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Autore: DulceVoz    01/12/2014    6 recensioni
Che ne sarà di noi? Questa non è una vera e propria domanda, è piuttosto una frase vaga che si ripetono tre fratelli, da quando la loro vita è stata sconvolta da una disgrazia più grande di loro, un uragano di sofferenza che ha stravolto duramente le loro giovani esistenze. Che ne sarà di noi? Si chiede una zia amorevole, che potrebbe trovarsi costretta a vivere con loro a causa di un testamento sorprendente, il quale la vedrebbe obbligata sotto lo stesso tetto anche con il suo peggior incubo, ovvero l’uomo che si interrogherà con la medesima questione, nascondendosi dietro ad una maschera di indifferenza. Dal dolore puo’ nascere amore? E, soprattutto… l’amore puo’ aiutare a superare un dramma tale? Questo e molto altro, lo dovranno scoprire i nostri protagonisti… perché a sanare le loro profonde ferite, dovrà pensarci proprio questo potente sentimento.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Angie, Diego, Leon, Pablo, Violetta
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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Un testamento particolare. Cap.6
 
Angie si aggirava per la stanza come in preda ad un attacco d’ansia imminente, sotto lo sguardo attonito dei tre nipoti seduti pigramente sul sofà, i quali la fissavano andare avanti e indietro per il salotto. “- Se non cambi percorso farai un solco nel parquet…” Sbottò distrattamente Violetta, incrociando le braccia al petto e scrutandola ancora con attenzione: quella mattina la Saramego era passata un secondo per casa sua, in centro, a prendere il suo miglior tallieur ed un paio di eleganti scarpe per ciò che l’attendeva quel pomeriggio, occasione che le metteva un’ agitazione terribile. “- Non posso più rimandare, siete minorenni e… e probabilmente ci sarà un processo per il vostro affido, anzi è quasi sicuro...” Esclamò nervosamente la donna, afferrando una borsetta appoggiata sul bracciolo del sofà accanto ad Ambar e continuando a camminare con lo stesso movimento ipnotico degno di un pendolo. “- Ti ha richiamato il notaio, vero? Per quanto riguarda il testamento… non si sa ancora nulla di noi?” Chiese distrattamente Diego, che conosceva troppo bene la zia: stava posticipando all’infinito quell’appuntamento come se lo temesse da morire, ma evidentemente se si stava per recare allo studio del dottor Lisandro in centro, era solo perché lui l’aveva sollecitata per l’ennesima volta. “- Sì mi ha telefonata e no, non so nulla di preciso… ma voi non vi preoccupate. Tornerò per cena e porterò delle pizze perché… beh, perché non ho avuto nemmeno un secondo per respirare, oggi… figuriamoci per preparare la cena!” Sentenziò la bionda, fermandosi per un secondo ad osservarli per poi riprendere nel suo agitato andirivieni. Non poteva crederci: quel giorno si stabiliva tutto, il destino dei ragazzi era nelle mani di quei pezzi di carta firmati da German ed Esmeralda, eppure era sicura che la tutela dei loro figli le fosse concessa senza dubbio, unica parente da parte di madre dei giovani. Insomma, chi meglio di lei? Sapeva di essere dannatamente negata con i bambini o peggio, adolescenti, con la cucina che non riguardasse dolci e torte, con tutto ciò che dovesse fare una madre… ma in fondo chi meglio di lei, una zia che li amava con tutta l’anima? Se nel testamento non si fosse parlato dell’affido avrebbe fatto carte false pur di prendersi cura personalmente di Diego, Violetta e Ambar… anche se era del tutto incapace rispetto a sua sorella. Esmeralda aveva avuto l’istinto materno sin da piccola, ricordava ancora quando, una volta, aveva trovato un cagnolino piccolissimo e ferito in strada: la rossa lo aveva portato a casa nonostante le urla dei loro genitori che non ammettevano animali nell’appartamento, si era occupata di lui e, una volta guarito, lo aveva regalato ad una vicina sola e anziana. Beh, un cucciolo non era la stessa cosa rispetto a tre figli… ma lei se l’era sempre cavata egregiamente e suo marito aveva fatto altrettanto. Ora stava a lei donare l’immenso amore che aveva nel cuore ai loro ragazzi e per quanto le facesse strano non le pesava, anzi… era solo preoccupatissima di non esserne all’altezza.
