessivo; si accorse che quel Freddie aveva seguito tutto il movimento con attenzione e, quando sollevò i suoi occhi in quelli di Dylan, questi lo fissò imperturbabile.
Sam, compreso ciò che Dylan stava cercando di comunicarle in quel gesto, sospirò, trattenendo, al contempo, un sorriso e un ceffone e, cercando di mostrarsi tranquilla, gli batté un buffetto sul petto.
In quel momento, Cat li raggiunse, sedendosi accanto a Sam. – I muffin sono in forno.- sorrise.
- Sam, dovresti asciugare i capelli.- aggiunse, aggrottando le sopracciglia.
- Eccola che ricomincia.- borbottò Sam, facendo ridere Dylan e offendere Cat.
- Ti prenderai un raffreddore! E tu, Dylan, smetti di ridere; sembrate due bambini.- li sgridò.
Entrambi risero di gusto, scuotendo la testa e guardandola con affetto.
- Oh, andiamo, non essere arrabbiata.- la sgomitò Sam, mentre Dylan allungava la mano oltre la testa della bionda per scompigliarle i capelli.
Cat sorrise, sbuffando. – Va bene, va bene, smettetela!- esclamò.
 
 
Carly, imbarazzata, osservava i tre ragazzi giocare con la familiare intimità che, un tempo, era appartenuta a lei, Sam e Freddie.
Si sentiva terribilmente a disagio, come se avesse imposto la sua presenza in un gruppo di persone che si conosceva da una vita, a starsene lì, in silenzio, così vicina eppure tanto distante da quella che, una volta, era stata la sua migliore amica, sua sorella.
Non avrebbe mai pensato di diventare un ospito sgradito e invadente, per Sam, e, invece, eccola lì, a rubare il suo tempo, a tenderle un’imboscata, a costringerla a sopportare la sua presenza.
Osservava il modo in cui il suo sguardo glaciale si addolciva, posandosi sulla ragazza dai capelli rossi che si era presentata come “Cat” e una morsa di dolore, rimorso e nostalgia le stringeva il cuore; era evidente che Sam le voleva molto bene e che aveva bisogno di lei, sebbene fossero molto diverse.
Nel corso della serata, Carly comprese che Cat era una ragazza decisamente svampita, perennemente sulle nuvole, dolce e innocente, ingenua all’inverosimile e, al contrario di come si sarebbe aspettata, sembrava che Sam non fosse in grado di irritarsi con lei – o almeno non quanto avrebbe immaginato.
Era come se la dolcezza di Cat, il suo bisogno di essere difesa e protetta, avessero scatenato in Sam un istinto più forte dell’impulsività caratteriale, che la spingeva a sopportare e sospirare, invece che strangolarla.
Il modo in cui Cat si teneva vicina a Sam, la spingeva a domandarsi se avesse fatto bene ad andare a Los Angeles, dato che la sua amica sembrava aver trovato una famiglia che le voleva un gran bene e si preoccupava sinceramente per lei.
Forse era stata egoista, aveva pensato solo a se stessa, ignorando il fatto che Sam avrebbe potuto essere felice anche senza di loro.
Carly era stupita e confusa, sorpresa nel trovare una Sam sempre uguale, in fatto di atteggiamenti, risposte acide e sarcastiche, comportamento violento, eppure più matura, diversa, più riflessiva di un tempo.
Certo, la bruna non credeva che Sam sarebbe diventata una signora a modo, ma di certo non era più paragonabile alla ragazzina bionda che si levigava i talloni sul divano del suo salotto.
Probabilmente, la presenza di quel Dylan era uno dei motivi per cui Sam sembrava tanto nervosa – coadiuvata dal loro arrivo, ovviamente – e a Carly non era sfuggito, fin dal primo istante, il modo in cui lui la guardava: era evidente che ne fosse attratto e, di certo, tenesse a lei molto più di quanto ostentasse.
E, del resto, Sam sembrava completamente a suo agio con lui, come se fosse la persona di cui più si fidava al mondo, in quel momento e, involontariamente, aveva continuato a lanciargli occhiate e sfiorarlo, come in cerca di rassicurazione, per tutta la sera.
Spesso, Carly aveva osservato Freddie, cercando di capire se quella vicinanza suscitasse in lui un qualche tipo di rabbia o gelosia, ma la scherma aveva fornito al suo amico una sorta di scudo che rendeva i suoi sentimenti e pensieri indecifrabili per chiunque.
Solo in rari momenti, quando la concentrazione del ragazzo non era al massimo, Carly era riuscita a scorgere, per un attimo, l’amarezza e qualcos’altro negli occhi bruni e cupi.
