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Autore: Emapiro95    01/12/2014    4 recensioni
Cosa succederebbe se la vita di un diciassettenne qualsiasi, che vive a Londra, venisse distrutta e stravolta dall'arrivo di un "exchange student?". Mi sono basato sulle mie esperienze personali per scrivere questo piccolo racconto, spero vi piaccia!
"Il mio nome è Jared Maycon, e questa è la mia storia, la storia di come tutta questa monotonia fu distrutta. Bastò il suo arrivo perché tutto cambiasse… Dalla “A” alla “Z”."
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo 6 - "Fading"

Non so cosa dire se non: scusate la luuuunghissima assenza, ma ho avuto vari problemi, alcuni anche abbastanza seri... Vi assicuro che da ora in poi la pubblicazione dei capitoli sarà più frequente e regolare (almeno ci proverò!)... Se vi siete persi il capitolo precedente, oppure ve lo siete dimenticato (cosa molto probabile ahahah), lo potete trovare qui :)
Bene, detto ciò non mi resta che sperare che questo capitolo vi piaccia :)
Mi raccomando, lasciate una piccola recensione!



La mandibola contratta per la concentrazione, gli occhi fissi sulla pagina bianca del quaderno degli appunti e una nota di soddisfazione nei suoi occhi verdi.
Avevo già finito il mio compito assegnatomi dal signor Boujdi, ovvero quello di definire la funzione degli Alveoli nei polmoni, e ora stavo passando il tempo ad esaminare, il più discretamente possibile, il viso concentrato di Alex, che sedeva al banco opposto al mio.
I suoi occhi, avevo scoperto, non erano completamente verdi. Avevano, infatti, delle sfumature di marrone chiaro, che si mescolavano perfettamente con il colore principale. Mi ricordavano le fronde degli alberi di Hyde Park.
Scossi la testa come per scacciare una mosca fastidiosa e cercai di concentrarmi su qualcos’altro. Provai a concentrarmi sulla lavagna digitale, su cui ora era proiettata la diapositiva che spiegava, per l’ennesima volta, la funzione della cartilagine nella trachea. Spostai lo sguardo più a sinistra, dove mr. Boujdi era seduto a cercare di capire come funziona un powerpoint, ma mi venne l’istinto di andargli vicino e rompergli qualcosa in testa, quindi cambiai soggetto. Dietro di lui c’era un tabellone con scritte e avvisi di tutti i tipi per gli alunni della sixth form. Mi misi a leggere l’avviso dell’incontro con i professori di Cambridge per la facoltà di medicina.
«Ok, mi raccomando: finite l’assegno e ripetete tutto quello che abbiamo fatto in questi giorni entro venerdì. Alla prossima lezione.»
E, come se fosse stato il professore stesso ad aver premuto un pulsante, la campanella suonò con i suoi ben noti tre “bip”, consentendo all’intera classe di uscire ed andare nella sala comune.
Mi affrettai verso Alex per fermarlo prima che uscisse dall’aula.
«Ehi.» Dissi, senza sapere né cosa dire né perché l’avevo fermato.
Il biondo in risposta mi guardò con uno sguardo interrogativo, che faceva chiaramente trasparire il disprezzo che provava nei miei confronti.
«Pensavo solamente che… Boh non so…» Per fortuna il solito rumore che anticipava la voce del preside all’interfono della scuola mi interruppe prima di una terribile gaffe.
“A causa di alcuni brutti avvenimenti degli anni scorsi, ricordiamo ai vecchi studenti e informiamo quelli nuovi, che appena finito l’orario scolastico, a meno che non vogliate rimanere nell’edificio della scuola, dovete tornare direttamente a casa, usando la via più diretta. Grazie per la vostra attenzione e scusate per l’interruzione. Buon proseguimento di giornata.”
Il canadese, che aveva fissato per tutto il tempo il soffitto, come se, attraverso l’altoparlante, avesse potuto vedere il preside parlare, abbassò lo sguardo su di me. «Per che cos’era tutto quel fatto del coprifuoco?» Chiese poi.
«L’anno scorso è stato quasi accoltellato un ragazzo di questa scuola, era dell’year 11. Per fortuna però è riuscito ad evitare il tutto.» Spiegai, stranamente contento che mi stesse rivolgendo la parola.
Come se avesse sentito le mie emozioni, prese i suoi libri e se ne andò.
Non resistendo all’impulso, lo presi per un braccio e lo fermai, fissandolo dritto negli occhi.
«Scusa ma sei incazzato con me per qualche motivo in particolare?» Chiesi. «A parte le cazzate che ti ho urlato addosso nel corridoio prima, ovviamente… Scusa, comunque… Veramente non so cosa mi sia preso.» Dissi, non sapendo neanche io da dove mi stessero uscendo certe parole…
Alex mi guardò di rimando, nascondendo lo sguardo sorpreso che aveva per un attimo animato le sue iridi verdi. Poi mi rispose. «La prossima volta evita di prendere le mie difese. Le mani e la bocca le ho apposta.»
E detto questo se ne andò lungo il corridoio del piano terra.
E la mia mente elaborava almeno altri due modi in cui il biondo avrebbe potuto usare la sua bocca e le sue mani.