“- Di nuovo pizza? E’ la terza volta consecutiva in due giorni!” Si lagnò Ambar, sbuffando sonoramente e fissando la Saramego che alzò le spalle, incapace di riuscire a dire altro. “- Non ti lamentare, zia Angie fa tutto il possibile… e poi a te non piaceva la pizza?” La riprese la sorella maggiore dolcemente, facendo annuire anche la bionda, grata dell’aiuto con la piccolina. “- Sì ma non tutti i giorni… sto cominciando ad odiarla! Ed anche Sara!” Sentenziò la rossa, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi pigramente con le spalle allo schienale del sofà, nominando di nuovo la sua amichetta immaginaria e facendo restare sconvolti tutti gli altri. “- Beh, dì a Sara che stasera mangerà quello che decide Angie e sarà così per tutto il resto della sua e nostra vita!” Sbottò il Castillo, con tono stizzito. “- …E smettila di fare sempre capricci una buona volta! Ci mancano solo le tue lamentele! BASTA!” Diego, scattando in piedi come una furia, lasciò di stucco le tre e si precipitò verso le scale con aria tesissima: che stesse pensando ancora alla questione dell’affido? Perché reagiva così dopo essere rimasto in silenzio per circa dieci minuti di fila, come perso nei suoi pensieri, scagliandosi poi duramente contro la terzogenita di casa? “- Diego, che ti prende? Scusati con tua sorella, dai!” La Saramego lo richiamò mentre lui prese a salire a due alla volta i gradini che portavano alle camere da letto, ignorandola. “- DIEGO!” Urlò ancora la donna invano, notando che il ragazzo fosse scappato letteralmente via. Ambar era pietrificata e Violetta scuoteva il capo con rassegnazione: era evidente che il fratello fosse diventato un altro dopo la tragedia e che, se in alcuni momenti sembrava volesse farsi carico di tutta la famiglia informandosi sull’affido, in altri dava l’impressione di voler evadere e trattava male tutti quelli che gli erano intorno. “- Non parlo più, zia… va bene la pizza.” Concluse la piccola Castillo, tremante, abbassando poi lo sguardo su una bambola di pezza che stringeva a sé, un po’ impaurita. “- No, tesoro… parla, almeno tu. Dovrebbe imparare a farlo anche tuo fratello, almeno saprei come aiutarlo…” Mormorò quasi tra sé e sé la bionda, allontanandosi dal fondo della gradinata per accomodarsi dove prima era seduto il nipote. Non voleva opprimerlo, voleva seguire il consiglio di Marcela nel non fargli troppe pressioni, ma almeno delle spiegazioni per quell’atteggiamento gliele doveva. Capiva quanto stesse soffrendo ma non poteva rivolgersi in quella maniera alla sua famiglia, o almeno a quello che ne rimaneva: avrebbe dovuto ascoltarla, avrebbe dovuto rispettarla come unica persona maggiorenne e adulta tra quelle quattro mura… ma come avrebbe potuto affrontarlo? Inoltre sapeva che se ne sarebbe pentito, come l’ultima volta, ovvero quella notte in cucina… la mattina dopo si era presentato con la colazione per farsi perdonare, dunque aveva sofferto di sensi di colpa che si erano aggiunti allo stato pessimo in cui si trovava per tutto il resto della situazione già di per sé tragica. “- Ci parlo io con lui… ma aspettiamo ancora un po’.” A sorpresa, Violetta, prese la mano della donna e, capendo tutto il suo disagio, decidendo che la miglior soluzione sarebbe stata che lei avesse, con calma, affrontato poi il fratello. “- Tempo al tempo, fidati di me.” Sussurrò la castana, intrecciando le dita con quelle della zia che annuì mestamente. Certo, forse il tempo avrebbe un po’ cambiato le cose… ma sarebbe mai riuscito a far tornare il giovane quello che era in passato? Ecco, era quello uno dei dubbi cardine che affliggeva la mente e il cuore della Saramego.
“- Io devo andare, sono già le sei. Fate le brave.” Salutò dolcemente la donna, facendo annuire le due, ancora un po’ sconvolte per quanto accaduto, mentre, di nuovo, il tormento della lettura del testamento si impossessò dei pensieri della donna, insieme alla reazione cruda di Diego che l’aveva lasciata sbigottita e preoccupata per il suo stato.
 
