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Autore: Impossible Prince    04/12/2014    3 recensioni
«Il vuoto è misterioso. Se tu guardi dentro il vuoto, il vuoto poi guarda dentro di te e ti consuma»
Dream è un giovane di venticinque anni con una grandissima carriera di allenatore alle spalle e un presente da giornalista per il più importante quotidiano nazionale.
Sfiduciato e poco stimolato dal mondo degli allenatori, Dream si ritrova in poco tempo, senza opporre resistenza, in balia di party aristocratici, Campioni incompetenti e amici incapaci di stimolare e risollevare la sua vita dalla noia, che ormai è diventata le fondamenta su cui si basa la sua esistenza.
Il ragazzo dovrà destreggiarsi così in un contesto politico precario, dove il Presidente del Consiglio Giovanni porta avanti politiche sempre più autoritarie e liberticide e ricordi di un passato apparentemente invalicabili che costituiscono una pesante ombra sul suo futuro.
Tutti i capitoli sono stati oggetto di una profonda riscrittura.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Giovanni, N, Nuovo personaggio, Red, Team Rocket, Vera
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
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Capitolo 20 – «Tutto e niente»
 
«Chiede la parola il giudice Judy Martin, ne ha facoltà» pronunciò all’interno del microfono una voce lenta, bassa, stanca, quasi esausta, come se si volesse trovare in un qualsiasi altro posto piuttosto che esser lì. Con la difficoltà con cui pronunciò quella frase, sembrava che avesse dentro una gran quantità di saliva che gli rendeva difficile scandire correttamente le parole. Era il Presidente della Corte Costituzionale, e sedeva esattamente al centro degli altri giudici.
Si alzò in piedi una donna sulla sessantina, il volto scavato dalle rughe e lunghi capelli biondi mossi che scendevano fino alle spalle. Aveva degli zigomi pronunciati e delle labbra sottili.
«Vorrei che il teste descrivesse esattamente come ha rinvenuto le schede elettorali nei pressi del Monte Cammino».
Palazzo Kingdra, ore 10:55 del 1 Dicembre 2016. La sede della Corte Costituzionale era assediata di giornalisti per il processo che vedeva come imputati alcuni membri dell’Ex Governo Federale e gli esponenti di punta di Repubblica Nuova.
Giovanni, Mondo, Maxus, Atena, Milas, Max e Ivan, assieme ad altri membri meno noti alle cronache politiche, finirono tutti sul banco degli imputati. Il materiale consegnato ai PM da una fonte misteriosa era composta da una serie di bombe che una dietro l’altra esplodevano ad ogni processo. E prima veniva colpito uno, poi l’altro, e poi entrambi, e poi un altro ancora, uno dopo l’altro. Era una gigantesca frana che aveva colpito una diga e ora un muro d’acqua si stava dirigendo a valle.
Il Partito Democratico, improvvisamente rinvigorito dallo scandalo, vide il suo consenso salire del 45% mentre Repubblica Nuova e i Pokémon 5 Stelle, assieme, non arrivavano al 20%.
I consensi sulle singole personalità politiche vedevano Giovanni al 10%, il Presidente della Repubblica, Antonio Darco, al 55%, Walter al 5% e Federico Mattei, il giovane trentenne che perse le elezioni per i democratici, aveva raggiunto la vetta del 30% degli intervistati. Dieci punti in più rispetto alla fine delle elezioni.
«Sono stato contattato da una voce robotica che mi ha detto che nei pressi del Passo Selvaggio era presente una gran quantità di pepite.  – Cominciò a parlare un ragazzino dell’età di circa dieci anni. Magro, piuttosto alto per la propria età, occhi verdi e capelli castani pettinati e completamente laccati – Ne ho così approfittato per allenare il mio pokémon, un Poochyena, quando questi, correndo tra gli alberi è incappato in una piccola buca, precipitandoci dentro. Pensavo di aver finalmente trovato le pepite, così mi sono avvicinato, per assicurarmi che stesse bene e notai che il terreno era stato smosso di recente. Ho cominciato a scavare quando mi sono travato davanti a dei sacchetti di plastica recanti, all’interno, le schede elettorali. Sapete, le avevo visto alla televisione prima delle elezioni... Mi sono immediatamente rivolto alla polizia» disse il giovane in uno stato di evidente emozione.
«La ringrazio per la testimonianza» concluse la donna sedendosi.
La stanza dove si teneva il processo era un grande salone spoglio, senza particolari decorazioni di sorta. I giudici della corte costituzionale sedevano in fila, uno affianco all’altro vestiti con toghe di color rosso accesso con i pennacchi di color d’oro che pendevano dalle spalle. «Prende la parola l’avvocato del Presidente Giovanni» disse il Presidente della Corte.
«La ringrazio Presidente, giusto un intervento rapido, una domanda da porre ai pubblici ministeri. La mia domanda è: se il mio cliente fosse davvero a capo di una piramide criminale volta a sovvertire l’esercizio della democrazia all’interno del nostro Stato, e se fosse davvero pieno di risorse, umane e tecnologiche, come detto fino a questo momento del processo,  queste schede elettorali non sarebbero state distrutte piuttosto che venire seppellite in maniera... mi verrebbe da definire quasi “comica”. Ecco, signori della corte ed è un quesito che pongo ai pubblici ministeri qui presenti. Vi ringrazio per l’attenzione».
La voce lenta e impastata di saliva del Presidente della Corte tornò a farsi sentire, annunciando che il PM Gabriella Fuocante aveva chiesto di prendere la parola.
«Chiamo a deporre Pierre Torris, indicato come test» disse con voce gelida la donna, cominciando a camminare verso il banco della deposizione e aspettando che un uomo basso, senza capelli e grassottello si sedesse.
«Allora, signor Torris, lei ha ammesso di esser stato incaricato di liberarsi dei sacchi di immondizia in cui sono state trovate le schede elettorali. Conferma che ha riconosciuto i sacchi?».
«Sì, confermo» disse l’uomo intimorito dalla figura femminile. Capelli rossi ricci,  un rossetto della medesima tonalità, occhi azzurri.
«Conferma inoltre di non sapere che all’interno vi fossero le schede elettorali?».
«Sì, confermo».
«Ci può spiegare come è entrato in possesso dei sacchi?».
«Quel giorno, il giorno delle elezioni, ero di turno io alla discarica di Ciclamipoli. Io vengo chiamato dai cittadini nel caso debbano rimuovere oggetti di grosse dimensioni che non gli servono più e li portiamo all’impianto di Ciclamipoli. Quel pomeriggio, poco prima delle ore diciotto ho ricevuto una chiamata e mi sono diretto alla Scuola Elementare di Via Machoke, lì c’era un uomo ad attendermi.
Vestiva con occhiali neri, cappellino di lana, guanti, giubbotto di pelle nero e un paio di jeans, neri anche questi.
Mi ha intimato a salire su un camioncino colore beige, puntandomi una pistola ai fianchi. Sono salito e mi ha indicato la strada, temevo che mi volesse far fuori.
Arrivati al Passo Selvaggio mi ha fatto scavare una buca di medie dimensioni e mi ha fatto buttare all’interno i sacchi. Gli feci notare che sembrava che qualcuno avesse scavato di recente, che non andava bene se stavano cercando di nascondere qualcosa, mi disse che andava benissimo così.
Mi ha fatto tornare indietro a Via Machoke, mi ha dato cinquantamila DollariPoké».
«Grazie signor Torris – pronunciò la donna voltandosi e tornando a sedersi al suo banco – l’uomo in questione è stato identificato, si tratta di Nate Nickleden ed è attualmente a Cuba» pronunciò la donna prendendo in mano varie foto che ritraevano l’uomo e le portò davanti al Presidente della Corte.
 
Nel frattempo, fuori dal palazzo, la rivolte popolari erano scoppiate gettando la Repubblica nel caos più totale. Dall’inizio delle indagini, vennero organizzate moltissime manifestazioni nelle principali città che spesso terminarono in violenti scontri. Fu proprio questa la giustificazione che venne utilizzata per spiegare il ritiro della flotta militare da Kalos, perché erano necessari uomini a sedare le rivolte.
Il Presidente della Repubblica si rifiutò categoricamente di sciogliere il Parlamento con una crisi di fiducia generalizzata nei confronti dei partiti e una crisi diplomatica con metà del mondo occidentale e dopo meno di quarantotto’ore che Giovanni si dimise da Presidente del Consiglio, un nuovo Governo viene formato presieduto dal quello che era rimasto fino a quel momento Governatore di Johto, Archer.
Repubblica Nuova aveva infatti accettato la formazione di un governo di transizione con un programma scelto da Antonio Darco solo nel momento in cui il Presidente del Consiglio sarebbe stato un loro membro. La scelta ricadde sul Governatore perché era l’unico esponente di spicco ad essere rimasto fuori dai processi. Alla guida della regione venne posto un funzionario del Ministero degli Interni, uno di quelle persone inamovibili, a prescindere dal colore dell’esecutivo e del Parlamento.