Il campanello suonò e Dylan lasciò il divano per prendere le pizze, rifiutando di lasciar pagare Freddie o Carly stessa.
Mangiarono chiacchierando del più e del meno, con Carly e Freddie che rispondevano alle domande strane di Cat e Dylan e Sam che si sfidavano a chi mangiava più pizza.
Almeno, constatò Carly, con un sorriso, l’appetito di Sam era rimasto lo stesso.
Quando, esausti e sazi, deposero le posate, era ormai tarda sera.
- Sparecchio.- saltò su Cat, piena di energie.
- Ti aiuto.- decretò Dylan, sorprendentemente; Sam, infatti, gli posò una mano sulla fronte.
- Stai male?- chiese, ironica.
Lui le morse, giocoso, un dito, alzandosi.
Carly comprese che volesse dare a tutti e tre un momento da soli e gliene fu segretamente grata.
Qualche minuto dopo lui e Cat erano in cucina a fare un fracasso incredibile, mentre riempivano la lavastoviglie.
Rimasti soli, i tre ragazzi tennero gli occhi bassi, impacciati e straniti all’idea di essere nuovamente tutti assieme.
- Com’era l’Italia?- domandò, d’improvviso, Sam, senza sollevare lo sguardo dalla pallina morbida con cui stava giocando.
Carly sospirò. – Molto bella, ma non è Seattle.- rispose, sincera e piena di nostalgia.
Gli occhi di Sam scattarono nei suoi ed entrambe scorsero le lacrime che riempivano lo sguardo dell’altra.
Carly avrebbe desiderato, più di ogni altra cosa al mondo, alzarsi dalla poltrona, fiondarsi su Sam e stringerla forte, chiederle scusa per averla abbandonata, essere sparita e non aver dato importanza alla sua presenza nella propria vita, per averla fatta soffrire due volte, distruggendo la loro amicizia e portando via Freddie, confondendo la nostalgia con l’amore, ma sapeva bene di non poterlo fare.
Sebbene, di fatti, le lacrime della bionda significavano che non era indifferente alla sua presenza, Carly si accorse che c’era come un muro, attorno a lei, una sorta di barriera eretta da Sam per tenere fuori loro.
Non che li trattasse con freddezza o astio, semplicemente era molto distaccata, come se fossero semplici conoscenti trovatisi per caso a rincontrarsi dopo molto tempo.
Carly si rese conto, in quel momento, di quanto fossero stati lunghi quei due anni e di quanto la lontananza le avesse spinte sempre più distanti l’una dall’altra, trascinando anche Freddie in quel vortice di perdite e sofferenze.
Quando parlò nuovamente, le lacrime negli occhi di Sam erano scomparse.
- Perché siete qui?- chiese, neutra.
Freddie, che era rimasto sempre in silenzio fino a quel momento, alzò un sopracciglio, sprezzante.- Chiedilo a lei.- sbottò, poggiandosi contro la spalliera. – Io non volevo venire.- aggiunse, fissando il suo sguardo in quello della bionda.
Sam, di tutta risposta, lo ignorò, suscitando un certo sgomento in entrambi e tornò a guardare Carly, in attesa di una risposta.
- Sam, per favore, per favore, vieni alla Mostra di Spencer.- sussurrò questa, sedendosi sulla punta della poltrona, in modo da potersi sporgere verso l’altra.
Sam sospirò. – Mi spiace, Carly, non posso proprio.- rispose.
- Si tratta solo di una sera, per Spencer è molto importante, ci tiene così tanto al fatto che tu venga e… anche io, anche io vorrei che tu venissi.- aggiunse, chinando lo sguardo.
- Mi spiace che abbiate fatto un viaggio a vuoto, davvero, ma non posso.- ripeté lei.
- Perché?- domandò Carly, frustrata, avvampando.
- Ho un corso.-
- E’ di Domenica, Sam.-
Le due si soppesarono con lo sguardo per un momento, poi la bionda fece una smorfia, scocciata. – D’accordo: non voglio venire.- disse, infine, alzando le mani in un gesto eloquente.
Carly sospirò, mordendosi le labbra. – Sam.- mormorò. – Ti prego, non perderti il grande momento di Spencer, perché sei arrabbiata con me.- la implorò.
L’altra aggrottò le sopracciglia. – Non sono arrabbiata con te.- disse, sincera, alzando le spalle in un gesto indifferente. – E’ che non voglio tornare a Seattle, sto bene qui.- aggiunse.
- Non è per sempre, solo per una sera.- insistette Carly. – Tutti sentono la tua mancanza… non è giusto, Sam: quella è anche casa tua.- la voce le si era spezzata.
Freddie, nervoso, stringeva convulsamente i pugni sui braccioli della poltrona.