 
Pablo era seduto sul divano, lo sguardo fisso di fronte a sé e l’aria confusa: doveva ammettere che quell’ennesima telefonata del notaio non se l’aspettava di certo, e il solo pensiero di dover andare ad ascoltare quali fossero le ultime volontà del suo migliore amico gli metteva un’angoscia tremenda. Perché German gli avrebbe dovuto lasciare qualcosa in eredità? Lui non voleva nulla… o meglio, l’unica cosa di cui sentiva il bisogno sarebbe stata l’averlo ancora accanto a sé, ma purtroppo era impossibile. L’uomo si portò le mani al volto strofinandoselo con vigore: non poteva piangere, non era il momento, anzi doveva sbrigarsi se non voleva presentarsi in ritardo. Si era vestito nel migliore dei modi che potesse e si sentiva dannatamente a disagio in quel completo elegante in cui si vedeva come un pinguino dell’alta società, con la cravatta che credeva quasi lo stesse soffocando, come stingendosi da sola sempre più… ma di certo non avrebbe potuto indossare altro. Galindo si alzò e si specchiò ancora: non credeva di avere un bell’aspetto per quanto riguardava il viso considerato il suo stato d’animo, ma poco importava in quell’occasione. Per un secondo la sua mente fu assalita da un ennesimo pensiero: cosa ne sarebbe stato dei figli dei Castillo? Che vi fosse qualche clausola riguardante loro nel testamento? Sicuramente. Conoscendo quanto fosse preciso e previdente German non poteva non aver pensato anche a loro nella redazione di quel documento e di sicuro la tutela l’avrebbe avuta la loro zia… già, ed Angie? Il volto di quella bellissima donna gli si materializzò quasi davanti agli occhi nel riflesso nel quale continuava a rimirarsi e a sistemarsi i capelli corvini, decisamente spettinati e in contrasto con quel suo look elegante. Sicuramente i ragazzi sarebbero stati affidati a lei, la sorella della loro madre, unica parente di quella famiglia e, francamente, lo sperava, realizzando che in quell’occasione l’avrebbe anche rincontrata. L’ultima volta che l’aveva vista era stato al funerale ed era distrutta quanto lui, cosa che l’aveva fatto soffrire abbastanza... Pablo si chiedeva come quella bionda riuscisse ad essere così affascinante in ogni occasione: era davvero perfetta, linee perfette, corpo da urlo, volto stupendo come non ne aveva mai visti… insomma un angelo, ma dal carattere forte che riusciva a tenergli testa, impresa non di certo facile. Peccato che si fosse comportato in una maniera orribile al loro primo appuntamento… ne era consapevole ma lui era così: in quel periodo si vedeva con una moretta niente male e di certo non poteva rischiare di perderla per un’uscita combinata con la sorellina di Esmeralda! Tanto era sicurissimo che lei avrebbe capito, che si fosse bevuta la scusa dell’amica “malata” e che comunque sarebbe riuscito nel suo intento di aggiungerla alla sua lista di conquiste… ma, suo malgrado, Angie non era una sciocca, l’aveva sottovalutata decisamente troppo. Alla festa di Ambar si era anche scusato con lei ma era stato tutto inutile… beh, poco importava, tanto lui di certo non cercava una fidanzata, a maggior ragione in un momento come quello. Scosse il capo, allontanando quei pensieri… basta, doveva darsi una mossa: diede un ultima sistemata ai capelli, riuscendo solo a peggiorare la situazione del suo aspetto e si affrettò a correre verso la porta d’ingresso... chissà cosa gli spettava secondo le volontà di colui che era stato e sarebbe continuato ad essere, senza alcun dubbio, suo fratello.
 