Contemporaneamente alla formazione del nuovo Governo, Giovanni organizzò delle contro-manifestazioni per dimostrare quanto fosse ancora ampio il consenso attorno a lui e che il partito era ancora unito e privo delle correnti di cui i giornali avevano cominciato a parlare. Ma sempre più inchieste svelavano come molti dei partecipanti erano in realtà pagati dalla segreteria del partito e magari non sapevano neanche esattamente per cosa erano in piazza o che cosa stesse succedendo in quel momento presso la sede della Corte Costituzionale.
Non era esplosa solo la pancia del Paese, ma anche tutte le forze intellettuali che fino a qualche momento prima avevano sorretto e incoraggiato il Governo di Giovanni, improvvisamente fecero dietrofront. L’effetto fu quello di un Electrode a cui si fa del solletico, l’implosione del sistema.
Persino in televisione, i comici dapprima tenuti a guinzaglio, liberarono la loro pungente satira contro l’esecutivo e in particolare contro il Presidente del Consiglio: «Quanti Giovanni ci vogliono per cambiare una lampadina? Nessuno, la dichiara in arresto e la fa scappare a Kalos». Il silenzio imposto con la forza nell’ultimo decennio era un ricordo passato e ora i principali volti televisivi intendevano restituire quello che avevano subito con gli interessi.
L’8 Dicembre durante la seduta del processo venne spiegato come vennero fatte trafugare le schede. Il Governo cominciò ad ascoltare le chiamate telefoniche, gli sms, i messaggi in internet di tutti i cittadini. Coloro che ammettevano di non voler votare per Repubblica Nuova venivano poi tenuti d’occhio all’interno del seggio e tre schede su dieci venivano teletrasportate all’interno del sacco nero con l’ausilio di un Alakazam o un Gothielle presente in ogni seggio che controllava dove fosse stata posta la “x” che indicava il voto. Il nome e il cognome poi del soggetto analizzato veniva poi cancellato telepaticamente dai registri per far non creare differenza tra il numero dei votanti e il numero dei voti presenti nelle urne.
Il 10 Dicembre ci fu un sciopero generale a Fiordoropoli per protestare massicciamente contro la figura di Giovanni e alle tre del pomeriggio, quando la piazza tra “Corso della Vittoria” e “Corso dell’Onore” era gremita da un milione di persone, una falange armata con le bandiere di Repubblica Nuova attaccò la folla provocando dieci morti e duecento feriti.
Avevano la faccia fasciata, un giubbotto di pelle marrone, pantaloni di pelle nera, anfibi dello stesso colore. Lanciavano molotov, brandivano manganelli e davano ordini a diversi Salamance di attaccare a vista.
Era un messaggio chiaro, pazzo, violento, di un uomo che aveva ormai perso il senno. Giovanni dopo aver fallito le dimostrazioni mandando l’esercito a Kalos ora voleva sancire che nessuno aveva diritto di manifestare contro lui. Era la sua vendetta a caldo, distruggere fisicamente tutti gli oppositori o la maggior parte di questi, e non importa se questo fece cadere ancora di più Repubblica Nuova nei sondaggi, no. Il tutto era finalizzato a far vedere che lui aveva ancora i muscoli, nonostante la caduta. Le sue nuove mire non erano più le urne, i voti, la simpatia del popolo. Le sue nuove mire riguardavano l’esercito. Non c’era più traccia dello statista Giovanni, quello che calcolava ogni mossa nei minimi dettagli, quello che se il vento gli soffiava contro, lui faceva cambiare direzione al vento. Quello che se tutto andava malissimo tutto gli sarebbe andato benissimo. Quello che fece piazzare bombe e riuscì a vincere le elezioni sulla base di una rientrata emergenza sicurezza da lui causata e da lui risolta.
«Presidente Giovanni, non credo che sia stata una buona idea quella di vederci».
Il Capo di stato maggiore dell’esercito, Bryan Wids era un uomo con i capelli corti, biondi, occhi azzurri, la pelle rossastra, come se avesse preso sempre tratto troppo sole. Un naso grosso e il volto scavato. Due spalle massicce nascoste dall’uniforme a macchie di leopardo grigio chiaro-grigio scuro.
«Oh, non si preoccupi, sarà un colloquio molto breve» disse Giovanni strigendogli la mano e facendogli poi cenno di sedersi.
Erano in una delle case dell’ex capo Rocket. Una di quelle usate per la villeggiatura, sulla costa est di Kanto, lungo il Percorso 12. Dal balcone nella sala da pranzo si poteva osservare l’azzurro male e il lungo pontile di legno che univa le estremità di Lavandonia con il Percorso 13.
Bryan si sedette e aspettò con una discreta impazienza la comunicazione di “estrema importanza” che Giovanni volle comunicargli di persona.
«Sa, la situazione nel Paese è davvero instabile, preoccupante. Sento che siamo davvero sull’orlo di una guerra civile. La Corte Costituzionale e il Presidente della Repubblica si sono accordati con gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali per fare un colpo di stato e rimuovermi da Presidente del Consiglio. Bene, Capo di stato maggiore, sarò molto breve.
Io ci tengo a questa Nazione e lei ci tiene, altrimenti non l’avrei messa dove è ora. E dato che siamo entrambi due uomini di buona volontà dobbiamo rimuovere dal potere quei venduti e preoccuparci noi del Paese».
«Quello che mi sta chiedendo rasenta l’alto tradimento, Presidente». Lo sguardo duro di Bryan Wids divenne, paradossalmente, ancora più duro, cupo, arrabbiato. Le mani poste sopra le ginocchia si trasformarono in pugni.
«Sicuramente, in linea teorica questo rasenta l’alto tradimento, sono perfettamente concorde con lei, ma in linea pratica...».
«E’ fuori discussione –interruppe grezzamente il militare – Non posso credere che lei mi abbia convocato qui per ordire un complotto contro il mio Paese».
Bryan Wids si alzò dalla sedia e con passo veloce raggiunse la porta d’ingresso, la aprì e trovò davanti a sé due uomini vestiti completamente di nero. Colsero di sorpresa il Capo di stato maggiore e lo spinsero all’interno dell’abitazione, facendolo sedere con forza sulla poltrona.
«Già, mi ero dimenticato di dirle che possiamo discutere delle clausole di questo contratto, ma che venga firmato oggi è assolutamente fuori da ogni qualsiasi discussione. Ora, per incentivare la sua disponibilità a trattare, sappia che ho mandato alcuni dei miei uomini fuori casa sua, dove mi risulta che abita la bambina Wids e anche la Signora Wids con un lanciarazzi pronto a sparare al mio minimo cenno. Quindi...» Giovanni si alzò e andò a prendere una bottiglia di vetro con dentro un liquido tra il marrone chiaro e l’arancione, e poi due bicchieri di cristallo.
«Lei ha le redini dell’esercito in mano, io ho le sue redini. Quindi possiamo dire che io controllo l’esercito, ci siamo?».
«In un certo senso...» rispose sottovoce l’uomo come se stesse ammettendo una sconfitta.
«Bene. Di conseguenza – si formò un inquietante ghigno sul volto dell’ex Presidente – io gradirei molto che lei desse il prima possibile l’ordine ai suoi sottoposti di destituire il Parlamento, il Governo, al Corte Costituzionale e di mandarli tutti a casa UNO AD UNO» cominciò a gridare Giovanni, componendosi successivamente e cominciando a versare il prezioso liquore all’interno dei bicchieri.
«In cambio, per i suoi... servigi, la porrò come Vicepresidente del mio futuro governo e i ministri del nostro esecutivo saranno assolutamente scelti tra le file dell’esercito e come principale punto del nostro programma avremo l’incremento della spesa militare. Nuove portaerei, più uomini, elicotteri, aerei».
«Lei sta tentando di comprarmi, Signor Giovanni?».
Giovanni sbuffò, alzò gli occhi al cielo, mandò indietro la testa e poi estrasse una pistola dalla tasca destra dei pantaloni, senza prender la mira puntò al gamba destra e sparò.
Un colpo secco, le finestre vibrarono, i bicchieri tremarono, il pavimento quasi sussultò sotto quel rumore così forte.
Bryan Wids cadde a terra, tenendosi il ginocchio e cominciando a imprecare contro l’uomo che aveva di fronte.
«Adesso, lei prende la sua radiolina da Pokémon Ranger, chiama chi deve chiamare e farà fuori quel dannato Parlamento e quella dannata Corte. Ci siamo intesi?» disse Giovanni avvicinandosi con una voce bassa, inquietante.
«Se lo scordi» rispose il militare sofferente.
«Oh, dannazione!». Prese di nuovo la pistola e sparò di nuovo, questa volta colpendo il piede sinistro.
 
«Finalmente si sono svegliati» pronunciò Rosso, sdraiato sul divano mentre la televisione mostrava le immagini di alcuni scontri tra polizia e manifestanti avvenuti a Fiordoropoli. Moltissime erano le persone con il viso imbrattato di sangue o che si trascinavano arti privi di vita oppure giacevano a terra implorando aiuto. Molti erano i pokémon utilizzati dalla falange armata per avventarsi contro i Growlithe e gli Arcanine delle forze di polizia. Nella stessa giornata degli scontri, gruppi di cittadini irruppero nelle sedi dei Governi Regionali di Kanto, Sinnoh, Isole Orange, Unima, Almia, Fiore, Oblivia, del Settipelago, Isole Cristalline e Auros e riecco che in ogni regione si ripresentarono gli uomini dal volto fasciato che facevano schizzare il sangue sulle mura.
