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Autore: Beatrix Bonnie    03/12/2014    1 recensioni
-Seguito de L'orologio d'oro-
I tempi spensierati sono finiti: con il ritorno di Colui-che-non-deve-essere-nominato, Mairead, Edmund e Laughlin, insieme ai loro amici del FIE, dovranno affrontare il crescente clima di razzismo dell'Irlanda magica, tra ansie per gli esami finali, nuovi caos a scuola e un Presidente della Magia che conquista sempre più potere. Per Edmund non sarà un'impresa facile, soprattutto visto che il ragazzo sarà anche impegnato nella ricerca di un leggendario manufatto magico di grande potenza, che potrà salvarlo dalla maledizione impostagli da Sigmund McFarren. Ma dove lo porterà la sua ricerca? E questo oggetto esiste davvero o sono solo farneticazioni di un vecchio?
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Trinity College per Giovani Maghi e Streghe'
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CAPITOLO 11
Visite inaspettate






Si respirava un'aria forzatamente natalizia a Dubh Cliathan. Sembrava che la gente volesse affogare nel Natale tutte le preoccupazioni e i pensieri cupi per ciò che stava succedendo. Erano state appese decorazioni in ogni negozio, festoni enormi attraversavano da parte a parte le strade, lucciole e fatine illuminavano vetrine e finestre. Maghi e streghe di ogni età, imbacuccati in sciarpe e mantelli, affollavano le botteghe alla ricerca del regalo perfetto per amici e parenti. In Piazza del Controllo, un gruppo di ragazzini aveva fatto un pupazzo di neve a fianco della statua di Zaocoonte O'Saoirse, il liberatore dell'Irlanda magica, e qualche adulto l'aveva incantato perché cantasse canzoni natalizie.
Adolphus McPride non odiava il Natale, ma non riusciva a sopportare tutto quel buonismo che ci ruotava attorno. L'essere più buoni, il regalarsi cioccolatini, fare l'albero in famiglia. Tutte grosse e terribili idiozie. Il Natale sarebbe dovuto restare una festa religiosa, in modo da eliminare tutte quelle banalità commerciali, quell'obbligo di essere più buoni, gli auguri finti e i regali per i dipendenti. Quante scemenze.
«Signor Presidente?» lo chiamò una voce titubante.
McPride smise di guardare fuori dalla finestra e si voltò verso il mago che aveva appena parlato.
«Sono quasi le sette di sera.» Il suo assistente sembrava a disagio. «Io andrei, se per lei non è un problema. Sa, è la Vigilia di Natale...»
«Vai pure, Angus» concesse McPride, con un cenno della mano. «Anzi, chiamami i Tiratori Scelti che adesso torno a casa pure io.»
Essere scortato fino a casa era una seccatura per un uomo come lui, abituato ad essere indipendente e a muoversi senza rendere conto a nessuno dei propri spostamenti, ma la situazione ormai lo richiedeva. Non che temesse di venir attaccato dai Mangiamorte o, ancora più ridicolo, da qualche sostenitore del FIE, ma la scorta era necessaria per mostrare che erano tempi difficili. Per fortuna, aveva convinto il Capo del Dipartimento della Difesa a poter lasciare i Tiratori Scelti fuori dal metrombino di casa sua. Aveva fatto l'Auror da giovane, sapeva come difendersi: non aveva bisogno delle balie che gli ronzassero intorno anche in camera da letto. Tanto meno alla Vigilia di Natale.
Quella sera tornò a casa con già nel naso il profumo della cenetta preparata dalla sua elfa Nelly. Avrebbe passato la Vigilia da solo e non se ne sarebbe rattristato, perché certamente Nelly aveva dato fondo a tutta la sua abilità culinaria per lenire la solitudine del suo padrone.
Ma non appena si ritrovò davanti alla porta di casa, un campanello d'allarme gli risuonò in testa. Era il suo sesto senso per i pericoli, che aveva fatto di lui un ottimo Auror, ai suoi tempi. Dalla cucina non proveniva nessuna luce, né si sentiva lo spadellare tipico di chi è alle prese con la preparazione della cena. La casa era avvolta nel silenzio.
McPride estrasse la bacchetta dalla tasca del mantello e, tenendola puntata davanti a sé, si avvicinò al portone d'ingresso che, quasi a conferma dei suoi timori, era socchiuso. Entrò cauto, senza accendere alcuna luce. «Homenum revelio» sussurrò piano, ma non successe niente. O gli intrusi erano dannatamente scaltri, oppure non c'era davvero nessuno. Solo allora si accorse di un pigolio soffocato proveniente dalla cucina, come se qualcuno stesse piangendo piano, nel tentativo di non farsi sentire. «Lumus» si azzardò McPride, dirigendosi verso la porta a destra. Il lamento proveniva dall'armadietto sotto il lavandino. McPride si accucciò e lo socchiuse, certo di cosa vi avrebbe trovato dentro. «Nelly, vieni fuori.»
