UN
CUORE IN FIAMME
UN
CUORE IN FIAMME
-L’ANGELO
CUSTODE-
Non voglio che mi lasci anche lui, non è giusto, non voglio venire di nuovo abbandonato, non voglio essere più solo! Corro come se avessi le ali ai piedi, non ho mezzi più veloci, neanche una bicicletta, io non ho mai avuto nulla di realmente mio… ed ho solo le mie gambe, ora, in loro posso infondere l’unica speranza di raggiungerlo, le sento leggere come mai prima d’ora.
Non è vero che non ho mai avuto nulla di mio… avevo anche io una famiglia, una mamma e un papà, purtroppo coinvolti in affari che io, allora bambino piuttosto piccolo, non potevo capire… come non compresi la scena cui fui costretto ad assistere, con i miei occhi sgranati su un trauma che mi perseguiterà a vita, tra le braccia di mio fratello in lacrime, egli era abbastanza grande per capire, quantomeno, che qualcuno aveva ucciso i nostri genitori a sangue freddo, con quei due spari solitari nella notte. Come comprese che avrebbero preso anche noi se lui non avesse mostrato tanta fermezza da trascinarmi via, verso un’esistenza clandestina nella quale ancora mi trovo immerso.
Mio fratello Michael non è più con me da un anno… la sua ossessione era la vendetta, neanche il nostro legame, le mie suppliche, sono riusciti a farlo desistere e la sua ossessione lo ha condotto alla morte… e me lo ha portato via.
Ho rischiato di affogare, in quest’ultimo terribile anno, nella solitudine più completa, passando da un lavoretto all’altro, senza riuscire a tenere un posto per più di pochi giorni a causa del mio atteggiamento misterioso, della mia palese paura a rivelare troppo di me, la qual cosa non dà sicurezza ai miei datori di lavoro. Come biasimarli? Sono davvero pericoloso, perché sono braccato da gente pericolosa che mai ha mostrato scrupoli. Non capisco per quale motivo non mi lascino in pace, non so cosa vogliano da me, non sono a conoscenza dei misteri legati alla mia famiglia e neanche desidero conoscerli, vorrei solo trovare un senso alla mia esistenza… e vorrei non essere solo.
Data la mia estrema disperazione, non so come ho fatto a mantenermi onesto ed integro, questo lo posso dire a mio vanto; non sono mancate le occasioni per lasciarmi trascinare lungo strade illusoriamente più facili ma lo squallore di certi ambienti, per fortuna, mi ha sempre terrorizzato. Persino il giro della prostituzione maschile mi sfiora, costantemente, molto da vicino… per via delle mie attrattive, mi dice chi tenta di adescarmi…
Se avessi ceduto non me lo sarei mai perdonato e neanche mio fratello mi avrebbe mai perdonato una cosa simile.
I miei rifiuti non mi mettono al sicuro: una persona insistente mi perseguita, mi tallona, mi tiene il fiato sul collo decantando, quando tenta di mettermi alle strette, la mia bellezza ed i soldi che gli farei guadagnare, in cambio di notevoli vantaggi per me. E questa persona ha cominciato a spaventarmi, ogni giorno di più, la sua falsa, costruita affabilità è andata trasformandosi in autentica coercizione. Ho avuto a che fare con lui, ieri notte, quando ho incontrato Andrea, un vagabondo di origine italiana che, come mi ha raccontato, un giorno ha deciso di lasciarsi la vecchia vita alle spalle e di girare per il mondo, assecondando il suo spirito avventuroso… solo lui, il suo amato cane e la loro libertà… ma il destino l’ha messo sulla mia strada e non voglio credere che sia stato un caso…
///…Era notte, stavo tornando al mio minuscolo ed improvvisato monolocale
situato in un quartiere malfamato della città, dopo aver svolto il mio turno al
pub nel quale lavoravo da un mese, un lavoro duraturo rispetto a molti altri…
ma che comunque aveva visto la fine allo stesso modo
dato che, proprio pochi minuti prima, il mio principale, con tono affettato e falsamente
gentile, mi aveva detto che si trovava costretto a rinunciare alla mia
collaborazione: non sapeva nulla di me ed il mistero di cui mi circondavo non
lo rassicurava… e quella persona con la quale spesso mi vedeva discutere aveva
l’aria poco raccomandabile…
Avevo sospirato, con un unico cenno d’assenso, comprensivo, non sono
riuscito neanche ad arrabbiarmi, quale diritto avrei
avuto?