Ci fu un colpo di vento e la portafinestra che conduceva sul balcone venne spalancata. Dream attraversò il salotto e uscì sul terrazzo. Il cielo era nuvoloso, di quel grigiore che alla lunga da fastidio agli occhi. Respirò a pieni polmoni, l’aria era intrisa della classica umidità invernale, mischiata con l’odore del fieno. Si ricordò di quando attraversava Giardinofiorito o quando entrò nell’antica Memoride, un piccolo borgo nella Sinnoh nord-orientale alle pendici del Monte Corona, dove era alla ricerca di informazioni sui leggendari Dialga e Palkia.
«Oh, chiudi che fa freddo» gridò Rosso da dentro l’abitazione, Dream sbuffò e ritornò all’interno dell’appartamento, poi chiuse la portafinestra assicurandosi che non si sarebbe aperta con un altro colpo di vento.
«Pensi che dovremmo tornare a casa? Siamo Campioni, potrebbero aver bisogno di noi».
«No, Rosso. Non penso che abbiano bisogno di noi.
Ho smesso di farmi il fegato marcio per questo popolino di idioti. Ora combattono contro il governo perché ha taroccato le elezioni, ma cinque anni fa non è stato così, dieci anni fa neanche. Hanno scelto di votare il cancro e ora se ne prendono le conseguenze. Da che mondo e mondo la chemioterapia per una malattia è una medicina amara, che per certi versi ti fa preferire la morte, però poi ti cura. Questo è il loro processo di cura, questa è la loro chemio.
E sai perché non possono aver bisogno di noi, Rosso? Perché noi siamo diversi da loro, noi in qualche modo, ci siamo dimostrati superiori. Noi il cancro lo abbiamo visto proliferare non abbiamo mai voluto convivere con lui, anzi, lo abbiamo riconosciuto ancora prima che potesse diventare più grande di un atomo e lo abbiamo combattuto.
E il ringraziamento quale è stato? Una dichiarazione di arresto! E qualcuno ha mosso un dito? Certo che no! E io non muoverò un dito per loro, e non comanderò un singolo attacco di un pokémon per la loro causa, per quanto giusta possa essere. E sai perché? Perché arriva fuori tempo massimo. Il treno è partito, ciuff ciuff».
Rosso si mise seduto e osservò con espressione di rimprovero Dream. Il suo cuore cominciò a palpitare velocemente, tanto rapidamente come quello del suo amico. Mai, fino a quel momento, erano stati così profondamente in disaccordo: «E quindi di che cosa si tratta esattamente? Di una vendetta?! Non li aiuti perché loro non hanno saputo aiutare te?».
«Suvvia, Rosso, non esser stupido. Non ho mai chiesto l’aiuto di nessuno in vita mia…».
«E quindi? – Lo interruppe Rosso – E quindi siccome tu non hai avuto mai bisogno di aiuto credi che nessun altro essere al mondo possa necessitare di una mano? Non siamo tutti come te, Dream, fattene una ragione».
«Non si tratta di questo, Rosso. Dico solo che se avessero voluto il nostro supporto, avrebbero detto una parola quando siamo stati messi in stato d’arresto, e invece niente, nulla! Se avessero avuto bisogno di me, di te o di chissà quale altra persona, non dico che sarebbero scesi in piazza ma per lo meno, dico per lo meno, qualche persona si sarebbe indignata in televisione».
Rosso balzò in piedi in preda alla furia: «Erano spaventati! Ti è così difficile capirlo?!».
Dream strabuzzò gli occhi vedendo il suo amico alzarsi e automaticamente alzò la voce: «Spaventati da cosa?! Sono i governi che devono aver paura delle persone, non il contrario».
«Oh – gridò Rosso – riecco il rivoluzionario Dream, quello che supportava Walter, l’anti-casta. Dimmi, Dream, dopo tutto quello che hai scoperto, non pensi che sia necessaria una parvenza di realismo?».
Dream aprì leggermente la bocca, stupito da quello che gli era stato detto. Si avvicinò all’amico, puntò l’indice destro sulla sua spalla e cominciò a pungolarlo incessantemente: «Tu pensi di essere necessario per una rivoluzione popolare e mi vieni a dire me che ho bisogno di realismo? E dimmi, caro il mio “Allenatore del Monte Argento”, come pensi di poter aiutare? Dispensando consigli su come si resiste sui pendii di una montagna? O su come alimentare la propria fama non concludendo assolutamente nulla nella vita?».
Bastò un secondo, pochi istanti. Un colpo secco, forte, che fece vibrare la pelle della guancia destra di Dream fino a fargli voltare la testa a sinistra. Rosso lo aveva colpito, con un ceffone in pieno volto. I due si guardarono, fissi negli occhi, senza proferire alcuna parola. Sul volto di Dream apparve un sorriso malizioso, con uno sguardo di sfida, si voltò e si diresse verso la sua camera, inseguito dalla voce dell’amico: «Oh, sei forse migliore tu che per anni non hai combinato assolutamente nulla preferendo scopare dalla mattina alla sera, vero? Tu sì che potresti aiutare meglio di me, non è forse così?».
Il ragazzo tornò ad osservare Rosso, gesticolando nervosamente e continuando a gridare: «Era morto Umbreon, era così difficile capire che non me la sentivo di tornare ad allenare? Oh, ma sicuro che è difficile, mi pare alquanto ovvio che ti pare complesso da capire. A te basta giudicarmi solo per il numero di donne che mi portavo a letto. Ma d’altronde mi hai sempre e solo giudicato, Rosso. Sempre e solo. E facevo quello e non andavo bene. E facevo quest’altra cosa e ancora non andava bene. Ti sei sempre ritenuto migliore di me, in qualsiasi campo. Ma fattene una ragione, sei inferiore a me, sei meno realistico di me. Sei quanto di più mediocre ci possa essere al mondo».
Rosso fece un respiro profondo, poi indicò minacciosamente il suo interlocutore: «Se non la smetti di comportarti come un deficiente e un cretino, ti giuro, ti faccio saltare tutti i denti».
«Oh, ma che paura – Dream cominciò ad camminare lentamente, avanzando verso Rosso. Ondeggiava nel farlo, come se fosse stato ipnotizzato tutto d’un tratto – ma sai, credo che riusciresti ad esser mediocre anche nella boxe» e strizzò l’occhio sinistro compiaciuto, poi riprese con una faccia esausta: «Ora, so che vuoi ancora giocare a chi ce lo ha più lungo e duro, ma mi dispiace per te, ho da fare. Devo andare in città. Voglio tornare ad allenare davvero, sui Percorsi. Dovresti farlo anche tu».
Era una scelta che meditava da diversi giorni. Voleva partire per un viaggio, senza i suoi vecchi compagni, proprio come quando incominciava una nuova epoca. Voleva sfidare i Capopalestra, guadagnare le medaglie e dirigersi alla Lega Pokémon, con l’obiettivo di diventare il nuovo Campione di Kalos.
 
La struttura di Luminopoli era composta da quattro cerchi concentrici collegati tra di loro per mezzo di otto grandi vialoni. Nessuna strada era stata cperta d’asfalto. Dal tardo ‘800 in poi solo i sanpietrini venivano utilizzati nell’edificazione delle strade, tentando di lasciare nella Capitale un aspetto storico.
Il Laboratorio del Professor Platan si trovava nella zona occidentale della città, nel settore più esterno.  Era una piccola villetta su due piani, costruita tra due palazzi di una decina di piani. Il muro di cinta, che delimitava il suolo di proprietà del professore, era stato adornato con piante e fiori, così come il giardino, davanti la porta di ingresso, era stato abbellito con un grande albero.
La porta d’ingresso era piuttosto semplice, una struttura in legno chiaro, poco pregiato, con quattro vetri decorati con immagini petali di rosa che cadevano. Dream bussò delicatamente.
«Avanti, avanti» disse una voce maschile all’interno.
Dream girò la maniglia e si addentrò nell’ingresso del laboratorio, chiuse la porta alle spalle e trovò ad aspettarlo un uomo piuttosto alto, vestito con un camice bianco, una camicia blu, pantaloni neri e mocassini marroni. Si fece avanti, allungando la mano per presentarsi al ragazzo. I suoi capelli avevano un taglio particolare, di media lunghezza sui lati della testa e piuttosto lunghi sulla parte superiore, con la riga di lato, che faceva cadere la lunga chioma sul suo lato sinistro.
«Oh, buongiorno Dream, si accomodi pure, prego» disse il padrone di casa, voltando immediatamente a destra ed entrando in uno degli uffici che componevano la struttura. Platan era un uomo francese trasferitosi con la famiglia a Kalos agli inizi degli anni ‘90, quando aveva poco più di dieci anni. La sua pronuncia, nonostante i molti anni passati a Luminopoli era lontana dall’essere perfetta e continuava ad includere quegli elementi tipici della lingua francese che lo rendevano il tipico cliché che i paesi esteri hanno della Francia.