Due enormi occhioni lacrimosi si puntarono su di lui. «P-p-padrone» balbettò l'elfa. «Se ne sono andati?»
«Non c'è nessuno in casa oltre a noi» la rassicurò placido McPride, per quanto fosse avido di scoprire cosa diavolo fosse successo. «Ora vieni fuori.»
Nelly ci mise qualche secondo ad annuire, ma alla fine strisciò fuori dal suo nascondiglio.
«Perché non ti siedi e bevi un bel tè caldo?» la invitò McPride, agitando la bacchetta una prima volta per far accendere le luci della cucina e poi per far apparire una teiera e un paio di tazze. «Così mi spieghi cosa è successo.»
L'elfa esitò. «Nelly è tanto spaventata, padrone, ma Nelly non si può sedere a bere un tè col padrone da pari a pari.»
McPride fu tentato per un attimo di mettere da parte i modi gentili che facevano così presa sugli umani per passare alle maniere forti, ma alla fine decise di mantenere la rotta. «Non ti preoccupare, ti do io il permesso» la rassicurò con un sorriso.
Nelly si stropicciò le mani per un attimo, ma alla fine annuì e si mise a sedere al tavolo, con le gambine che dondolavano dalla sedia. Non si azzardò, però, a toccare la tazza di tè.
«Allora, Nelly, che cosa è successo?» McPride si inginocchiò davanti a lei e la guardò dritta negli occhi.
«Loro sono arrivati, padrone, e hanno spalancato la porta...» cominciò l'elfa, con il labbro tremante e il naso che gocciolava.
«Loro chi?»
L'elfa pigolò e scosse la testa. «Nelly non lo sa, Nelly non ha mai visto nessuno così spaventoso.»
McPride si morse il labbro, meditabondo. «Com'erano vestiti?» indagò, sperando di ricavarne qualche indizio.
Nelly si stropicciò le mani. «Tutti neri, con una maschera bianca sul volto» rispose alla fine, soffocando un singhiozzo.
Mangiamorte.
McPride si alzò da terra, rapito dalla notizia, e cominciò a viaggiare con il pensiero. Perché i Mangiamorte erano venuti a casa sua? Cosa potevano volere da lui? Se lui fosse stato il Signore Oscuro, prima di tentare qualsiasi azione in Irlanda, avrebbe fatto in modo di avere sotto controllo l'Inghilterra. Non aveva senso prendere di mira lui, con Rufus Scrimgeour ancora in piedi a contrastare il suo potere. A meno che...
«Nelly, che cosa cercavano quegli uomini? Hai per caso sentito qualcosa?» domandò, tornando a voltarsi verso la sua elfa.
Quella alzò gli occhi su di lui, come se fosse terrorizzata dall'idea di rispondere.
«Hai sentito qualcosa?» le chiese ancora, certo che il suo silenzio valesse come risposta affermativa.
L'elfa annuì piano con il capo. «Cercavano un ragazzo» sussurrò alla fine. «Nelly crede che volessero il padroncino Edmund.»
McPride prese a fissare fuori dalla finestra un punto imprecisato dell'orizzonte. Per quale motivo i Mangiamorte cercavano Edmund? Certo, le doti del ragazzo erano straordinarie, ma tentare di eliminarlo era quanto meno prematuro e provare a portarlo dalla loro parte assolutamente ridicolo. Non ci era riuscito nemmeno lui, che non era un mago oscuro dedito a stragi e torture! Edmund si sarebbe fatto ammazzare piuttosto di entrare nelle fila dei Mangiamorte.
Ma, qualunque fosse il motivo per cui il Signore Oscuro volesse Edmund, era certo che sarebbero tornati a cercarlo. E lui avrebbe potuto sfruttare la cosa in svariati modi. Innanzitutto, nessuno doveva sapere cosa fossero venuti a cercare i Mangiamorte a casa sua: presentarsi alla nazione come vittima perseguitata dagli sgherri di Colui-che-non-deve-essere-nominato gli avrebbe fatto guadagnare compassione e apprezzamento; avrebbe unito i malumori contro il nemico straniero, che aveva osato attaccare il simbolo dell'unità irlandese, nonché l'unico uomo che sapesse opporsi con forza all'invasione. Sarebbe diventato un martire.