Sam sollevò lo sguardo triste su Carly, addolorata di dover pronunciare quelle parole, sapendo quanto l’avrebbero fatta soffrire. – Questa è casa mia, Carly.- sorrise, stringendosi nelle piccole spalle.
 
 
Un singhiozzo scosse Carly e, sebbene si fosse affretta ad asciugare la lacrima che le era scivolata lungo una guancia, Freddie si alzò, raggiungendola e appoggiandosi al bracciolo della poltrona.
- Ehi.- mormorò, posandole una mano sulle spalle. – Tranquilla.- aggiunse.
Carly annuì, tentando di sorridere. – E’ tutto okay.- disse.
Sam, incapace di muoversi, assisteva alla scena come se non si trovasse lì, in quel momento, quasi estranea al suo corpo, che aveva smesso di percepire.
Una cosa, difatti, era sapere che tra Freddie e Carly c’era stata una storia, che erano stati insieme, si erano amati e, probabilmente, si amavano ancora, un’altra, era ritrovarseli così, vicini, a sostenersi a vicenda, nel suo salotto.
Il cuore della ragazza, gelido nel petto, era compresso in una morsa violenta e un nodo alla gola le faceva pizzicare il naso di lacrime.
Si impose di restare tranquilla e non lasciare che loro si accorgessero di quanto le facesse male assistere a quella scena: ostentavano il fatto di esserci ancora, l’uno per l’altra, ostentavano quel legame che, un tempo, era stato anche suo e a cui loro avevano rinunciato, calpestandolo.
Cosa credevano? Che sarebbe partita così, solo perché avevano viaggiato per invitarla di persona?
Certo, diciotto ore di viaggio non erano poche, questo doveva concederlo, eppure non riusciva a sopportare l’idea di tornare in quella città che era impregnata di ricordi e che l’avrebbe fatta sentire un’estranea, più di quanto non fosse in quel momento.
Lo sguardo implorante di Carly tornò su di lei e così quello cupo di Freddie, che lei sostenne con decisione.
Proprio mentre la bruna accennava a prendere ancora la parola, la voce di Dylan la bloccò.
- Sam?- la chiamò dalla cucina.
Sinceramente grata al ragazzo, la bionda si alzò e lo raggiunse. – Dov’è Cat?- domandò, guardandosi attorno.
- Nel ripostiglio, cerca il detersivo.- rispose Dylan, poggiato contro il lavello e intento a fissarla a braccia conserte.
- Che c’è?-
Lui alzò un sopracciglio in un’espressione scocciata. – Non credi sia arrivato il momento per un rapido aggiornamento?- le chiese, riferendosi ai due ragazzi in salotto, intenti a osservarli.
Sam gettò il capo all’indietro, posando i gomiti sul bancone. – Non ti devo spiegazioni.- disse, acida.
Dylan assottigliò lo sguardo, irritato e accennò a rispondere in modo brusco, ma, incrociando lo sguardo tormentato della ragazza, sospirò, passandosi una mano sul viso e facendo qualche passo per raggiungerla.
Sollevò una mano a sfiorarle i capelli e, subito dopo, l’afferrò per un polso, attirandola a sé e abbracciandola forte, tanto forte da impedirle qualsiasi ribellione, senza rendersi conto che, quella volta, Sam non si sarebbe ribellata affatto.
La ragazza aveva davvero bisogno di sentirsi, per un momento, al sicuro, nascosta agli sguardi delle persone che aveva creduto di non rivedere mai più e con le quali aveva tagliato ogni ponte.
Aggrappata alla schiena di Dylan, con gli occhi serrati e il cuore in tumulto, si decise a parlare.
- Lei era la mia migliore amica, più di una sorella, la famiglia che mi è sempre mancata e di cui avevo bisogno. Lui era il mio ragazzo, il primo e unico di cui mi sia innamorata e che abbia mai amato e che, ovviamente, detestavo. Lui era innamorato di lei fin dall’inizio, ma… credevo… sono stata stupida. Lei è partita per due anni e abbiamo smesso di sentirci, è sparita… e lui, poi, l’ha seguita per stare con lei. Nessuno dei due mi ha mai detto niente.- raccontò, in un soffio.
Dylan, col mento poggiato sui suoi capelli, annuì solamente, senza pronunciar parola, sollevando gli occhi incandescenti sul ragazzo che, nel mezzo del salotto, lo guardava con un odio gemello nello sguardo.
- Perché sono venuti?- domandò a Sam, senza smettere di abbracciarla.
- Il fratello di Carly ha vinto un concorso e gli faranno tenere una Mostra nel Museo della città. Mi ha invitata ma ho detto di no, speravano di convincermi.- rispose, sospirando e separandosi da lui.