 
 
Lo studio del dottor Lisandro era tutto arredato con mobili antichi quanto pregiati di un color ciliegio scuro che dava una sensazione di calore alla stanza, un po’ cupa e scura a causa di grandi e pesanti tende rosse chiuse davanti all’unica finestra che dava su un giardino esterno all’edificio. Angie, dopo un cenno del capo del notaio, si sedette su una sedia rivestita di un velluto scarlatto e cominciò a torturarsi le mani che teneva in grembo, sperando che quell’appuntamento finisse quanto prima. Roberto la fissava in silenzio di tanto in tanto, rimanendo immobile intento a scribacchiare su dei fogli ordinatamente disposti di fronte a sé, mentre la bionda si chiedeva per quale arcano motivo non si potesse ancora iniziare la lettura del testamento. “- Mi perdoni…” Dopo alcuni imbarazzanti minuti, la donna interrogò l’uomo che alzò di poco il volto per ascoltarla. “- …Per caso aspettiamo qualcuno?” Chiese la Saramego, sentendo chiaramente la voce incrinarsi in un tremito per lo sguardo di sufficienza che l’altro le rivolse già al sentirla pronunciare le prime due parole. “- Ovviamente, altrimenti avremmo già cominciato.” Sentenziò lui, ritornando poi al suo lavoro come se nulla fosse. Angie sospirò rumorosamente e abbassò lo sguardo con aria confusa, mentre la sua mente cominciò a vagare… forse attendevano qualche altro collega del notaio che riguardasse l’aspetto burocratico della vicenda e non pensò troppo al motivo di quell’attesa, piuttosto si ritrovò a ricordare la discussione avuta con Diego a casa. Non sapeva davvero cosa fare con lui, inoltre non voleva nemmeno trascurare troppo Violetta e Ambar per dedicare tutto il suo tempo e le sue attenzioni al giovane che, tra l’altro, non voleva neppure opprimere troppo. Il ragazzo aveva giustamente bisogno di più tempo, reagiva diversamente dalle sorelle, tutti e tre reagivano in maniera differente tra loro, e la donna non sapeva proprio da dove cominciare per aggiustare almeno un po’ le cose.
“- Scusate il ritardo!” Una voce la fece voltare di colpo e, sotto l’uscio dell’enorme porta d’ingresso, un trafelato Pablo avanzò sino all’altra sedia libera alla sinistra della Saramego che lo fissava con stupore… stavano aspettando lui? Possibile che fosse stato inserito nel testamento da suo cognato? Cosa ci faceva Galindo lì? Il fotografo le rivolse un mezzo sorriso a cui lei non rispose, voltandosi nuovamente verso il notaio, il quale prese invece ad osservarlo stizzito per quella mancanza di precisione. “- Avevamo specificato un orario, signor Galindo...” Sentenziò Roberto, facendolo annuire, mentre si metteva comodo scompostamente sulla sua poltroncina. “Lo so… perdonatemi.” Si limitò a scusarsi lui, guardando di nuovo la bionda che non lo degnò nemmeno di un’occhiata. “- Potremmo cominciare, per favore?” Sbottò nervosamente la sorella di Esmeralda, stringendo con foga i braccioli della sedia e ancorandosi ad essi con le unghie. Non sapeva per quale motivo German nel testamento avesse deciso di inserire anche Pablo, ma sperava con tutto il cuore che per il suo amico si fosse limitato ad un qualche oggetto di valore materiale e nulla di più: l’affido dei ragazzi doveva essere suo, suo e di nessun altro. “- Certo… dunque, antecedentemente alla lettura delle ultime volontà dei coniugi Castillo, entrambi mi hanno lasciato una lettera ciascuno per voi da consegnarvi per far sì che la visionaste prima che ciò avvenga.” Detto ciò, Lisandro aprì una cartelletta di fronte a sé e ne estrasse due buste che sia Pablo che Angie fissavano con aria assorta mentre l’uomo gliele porgeva.  La Saramego subito strappò la carta esterna per leggere il contenuto della missiva indirizzata a lei, mentre il moro si limitava a rigirarsi la sua tra le mani con aria afflitta.
D’un tratto, dei singhiozzi irruppero nel silenzio di quel momento e i due uomini si voltarono a osservare la bionda: le lacrime avevano sin dalle prime lettere, cominciato a scorrerle sulle gote pallide, mentre non dava impressione di voler sospendere nonostante sentisse la vista annebbiata dal pianto.
 