C’erano circa una decina di persone tra personale del laboratorio, vestiti in maniera piuttosto rigorosa e formale, con tanto di camici e penne che uscivano da ogni tasca, e ragazzini.
Mentre Dream s’incamminava all’interno del grande stanzone si guardò attorno, non potendo far a meno di notare come l’ordine e il profumo di pulito regnassero sovrani. Era già stato in quella stanza qualche settimana prima, ma pensò ingenuamente che si trattava di pulizie eccezionali per accogliere i Ministri della Giustizia e dell’Interno. Tutti i laboratori che aveva visitato erano pieni di scatoloni con all’interno documenti, fogli sparsi e polvere che copriva ogni superficie. Eppure anche in quel giorno apparentemente normale, la scrivania del professore era completamente sgombra di oggetti di ogni tipo. C’era solo una lampada da tavolo al lato. Sotto la finestra, alla destra di Dream, una piccola radio accesa che riproduceva “The Name Game” di Shirley Ellis:
«Shirley! Shirley, Shirley
Bo-ber-ley, bo-na-na fanna
Fo-fer-ley. fee fi mo-mer-ley, Shirley!»
«Allora, messèr Dream, che cosa possiamo fare per lei quest’oggi?».
Dream sorrise per l’appellativo, si guardò attorno e provò un sincero imbarazzo poiché gli occhi erano puntati tutti su di lui: «Vorrei iscrivermi alla lista che mi permetterà di ottenere un pokémon iniziale. Vorrei partecipare alla Lega Pokémon di Kalos».
«Oh, bene, interessante scelta, davvero interessante» commentò l’uomo tirando fuori un foglio dal cassetto alla sua sinistra. Aveva delle domande precompilate sopra. Prese una penna e cominciò ad osservare sorridente Dream.
«Ho sentito dire che chiunque faccia richiesta di ottenere un pokémon iniziale lo ottiene, è vero?».
«Oh, sì. Vede, qui a Kalos Froakie, Chespin o Fennekin non sono dei privilegi come ad esempio lo sono un Bulbasaur o un Torchic nella sua Repubblica. Noi qui vogliamo dare a tutti gli stessi mezzi... non a caso c’è una sua conoscenza che ci ha definiti socialisti» disse sorridendo maliziosamente, «Ma prima di concedere il via libera alla sua avventura di Allenatore, le devo porre alcune domande – disse indicando con la mano destra il foglio – allora... lei è un terrorista?».
Dream strabuzzò gli occhi e scoppiò a ridere: «No».
«La prego di rimanere serio e di rispondermi sinceramente. E’ molto importante per il buon esito del test. Quindi... dicevo... Sicuro di non essere un terrorista?».
«Sicuro, non sono terrorista».
«Non è un terrorista – pronunciò lentamente mentre scriveva la risposta – ha mai fabbricato ordigni nucleari?».
«Direi di no, mai costruito ordigni nucleari».
«Non ha costruito ordigni nucleari... Ha mai commesso reati di qualche tipo?».
«Beh... – disse con un leggera smorfia divertita – secondo il mio Paese essere giornalisti è un reato. Non so come lo consideriate qui a Kalos».
Platan alzò gli occhi e ricambiò il sorriso: «No, qui i giornalisti fanno il loro lavoro, quelli iscritti all’albo intendo. Ma deduco che questo tipo di informazione non si possa considerare reato in un qualsiasi Paese civile. Nessun reato quindi».
La penna in mano al professore ricominciò a scivolare rapidamente e delicatamente sul foglio, annotando di nuovo quello che Dream aveva comunicato.
«Segni particolari?».
«Dicono che io sia il miglior allenatore della storia».
Platan inclinò la testa, pronunciò le labbra e osservò attentamente Dream. Dopo pochi secondi riprese a scrivere, segnando “La modestia”.
«Siamo quasi alla fine del test, Dream... ecco, passiamo appunto alla sua carriera di allenatore. Quante Leghe Pokémon ha vinto nel suo Paese?».
«Nove», disse annoiato Dream.
«Nove? Un numero davvero notevole» disse l’uomo stupito, «E’ per caso nei Guinness?».
«Così pare...».
«E così vuole concorrere anche per la Lega Pokémon di Kalos, giusto?».
«Sì, esatto».
«E con quale pokémon vorrebbe iniziare?».
La loro attenzione venne attirata dalla radio. Una volta finita la canzone in onda, una voce femminile prese la parola.
«Nuove notizie dalla Repubblica Federale di Pokémon. Pochi istanti fa, con un comunicato mandato in onda in tutti i canali radio e televisivi, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito ha informato le forze militari che non risponderanno più al Governo e al Parlamento ma che anzi è necessario destituire i due organi.
Il Presidente Archer, pochi istanti dopo, ha immediatamente sospeso e richiesto il giudizio immediato della Corte Marziale nei confronti del Capo di Stato Maggiore nel frattempo sostituito con Eliot Getry che ha subito ribadito come l’Esercito non complotterà l’ordine dello Stato, ma già si sono registrate numerose defezioni. Diversi tenenti, colonnelli, hanno annunciato la loro volontà di seguire Bryan Wids. Nel frattempo, fonti di agenzie, comunicano che in alcune zone non specificate del Paese sono già cominciati i primi scontri armati».
«Una scissione dell’esercito?» domandò Platan a Dream, che lo guardava con sguardo dopo aver udito la notizia.
«A quanto pare...» rispose.
«Avete mai avuto problemi con l’esercito? Tentativi di sommosse sedate prima che potessero creare veri e propri disordini?».
Dream scosse la testa: «No, né prima della mia nascita, né dopo. Stanno tutti impazzendo, uno dietro l’altro».
«Qualcuno potrebbe dire lo stesso di lei, non trova?».
Lo sguardo di Dream improvvisamente si riaccese e osservò l’uomo: «Che intende dire?».
«Intendo dire che nonostante i suoi proclami su come non volesse più allenare eccola qui, a chiedere di ricevere un pokémon iniziale. E per carità, a me fa piacere. Ma per qualcuno, forse, anche lei sta impazzendo. Diranno “il vecchio allenatore è tornato alla sua carriera perché non è capace di far altro dopo che ha provato a far altro. Un pazzo, non ha più niente da dare”, non è vero?».
Dream sorrise, «Hanno già cominciato a darmi del pazzo?».
«Oh, no. Ma lo faranno. Non è forse quello che si fa sempre, alla fine? Giudicare, intendo. E non è sempre quello che subiamo sempre? Il giudizio. E’ sicuro messer Dream di volerlo fare? Di voler tornare ad allenare?».
«Dicevano che non allenavo più perché non ero capace... diranno che alleno perché sono pazzo. E’ un po’ un’estremizzazione non trova?».
Platan socchiuse leggermente gli occhi, annuì leggermente con la testa e poi tornò a guardare disinteressato il foglio: «Già, ma nonostante noi vogliamo trovare la moderazione, la vita ruota così tanto su se stessa che ci porta agli estremi. Lei è pronto agli estremi?».
«“Lo avevano ricoverato per curarlo della sua follia, ma secondo me non era pazzo, aveva soltanto terribilmente sofferto”» pronunciò lento Dream, sempre sorridente.
«Dostoevskij... Bene, bene. Se lei è pronto a subire il parere delle male lingue faccia pure, d’altra parte lei è stato nove volte Campione, non ha bisogno dei miei consigli di sopravvivenza. – Poi si avvicinò, il volto era serio, gli occhi improvvisamente freddi – Kalos non è il Paese dei Balocchi, sebbene così possa sembrare. Si guardi alle spalle, sorrida a tutti, non dia confidenza a nessuno. Un Ekans, prima di strangolare la sua vittima, si sdraia affianco. Prende le misure, e nei giorni successivi, tutto d’un tratto si attorciglia al collo della sua vittima e comincia a stringere, stringere, stringere, finché l’ultimo respiro viene esaltato. Kalos è così».
«Kalos?» domandò Dream ironico, «A me questa sembra la descrizione de La Dolce Vita di Fiordoropoli!».
«Oh, vedo che ci intendiamo – pronunciò con un caldo sorriso. Forse il più caldo e sincero da quando conobbe Michael – ma prego, messèr Dream, vada sulla terrazza, la raggiungo tra poco.  Giusto il tempo di inviare il fax».
L’aria fredda investì il viso di Dream che chiuse infastidito gli occhi, riaprendogli poi lentamente, appoggiandosi poi alla ringhiera dopo essersi acceso una sigaretta.
«E’ vero che è stato ad Austropoli?» chiese Platan raggiungendo il ragazzo.
«Già, vero. Quest’estate, qualche settimana prima che cominciasse la Lega Pokémon di Unima».
Platan si appoggiò anche lui alla ringhiera e insieme, i due, scrutarono la stessa vista: «Non ci sono mai andato... Ho visto New York, Parigi, Roma, Madrid, Fiordoropoli, ma Austropoli mi manca. Serena – disse voltandosi e indicando una bambina con i capelli castani chiari molto lunghi, occhi verdi. Piuttosto magra e alta, con un naso alla francese – ci è andata. Dice che è molto bella, la città più bella di tutte. E a lei, messèr Dream? E’ piaciuta?».