In secondo luogo, se i Mangiamorte fossero tornati, lui non si sarebbe fatto trovare impreparato. Forse avrebbe anche potuto catturarne qualcuno: sarebbe stata una magnifica pubblicità per il Governo.
McPride si voltò verso Nelly, ancora seduta con le gambe a penzoloni. «Non dire a nessuno quello che è successo, va bene?» le ordinò con fermezza.
«No, signor padrone» pigolò l'elfa.
McPride tornò a guardare fuori dalla finestra. Aveva cominciato a nevicare. «Molto bene» mormorò tra sé. Anche quella visita inaspettata dei Mangiamorte si era rivelata un utile contorno al suo grandioso piano.

Villa O'Brian era un luogo confortevole dove passare le vacanze di Natale. Childerich O'Brian, capofamiglia onorato e rispettabile, richiamava al castello i suoi due figli con le rispettive famiglie per trascorrere insieme il periodo natalizio. Teudilascius, sua moglie Areté e il figlio Faonteroy restavano per tutto il tempo delle vacanze scolastiche del ragazzo, mentre Grainne, il marito Giustinianus e il figlio Belisar venivano solo per il cenone della Vigilia. Non che la cosa spiacesse davvero, a Childerich: per quanto volesse bene alla figlia Grainne, il marito di lei era borioso e pieno di sé, convinto che solo lui sapesse fare le cose al meglio. Quanto a Belisar, uno scimpanzé con un parrucchino biondo sarebbe stato di maggiore compagnia. Non per niente, Childerich preferiva il periodo dopo le feste.
«Santo Stefano è il mio giorno preferito» sentenziò Childerich, seduto sulla poltrona davanti al caminetto a sorseggiare un bicchierino di Whisky Incendiario.
«Perché non c'è zio Giustinianus?» arguì Faonteroy. Se ne stava a gambe incrociate sul tappeto ad accarezzare il cane da caccia del nonno.
«Frequentare la nipote di Josephine ti ha affilato la lingua?» intervenne nonna Cornelia, che non aveva mai sopportato l'esuberante cugina del marito.
Childerich minimizzò, accarezzandosi i baffoni grigi. «Suvvia, tesoro. La ragazza Boenisolius è pur sempre di famiglia.»
«I miei amici sono tutte delle ottime persone» si sentì in dovere di precisare Faonteroy. «E non mi hanno traviato in alcun modo.» Forse la seconda affermazione non era del tutto vera, ma Faonteroy preferiva essere diventato un difensore della giustizia e della Costituzione Irlandese piuttosto che ritrovarsi a fare il leccapiedi come zio Giustinianus.
Proprio in quel momento, qualcuno suonò al campanello d'ingresso. I membri della famiglia O'Brian si scambiarono occhiate perplesse, come se ognuno volesse chiedere all'altro se stesse aspettando qualcuno.
«Vuoi che vada a vedere chi è, padre?» domandò Teudilascius, alzandosi dalla poltrona. Di solito se ne occupava il loro elfo domestico, ma visto che non aspettavano visite, sarebbe stato meglio andare a controllare.
Childerich annuì pensieroso.
Teudilascius allora si avviò verso l'ingresso, dove l'elfo aveva fatto entrare un giovanotto di bell'aspetto, con indosso un completo da mago dello stesso color turchese dei suoi occhi. Quando si accorse di lui, accennò un inchino rispettoso. «Buongiorno, signor O'Brian.»
«A lei» rispose Teudilascius, aggiustandosi sul naso gli occhialetti tondi.
«Sono Edmund Burke, signore, un amico di Faonteroy» si presentò il ragazzo. «È in casa?»
«Edmund?» domandò proprio in quel momento Faonteroy, appena apparso in ingresso. «Che ci fai qui?»
Il ragazzo fece saettare gli occhi in giro per l'ingresso, come a far capire che aveva bisogno di parlare in privato. «Devo chiederti un favore» si limitò a dire.
Faonteroy colse al volo il problema e condusse l'amico verso la sua stanza, dove avrebbero potuto discutere senza orecchie indiscrete in ascolto. «Ho cercato un po' di informazioni su Elizabeth O'Brian» spiegò Edmund, quando furono finalmente soli. «Ma non ho trovato nulla che potesse interessarmi. Però so che è tipo considerata la capostipite della tua famiglia, quindi ho immaginato che ci fosse almeno un suo ritratto nel castello... se potessi scambiarci due parole...»