Cara Angie,
Mi auguro con tutto il cuore che non debba mai leggere queste mie parole, perché se dovrai farlo potrà significare solamente una cosa… e non voglio nemmeno immaginarlo. Ad ogni modo, se hai ricevuto questa lettera ciò è accaduto e, prima di tutto, non voglio che tu pianga. So che potrebbe sembrare impossibile ma tu sei forte, sorellina mia, io lo so meglio di chiunque altro… lo sei sempre stata e dovrai esserlo anche in questa straziante situazione. Se nel testamento leggerai qualcosa che potrà scioccarti sappi che è l’unica soluzione che io e German siamo riusciti a trovare nel caso in cui una disgrazia si fosse dovuta abbattere su noi due, insieme. Non pretendo che tu ne sia subito favorevole, penserai sia un’assurda follia, ma ti prego di cuore di accettare le nostre ultime volontà, per favore. Sarà difficile... Sarà difficilissimo, me ne rendo conto… ma sono certa che le divergenze verranno prima o poi appianate, gli ostacoli superati e riuscirete a far crescere i nostri ragazzi nel migliore dei modi. Digli che li abbiamo amati sempre con tutta l’anima, digli anche che veglieremo su di loro per sempre e donagli quell’affetto e quel calore che senza di noi sentiranno venire a mancare. Dai a Diego modo di accettare la perdita, sono sicura che sarà colui che ti farà disperare di più… la sua allegria è sempre stata sintomo di una grande sensibilità mascherata e se saprai prenderlo come è necessario, tutto andrà bene... ha un grande cuore, credimi… anche se a volte tende a nasconderlo. Aiuta Violetta a non soffrire troppo, lei è così fragile… deve sfogare il suo dolore e non soffocarlo tentando a tutti i costi di essere la roccia della famiglia. E Ambar… beh, lei non ho idea di come possa prendere una cosa del genere, ora è così piccola… prenditi cura di lei, è affettuosa e avendoti accanto ti si affezionerà ancor di più di quanto non lo sia già adesso che ti ha come una semplice zia.
Non hai idea di quanto mi faccia strano scriverti queste poche righe… ma in fondo nella vita, come dice mio marito, bisogna essere previdenti, no? Ti affido il mio tesoro più prezioso con la certezza che tu farai di tutto per tenerlo al sicuro e crescerlo con amore. Ti adoro, mia piccola Angie, non dimenticartelo mai.
Con affetto,
 
Esmeralda.
 
Angie non riuscì a trattenere un singhiozzo che le fuoriuscì quasi involontariamente, avendo tentato di trattenerlo con tutte le sue forze fino alla fine, invano. Pablo la guardò dispiaciuto per un secondo, facendo poi passare il suo sguardo alla busta che ancora stringeva tra le mani. “- Proseguiamo, per favore.” Sibilò Galindo, facendo accigliare Roberto che scosse il capo. “- Rispetta le loro ultime volontà come ho fatto io… apri anche tu quella dannata busta e facciamola finita.” Inaspettatamente, la Saramego, fissando un punto indefinito alle spalle di Lisandro, sussurrò quasi quelle parole con aria gelida e Pablo si voltò di colpo per osservarla: era così fredda, così determinata mentre le lacrime ancora le segnavano il volto stanco, tuttavia meraviglioso… quella frase lo aveva raggelato ma, nonostante tutto, decise che non voleva leggere in quel momento la sua lettera da parte di German, non voleva mettersi a piangere di fronte a tutti, non poteva e basta. “- Lo farò per conto mio, dopo.” Sentenziò, facendo alzare le spalle a Roberto con aria confusa. “- D’accordo, ma sbrighiamoci che dopo di voi ho altri due appuntamenti… allora iniziamo subito.” Il notaio, riaprendo la cartellina, prese dei fogli tra le mani e cominciò a leggere. Solo in quei momenti della lettura Angie realizzò che con quella lettera Esmeralda, oltre a parlarle dei suoi figli, aveva chissà perché tentato quasi di scusarsi… Perché il testamento avrebbe dovuto scioccarla tanto?
 