Tuttavia, mentre percorrevo quelle strade squallide
e misere, ero disperato; cosa avrei fatto? Una volta di più, come spesso mi era
accaduto da quando Michael mi aveva lasciato, pensavo
che togliermi la vita si sarebbe rivelato il male minore, addirittura un
sollievo. Era sempre stato il ricordo di mio fratello a trattenermi, egli mi
aveva sempre spronato ad essere forte: il suicidio era un’altra di quelle
scelte che non mi avrebbe mai perdonato.
Eppure, cosa potevo fare? Cosa
mi restava?
Poi, qualcuno mi afferrò il polso, una mano si posò sulla mia bocca e venni trascinato nel buio denso e maleodorante di un vicolo
angusto; tuttavia, l’oscurità non mi impedì di riconoscerlo quando, sfidando il
terrore che mi incendiava le viscere, aprii gli occhi. Il mio persecutore era
lì e, questa volta, non era solo: compresi che non sarebbe
stato come le altre volte, non più inviti e promesse melliflue per
blandirmi. Mi avrebbero rapito e trascinato nel loro mondo da incubo.
Mi dibattei ma erano troppi, mi tenevano
bloccato contro il muro e la mano sulla mia bocca mi impediva di chiedere
aiuto; in ogni modo, ero convinto che, in quel quartiere e contro quelle
persone, nessuno si sarebbe preso la briga di fare qualcosa per me, in
qualunque modo le cose si fossero messe, ero perduto.
“Sei senza lavoro… e sei in pericolo costante” mi lambì, con le sue
insinuanti minacce, il mio persecutore, il capo del gruppo, mentre i suoi
scagnozzi non mi concedevano di muovere un muscolo, faticavo
persino a respirare. In seguito, la sua voce assunse un’inflessione più
realisticamente cruda:
“Mettiamo le cose come stanno: fino ad ora ho tentato di farti capire,
con le buone maniere, in cosa consistesse la tua convenienza, ma sei stato
tanto sciocco da non volerne approfittare con le buone. Mi basterebbe uno
schiocco di dita per consegnarti nelle mani di chi ti vuole morto, ma anche
questa gente se ne starebbe buona e tranquilla se sapesse che io mi occupo di
te, tenendoti sotto il mio controllo.”
Sgranai gli occhi su di lui ed a stento repressi un’ondata di nausea:
egli sapeva, anzi, probabilmente era legato agli assassini della mia famiglia
più di quanto io stesso fossi in grado di immaginare.
Una nebbia fitta oscurò momentaneamente in me la paura e riuscii, non so come, a sferrare un calcio piuttosto energico ad uno dei
miei carcerieri, cogliendoli tutti di sorpresa quel tanto che mi bastò per
divincolarmi e sgusciare via dalle loro mani; non pensai a scappare, vedevo
solo il suo volto e sentivo il desiderio di colpirlo con tutte le mie forze.
Non arrivai mai a poterlo fare, i suoi uomini reagirono prontamente e
mi afferrarono di nuovo, spingendomi a terra; qualcuno mi colpì il fianco con
una tale violenza da mozzarmi il fiato, gridai quando
un braccio mi venne piegato dietro la schiena e giunsero molto vicini a
spezzarmelo.
“Divertitevi un po’ con lui, giusto per dargli una lezione e domare il
suo spirito ribelle; ma non rovinatelo, questa bella bambolina di porcellana
sarà una merce particolarmente preziosa.”
Accolsi quelle parole con un insopportabile disgusto, così come la
risata che le seguì e che, alle mie orecchie, risuonò come l’eco di un demone
dell’inferno.
Lo presero in parola… continuava a ridere mentre
mi tenevano schiacciato a terra e le loro mani presero a correre, viscide,
orride, lungo tutto il mio corpo e si aggrappavano avide ai miei indumenti per
strapparmeli di dosso; urlai di nuovo quando mi resi conto che il mio corpo nudo
era a loro completa disposizione, ma una mano mi chiuse ancora la bocca. Avevo di nuovo paura e desideravo ardentemente che mi uccidessero,
perché ciò che volevano da me quella notte, ciò che altri uomini avrebbero
voluto da me da quel momento in poi se fossi rimasto in loro balia, la mia anima
non lo poteva accettare.
“Uccidetemi” avrei voluto implorare “Uccidetemi,
vi prego, ma non fatemi questo!”
Ma la mano sulla mia bocca soffocava ogni tentativo
di dire qualcosa.