Dylan la lasciò andare a malincuore. – Tu vuoi andarci?- le chiese.
Sam si morse le labbra. – Voglio bene a Spencer, è stato un fratello maggiore per me, ma… -
- Certo, capisco.- commentò Dylan, osservando i due in soggiorno. – Lei mi sembra davvero a pezzi.- aggiunse, assorto.
Sam aggrottò la fronte. – Come?- fece.
Dylan sospirò, guardandola. – Sam, hanno fatto un lungo viaggio, di notte, sotto la pioggia. Quel tipo non mi piace affatto, ma la tua amica sembra davvero distrutta. E’ evidente.- disse.
Sam chinò lo sguardo. – Non riesco a dimenticare.- mormorò.
- Non sei costretta a farlo. La Mostra durerà un paio d’ore, ci sarà molta gente e non sarai costretta a stare con loro, se non vorrai.- le spiegò. – Se davvero vuoi andarci, se senti di doverlo fare per quel tipo, Spencer, allora non pensare a loro e al passato. Non sei tu che mi hai fatto la paternale sugli errori?- sorrise, prendendola in giro.
- E tu non mi hai ascoltata.-
- E’ diverso.-
- Certo, come no.-
Dylan si passò una mano tra i capelli scuri. – Io ci andrei, anche solo per non dar loro la soddisfazione di crederti incollerita.- disse.
Nemmeno a lui piaceva l’idea che Sam passasse del tempo con quel tipo, Freddie, che, adesso che aveva saputo essere l’ex di Sam, detestava profondamente, ma, al contempo, si rendeva conto di quanto alla ragazza servisse superare gli ultimi due anni e andare oltre.
Se non avesse messo un punto a quella storia, alla sua vecchia vita, non avrebbe mai potuto continuare per la sua strada, non sarebbe mai stata capace di fidarsi davvero di qualcuno, ancora.
Ci teneva a lei e voleva saperla felice e non guardarla e sapere che, addosso, si portava il fantasma di una vita passata, di amicizie in frantumi e ferite mai sanate.
Un tonfo preoccupante giunse dal ripostiglio e Sam sussultò al gridolino di Cat.
Sia lei che Dylan si precipitarono alla porta. – Cat? Che hai combinato?- urlò Sam, cercando di aprirla.
- Credo sia caduto uno scaffale.- rispose, allarmata, l’altra. – La porta è bloccata.- aggiunse, battendovi sopra. – Sam? Fammi uscire!- piagnucolò.
La bionda tentò di spostare la tegola dello scaffale spingendo la porta con forza, arrivando perfino a tirarvi un paio di calci. – Maledizione!- sbottò. – Cat, stai bene?- chiese.
- Sì, ma devo avere un bernoccolo in testa e… oh, Sam, non trovo l’interruttore della luce, mi sento male… - fece, isterica, l’altra.
- Cat, non svenire!-
Dylan scansò Sam, cercando di spingere la porta con una spallata. – Lo scaffale è di traverso, credo urti al mobiletto, non c’è modo di aprirla, se non lo sposta.- decretò.
- Sam! Fammi uscire!-
- Cat, tranquilla, ora ti tiriamo fuori.- la rassicurò, guardando Dylan.
- Cat, riesci a spostare lo scaffale?- le domandò il ragazzo.
Una serie di gemiti accompagnarono lo sforzo della rossa, seguiti da un sospiro. – No! Non vedo niente!- esclamò.
Anche Carly e Sam si erano alzati, raggiungendoli. – Possiamo scardinare la porta.- disse Freddie, studiandone le cerniere.
- Quanto ci vorrà?- domandò Sam.
- Venti minuti, dipende da quanto sono arrugginiti e vecchi i cardini.- rispose lui, senza guardarla.
- Sam!- piagnucolò Cat.
- Oh, lascia perdere!- sbottò Sam. – Non resisterà venti minuti là dentro e si farà venire una crisi isterica, ferendosi o svenendo come una pera cotta.- aggiunse, avviandosi verso la porta.
- Dove vai?- domandò Carly.
- C’è una finestrella, nel ripostiglio, che da sul vialetto.- rispose, infilando il giubbotto.
- Sam?! – un secondo tonfo rimbombò nella stanza.
- Provo a entrare da lì.- disse Sam, dando loro le spalle.
- Tu non vai da nessuna parte.- intervenne Dylan, afferrandola per un braccio. – Sta diluviando.- aggiunse, furente.
- E’ solo acqua!- esclamò, irritata, lei.