Dream scosse la testa, togliendosi la sigaretta dalla bocca «No, Professore. L’ho trovata una città... morta».
Platan strabuzzò gli occhi e guardò l’interlocutore stupito: «Austropoli è per caso un deserto?».
«No, no, macché, è piena di strade, acqua, parchi, alberi, non è un deserto».
«E perché “morta” allora?».
«Perché io non ho proprio vissuto durante quel periodo. Mi sono sentito aperto in due, ho visto le mie viscere uscire lentamente e venire osservate».
«La osservavano mentre espletava i suoi bisogni? La importunavano?» chiese sempre più stupito l’uomo, come se non riuscisse proprio a capire.
Dream sorrise, «Io mi osservavo. Lo stavo facendo nelle vetrine di una gioielleria e mi son reso conto che non ero più io. A stare in mezzo a quella folla... mi sono sentito soffocare. E non ce n’era ragione, non c’era una dannatissima ragione perché mi sentissi così.
Ma poi ho capito, ed ecco che sono scappato da Fiordoropoli. La richiesta d’arresto è stata una fantastica scusa, l’alibi perfetto. Sono scappato dalle scimmie, sì, ma soprattutto da me stesso».
«E cos’ha capito esattamente? Perché sa, non lo ha mica detto».
«Ero a metà. E lo sono ancora, ma per lo meno la cerco qui, tra queste campagne. Ma vede, mi sono sentito proprio incompleto ad Austropoli. Come se non riuscissi a ragionare un attimo senza trovarmi all’interno di una spirale di dramma e sofferenza interno. Improvvisamente avevo paura di vivere».
«Curioso, da un punto di vista antropologico questo è molto interessante. Le persone si sentono incomplete senza la persona che amano al loro fianco, lei no.
E quanto trovo affascinante questo discorso. Siamo tutti così uguali, noi esseri umani, eppure tutti così diversi».
I due si salutarono, Dream fece un passo all’interno del salone dove aveva risposto alle domande quando Platan lo fermò: «Certo che lei non ha e non avrà vita facile, messèr Dream».
Dream lo osservò perplesso: «Come mai dice questo?».
«Oh, perché lei è così giovane e pure ha già visto e fatto tutto. Cosa la potrà elettrizzare ora? Cosa? Au revoir, Dream, au revoir!».
 
Rientrò a casa quel pomeriggio. Girò il chiavistello fino a che la porta blindata non gli si aprì sotto gli occhi.
«Rosso, sono tornato» gridò, lasciando il mazzo di chiavi sulla scrivania bianca posta nel corridoio d’ingresso e iniziando a cercare l’amico nelle varie stanze.
Arrivò in sala. La portafinestra era chiusa, le tapparelle abbassate. Si avvicinò alla corda e cominciò a tirarla verso il basso. Le nuvole grigie sovrastavano Luminopoli, rendendola una città triste e spenta. Neanche la visione della Torre Prisma rendeva lo spettacolo più affascinante.
Si voltò e osservò il tavolo. C’era un libro con un bigliettino attaccato.
Io vado a Fiordoropoli. Il mio Paese mi chiama. Non m’importa se mi seguirai, sii felice,
Rosso”.
Il libro era “Niente e Così Sia”, di Oriana Fallaci. All’interno era presente un segnalibro. Dream aprì alla pagina indicata, alcune frasi erano sottolineate, cominciò a leggerle.
«“Lessi quel libro, L’ammutinamento del Caine. Mi fregò. Ricorda il processo che il comandante subisce dinanzi alla Corte Marziale, quando lo fanno a pezzi e dimostrano che è un uomo mediocre? Bè, vinto il processo, il suo accusatore si ubriaca e dice qualcosa. Dice: d’accordo, era un uomo mediocre, non valeva Proust, però al momento in cui dovemmo andar contro Hitler ci servimmo di questi mediocri: non di Proust. E io mi dissi, giusto, resto con i mediocri. Anche se non sono un mediocre, e chi ha detto che un soldato debba essere un uomo mediocre. E lo proverò.”».
La guerra civile. Rosso era partito alla volta della Capitale, doveva aver sentito anche lui la radio. Partito verso l’orrore. Quello vero questa volta. Non un orrore sociale, fatto di persone vuote e ignoranti, ma fatto di morte e di distruzione fisica.
 
Per questioni di sicurezza, a Fiordoropoli, venne impostato il coprifuoco per i civili. Alle ore 18:00 le sirene della città suonavano e tutti dovevano chiudersi in casa, al buio.
I ribelli, coloro che uscirono dall’esercito rubando armi e mezzi, avevano abbattuto tralicci, rotto i tubi del gas e dell’acqua. L’acqua arrivava con il contagocce, il gas bastava giusto il tempo di cuocersi un piatto di pasta, poi la fiammella spariva. E l’elettricità era completamente assente.
In poche ore si passò da essere una Nazione pseudo-normale all’aver imboccato il sentiero che conduceva ad una crisi umanitaria.
Rosso atterrò così in Viale dell’Onore completamente deserto. Per un momento gli parve di essere all’interno di quei film apocalittici, dove il mostro appare fuori all’improvviso dopo che il regista ha giocato sapientemente con la colonna sonora. Era forse questa la guerra?
Si aggirava in un silenzio di tomba. Alcuni vicoli erano stati ostruiti con i cassonetti dell’immondizia. In alcune stradine, la pattumiera bruciava, riempiendo di fumo nero, denso, tossico, che si innalzava verso l’alto. Era forse questa la guerra?
Sulle colline a est della città invece si combatteva. Si vedevano lampi gialli, si udivano esplosioni, si notavano figure volanti che si alzavano e cominciavano ad emanare dei raggi rossi, gialli, blu. Era forse questa la guerra?
Sulle colline i ribelli si erano appostati per scendere a Fiordoropoli e conquistarla. Miravano subito alla Capitale e poi al resto della Nazione. La loro unica base erano le Rovine D’Alfa. Avevano fatto saltare tutta la vegetazione che circondava i lati nord e sud, per poter guardare meglio i nemici e colpirli prima di farli avvicinare troppo. Oltre ad aver fatto crollare buona parte della Grotta di Mezzo per impedire l’accesso dalle entrate secondarie. Poi, sui templi, avevano installato l’artiglieria anti-aereo, anche se alla fine sarebbe stata inutile. Nessuno si sarebbe mai sognato di bombardare il sito patrimonio dell’UNESCO.
Rosso trovò una stanza in un piccolo albergo nel Mercato. La sua sveglia fu una tremenda esplosione che fece tremare le mura, il letto e per poco non ruppe i vetri. Era forse questa la guerra?
Pochi istanti dopo, due jet militari cominciarono a volare bassi sulla città, mentre dal mare si vedevano due cacciatorpediniere che si bombardavano tra loro, mentre di volta in volta i jet militari le bombardavano. Una volta l’una, una volta l’altra e le colonne di fumo si alzavano, ma nessuna delle due affondava.
Poi un’altra esplosione e ancora le mura tremarono, e ancora il letto vibrò, e ancora per poco i vetri non si ruppero.
Scese per strada indossando rapidamente qualche vestito e lavandosi in maniera frettolosa. La preoccupazione per la sua igiene personale era totalmente sparita in mezzo a quelle continue bombe che esplodevano.
Uscì dall’albergo e notò che tutto, in una notte, era cambiato. Per strada era apparso il filo spinato. Chilometri e chilometri di filo spinato che delimitava la strada dai marciapiedi. Questi ultimi dovevano essere utilizzati dai civili, il resto dai militari che avevano bisogno di spazio sia per potersi muovere liberamente, sia per i potenti mezzi militari che stavano giungendo in città. Ed eccole che sfrecciavano uno dietro l’altra, camionette a macchia di leopardo con a bordo decine di uomini e anche un carro armato che con il suo rumore assordante camminava sopra quelle lastre lucide che costituivano la pavimentazione dell’antico quartiere. Era questa la guerra?
Ai lati delle strade alcuni militari distribuivano giubbotti antiproiettili e caschi di protezione, altri, invece, ponevano sulle finestre che davano sugli scantinati i sacchi di sabbia per renderli più sicuri in caso di bombardamenti aerei.
Rosso si avvicinò ad un ragazzino. Aveva forse vent’anni e poneva i pesanti sacchi di sabbia e si assicurava che fossero aderenti. I suoi gesti sembravano automatici, comandati da un software. Prendeva il sacco, lo metteva vicino ad un altro, lo pressava lievemente e ne tirava giù un altro dal camion. E ancora, ancora, ancora.
«Cosa succede?» chiese Rosso.
«Non si preoccupi, la situazione è sottocontrollo» pronunciò senza guardare chi aveva davanti. Sembrava come una voce registrata.
«Sono un Campione della Lega Pokémon». Udite quelle parole il ragazzino si fermò, si mise sull’attenti e fece il saluto militare.