Ridevano tutti, ansimavano, mi aggredivano con battute oscene oltre che
con carezze che raggiungevano ogni frammento delle mie membra. Quando mi costrinsero ad allargare le gambe ed uno di loro mi sommerse
con il suo peso, con i suoi respiri, il suo odore lascivo, la frenesia che
indicava l’impazienza di abusare di me, temevo che la testa mi sarebbe esplosa…
sarei morto… sarei morto in ogni modo, il mio spirito non poteva sopravvivere
anche a quello dopo tutto ciò che già avevo dovuto subire.
Ed in quel momento, egli arrivò; percepii, nell’autoannullamento in cui
mi ero rifugiato, l’improvviso senso di leggerezza sopra di me, le urla
concitate, l’inconfondibile suono di passi che indicava
una moltitudine di uomini in fuga.
Poi il silenzio… e due mani che mi
afferravano le spalle per voltarmi. Mi irrigidii e cominciai a singhiozzare come
un bambino… avevo solo sedici anni in fondo e non avevo mai conosciuto
un’autentica infanzia.
“Non ti spaventare, non voglio farti del male, solo accertarmi delle
tue condizioni.”
La voce era dolce e mi spinse a focalizzare lo sguardo sul suo possessore,
sui capelli biondi e gli occhi azzurri in un viso bruciato dal sole che saranno
sempre per me, finché vivrò, il simbolo della salvezza
e del miracolo.
“Tu… mi hai aiutato… li hai fatti scappare” balbettai, accettando
finalmente il suo sostegno “Come ci sei riuscito?
Erano tanti…”
“Diciamo che sono un esperto di arti marziali”
mi rispose, con il suo sorriso ora un po’ malizioso, bello come quello di un
angelo… ed in effetti era il mio angelo… per quanto mi riguardava era disceso
dal cielo per salvarmi.
Mi condusse al sicuro, dove aveva trovato rifugio e mi
invitò a sostituire i miei abiti a brandelli con alcuni dei suoi,
decisamente troppo grandi per me, ma comodi anche se ci navigavo dentro.
Neanche lui aveva una casa, perché vi aveva
rinunciato spontaneamente. Gli raccontai tutto di me ed anche questo aveva del
miracoloso… non lo conoscevo, ma dentro di me sapevo che egli era la persona
che aspettavo da tutta la vita. Era italiano ma
conosceva perfettamente la mia lingua… e proprio non riuscivo a considerarlo un
estraneo.
Ascoltò ogni mia parola, senza ombra di giudizio nei suoi occhi di
ghiaccio e quando, dopo tanto tempo, trovai sfogo in un dirompente pianto
liberatorio, semplicemente mi attirò contro di sé, stringendomi e coccolandomi
come un tempo avrebbe fatto mio fratello. Mi sentivo
leggero… dopo tanto… come svuotato da un peso che mi gravava costantemente sul
petto.
Di questo avevo bisogno? Di qualcuno con cui parlare, condividere le
sofferenze di tutta una vita? Qualcuno con cui sentirmi, unicamente, un
ragazzino da proteggere?
“Mi dispiace, piccolo, per quello che hai dovuto sopportare… se solo potessi, in qualche modo, sottrarti a questa realtà…”
Quella sua dolcezza… non era tanto più anziano di me
ma aveva superato i diciotto anni ed il suo fisico, snello ma forte,
raggiungeva una statura che mi sarei per sempre sognato, io che ero davvero
basso, quasi minuscolo se paragonato a lui… e tra le sue braccia mi sentivo
realmente una cosina piccola e fragile, ma mi andava bene così, era bello anzi…
bellissimo.
Avrei voluto dirglielo: per aiutarmi avrebbe solo dovuto tenermi con sé
e non lasciarmi mai, ma assolutamente non potevo, l’avrei messo in pericolo,
nessuno sarebbe stato al sicuro con me.
Facemmo l’amore, quella stessa notte, sotto quel ponte sul fiume, prima
che l’alba giungesse ad accarezzare i nostri corpi, mi lasciai possedere da lui
con una naturalezza che mi sconvolse, addirittura temevo che potesse
considerarmi una creatura leggera e lasciva… ma ero vergine e se ne accorse, mi disse quanto mi vedeva innocente… e
profondamente solo; mi ammirava per com’ero riuscito a cavarmela fino a quel
momento. Era un mistero anche per me, in effetti.