- Sam… -
- Dacci un taglio, Bennett!-
- Ci vado io, d’accordo? Resta qui.- sbottò lui, uscendo prima che lei avesse il tempo di ribattere. Sam gettò le braccia al cielo, rabbiosa. – Bennett!- gridò.
Carly affiancò la bionda. – Sam, non preoccuparti.- mormorò.
- Non ci passa, lui, dalla finestrella! Idiota! Restate qui, accertatevi che Cat non combini altri disastri, lì dentro.- disse a entrambi, uscendo sotto il  diluvio, al seguito di Dylan.
Freddie e Carly si scambiarono un’occhiata, turbati.
 

Quando, cinque minuti dopo, Sam e Cat uscirono dallo stanzino, una bagnata fradicia e l’altra con un bernoccolo proprio all’altezza della fronte, entrambe si lasciarono cadere sul divano, sfinite.
Dylan rientrò in quel momento, zuppo d’acqua e irritato per non essere riuscito a convincere Sam a tornare in casa – anche se, obbiettivamente, non sarebbe passato da quella finestrella  - e si passò una mano tra i capelli scuri che gli si erano appiccicati alla fronte.
- Ragazzi, che paura!- esclamò Cat, con una mano sul petto. – La luce si è spenta e non ho capito più nulla.- aggiunse.
In effetti, la lampadina del ripostiglio si era fulminata. – Domani sostituirò la lampadina.- sospirò Sam, sorridendo.
- Dovreste andare ad asciugarvi.- disse la ragazza dai capelli rossi agli altri due.
- Già, muoviti, ragazzina, dobbiamo fare due chiacchiere.- borbottò Dylan, incamminandosi verso il bagno, seguito da una Sam divertita e scocciata al contempo. 
- Quanto la fai lunga, Bennett… - le sentirono dire, prima che il rumore del phon coprisse le loro voci.
- Dovremmo andare.- mormorò Carly a Freddie; erano entrambi seduti sulla poltrona alla sinistra del divano, lui sul bracciolo.
Il ragazzo annuì, mentre Cat li osservava, confusa. – Andare? Dove? Sta diluviando.-
- Torniamo a casa, direi. – rispose, rassegnata, Carly.
- A Seattle? Non dovreste viaggiare di notte, con questo tempo. E, poi, come mai siete venuti?- domandò loro, resasi conto di non sapere assolutamente il motivo di quella visita.
Ancora una volta fu Carly a rispondere, alzando le spalle. – Mio fratello dà una Mostra, Domenica e vorrebbe che Sam partecipasse, ma lei non può. I biglietti sono limitati e aveva invitato anche te.- le spiegò, tentando di sorridere.
Cat si illuminò. – Oh, che meraviglia! E’ un pensiero davvero gentile, congratulazioni.-
- Grazie.-
- Com’è possibile che Sam abbia detto di no? E’ strano.- commentò, poi, sfiorandosi il bernoccolo con le dita e gemendo di dolore. – Che botta, ragazzi.- mormorò.
In quel momento Sam e Dylan riemersero dal bagno, spintonandosi.
- Che brutto bernoccolo.- fece la bionda, lasciandosi cadere pesantemente accanto all’amica.
- Molte grazie!-
Sam rise. – Si intona alla gonna rosa, quella larga quanto la testa di Goo.- scherzò.
- Non sei divertente.- rispose Cat, facendole una linguaccia. – Sam, Carly mi ha detto che suo fratello ti ha invitato ad una mostra e che ha invitato anche me. Perché non vuoi andarci? E’ un’idea bellissima.- le domandò, facendo calare un silenzio teso nella stanza.
Sam sospirò, lanciando uno sguardo a Dylan che le sorrise, strizzandole l’occhio.
- Forse hai ragione.- mormorò.
In fondo, Dylan non aveva torto: perché avrebbe dovuto rinunciare a trascorrere una serata con Spencer e Gibby solo a causa di Carly e Freddie?
Non andando, avrebbe dimostrato di essere ancora arrabbiata con loro e non voleva che lo pensassero.
Carly, speranzosa e stupita, la guardò. – Davvero?- fece.
Sam annuì. – Si tratta di una sera soltanto, no?- disse.
- Sì, una sera soltanto. – il tono triste di Carly non le sfuggì.
- D’accordo, verrò. – sorrise Sam, alla fine, guardando Cat. – Anzi, verremo.- si corresse.
Cat, però, assunse un’espressione dispiaciuta. – Ehm… - fece.
- Cosa?- esclamò Sam.
- Io non posso, mi spiace.- mormorò.
- Che significa che non puoi?!-
- Devo tenere Caroline e le cugine domani sera e Domenica pomeriggio Dice mi ha chiesto di badare a Goomer mentre è con sua madre da qualche parte fuori Los Angeles.- spiegò.