“L’ unica soluzione”, “Sarà difficile”…
 
I pezzi della vicenda si stavano ricomponendo nella sua mente, mentre sentiva ancora le guance umide per le troppe lacrime. Cosa avevano deciso di tanto strano, sua sorella e  Castillo? Lisandro aveva iniziato a scorrere il testo e a pronunciare con tono solenne ad alta voce quelle parole, ancora tanto tecniche e in cui si poteva riconoscere poco della scrittura di pugno proprio dei coniugi deceduti.
 
“- … Lasciamo, di comune accordo e nel pieno possesso delle nostre facoltà, la casa e l’affido congiunto dei nostri figli: Diego, Viola e Ambar Castillo, ad Angela Saramego e Pablo Galindo.”.
 
Un silenzio di tomba calò nella stanza: Roberto interruppe la lettura e prese a far passare il suo sguardo dall’uno all’altro dei suoi interlocutori, i quali fissavano di fronte a sé con aria sconvolta. Il migliore amico di German si voltò di colpo verso la bionda che fece contemporaneamente lo stesso, incredula su ciò che aveva appena udito. “- Ci dev’essere un errore…” Balbettò la donna, sporgendosi verso la scrivania e strappando dalle mani del notaio quelle carte ufficiali, lasciandolo stizzito. “- Non puo’ essere così…” Mormorò ancora Angie, prendendo a osservare con aria afflitta quei fogli con aria confusa quanto sorpresa. Non poteva essere vero, Esmeralda non poteva davvero farle una cosa del genere, non avrebbe mai accettato, con suo marito, di lasciare i loro ragazzi anche sotto la tutela di quello squinternato. “- Siamo sicuri che siano le loro volontà?” Azzardò ancora lei, mentre Pablo era rimasto piuttosto paralizzato. Se la zia dei figli Castillo non avrebbe mai immaginato una cosa del genere lui ne era ancor più sconvolto: tutore di minorenni con… con Angie? Dire che lei lo odiasse in fondo era anche poco, il che rendeva tutto ancor più difficile al solo pensiero di condividere una villa ed educare tre ragazzini così diversi. Insomma, non era da lui, German avrebbe dovuto saperlo, conoscendolo così bene! Non era un compito da potergli affidare, lui non ne sarebbe stato in grado e, soprattutto, forse, non voleva. Ok, era affezionato a Diego, Violetta e alla piccolina di casa… ma una cosa era vederli quattro, massimo cinque volte l’anno, un’altra ben diversa sarebbe stata fargli da… padre. Lui? Padre? No, il solo pensiero lo faceva rabbrividire. “- Sì, signorina. Le spiego come mai sua sorella e suo cognato hanno optato per questa soluzione…” A quelle parole entrambi rivolsero lo sguardo a Roberto che era riuscito a catturare la loro attenzione con quella frase pronunciata con tono serissimo e solenne. “- I Castillo, a parte lei, non avevano altri parenti e essendo la signorina Saramego nubile, non avrebbe potuto prendere in affido i ragazzi da sola, o meglio sarebbe stato più complesso e rischioso… ma se nelle loro ultime volontà, il signor German e la signora Esmeralda, avessero scelto due tutori, il problema non sarebbe poi sorto, nonostante comunque dobbiate passare per un’ aula di tribunale ad ufficializzare la cosa.” Angie annuì silenziosamente, mentre Galindo scosse il capo con aria confusa. “- E se uno dei due tutori si rifiutasse?” Chiese, facendo alzare le spalle con perplessità al notaio. “- Beh, in quel caso i ragazzi potrebbero essere affidati ad una casa famiglia, suppongo… non credo che la signorina da sola, seppure richiesta espressamente come tutrice nel testamento, abbia valenza come unica affidataria, dipenderebbe tutto dal giudice incaricato poi del processo...” Sentenziò Lisandro, mentre il moro abbassò gli occhi, asserendo con il capo. ”- Non puoi nemmeno pensare di fare questo a quei poveri ragazzi… io non te lo permetterò.” Improvvisamente, ad intromettersi nella conversazione fu la Saramego che, con un gelido sibilo, mormorò quelle parole con decisione glaciale, un tono da far accapponare la pelle. Era ancora incredula ma di certo non poteva rischiare di perdere i suoi nipoti solo perché quell’idiota non si sarebbe assunto le proprie responsabilità. Ora aveva chiaro il motivo per cui i genitori dei giovani avevano preso quella decisione, ora capiva perché avessero tentato sempre di farle stringere almeno amicizia con quel tizio… e poi c’era la lettera. Tutto il puzzle si stava componendo nella sua mente e non voleva assolutamente che andasse in frantumi la possibilità di vegliare su Diego, Violetta e Ambar, solo a causa di Pablo Galindo.