Faonteroy gli lanciò un'occhiata di sbieco. «Edmund, è solo un ritratto» lo anticipò, perché non restasse deluso. «Non so cosa potrai ricavarne.»
Il ragazzo alzò le spalle, sconsolato. «È solo un tentativo.»
Faonteroy annuì, comprensivo. Dopodiché gli fece segno di seguirlo verso il salone delle udienze del castello, un'ampia stanza con il pavimento in legno e il soffitto a cassettoni e un'enorme camino in pietra lavorata. Appeso alla parete di fronte all'entrata, troneggiava lo stemma della famiglia O'Brian, una torre rossa in campo bianco, con il motto in latino scritto sotto, che recitava: etiam pereunt ruinae, anche le rovine crolleranno. La stanza era occupata da un grande tavolo rettangolare di legno scuro, corredato di scranni finemente intagliati. A destra e a sinistra dell'imponente camino, si trovavano gli unici due ritratti della stanza: uno raffigurava una donna dai lunghi capelli rossi, l'altro un giovinetto seicentesco, anche lui con capelli color del fuoco.
«Elizabeth e Stephen O'Brian» li presentò Faonteroy. «I due capostipiti della dinastia.»
Edmund annuì e si avvicinò cauto al quadro della donna. Aveva scoperto di non essere molto bravo a trattare con i nobili, per cui doveva stare attento se voleva sperare di ottenere una qualche informazione che gli fosse utile per la storia della Mela d'Oro. «Signora Elizabeth?» domandò con un mezzo sorriso. «Avrei bisogno del suo aiuto.»
La dama lo osservò con sguardo critico dall'alto della sua cornice. «Non sei un O'Brian, ragazzo» decretò senza che un'ombra di dubbio incrinasse le sue parole.
Edmund si trovò spiazzato. Per fortuna, Faonteroy lo affiancò per dargli il suo sostegno. «No, ma entrerà presto a far parte della famiglia» rispose con sicurezza. Poi sussurrò all'amico, in modo che la donna ritratta non lo sentisse: «Devi darle del voi.»
Edmund annuì brevemente per far capire che aveva afferrato.
Dopodiché Faonteroy si voltò nuovamente verso il quadro, con l'intento di rendere più credibile la sua bugia. «È il promesso sposo di mia cugina Mairead, una vera O'Brian.»
Edmund si voltò di scatto verso di lui, gli occhi sbarrati come se lo avesse appena sentito declamare in persiano antico. Fece per protestare di quell'assurdità – Mairead era sua amica, insomma! – quando pensò che per il bene di quella messinscena non era il caso di contraddire Faonteroy. «Io... sì, io volevo conoscere meglio la famiglia della mia futura moglie» buttò lì, anche se la sola idea di Mairead come sua promessa sposa gli suonava strana. Poi gli venne un'illuminazione. «E vorrei difendere gli O'Brian dalle accuse infamanti mosse dagli Howt» aggiunse, certo che far leva sull'orgoglio dei nobili fosse la mossa migliore per ottenere informazioni.
«Gli Howt?» replicò scandalizzata Elizabeth. «Cosa vuole quel leccapiedi di Hoser Howt?»
Vista la reazione della nobildonna, Edmund fu certo di aver schiacciato il tasto giusto. «Un suo discendente vi accusa di aver macchinato per strappargli il titolo.»
«Io?» Elizabeth sembrava offesa dalla semplice insinuazione di colpevolezza. «Affatto! Lui si rovinò con le sue stesse mani, complottando con gli Inglesi per eliminare Rory O'Donnell e Hugh O'Neill. Mio marito, semplicemente, lo denunciò al Nobile Consiglio, che decise di togliere il rango di nobiltà alla sua famiglia. Di conseguenza, scomparso O'Neill e rinnegato Howt, si liberò il posto di una schiatta, che fu preso da quella di Mael Duib» raccontò, senza nemmeno rendersi conto di essere stata manovrata. «E gli O'Brian divennero nobili.»
L'interesse di Edmund si fece più vivido, ma cercò di non mostrarsi troppo smanioso. «Perché Howt denunciò agli Inglesi O'Donnell e O'Neill? Chi erano?» chiese cauto.
«Erano due conti nobili molto influenti» rispose il quadro di Elizabeth, alzando le spalle. «Non so perché li denunciò. Io sono solo un ritratto.» Ma poi sembrò pensarci un po' su. «Comunque, credo che avesse a che fare con quella storia dei loro poteri nascosti.»