- Ringrazia molto tuo fratello, Carly.- aggiunse, sorridendo.
- Allora non vado nemmeno io.- decretò Sam, incrociando le braccia sul petto.
- Sam!- esclamò Cat.
- Non voglio andare da sola.- protestò lei.
- Dylan, perché non la accompagni tu?- propose Cat, rivolgendosi al ragazzo.
Lui si grattò la testa, alzando le spalle. – Se a lei sta bene.- disse.
Sam, avvampando, si strinse nelle spalle. – E’ un problema per te?- chiese a Carly.
La ragazza, sorridendo, scosse la testa. – Assolutamente.- rispose.
- D’accordo, allora. Cat, sicura di non avere problemi a stare da sola?- domandò all’amica.
- E’ solo per un paio di giorni, no?- la spintonò lei.
Sam annuì, sorridendo. – Promesso.- disse. – Perché non vai a mettere il pigiama? E’ tardi.- indicò l’orologio che segnava quasi mezzanotte.
- Sì, sono stanchissima.- ammise Cat, sbadigliando e alzandosi. – Buonanotte a tutti.- borbottò, diretta in camera da letto. Dylan le scompigliò i capelli, quando gli passò accanto.
Carly e Freddie la imitarono. – Andiamo anche noi, ci dispiace di avervi fatto tardare.- disse Carly.- Sam, partiamo domattina presto, per le cinque. Passiamo a prenderti.- aggiunse.
- Dove andate?- domandò Sam.
- Prendiamo una stanza da qualche parte, non preoccuparti.- mormorò.
Freddie annuì, già diretto alla porta.
- Sam, abbiamo una stanza libera.- le urlò Cat dalla loro stanza.
Sam abbozzò un sorriso. – E’ vero, abbiamo un’altra stanza, ha un solo letto, ma il divano è comodo.- disse.
- No, non preoccuparti, davvero.-
- Carly, sta diluviando, è tardi e per trovare un albergo dovrete uscire dalla zona residenziale. Non è un problema, sul serio.- fece Sam, decisa.
Carly la guardò, titubante, volgendosi poi a fissare Freddie, nervoso e irritato.
- Sicura?-
- Sicura. –
- D’accordo, allora, grazie. Freddie, prendiamo le borse dall’auto?- chiese all’amico.
Lui scosse il capo, avviandosi alla porta senza dire niente.
- Dylan, lo aiuti, per favore?- domandò Sam.
L’altro si alzò dal divano e lo seguì fuori.
Rimaste sole, le due ragazze si scambiarono uno sguardo, poi Carly si sporse ad abbracciare l’amica, stringendola forte.
Sam, impacciata, cercò di non apparire fredda e di rispondere all’abbraccio come poteva.
- Grazie.- le mormorò Carly.
 
 
 
I ragazzi rientrarono in quel momento, zuppi e solo Freddie aveva le due borse in mano.
Sam aggrottò le sopracciglia, curiosa e Dylan alzò le spalle, allargando le braccia e scuotendo la testa: l’altro non aveva voluto il suo aiuto.
Freddie era furioso con Carly, perché aveva accettato di restare a dormire lì e con Sam, che aveva accettato di seguirli a Seattle.
Era come se, più lui cercasse di stare lontano da Sam, più l’universo si mettesse all’opera per scagliarla contro di lui come un meteorite.
La bionda indicò a Carly la camera da letto. – E’ tutto in ordine, se dovessi aver freddo ci sono delle coperte nell’armadio.- le spiegò.
- Freddie, vuoi… ?- mormorò Carly e lui scosse il capo. – Io prendo il divano.- rispose.
La ragazza annuì, incamminandosi in camera con la valigia.
- Prendo degli asciugamani per Dylan e poi ti lascio il bagno, Freddie, così puoi toglierti quei vestiti bagnati.- gli disse Sam, sparendo oltre la soglia.
Quando uscì, il ragazzo afferrò la sacca ed entrò in bagno, chiudendo la porta con una spinta irritata.
Si tolse la felpa e i jeans, gettando tutto in una busta che sigillò e, infilatosi sotto il getto caldo, poggiò la fronte contro le piastrelle, chiudendo gli occhi.
Dannazione, dannazione, dannazione!
Si era lasciato convincere da Carly ad andare a Los Angeles, consapevole di quanto stupida fosse quell’idea, e, adesso, eccolo lì, immerso nel peggiore degli incubi.
Non solo rivedere Sam era stato doloroso, amaro, come il profumo di casa che non riesci più a trovare da nessuna parte che, per un istante, ti passa sotto il naso, riempendoti di nostalgia e rimpianti, ma, per di più, aveva dovuto incontrare quel tipo, Dylan.