«Mettiamo in sicurezza gli scantinati in caso di bombardamenti aerei, Campione. Le truppe ribelli hanno comunicato di avere bombe e jet sufficienti per farlo.
Ci è stato inoltre comunicato che i Campioni devono dirigersi immediatamente dal Tenente per ricevere ordini».
«E dove si trova il Tenente?».
Il soldato ruppe la posizione e indicò con braccio fisso un piccolo bar: «Da quella parte, Campione».
Rosso ringraziò il militare e cominciò a camminare in direzione del locale, superò il palazzo e poté notare che le verdi colline di Fiordoropoli erano completamente andate a fuoco. Dei verdi prati in cui Dream si era rotolato qualche mese prima, con Feraligatr e Mew erano completamente scomparse. Soltanto terra arida. Era questa la guerra?
Quando Rosso entrò nel locale, una piccola radio a batterie posta sul tavolo del Tenente Rogers stava comunicando che Canalipoli era caduta perché completamente senza difese e le forze armate ribelli ora erano in viaggio verso Giubilopoli. Il sindaco di Canalipoli era stato arrestato e con esso tutta la giunta comunale. Sarebbero stati scortati al Carcere di Mineropoli. L’esercito di istanza in Unima stava resistendo alle forze nemiche che attaccavano da sud e da est senza troppe difficoltà e presto avrebbero cominciato ad attaccare.
Nessuna notizia invece perveniva da Hoenn, dove diversi ripetitori erano stati distrutti da un attacco mirato di Hydreigon mentre a Kanto una bomba era scoppiata nella metropolitana di Lavandonia uccidendo trenta persone.
Era questa la guerra?
 
A centinaia di chilometri di distanza, in un appartamento al terzo piano di Luminopoli, Dream si assicurò di avere in tasca il portafogli e il lettore mp3 nell’altra. Aprì la porta d’ingresso e una luce intensa e dell’aria bollente lo avvolse. Si mise una mano sugli occhi e riuscì a capire dove si trovava, in un deserto.
Davanti a lui, pochi metri più in là, una piccola casetta con vetri oscurati dalla troppa polvere e il legno completamente marcio. Sembrava disabitata. Dietro di lei una grande cava.
Si sentiva dentro un déjà-vu, sembrava conoscere quel posto. Si avvicinò lentamente, guardandosi attorno. Come aveva fatto a raggiungere quel posto mettendo semplicemente un piede fuori da casa? Era forse una trappola ordita da Giovanni o chi per lui?
Poi prese coraggio, avanzò rapidamente e bussò alla porta, che si aprì da sola davanti a lui.
La luce del sole entrò all’interno della piccola stanza, mostrando una figura nera seduta in maniera composta sul tavolo.
Quattro zampe, con un pelo nero che in alcuni punti faceva spazio a delle figure ovali dorate. Gli occhi, rossi, erano puntati sull’ingresso.
«Ti stavo aspettando, Dream» disse la figura in maniera solenne.
Dream sgranò gli occhi, la bocca si aprì leggermente per lo stupore mentre gli occhi divennero immediatamente lucidi. Corse verso il tavolo e strinse a sé chi c’era sopra, «Umbreon! Umbreon!» ripete il ragazzo con voce strozzata, mentre le lacrime, che scendevano dal viso, bagnavano il pelo del pokémon. Il ragazzo lentamente si staccò, asciugandosi gli occhi con le dita, approfittandone per stropicciarsi gli occhi e verificare che effettivamente stava vedendo giusto.
«E’ passato un po’ di tempo...», Dream annuì.
Non si accorse immediatamente che il pokémon potesse parlare.
«Sei reale?» chiese Dream.
«Dream non abbiamo tempo per queste domande. L’importante è che io sia Umbreon è che tu sia tu.
Per parlare ho dovuto aspettare che tu fossi libero. Libero da me, libero da te stesso. E ora forse ci sei, altrimenti non saremmo qui. Ma vedi, nonostante tutto, ci sono delle domande di cui non trovo risposta sebbene la sento vicina, ma non ci arrivo. E quindi a chi porle se non al mio allenatore?».
«Non credo di essere ancora il tuo allenatore, Umbreon...» fece notare Dream, parlando e raschiando la gola.
«Non è la morte fisica a tranciare definitivamente i rapporti. E’ la memoria».
Dream sorrise amaramente.
«Ebbene Dream, permettimi di essere brusco. Permettimi di rivolgerti le domande perché non ho molto tempo. Perché ci sono cose che mi sono successe e che proprio non capisco. Che cos’è questa morte di cui parli spesso in riferimento a me?».
Dream rimase sbigottito. Rimase in silenzio, guardando il suo amico in maniera turbata.
«La morte... la morte è la fine dell’essere. E’ quando la vita finisce... tu sai cos’è la vita?».
«La vita è un labirinto. Così mi dissero una volta. Un labirinto fatto di milioni di strade, di milioni di vicoli cechi. E ti puoi perdere cercando la tua strada. E ti senti chiuso in una gabbia tra quelle tre mura, perché nulla è come vorresti. Però poi ecco che la ritrovi, e riesci a proseguire lungo il labirinto. Questa è la vita, un labirinto».
Dream rimase impressionato. Non era sua la metafora del labirinto. Forse il pokémon l’aveva sentita prima del loro incontro ad Auros nel 2004.
«Non lo so cosa sia la morte, Umbreon.
E’ sempre stata qualcosa lontano da me. Una massa oscura che al massimo lambiva i confini della mia vita e acciuffava persone che sì, conoscevo, ma erano semplici comparse di scarsa importanza per me, e venivo a sapere della loro dipartita solo qualche mese dopo. E dicevi “ohibò, se n’è andato”, un sospiro di sollievo e poi tornavi a fare quello che stavi facendo.
Però non l’ho mai vista con i miei occhi, non si era mai messa sul mio cammino. Fino a che non è successo quello che è successo. E ti ha strappato da noi.
E allora, se la vita è un labirinto, la morte è la fine di quel labirinto. E quando superi la siepe e l’arco su cui c’è scritto un falso “Arrivederci”, trovi una barchettina che ti porta a destinazione...
Io credo che sia una cascata. Una enorme e gigantesca cascata. Perché tutto precipita, viene risucchiato. A quel punto muori».
«E non puoi usare la Macchina Nascosta Cascata?».
«No, Umbreon – scosse la testa sorridendo – no. In quel momento sei solo, anche se circondato dagli amici. Loro sono sulla terra che circonda parte della cascata, ma non ti posso afferrare. In quel momento tu diventi intoccabile, inafferrabile. E poi vai, cadi, precipiti».
Passarono alcuni istanti di silenzio. Lo sguardo di Dream fissava le travi di legno sul pavimento, mentre Umbreon continuava a osservare Dream.
«Sono quindi precipitato?» chiese timidamente il Buio.
«In un certo senso. Oppure sei volato in alto, ma mi viene difficile immaginare di perdere qualcuno perché vola per aria».
«E una volta che si precipita cosa succede?».
«Ti liberi dal male, dal dolore, da tutto ciò che c’è di brutto. La tua anima si affranca, si purifica, ed è più leggera. E puoi raggiungere l’infinito, superarlo. Puoi volare nell’oceano, nuotare nel cielo. Conoscere l’inizio e mai la fine. Io l’ho sempre vista così, Umbreon. Io non sono mai morto...».
Il pokémon annuì, chiudendo gli occhi: «E per chi rimane?».
«Per chi rimane la situazione è più complessa, perché vedi, noi questa liberazione non la percepiamo. Percepiamo il dolore, un immenso e gigantesco dolore.
Ti rimane un pugno di ricordi, mentre il vuoto si forma dentro e fuori di te. E non lo puoi combattere il vuoto, non puoi combattere qualcosa che non esiste.
E quindi rimani lì, inerme, sotto questa tortura, che è la peggiore delle torture; perché negli altri casi dai al nemico l'informazione che vuole e ti sbatte in una cella con i ratti, prendi fiato e poi al massimo ti da un proiettile in testa e finisci di soffrire il male fisico, capisci? Ma qui invece è diverso, totalmente diverso.
Qui il nemico è silenzioso, viscido. Si muove sinuosamente, dentro e fuori di te, ogni suo movimento è un sussulto, e ogni suo passo è puro orrore, orrore perché ti ricorda il vuoto lasciato da chi non c'è più.
Non ti puoi neanche alzare e dargli un ceffone. Chi o cosa vuoi colpire? Puoi farlo, certo, puoi sentire l’aria entrare tra le tue dita, accarezzare il palmo della mano, ma cosa hai ottenuto?
Ecco, la morte comporta il vuoto per chi rimane. Un incredibile, atroce vuoto che fa male. Una ferita che non si rimargina mai, ma da cui continua a sgorgare il sangue ogni qual volta viene sfiorata. E allora te ne prendi cura di questa ferita, ti assicuri sempre di averla coperta e di non lasciarla sbattere, di non lasciarla in balia di persone che vogliono solo farti del male».
E rieccolo il silenzio che cadde nella stanza ma fu Dream ad interromperlo questa volta.
«Non trovi che sia curioso che un morto chieda cosa sia e come sia la morte ad un vivo?».