“- Devo… devo andare.” Quelle parole biascicate dell’uomo lasciarono tutti di stucco, soprattutto la Saramego che scattò in piedi a sua volta con la chiara intenzione di fermarlo. “- Non ti azzardare neppure!” Sbraitò, facendo sì che anche Lisandro si alzasse da dietro alla sua enorme scrivania per tentare di placare gli animi. “- Signori, per favore…” Provò il notaio, ma la bionda non lo calcolò minimamente e puntò i suoi grandi occhi verdi velati ancora di lacrime in quelli neri del fotografo. “ – Io non… io non posso.” Mormorò con stizza Pablo, salutando Roberto con un cenno del capo e avviandosi, ancora la lettera in mano, verso l’uscita di quell’ufficio. “- NON PUOI FARLO DAVVERO!” Le urla di Angie lo accompagnarono per tutto il corridoio ma lui finse di non sentirla, per quanto quelle parole lo ferissero profondamente. “- SE QUEI RAGAZZI ANDRANNO IN UN ORFANOTROFIO SARA’ SOLO COLPA TUA! E IO TI FARO' FUORI, TE LO GIURO!” La Saramego continuava a gridare come in preda ad una crisi di nervi e quella distanza dalla sedia su cui era seduto, fino alla porta, sembrò per il moro essere infinita. “- SEI UN MALEDETTO CODARDO!” E, su quell’ultima frase, l’uomo sbatté la porta, sentendo finalmente che potesse dare libero sfogo alle lacrime. Corse verso l’uscita dall’edificio senza guardare in faccia a nessuno e ritrovandosi persino a spintonare gente per arrivare presto alla sua auto, parcheggiata proprio di fronte al palazzone, situato nel centro di Buenos Aires: le imprecazioni delle persone per i colpi ricevuti gli arrivavano come un eco lontano e afferrò le chiavi dalla tasca dei pantaloni per fiondarsi al posto di guida, con aria distrutta. Pablo si accasciò con la testa sulle braccia che incrociò sul volante e continuò a singhiozzare rumorosamente… Perché? Perché German aveva pensato a lui come affidatario dei suoi figli? Non ce l’avrebbe fatta, non era una vita adatta a lui che viveva alla giornata, senza pretese, che lavorava solo per sé, non di certo per una famiglia! Angie aveva ragione, era un dannatissimo codardo e si odiava, si odiava con tutta l’anima per quella reazione che, come tale, l’aveva fatto apparire... Ci teneva a quei ragazzi ma in quel momento voleva solo stare lontano da tutto e tutti, almeno per quella notte… o forse di più. Quasi senza pensarci la mano si ritrovò nella tasca interna della giacca e ne estrasse la busta… per lo stato in cui era avrebbe preferito non aprirla mai, ma la tentazione di leggerla era troppo grande e così, senza quasi rendersene contro, strappò la carta e si ritrovò con quel foglio di fronte, dal quale subito riuscì a distinguere chiaramente l’ordinata calligrafia di German.
 
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Hola chicos! Dunque, capitolo importante, mi rendo conto che forse sia un po’ noiosetto ma ci voleva, è la chiave di tutto. Allora… l’affido dei figli Castillo va, congiunto, ad Angie e Pablo, e se la donna accetta con decisione le volontà dei coniugi deceduti, l’uomo è confuso e spaventato… accetterà la situazione? E i ragazzi come la prenderanno? Intanto Diego ha un'altra forte reazione, stavolta contro la sorellina più piccola… riusciremo mai a ritrovare il ragazzo di un tempo?
Alla prossima e grazie a tutti coloro che recensiscono e seguono la storia… siete gentilissimi! :3 Ciao! :) DulceVoz. :)
  
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