Freddie si sorprese a scoprire di non aver mai immaginato Sam con qualcun altro, non aveva mai pensato che avrebbe potuto interessarsi a qualcuno o legare così tanto con un ragazzo.
Era sempre stata Carly, delle due, a circondarsi di ragazzi e uscire spesso, mentre Sam, fatta eccezione per un paio di tipi, non si era mai interessata granché a quelle cose, fino a quando non si erano messi insieme.
A Freddie non era sfuggita la complicità che Sam e Dylan avevano, quel cercarsi, sfiorarsi casualmente, quasi involontariamente, l’essere calamitati l’uno verso l’altra, il comprendersi con lo sguardo, e a ogni loro sorriso era stato come avere un coltello piantato nel petto.
Certo, in passato era stato geloso di Sam, ma quello non aveva solo a che fare con la gelosia, Freddie lo sapeva bene: era come se quel tipo avesse preso il suo posto, scacciandolo via dal cuore e dalla mente di Sam.
Il loro battibeccare, i piccoli litigi, le discussioni, le battute acide, perfino il picchiarsi per gioco, erano cose che, una volta, Sam aveva condiviso con lui e vederla così attratta da Dylan, vedere quanto lui le fosse legato, quanto facilmente lei aveva lasciato che qualcuno prendesse il posto che, un tempo, era stato suo, lo mandava su tutte le furie e gli stritolava ferocemente il cuore.
Dannazione, solo dieci mesi prima ogni suo sorriso, ogni frase sarcastica, ogni gesto complice era stato per lui e con lui!
Come aveva fatto a dimenticarlo così in fretta?
E lui che si era sentito in colpa, immaginandola a struggersi per la loro storia finita!
Perché era ovvio che a Sam piacesse quel tipo, forse anche troppo.
Glielo leggeva negli occhi, nel modo in cui si tormentava le labbra, mordicchiandole, quando Dylan era volutamente provocatorio, nei lampi di irritazione quando lui la tormentava.
Sam si comportava con quel tipo proprio come, in passato, si era comportata con lui, poco prima che si mettessero insieme.
All’epoca, Freddie, da grande idiota, non aveva capito che quello strano atteggiamento di Sam serviva a celare quelli che erano i suoi sentimenti ma, adesso, a guardarla, si rendeva conto che si stava innamorando di Dylan e la cosa lo faceva sentire malissimo.
E Freddie non se ne spiegava il motivo, dato che lui, solo qualche mese prima, era ancora innamorato di Carly.
Aveva messo una pietra sopra sulla storia con Sam da tempo, più di un anno prima, a causa del loro essere così diversi, opposti; allora perché, adesso, a scoprirla innamorata di qualcun altro si sentiva ardere di rabbia?
Non voleva più pensare, non voleva pensare a lei.
Batté un pugno sulle piastrelle e si affrettò a insaponarsi alla meglio, uscendo e asciugandosi alla svelta; indossò i pantaloni della tuta e una felpa, mise tutto in ordine e uscì, intento a tamponarsi i capelli bagnati con un asciugamani.
Carly aspettava lì fuori, con il necessario per la toeletta tra le braccia e gli lanciò uno sguardo strano, mentre lo superava.
Freddie raggiunse il salotto, illuminato solo dalla abat-jour sul tavolino alle spalle del divano e scorse Sam in cucina, di spalle, intenta a strofinare un asciugamani sui capelli di Dylan, ridendo, mentre lui le teneva le mani sui fianchi, borbottando chissà cosa.
Era davvero irritante stare lì a guardarli e Freddie sentì montare la rabbia all’idea che, per i due giorni successivi, avrebbe dovuto sopportare spesso viste del genere.
Si schiarì la voce e Sam sussultò, voltandosi di scatto, mentre Dylan riapriva gli occhi.
- Freddie, ti ho preparato il divano.- gli disse la ragazza, raggiungendolo e indicandogli il divano-letto aperto sui cui aveva sistemato delle lenzuola, un cuscino e una coperta pesante.
- Grazie.- si limitò a rispondere lui, evitando il suo sguardo e sedendosi.
- Figurati.-
Lei si voltò, pronta a tornare da quello e, istintivamente, Freddie parlò. – Dovresti andare a dormire, domattina ci metteremo in viaggio all’alba.- fece.
Sam, sorpresa, si volse a guardarlo, curiosa. – Ehm, sì, non preoccuparti.- disse.
Lo sguardo di Freddie fu intercettato da quello di Dylan che si era alzato e aveva preso il giubbotto; a lui, il tono sarcastico, non era sfuggito e la sua espressione era decisamente poco amichevole.