«La vita è tutta una cosa curiosa, Dream. Non trovi che sia curioso che tu stia parlando con un morto?».
Dream sentì dentro di sé l’obbligo di alzarsi dalla sedia su cui si era seduto e dirigersi verso la porta. La aprì, il deserto riapparve sotto i suoi occhi.
«Dream, un’ultima domanda. Per me la vita è un labirinto. Ma per te? Che cos’è?».
«La vita... – un piccolo sorriso si formò sul suo volto – Per me la vita è tutto e niente.
Tutto perché è una continua scoperta, un ciclo continuo di illusione e disillusione, un’insieme di lacrime e pianti, gioia, dolore, paura, terrore, amore, felicità, nascita e morte.
La vita è sperare nella bontà degli sconosciuti e nella presenza attorno a noi delle persone che noi reputiamo essere nostre amiche. Ed è vita scoprire che gli sconosciuti non siano poi così spesso buoni e gli amici non siano poi così presenti.
La vita è scoprire che le principesse di cui ci raccontavano le fiabe quando eravamo piccoli non esistono, mentre i principi invece che combattere le streghe cattive per l’amore della loro vita, fanno le guerre per amore del potere.
La vita è scoprire che le farfalle così belle e affascinanti vivono solo per un paio di giorni, che i nani non sono gli aiutanti di Biancaneve ma sono persone affette da una malattia e che se perdi una scarpa di cristallo nessuno farà il giro del regno per cercarti, restituirtela e chiederti di sposarti. Al massimo la terranno da parte per farne una copia e così avranno due scarpe al prezzo di una.
La vita è anche capire che “per sempre” significa “fino a domani”.
La vita è accettare che le persone che noi amiamo possano non provare la stessa cosa nei nostri confronti.
La vita è dover stringere i denti quando sappiamo che questa persona è con qualcun altro.
La vita è anche sapersi arrendere prima di perdere la dignità, ma è anche una trincea dove combatti per ciò in cui credi, dove puoi alzarti e raggiungere le linee nemiche e beccarti un proiettile in fronte, ma è comunque grandioso perché sei caduto combattendo.
Ma la vita può essere anche un fiume, dove al posto dell’acqua ci sono le persone che ti trasportano, e tu ti fai trascinare, lasciando decidere agli altri cosa devi fare.
Vedi, la vita è tutto questo.
Ma è anche niente. Perché una volta che muori non rimane niente».
«Siamo destinati ad essere niente, Dream?».
Il ragazzo alzò le spalle come se volesse confermare l’ipotesi del suo pokémon: «D’altra parte, prima di vivere che cosa siamo? Niente. E nel niente torniamo quando moriamo».
 
Poi un gridò e un sobbalzo. Le coperte che lo stavano soffocando vennero fatte alzare con un calcio. Era sudato, con la testa sul cuscino pronta a scoppiare da un momento all’altro.
Era solo un incubo, un sogno. Qualcosa di non reale eppure così realistico. Quei dialoghi, quella voce. Tutto così vicino alla realtà ma mai così lontano.
Fu il suo pensiero per tutta la giornata mentre con sguardo vuoto fissava il canale all-news di Kalos che continuava a fornire informazioni sul caos della Repubblica.
Trovò il coraggio di uscire di casa solo la sera.
Si fiondò in un locale e cominciò a bere, uno dietro l’altro. Grappa, vodka e scotch.
«Bevi per dimenticare?» chiese una voce maschile.
Dream si voltò e osservò il ragazzo. Strinse gli occhi per mettere meglio a fuoco. Capelli biondi, viso efebico e pelle liscia.
«Michael, sei tu?» sbiascicò Dream completamente ubriaco.
«Non ti ho mai visto ubriaco» disse Michael ridendo. Alzò la mano destra e ordinò dell’acqua tonica.
«Ma tu sei morto, ti sei tagliato la gola quando il meteorite è caduto sul Himalaya! Me lo ha detto il vecchio angelo all’angolo che vende le pasticche blu!».
Il barista portò un bicchiere con dell’acqua a Michael. Guardò Dream, lo indicò e chiese in maniera burbera: «Ti sta importunando?».
«Oh, no, è un amico».
«Offre la casa se te lo porti via» concluse l’uomo tornando a parlare con altri clienti, dalla parte opposta del bancone.
«Sei vivo?» continuò a chiedere insistentemente Dream, portando le mani sulla faccia di Michael che era impegnato a bere quello che aveva ordinato.
«Sì, sono vivo» rispose mentre con un gesto brusco allontanò il Campione.
«Festeggiamo, Michele, festeggiamo!» Dream si alzò in piedi, arrotolò un tovagliolo, lo strinse forte in mano simulando che fosse un microfono e poi gridò, attirando l’attenzione di tutti i presenti: «Tutti insieme, coraggio!
“I'm a Barbie girl, in the Barbie world
Life in plastic, it's fantastic
You can brush my hair, undress me everywhere
Imagination, life is your creation”».
Michael lasciò scivolare una pokéball dalla sua tasca sinistra del giubbotto, fece uscire Dragonite e sottovoce ordinò al pokémon di usare Avvolgibotta su Dream, portandolo fuori dal locale.
Piazza Rosa era una delle sei principali piazze che componevano Luminopoli. Aveva un parco di medie dimensioni al centro e le strade lo circondavano, fungendo come mezzo di collegamento tra le varie cerchie che componevano la città.
Dream era in ginocchio, con le mani posate a terra che rimetteva tutto quello che aveva mangiato per cena, con Michael che gli teneva la testa e gli batteva una mano sulla schiena per compassione. Quando finì di vomitare si sedette con le gambe incrociate, posando la schiena contro la parte bassa di una panchina in ferro e portando la testa completamente all’indietro, osservando le stelle.
«Non ti piaceva quella canzone, Michele? Me lo potevi dire… Conosco molte canzoni. Mi piacciono le canzoni. Sono così musicali…» incominciò ad alzare le mani verso l’aria, facendo degli strani gesti, come quelli di una strega quando vuole lanciare un potente incantesimo.
«Il problema non sono le canzoni che canti, Dream. Il problema è il tuo tasso alcolemico… E poi io sono Michael, non Michele».
«Michele, Michael, Francesco, che cambia. Nulla! Non cambia nulla» gridò, lasciando la bocca semi aperta, come se volesse continuare a parlare ma non trovasse le parole. Strinse gli occhi e portò le mani sui lati della testa. «Non cambia mai nulla, Michele. Tutto cambi affinché nulla cambi...» chiuse le mani e si diede dei leggeri colpetti ai lati della testa.
«Non ho mai parlato con un ubriaco, non so quanto possano essere lucidi…».
Dream cominciò a ridere sguaiatamente, con una risata forte, eccessiva, finta. Sputò alla sua sinistra e poi fece cenno con la mano destra di sedersi affianco a lui.
«E’ un mondo crudele questo, Michael. Un mondo crudele. Non ti puoi fidare di nessuno, neanche dei morti… Pensa, il mio pokémon Umbreon mi ha parlato, voleva farmi delle domande. Mi ha chiesto cosa fosse la morte. La memoria del mio pokémon mi perseguita, anche da morto!» Dream ricominciò a ridere, esattamente come prima, poi posò la testa sulla spalla sinistra di Michael e stette in silenzio. I secondi passavano come minuti e il ragazzino era piuttosto imbarazzato per la scena.
«Quando gli hai parlato?».
«Prima, in sogno… Mi aspettava. Diceva che poteva parlarmi solo perché ero libero. Ma libero da cosa? Libero da me stesso, ha detto, libero da lui. Forse ho superato il lutto. Quel lutto – e con la mano sinistra indicò il vuoto davanti a lui – ed era lì che mi aspettava. Sapeva parlare. Non ha mai saputo parlare prima di quel momento. Però parlava. Soggetto, predicato e complemento, come una persona, meglio di una persona!».
«Ah…».
«Credi forse che io sia pazzo?» chiese Dream con voce sconsolata.  Si tirò su dalla spalla dell’amico, non gli diede il tempo di rispondere e portò le mani davanti al viso, chiudendole tra di loro con le dita ben aperte
«Non sono pazzo, Michele. Io sono l’allenatore più potente di questo mondo. Ho catturato ogni specie di pokémon esistente e persino quella di cui si dubitava l’esistenza.
Umbreon non dovrebbe essere contento dell’allenatore che ha avuto. Avrei potuto riportarlo in vita, forse. Ma non l’ho fatto, non me lo sono chiesto, non mi sono preoccupato, troppo impegnato a rotolarmi in una valle di lacrime e dolore.
Eppure io ho catturato Arceus, Michael, io – indicandosi e poi chiudendo la mano rapidamente, come se volesse catturare un insetto volante – io ho catturato Arceus. Io ho trovato il modo di evocarlo e solo io ho avuto il coraggio di metterlo all’interno di una Ultra Ball. Forse dovrei finire al’inferno per quello che ho fatto e sicuramente ci andrò. Potrei distruggere questo mondo, se solo volessi. Eppure no, eppure non lo faccio. E sai perché?».
Michael scosse la testa.
