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Autore: lazybones_    02/12/2014    0 recensioni
Eleonora ha vinto un mese di studio nella grande Londra, in un college che le cambierà completamente la vita e il modo di vedere le cose.
E poi c'è Alessandro, "quello di Firenze".
(dal prologo)
"Avevo portato lì il mio intero cuore, e ora stavo per prendere l’aereo lasciandone metà in quel centimetro quadrato di moquette e metà nelle sue mani.
Ma ero pronta?
No, non lo ero. Come potevo esserlo? Come potevo anche solo convincermene? Come potevo tornare alla vita reale e mettere tutto ciò che era successo su uno scaffale?
L’unica cosa che mi sarebbe rimasta era Arianna. Ma, lui? "
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Occhi-Di-Ghiaccio

Capitolo I



Misi la valigia dentro l’armadio e buttai a terra lo zaino che, appoggiato sulla spalla sinistra, mi sbilanciava e irritava.
Guardai il cellulare: l’ora era cambiata da sola e segnava le 09:30.

«Dovete essere giù alle 12, in mensa» così ci aveva detto la nostra accompagnatrice quando, in quell’enorme sala piena di tavoli e sedie, aveva appena finito di farci fare il giro della scuola. «ricordatevi che gli inglesi sono molto puntuali e, specialmente in ambito scolastico, non sopportano i ritardi».

Caterina, così si chiamava: era lei che insieme a noi aveva preso l’aereo e rassicurato i nostri genitori. Lavorava per una società di vacanze-studio e aveva il compito di farci visitare per un mese la grande città, oltre a quello di tenerci sotto controllo.

Ero finita a Londra solo grazie ad un concorso a cui la mia  scuola aveva aderito; la mia era stata l’unica di Milano e, infatti, io e Arianna eravamo le uniche milanesi. Potremmo essere state, in realtà, le uniche italiane ad aver vinto, se non fosse che -come ci aveva anticipato Cristina- c’era un piccolo gruppo di ragazzi da Firenze.

Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta. Potevano essere solo due persone, nonché le uniche che conoscevo: Caterina o Arianna. Optai per la seconda, visto che mi era alla porta accanto e non stava mai zitta.

 

«Eleonora, dimmi che posso entrare» urlò Arianna dall’altra parte. 

Arianna l’avevo conosciuta a scuola una settimana prima solo grazie alla nostra accompagnatrice che ci aveva fatte incontrare. Prima di quel giorno l’avevo vista solamente passare ogni tanto per i corridoi. Sette giorni erano pochi, è vero, ma  a me sembrava di aver già capito che tipo di persona fosse.

 

«Arianna, puoi entrare…»

Spalancò la porta con un sorriso grande quanto l’aereo da cui eravamo da poco scese e cominciò a ridere  a crepapelle, buttandosi sul mio letto.

«stavo andando da Caterina per chiederle  quando fosse il test per sapere in che classe siamo e, quando sono andata davanti la sua stanza…» cominciò nuovamente a ridere asciugandosi le lacrime. Era rossa quanto un pomodoro. 

«Dai Arianna, non puoi lasciare le frasi a metà.»

Si mise seduta e fece tre lunghi respiri  passandosi  le due mani davanti al viso, come se ciò potesse veramente calmarla.

«l’ho vista che parlava con un’altra accompagnatrice, quella dell’altro gruppo di ragazzi. Allora mi sono messa accanto alla porta ad aspettare ed è arrivato un ragazzo ed era bellissimo, te lo giuro, aspettava l’altra accomp…Anna, mi pare. L’altra accompagnatrice.»


Non capivo cosa ci fosse da ridere e arrossire in tutto ciò, così me ne uscii con un «e…?», ma lei ricambiò con uno sguardo un po’ storto.

«…e niente. Era estremamente bello. Lo voglio cercare a pranzo»


Non sapendo come reagire, sorrisi. Funzionava sempre. Poi aprii la valigia e cominciai a sistemare vestiti vari nell’armadio, lasciando per quel momento a parte i vari detersivi, bagnoschiuma, dentifrici e spazzolini. 

Nel frattempo Arianna cominciò a parlarmi del suo ex, e mi chiesi quando avrebbe avuto intenzione di sistemare la sua valigia e di lasciarmi un attimo in pace.

Catturò la mia attenzione solo quando disse una particolare frase.

«e comunque il ragazzo all’accompagnatrice ha chiesto se lui era alla stanza 38 o 39. Quindi loro sono nella nostra stessa residenza. Con “loro” intendo dire anche quel ragazzo che ti fissava in autobus, quello che abbiamo preso all’aeroporto. Ah, sai che…»

Com’era passata a quel discorso?

quello che ti fissava in autobus”. Quello moro, quello con gli occhi color ghiaccio e la pelle quasi pallida. Quello con i jeans, le converse, una camicia e la giacca di pelle nera. Perché mi fissava? Eppure ne ero certa, sentivo il suo sguardo su ogni millimetro della mia pelle, su ogni mio movimento. 