La ragazza, accortasi che l’altro stava preparandosi ad andare via, gli si parò di fronte.
- Dove vai?-
- A casa, è tardi, devi dormire.- rispose lui.
Sam, a disagio a causa della presenza di Freddie, spinse Dylan oltre il bancone, nell’angolo della cucina non visibile dal divano, laddove la luce dell’abat-jour non arrivava.
Nonostante quello spostamento, Freddie poté udire i loro bisbigli e ciò che stavano dicendo.
- Sta piovendo ed è buio pesto.- mormorò.
- Lo so, Sam, non preoccuparti.-
Lei, titubante, indugiò, prima di sospirare. – Resta.- ad occhi bassi.
- Non c’è posto.-
- Dormirò con Cat, puoi prendere il mio letto.-
- Sam… -
- Per favore.-
Lui gettò indietro il capo, passandosi una mano sul viso, poi allargò le braccia, sconfitto.
- D’accordo.- mormorò, gettando le chiavi dell’auto sul ripiano in cucina.
Sam sorrise, sinceramente rincuorata: il mattino dopo, al risveglio, Cat sarebbe stata ancora addormentata e non voleva affrontare Freddie e Carly da sola.
- Nella cassettiera in camera dev’esserci un po’ della roba che dimentichi in giro, come la felpa che mi hai prestato, prendila. Vedo se abbiamo ancora un pantalone della tuta di Goomer, di quando è stato a dormire qui.- gli disse, avviandosi verso la camera di Carly.
Dylan attraversò il salotto, diretto nella stanza di Sam e lui e Freddie si incenerirono reciprocamente con lo sguardo.
Carly uscì dal bagno in quel momento e, passata di fronte a Freddie, gli augurò la buonanotte, facendo lo stesso con Sam, riemersa dall’altra camera con un pantalone blu a motivi infantili tra le mani.
Lo porse a Dylan, ridendo e l’espressione imbronciata di lui fu visibile anche nella penombra.
- Puckett, questa me la paghi.- le disse, entrando in bagno.
Sam rientrò in camera sua e socchiuse la porta, uscendone qualche istante dopo con indosso un pantalone chiaro e largo e una maglietta sformata, che doveva essere appartenuta a un ragazzo – Dylan, sicuramente – e una coperta tra le mani.
Raggiunse Freddie, ancora seduto con i gomiti sulle ginocchia, intento a fissarla.
- Questa la lascio qui, nel caso dovessi aver freddo; la notte qui la temperatura scende molto.- gli disse, impacciata.
Freddie sospirò, passandosi una mano sul viso, colpito da quel gesto premuroso e gentile, dolce, così tipicamente da Sam Puckett: la ragazza, di fatti, aveva l’abitudine di preoccuparsi degli altri proprio quando loro erano furiosi con lei, come se un sesto senso le suggerisse di fare qualcosa di carino senza nemmeno sapere perché, portando così la rabbia di chiunque a scemare.
E, del resto, solo qualcuno senza cuore avrebbe potuto essere sgarbato con quel visetto dall’espressione impacciata e tenera che veniva fuori raramente.
- Beh… buonanotte, Freddie.- aggiunse, dandogli le spalle.
La mano del ragazzo scattò ad afferrarle il polso, quasi avesse vita autonoma.
- Sam…- sussurrò, senza lasciarla, senza sollevare gli occhi dal pavimento, nemmeno quando lei si volse appena, tremante.
- Lo so.- disse la ragazza, piano, con voce tanto sottile da sembrare solo un sussurro.
Freddie strinse delicatamente il polso di Sam, annuendo e lasciandola andare piano, accarezzandole la pelle della mano, sul dorso, poi le dita, lasciando cadere il braccio.
Cosa Sam sapesse e perché Freddie avesse annuito sarebbe rimasto un mistero, per entrambi, almeno per molto tempo ancora.
Era stato il loro modo di salutarsi, dato che, da quando si erano visti, non ne avevano avuto modo o desiderio.
In quel momento, erano il Freddi e la Sam del privato, dei rari momenti da soli, quelli che nessuno poteva vedere o giudicare, che conoscevano tanto bene l’altro da leggergli nel cuore con uno sguardo, quelli che non si vergognavano di essersi amati e odiati e che non avrebbero mai smesso di essere “Frednerd” e “Principessa Puckett”.
Sam tornò in camera, lasciando la porta dischiusa e, mentre Freddie si accingeva a coricarsi, Dylan uscì dal bagno.
Dopo aver lanciato un’occhiata al salotto, scomparve in camera di Sam e Cat, chiudendo la porta e lasciando Freddie fuori, lontano da Sam.
 
 
 
 
 
  
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