Ci addormentammo abbracciati, accanto a noi Black,
il suo grosso cane nero, inseparabile amico, che vegliava sul nostro sonno
pronto a proteggerci; ed io non mi ero mai sentito più felice ed al sicuro.
Mi svegliarono, qualche ora dopo, le sue carezze; aprii i miei occhi
nei suoi ed in quell’azzurro avrei voluto smarrirmi per sempre.
“Non posso restare fermo in un posto, Little Anton; Blacky ed io partiremo… vieni con noi…”
Il ritorno alla dura realtà… così presto… speravo, almeno un poco, di
poter rimandare il momento.
Mi staccai, mio malgrado,
dal suo abbraccio, il cuore mi faceva male.
“Non posso… non posso chiedere a nessuno di rischiare per me, i miei
fardelli sono unicamente miei e non obbligherò nessuno a portarli con me.”
“E’ un poco egoista il tuo modo di ragionare, non
trovi? Vuoi tenere per te i tuoi problemi e, insieme ad
essi, tutto l’amore che il tuo cuore saprebbe donare se solo glielo
permettessi…”
“Il mio cuore brucia, è vero… brucia a causa di questo
amore di cui tu parli, un amore che lo infiamma fino a ridurlo in
cenere, perché è troppo… ed il mio piccolo cuore non può contenerlo tutto,
questo amore lo soffoca… soffoca il mio cuore e soffoca me. Ma non voglio che
queste fiamme che mi consumano dentro possano bruciare qualcun altro,
rendendomi responsabile di nuovo dolore. No, Andy… ti scotteresti se mi
portassi con te ed io non voglio vederti morire tra le
fiamme!”
“Parole… parole… parole…” commentò, pacato ma
amaro “parole bellissime, degne di un libro… ma che mi importa delle parole di
cui ammanti la tua cieca paura? Non mi toccano.”
Si alzò, imitato da Black che, subito, si mise
al suo fianco, pronto a seguire e condividere ogni sua decisione.
“Fai come vuoi; io parto ora… prendo il
primo treno che trovo…”
Quanta durezza! La mostrò con me per la prima volta ed era come una
pugnalata: vidi davanti a me quello che, probabilmente, avevano
visto in lui, poche ore prima, i miei aggressori… ostilità, rabbia, una rabbia
gelida nei confronti del mondo, la rabbia di chi è solo ed incompreso, come me…
e l’avevo provocata io!
Mi diede le spalle, sollevò una mano senza più
guardarmi e pugnalandomi ancora con quel tono, di ghiaccio come i suoi occhi.
“Addio, piccolo eroe” calcò su quella parola con un disprezzo che mi
fece gelare il sangue nelle vene “Spero per te che incontrerai ancora qualcuno
disposto a condividere con te la sua solitudine e che accada prima che tu abbia
portato a perfetto compimento la tua autodistruzione.”
Non riuscii a reagire in alcun modo, rimasi seduto, immobile, il cuore
che mi era balzato in gola fino a soffocarmi; il fuoco di cui avevo parlato mi incendiava l’anima. Solo quando lui e Black divennero due puntini sull’orizzonte la mia rigidità venne
meno e potei sollevare una mano, chiamarlo, in un fioco sussurro, ovviamente
impossibile da udire, mentre le lacrime mi accecavano. ///
Per quanto tempo sono rimasto seduto, incapace di qualunque risoluzione, assente al mondo e persino a me stesso? Quanto tempo, prima di rendermi conto che non è giusto? Perché mi sento ancora come se fossi stato io a venire tradito ed abbandonato quando, in realtà, l’ho allontanato da me? Speravo forse che insistesse, che mi prendesse tra le sue braccia e mi supplicasse di seguirlo fino in capo al mondo? Avevo, nonostante tutto, bisogno di un’ulteriore dimostrazione per concedergli la mia incondizionata fiducia?
No, la fiducia ce l’ha, tutta, fin dal primo istante ma aveva ragione ad apostrofarmi come se fossi un piccolo egoista, perché è esattamente quello che sono e nient’altro… egoista verso me stesso e verso di lui, perché ad ognuno di noi ho negato quella felicità che, forse, entrambi meriteremmo. Cosa posso fare se non correre e sperare? E’ troppo tardi, ho esitato troppo e lui, ormai, sarà salito davvero sul primo treno, chissà per dove… neanche gliel’ho chiesto.