Edmund sentì di essere arrivato ad una svolta nella sua ricerca. «Poteri nascosti? Che genere di poteri?» indagò, l'ansia che cominciava a manifestarsi. «Non so» ammise la nobildonna. «Ho sentito solo che giravano voci a proposito di un potente manufatto magico custodito da secoli dalle famiglie O'Donnell e O'Neill. Credo che Howt mirasse ad indebolirli, indebolire la loro influenza sulla società magica d'Irlanda e, magari, anche di appropriarsi dell'oggetto misterioso.»
Edmund cominciò a riflettere velocemente: da quel poco che sapeva di Hoser Howt, era certo che non fosse davvero lui l'artefice del piano. Forse era stato usato e incastrato. Dopotutto, il marito di Elizabeth, che a suo dire si era solo limitato a denunciare Howt, era un Deamundi; e con un Deamundi di mezzo, si poteva stare certi che ci fosse lui dietro tutto il complesso disegno d'intrighi. Probabilmente era il conte Deamundi a voler indebolire le due famiglie nobili rivali, era lui a volersi impossessare del prezioso manufatto magico, e si era servito di Howt per i suoi sporchi scopi, salvo poi fare il doppio gioco, eliminare anche Howt e liberare il posto alla schiatta della promessa sposa Elizabeth O'Brian.
Ma la cosa più importante era il sospetto che Rory O'Donnell e Hugh O'Neill nascondessero un antico oggetto magico molto potente. Poteva benissimo trattarsi della Mela d'Oro che, stando alle informazioni di McFarren, era stata avvistata, l'ultima volta, proprio in Irlanda. Poteva essere davvero vicino alla risoluzione del mistero: forse il vecchio McFarren non era così folle come era sembrato, forse esisteva davvero un manufatto capace di spezzare la sua Maledizione.
Dopo aver ringraziato Faonteroy per l'aiuto, Edmund si fece riaccompagnare alla porta per tornare al Trinity. Era stato tutto preso dai suoi piani sulla Mela d'Oro che per poco si era dimenticato di una cosa fondamentale. «Ah, Faonteroy» lo chiamò prima di smaterializzarsi. «Quella storia che sono il promesso sposo di Mairead... era una battuta, vero?»
Faonteroy lo squadrò con i suoi occhi verdi così simili a quelli della cugina. «Credevo che mi conoscessi abbastanza, Edmund, da sapere che non sono il tipo da far battute.»









Eccomi qua!
Scusatemi, ci ho messo un'eternità a completare il capitolo, anche se avevo già in mente tutto quello che andava scritto... va be', a volte capita!
Comunque! Che dire? I Mangiamorte sono sulle tracce di Edmund... e sono andati a cercarlo nel posto più logico: ovvero a casa del padre adottivo. Come avranno fatto a trovarlo? Eh... diciamo che il caro Eddy non ha proprio proprio mantenuto "un basso profilo", come ha garantito a Melita. Basta aprire un giornale! ;)
McPride, ovviamente, ha intenzione di sfruttare la situazione a suo vantaggio... e come dargli torto! Dopotutto, i martiri sono sempre osannati dal popolo!Inoltre, spero che abbiate apprezzato il modo in cui tratta Nelly; alla fine, McPride non è cattivo! Diciamo che ha una sua scala di valori un po'... come dire?, particolare! Ma vi ricordo quanto detto da Sirius, a proposito di Crouch: la grandezza di un mago si misura su come tratta gli inferiori, non i suoi simili. Ergo, McPride è un grande! ahahahah!
Quanto al resto, mi sono basata su quanto dice la Rowling a proposito dei ritratti, che sono solo come copie sbiadite delle persone e che non sanno tutto, a meno che non le si istruisca a dovere. Edmund comunque si sta avvicinando alla risoluzione del mistero... ma ho in serbo ancora tanti guai per tutti, non temete!
Ah, e Faonteroy non è proprio il tipo da far battute. Proprio no. Però è un po' bastardello, ogni tanto! =D

In realtà, non ho delle vere e proprie immagini per questo capitolo, ma vi metto il volto di qualche personaggio:
QUI, per esempio, Teudilascius O'Brian, il padre di Faonteroy; (zio Giustinianus, ormai, credo che ce l'abbiate presente!)
QUI il castello degli O'Brian;
QUI un'immagine di McPride con una delle sue citazioni più fighe, tratte dal quarto racconto;
QUI nonno Childerich con Faonteroy da bambino;
QUI, infine, lo stemma della famiglia O'Brian.

Grazie a tutti per la pazienza. Prossimo aggiornamento, in linea di massima, lunedì 22 dicembre.
A presto,
Beatrix

   
 
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