I giorni passarono abbastanza velocemente, fino a diventare una settimana, poi due, ed infine tre.
I rapporti con Alex erano rimasti quasi completamente invariati, anche se però forse ora poteva essere considerato un rapporto basato sugli interessi che entrambi ne avremmo tratto, e non più sull’odio che lui provava nei miei confronti e che credeva fosse reciproco.
Dato che però il posto in cui abitava Alex (Lewisham, un quartiere di Londra) era troppo lontano da casa mia, o almeno così gli avevo fatto credere, non ci vedevamo mai in orari extra-scolastici.
Quella mattina uscii di casa un po’ prima del solito a causa di alcuni documenti che dovevo stampare dal computer della scuola, e, essendo che ottobre era ormai alle porte, le temperature erano tutt’altro che alte.
Non mi ero mai riuscito ad abituare alle temperature britanniche, nonostante vivessi a Londra dal giorno stesso in cui mia madre mi aveva dato alla luce. E, per questo motivo, indossavo, sopra al solito pullover con camicia , una felpa blu con dei disegni bianchi che si intrecciavano tra di loro, creando dei giochi di linee e di forme piacevoli alla vista.
C’era una nebbia fitta tutt’intorno a me, mi si posava addosso come una leggera patina di umidità, o di neve. Una leggera pioggerellina scendeva leggera dalle nuvole grigie e minacciose che ricoprivano l’intera città. I vetri delle macchine erano ricoperti di rugiada, che ora, con la prima luce del mattino, stava iniziando a cedere, scivolando verso il basso, dove i cruscotti aspettavano pazientemente.
Continuai il resto del tragitto senza neanche pensare di cacciare l’ombrello dallo zaino. E questo per due motivi: la pigrizia dovuta all’orario e il fatto che incontrare Alex sotto la pioggia mi entusiasmava di più dell’avere un ombrello tra le mani.
Ma, per mia sfortuna (e quando ebbi questa sensazione rimasi alquanto confuso), non lo incontrai per tutta la strada verso scuola, e neanche una volta arrivato nella sala comune, dove, invece, trovai Lydia e i miei amici. Questi ultimi, però, senza dire una parola si alzarono dai loro divanetti rossi e uscirono dalla stanza. Una cosa che ormai accadeva da tre settimane a quella parte.
La sala comune era una stanza squallidamente arredata, se si poteva usare il termine arredata, con una fila di divanetti rossi, un paio di tavolini con qualche sedia e tanti computer quanti gli armadietti vicini all’entrata.
Le luci ultimamente andavano e venivano, lasciando accese solo quelle di emergenza, quasi sicuramente a causa della macchinetta che vendeva bibite e snacks nell’angolo della stanza, la quale continuava a mangiarsi i soldi di tutti gli studenti affamati.
«Ehi Ly.» Sorrisi radiante quando mi fui avvicinato al suo divanetto, chinandomi per posarle un bacio sulle labbra.
«Ehi.» Ricambiò lei sorridendomi. «Hai qualche lezione alla prima ora?» Mi chiese mentre mi sedevo.
Ci dovetti riflettere un po’ sopra prima di poter dare una risposta a quella domanda. «Mmmh no, non credo, perché? Qualche progetto?»
«No no, nessun progetto, io devo andare al Tate modern con mr Gayle, ricordi?» Mi disse, fissandomi con i suoi occhi azzurri, indecifrabili come al solito.
Mr Gayle era l’insegnante di arte e design, da tutti quanti etichettato come il “pazzo quattr’occhi”, a causa della sua non proprio perfetta salute mentale e dei suoi occhiali spessi come due fondi di bottiglia. Lydia frequentava il suo corso, aspirando ad un’A*, che le sarebbe di sicuro servita per la carriera che aveva intenzione di intraprendere.
«Oh sì certo!» Esclamai, come colto all’improvviso da una scossa elettrica con benefici mnemonici. «Be’ divertiti mentre io starò qui a studiare per il test di biologia.» Le dissi con tono scherzoso, e, in risposta, Lydia si allungò e mi poggiò un leggero bacio sull’angolo della bocca, con un sorriso divertito. «Vabbè ora devo andare, ci vediamo dopo?» Chiese la bionda con il sorriso ancora sulle labbra.
Annuii in conferma alla sua domanda.
Non appena Lydia se ne fu andata, andai al mio armadietto e presi il libro di Biologia e il quaderno degli appunti, sapendo che si prospettava una giornata alquanto pesante.
Il resto del giorno, come avevo già immaginato, passò più lentamente di qualsiasi altro giorno avessi mai trascorso in quell’edificio.
Di solito, quando Lydia andava in gita, avevo il mio solito gruppo con cui passare il tempo, ma, senza capire ancora il perché, i ragazzi mi ignoravano. Passai, quindi, tutto il tempo con la testa sul libro di biologia.
– Almeno supererò il test – pensai.