Mi ritenni fortunata in ogni caso: anche se c’erano altre cinque palazzine attorno al college e noi eravamo nella stessa, i maschi erano in un piano diverso. Quindi sarebbe stato difficile vederlo giù al portone. L’avrei visto a colazione, pranzo, cena e a qualche uscita, ma quello era inevitabile. Odiavo sentirmi osservata.

 

 

 

Arianna mi aveva lasciata in pace solo alle 11:30, quando avevo ormai finito il mio piccolo trasferimento e mi ero buttata nel letto, intenta a chiudere gli occhi con la musica alle casse come sottofondo. Gli occhi li chiusi, ma non dormii nemmeno per sbaglio.

Ero agitata e in ansia, non vedevo l’ora di scendere e capire come avrei vissuto quel mese della mia vita. Di conoscere gli altri ragazzi. Di parlare inglese con chi in realtà era francese, spagnolo, cinese. Di lamentarmi per il cibo schifoso. Di chiamare la mia migliore amica Margherita e di raccontarle tutto, senza tralasciare un respiro. Non vedevo l’ora di cominciare quell’esperienza.

 

•·•·•·•·•·•

 

Alle 11:55 bussai alla porta di Arianna, che uscì al secondo battito. 

Noi ci trovavamo al primo piano della nostra residenza, ed era di sicuro una delle palazzine più piccole: oltre alla mia stanza e a quella di Ari, c’erano solo altre cinque porte più la cucina e il salotto comune. Ancora non avevo visto chi occupasse le altre stanze ma, se al secondo piano c’erano i ragazzi, immaginai che tre erano sicuramente abitate dalle italiane che scherzavano e ridevano con loro in autobus. 

Scendemmo le scale e passammo la tessera che ci avevano assegnato prima per aprire il portone. Passammo il piccolo parchetto che divideva alcune residenze dalle altre ed entrammo, trovando -grazie ad Ari- quasi subito la mensa.

«Ragazze!» ci urlò da un tavolo Caterina, sventolando un fazzoletto che teneva in mano. Di fronte aveva un vassoio con un piatto pieno di pasta, anguria, una ciambella ricoperta di crema al cioccolato, due pagnotte di pane e… Anna, l’altra accompagnatrice.

Ari le fece cenno con la mano e mi passò un vassoio, cominciando quindi la fila per il self-service. 

 

«Qua il cibo dicono tutti faccia schifo» mi disse, davanti alle vetrate, indecisa su cosa prendere. Alla fine decise “this one” indicando alla signora impaziente la pasta. Sbuffò e poi si rivolse a me.

«The same. Thanks.»

Presi il mio piatto di pasta e seguii Arianna verso la frutta; mia mamma mi aveva raccomandata di riempirmene, se avrei voluto sopravvivere al cibo inglese. Così riempii il vassoio con due mele e una pera, sarebbero bastate.

Aspettai che la mia amica riempisse i due bicchieri con l’acqua del distributore e poi ci avviamo verso il tavolo che, notammo, si era già riempito: accanto ad Anna sedevano tre ragazze- le stesse dell’autobus- e, a destra e a sinistra di  Caterina, sedevano invece quattro ragazzi,  tra i quali fortunatamente non riconobbi occhi-di-ghiaccio. Vidi però, anche se non ne ero  sicura, quello di cui mi aveva parlato Ari.

Anzi, di sicuro: non feci in tempo a chiederglielo che gli si era già seduta accanto, ridendo e chiacchierando. In questo lato eravamo totalmente diverse.

Dopo aver mentalmente maledetto Ari in dieci lingue diverse per avermi lasciata sola, presi posto accanto ad una delle tre ragazze e davanti alla crush della mia amica. Bisognava ammetterlo... l’avevo riconosciuto perché, come mi aveva avvisata Arianna, era veramente molto bello: aveva i capelli color castano e gli occhi verdi/marroni, un sorriso perfetto e un accento stupendo.

«Ciao», dissi timidamente a tutto il tavolo. Ma un solo saluto superò quello di tutti gli altri.

«Ehi!» disse l’amore di Ari, in modo fin troppo amichevole. Infatti non si riferiva solo a me, ma ad occhi-di-ghiaccio che wow, si stava sedendo al mio fianco. E io che mi ero quasi illusa che forse non fosse del college. Wow.

Sentii i suoi occhi addosso e una scossa di brividi pervase la mia schiena. Quando mi voltai, però, lo vidi sorridere all’amico. Se tutto andava bene non mi aveva nemmeno degnata di uno sguardo. E io che volevo cominciare a fissarlo con cattiveria, per fargli capire che mi infastidiva.