La stazione è distante, corro ininterrottamente per quelle che saranno, forse, due ore; il mio fisico sta per cedere ma la mia mente non sente e non ammette stanchezza. Tuttavia, quando percepisco, intorno a me, il tipico vociare di un luogo affollato ed il fischio di treni in partenza e in arrivo, quando so di essere giunto alla meta, lo sgomento mi assale e, esausto, rallento fino a ridurre la mia corsa ad un passo barcollante; non posso fare a meno di portarmi una mano al petto, mentre il fiato mi si spezza e sento che sto per svenire. Non ho neanche il coraggio di provare a cercarlo, a che servirebbe? E’ sicuramente partito da un pezzo.
Vagamente, intorno a me, nella dimensione soffusa dei miei sensi annebbiati, odo delle voci che mi chiedono se sto bene. Rispondo distrattamente qualcosa, devo essere in uno stato pietoso se attiro in tal modo le attenzioni su di me.
Poi mi raggiunge l’abbaio di un cane, un grosso meticcio nero mi salta intorno, scodinzolando come se mi riconoscesse.
Oh, ti riconosco anch’io… mio caro amico…
“Black… Blacky…” farfuglio, incapace persino di far uscire distintamente le sillabe.
“Little Anton, ti senti male?”
So che è un sogno e non voglio svegliarmi, non voglio voltarmi e scoprire che lui non c’è, ma l’illusione della sua voce basta a provocare in me un cedimento che mi fa crollare in ginocchio, le membra tremanti e gli occhi sgranati sul nulla che nulla vedono.
Le braccia che in una notte ho imparato a conoscere mi avvolgono; istintivamente le mie mani cercano le sue, anche se il terrore di vederle svanire al mio tocco è ancora insostenibile.
No… sono vere, sono concrete. Mi ci aggrappo come se temessi di annegare nel vuoto che mi ha circondato per tutta la vita.
“Pensavo… fossi partito…” riesco a sussurrare senza ancora trovare il coraggio né la forza di voltarmi a guardarlo. Così egli mi stringe le guance tra le sue dita e mi costringe a sollevare il viso… ed i suoi occhi azzurri sono lì, il loro ghiaccio sciolto per me.
“Non potevo andarmene prima che tu mi avessi raggiunto; lo sapevo che saresti venuto, mi è bastata una notte per conoscerti… perché in realtà ti cerco da sempre…”
Il nostro bacio venne subito dopo, lungo, intenso, del tutto indifferente alle occhiate ed ai borbottii di protesta della gente intorno a noi. Non mi importa dell’intolleranza del mondo, non mi importa più, per la prima volta da quando mio fratello è morto, mi sento forte.
Non sono fatto per stare da solo… ma neanche per stare con chiunque… attendevo il mio angelo custode… me l’hai mandato tu, Michael?
Mano nella mano, andiamo a sederci sulla panchina di un binario; ancora non gli ho chiesto dove andremo, non mi interessa, io sono già nel mio posto perfetto che sarà dovunque potrò restare con lui.
Liberando un sospiro che finalmente è di puro sollievo, poggio la testa sulla sua spalla.
“Non hai più paura che io mi bruci se mi stai troppo vicino?” ridacchia, accarezzandomi languidamente una gamba.
“Oh, sì, Andy… ne ho tanta ed anche così mi sento egoista; qualunque cosa decidessi mi sentirei egoista ma, chissà perché, al tempo stesso non sono mai stato così convinto di aver preso la decisione giusta.”
“Ma perché non lasci perdere tutti questi ragionamenti sui massimi sistemi e non ti lasci semplicemente andare alla libertà di cui possiamo impadronirci se solo desideriamo?”
Anche lui china il capo, lo posa teneramente sul mio, le nostre dita si intrecciano ancora, mentre Black, accucciato ai nostri piedi, scodinzola approvando le parole dell’amico umano che aggiunge, in un soffio leggero e caldo:
“Anche il mio cuore brucia, sai? Brucia di amore per te. Due fiamme, incontrandosi, si alimentano e si fanno più forti… Non noi due ci scotteremo, Little Anton, ma chiunque vorrà, per qualunque motivo, provare ad estinguere questa fiamma, oh se si scotterà… finché saremo insieme, nessuno potrà in alcun modo toccarci.”
Gli credo e mi sento rilassato e tranquillo; in fondo è il mio angelo custode, se è giunto fino a me c’è un motivo e credo di averlo compreso.
L’arrivo del treno richiama i nostri sensi rapiti e saliamo, preparandoci a raggiungere quella che sarà la prima tappa della nostra nuova vita.