«Signor Maycon… Come mai così puntuale?» La voce di mister Boujdi, simpaticissimo come suo solito, mi diede il benvenuto nella calda aula del secondo piano, dove si sarebbe svolto un piccolo test, che sarebbe servito come prova per gli esami di gennaio.
«Non vedevo l’ora di vederla, professore.» Risposi con tono mieloso, zittendolo. In compenso, però, sentii provenire dal fondo dell’aula un leggero cenno di risa. Mi girai velocemente, per capire da chi provenisse, anche se in fondo già conoscevo la risposta. Alex.
Gli occhi verdi gli brillavano di luce propria quando rideva, ed ero sicuro che, se fosse stato in un’aula completamente buia, sarebbe stato capace di illuminarla interamente.
Mi avvicinai al blocco di banchi dove sedeva il biondo, distaccato dal resto della classe, e mi ci sedetti accanto, sorridendogli. «Se sei qui per copiare le risposte del test hai fatto l’ennesima scelta sbagliata.» Mi disse Alex, con tono quasi polemico, facendo un’ultima ripassata disperata dalla miriade di fotocopie dateci da mister Boujdi.
«Fidati, ho studiato abbastanza per tutti i presenti.» Risposi, non dando peso al tono del biondo, ripensando alle quattro ore precedenti passate in sala comune a ripassare come un disperato. Mi venne in mente, come mosso da una molla, che anche il canadese aveva partecipato alla gita con mister Gayle. Non mi lasciai sfuggire l’occasione. «Com’è stata la visita al Tate?» Prima di rispondermi, Alex mi fissò negli occhi con tanta intensità da farmi scostare lo sguardo. Sembrava mi stesse leggendo nei reconditi dell’anima, un posto che neanche io visitavo poi tanto spesso. «Mi è piaciuta, grazie.» Rispose poi, abbassando lo sguardo nuovamente sui fogli in bianco e nero. Non feci in tempo a rispondergli che la campanella suonò e l’intera aula si iniziò a popolare di studenti nervosi per il test. Così, non appena mister Boujdi mi ebbe dato il foglio del test, in assoluto silenzio, chinai il capo ed iniziai.

«Hey!» Dissi alzando leggermente la voce per riuscire a farmi sentire da Alex, che si era avviato verso la sala comune. Vedendo che non accennava a fermarsi, accelerai il passo, così da ritrovarmi accanto a lui. «Com’è andato il test?» Domandai.
«Ok, basta.» Esalò di botto il biondo, fermandosi repentinamente. Rischiai di urtare una ragazzina dell’year 9 davanti a me.
«Scusa?»
«Mi spieghi perché ti stai comportando in questo modo?» Chiese, come se questo potesse chiarire tutto. «Mi va bene avere un minimo di dialogo, davvero. Ci guadagniamo entrambi. Ma fingere così spudoratamente mi fa venire il voltastomaco.»
Sentii una strana morsa alla bocca dello stomaco. «Ok, come vuoi. Da oggi in poi a stento ti saluterò, contento?» Dissi, cacciando tutta l’acidità che stavo raccogliendo.
«Contentissimo.» Replicò, fissandomi negli occhi con la stessa intensità con cui mi aveva fissato poco prima.
«Bene.»
«Bene.»
E, dopo questo scambio di battute, che sembravano essere state prese da un copione di una tele novela, ci dirigemmo in due direzioni diverse, sapendo entrambi che da lì a un’ora ci saremmo dovuti incontrare nell’aula di Inglese. E sapevamo anche che saremmo stati costretti a fingere di nuovo.
   
 
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