Mi irrigidii appena posò il suo vassoio accanto il mio. Aveva preso anche lui la pasta -gli italiani sì che hanno originalità- e una mela.

«Questa cotoletta… ah, piacere comunque» il ragazzo di fronte a me sfoderò un enorme sorriso e mi strinse la mano. «Davide. Dicevo, questa cotoletta  è fredda.»

Sussurrai un semplice «Piacere, Eleonora» e quasi mi sorpresi che mi avesse sentita quando, togliendo lo sguardo dalla cotoletta, mi sorrise. Per il resto del pranzo chiacchierò con Arianna, mentre io seguivo in silenzio i loro discorsi. Mi sentivo a disagio con lui accanto. Mi sentivo i suoi occhi puntati addosso ad ogni movimento, come se fossi incatenata, ma ogni volta che mi voltavo lui era là a muovere la pasta con la forchetta. Decisi di rompere il silenzio.

 

«Non è il massimo, eh?»

affermai, facendo segno    con la     forchetta verso la sua pasta.

«No, non lo è» fu la sua risposta, non togliendo lo sguardo dalla posata che giocava con una cosa che quasi sembrava plastica.

Sorrisi e continuai a mangiare per i fatti miei, non facendomi però scappare lo sguardo che Davide gli aveva lanciato. Sembrava quasi preoccupato. Quasi, perché poi riprese a parlare con Ari, dedicando al suo amico solo qualche occhiata.

 

•·•·•·•·•·•

 

Dopo pranzo Caterina venne da noi e, seppur non le avevamo chiesto nulla, ci disse che il test sarebbe stato molto semplice. Scoprii solo in quel momento che la verifica per testare il nostro livello di inglese sarebbe stata solo dopo mezz’ora.

«È una prova semplicissima, veramente. L’orale è ancora più facile dello scritto. Avete passato il concorso con un punteggio molto alto e sono sicura non avrete problemi. Seguite il vostro insegnante, ora vi porta nell’aula e vi spiegherà tutto. Andrà bene, fidatevi.»

Annuii, anche se ero sicurissima che mi sarebbe andato bene. Come ogni altro test d’inglese, alla fine. 

Io e Arianna seguimmo il giovane ragazzo con la maglietta arancione, che ci portò in una stanza enorme e piena di banchi già per la maggior parte occupati. Optai per la prima fila: avrei evitato di passare in mezzo a tutte le persone già sedute. Odiavo essere osservata.

 

Dopo varie spiegazioni, la verifica ci fu consegnata e, come previsto, era semplicissima. La compilai in circa quaranta minuti, quando il limite era di un’ora e un quarto. Fortunatamente, però, non fui l’unica ad averla trovata facile: poiché molti avevano già consegnato in anticipo, gli insegnanti decisero di avvantaggiarsi e di iniziare prima la verifica orale.

 

«D’angelo Eleonora?» mi chiamò un signore anziano dall’accento inglese.

Alzai il braccio, esclamando di scatto «Here I am!». Mi stavo forse agitando?

«Okay, then…» lesse il compito consegnato prima del mio e  poi alzò lo sguardo, chiamando «Alessandro Noce

Il rumore di una sedia interruppe quello delle penne e occhi-di-ghiaccio venne verso di noi. Era seduto in fondo, nella mia stessa fila.

L’uomo ci sorrise e, quando ci fece segno di andare con lui, capii che era uno degli insegnanti. Ci portò in un’altra classe, questa volta completamente vuota, e ci fece sedere davanti a lui.

«My name is David. Well, it will be very easy. Don’t worry. I just have to ask you some personal -your family, your hobbies, etc.- questions. So…»

Sì, mi stavo agitando.

«Eleanor. Like the Beatles’ song, y’know?» mi irrigidii e sorrisi. Sì, la conoscevo la canzone dei Beatles. Potevo farcela.

«S..Yeah, I know that song. I love it» dissi, sforzandomi poi di mostrare un bel sorriso. Istintivamente guardai il ragazzo dagli occhi di ghiaccio, Alessandro, seduto accanto di me. E lo vidi, vidi il sorrisetto che portava bello stampato in viso.




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Spero che  vi sia piaciuto questo primo capitolo, diciamo che è una storia che avevo in testa da molto tempo ed è ispirata ad una storia vera. Un misto tra ciò che mi è successo e ciò che è successo ad una mia amica. Ho intenzione di  visitare con voi ed Eleonora la grande città londinese mettendo assieme tantissimi sentimenti diversi, ma a volte complementari. 
Il secondo capitolo arriverà più a breve possibile. L'unica cosa che so è che... Eleonora probabilmente sbaglierà completamente, ma cosa ci può fare? Chiunque sbaglierebbe al suo posto. A volte lo sbaglio è la cosa giusta. 
Grazie a chiunque mi abbia dedicato del tempo.

xx 

 

  
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