«Perché sono un debole, capace solo di allenare. Ed ecco, diventerò Campione della Lega di Palos, ci puoi contare. Se torturassi metà popolazione mondiale e l’altra metà la condannerei alla fame perpetua a nessuno importerebbe  niente. Se invece vincessi un'altra Lega… lì sono tutti pronti a-a dirmi che ho fatto bene. Perché se non lo faccio non faranno altro che lamentarsi, Michael. Lamentele, lamentele, lamentele. Ma io sono stanco delle lamentele, Michael. Sono profondamente stanco.
Le lamentele mi hanno reso debole perché non avevo niente con cui rispondere.
Non volevo rispondere.
Non volevo dirgli che ero devastato dal dolore. Non volevo crollare sotto i loro occhi, mostrarmi debole. Ma se non ti mostri debole, la debolezza poi ti inghiotte. Esattamente come il vuoto, perché vedi, il vuoto è una conseguenza della debolezza dell’anima.
Ma son stanco di esser debole, ed è per questo che scriverò un libro. Tra una battaglia e l’altra, Rosso, tra una battaglia e l’altra».
«Mi chiamo Michael...».
«Ho già in mente la trama – continuò Dream non badando alla correzione -  triste, violenta, cruda. Anche l’ambientazione, il clima in cui i protagonisti si muovevano.
Poi magari trarre una riproduzione cinematografica. Come attore protagonista volevo Brandon Walsh, che mi piaceva tanto quando recitava in Beverly Hills. Con un po’ di trucco e qualche effetto speciale lo avremmo fatto tornare alla bellezza di quel periodo.
Ma poi mi rendo conto che tutto questo andrà in secondo piano perché voglio allenare. E allenerò e poi, se ho tempo scriverò.
E sai cosa provo dentro di me? Paura.
Come la paura che provi quando ti innamori, perché hai paura che quella persona verso cui provi amore possa ferirti. Quella paura mista a felicità.
Io ho paura che la mia carriera possa ferirmi, uccidermi. Ma son troppo felice per lasciarla andare. Io non voglio neanche lasciarla andare, perché forse è la mia metà».
Poi d’incanto non parlò più. La testa cadde leggera in avanti. Michael si abbassò e guardò il volto dell’amico. Completamente addormentato.
 
Il 21 Dicembre la Corte Costituzionale si disse pronta ad emettere la sentenza. Nel frattempo, l’intera Sinnoh era in mano di Giovanni. A nulla valse lo spostamento delle truppe per la regione. La stessa sorte toccò ad Auros, Fiore, Almia e Oblivia.
Johto era divisa a metà e il confine era stato creato lungo Fiordoropoli. Giovanni ne aveva conquistato la parte settentrionale e anche conquistato anche la parte occidentale di Kanto.
Nelle città non controllate continuavano gli attentati terroristici mentre i bombardamenti aerei avevano cominciato a colpire il blocco navale che il governatore di Hoenn, Rocco Petri, aveva fatto installare a largo delle acque della sua regione. I ribelli all’interno del suo territorio vennero arrestati immediatamente e tutti i voli diretti alla regione venivano scortati a terra dai caccia militari e i velivoli non riconosciuti abbattuti.
Il Parlamento e il Governo Federale vennero messi in esilio e portati a Ceneride ormai sorvegliata a vista da pokémon Drago che la sorvolavano in continuazione.
Fu proprio quando la Corte si disse pronta ad emettere la sentenza che il Presidente Archer chiese l’intervento dell’ONU, dell’Unione Europea, della NATO e degli Stati Uniti per far fronte al golpe militare in atto.
Gli esiti statistici e le testimonianze durante il processo dimostrarono che Repubblica Nuova era invischiata a tutti i livelli nel processo di manomissione per permettere al Presidente Giovanni di ottenere la maggioranza dei due terzi del parlamento in modo da promulgare rapidamente una qualsiasi legge e aggirare così la Costituzione, se non modificarla direttamente.
La notte di Natale, poco dopo la mezzanotte, la polizia venne informata che Giovanni era in procinto di lasciare il Paese a bordo di un aereo dall’Aeroporto di Fiordoropoli, diretto in Venezuela. La chiamata proveniva dal Palazzo della Repubblica.
E proprio mentre Giovanni veniva condotto in carcere e la battaglia per l’assedio di Fiordoropoli si faceva più critica, il Governo Archer diede la grazia a Nate Nickleden. Colui che non fece distruggere le schede elettorali, ma che le aveva fatte sotterrare alla ben e meglio. Colui che permise ad Archer di raggiungere la Presidenza del Consiglio federale e che condusse il Paese alla guerra civile.
La mattina del primo gennaio, mentre in tutto il mondo si festeggiava ancora l’arrivo del Capodanno con l’uso dei botti, i ribelli ruppero le frontiere nemiche e cominciarono a conquistare il sud di Johto.
Nel pomeriggio anche Zafferanopoli cadde mentre Lavandonia venne sottoposta a devastanti bombardamenti che ne distrussero ogni sorta di costruzione umana. Le migliaia di profughi trovarono l’unico rifugio nel Tunnel Roccioso, dove le loro uniche fonti di luce e calore erano i pokémon non mandati al fronte.
Bombardamenti, questa volta navali, riguardarono l’Isola Cannella, il Settipelago e le Isole Orange, già ridotte ad un ammasso di sabbia.
E mentre i botti a New York salutavano l’anno nuovo, centinaia di soldati dell’esercito NATO salivano sui loro mezzi per porre fine a quella guerra civile tanto veloce e rapida quanto dolorosa e atroce.
Atroce come la morte di un Dragonite, con il collo spezzato a causa di un Iper Raggio ricevuto proprio dietro la nuca.
Atroce come il crollo della Torre Pokémon, che si sgretola in mille pezzi dopo che un razzo l’ha colpita.
Atroce come le persone senza cibo, senza gas per scaldarsi in un inverno gelido e terribile.
Atroce come l’abbattimento di un aereo civile che sorvolava il tratto di mare tra Sinnoh e Fiore da un missile lanciato dai ribelli.
Atroce perché il tutto è nato da una follia di un uomo e continua per la follia di altri.
Atroce quanto il mondo attorno continua a vivere come se nulla fosse.
Atroce come quando sono i pokémon civili ad esser bombardati da quelli militari, di un colore piuttosto che un altro, che volavano verso Kalos.
Atroce quanto il proiettile di un fucile che esce fuori dalla canna ed entra nello stomaco di un ragazzo, che crolla a terra, agonizzando. E tutto l’asfalto della Capitale di tinge di rosso come il suo nome.
Era questa la guerra? Sì, era questa la guerra, ma più che guerra questa era follia.
Le navi dell’Occidente si dirigevano a gran velocità mentre il Presidente della Repubblica, arrestato nel suo palazzo in quello che restava della Capitale della Repubblica per poco non si vedeva la testa saltare per aria perché aveva implorato con un devastante “Fate presto” gli Stati Uniti a velocizzare le operazioni.
Sì, cosa restava della Repubblica? Percorsi messi a fuoco, grotte crollate, palazzi con crateri grossi come quelli lunari. E poi macerie. E poi cadaveri. E poi gli orfani. E poi violenze sessuali. E poi i suicidi.
Ma restava la civiltà. Anzi, quella si svegliò quasi di colpo dopo un sonno durato quasi dieci anni.
Quando le forze NATO approdarono a Nevepoli, tutta la cittadinanza gli diede man forte. Ed eccoli che gli davano dove dormire, gli davano da mangiare.
La chemioterapia era cominciata, la gente voleva eliminare il cancro. E la chemioterapia cominciò da quella che veniva descritta come “Città dal paesaggio invernale in cui i solidi alberi e edifici sono imbiancati dalla neve”. La stessa neve candida che lentamente cominciò a sporcarsi di rosso quando i nervi dei dissidenti cominciarono a frantumarsi e cominciarono a puntare i fucili contro chiunque aiutasse l’esercito estero.
«E voi gli avete aiutati?!» e non importava quale fosse la risposta, il proiettile partiva e si infilava nel corpo umano.
«Dove stanno?!» e se non parlavano, e non lo facevano, tutti in fila davanti al muro ed ecco che la scarica di colpi partiva. Chi aveva bussolotti che frantumavano la spina dorsale, chi il cranio, chi invece veniva colpito agli organi interni, che si spappolavano diventando poltiglia a terra.
I ribelli non erano più semplici soldati, si erano trasformati nelle bestie che una volta erano travestiti con le divise delle SS.
Ma ecco, in queste piccole cose stava il profumo della democrazia. Ed ecco che entrava nelle narici, influenzava il bulbo olfattivo e si faceva strada sino al cervello. E il sangue ribolliva, il cuore pulsava sempre più forte. Era come se una sostanza esterna si fosse infilata nel corpo. Una sostanza stupefacente, una droga. Ed ecco che questa sostanza ha diversi nomi: jiyuu in giapponese, eleutherìa in greco, frelsi in islandese, freedom in inglese, libertad in spagnolo, liberté in francese, libertà in Italiano.
E non esiste libertà che si possa considerare tale senza un prezzo da pagare. Un pagamento che avviene con il sangue, con i feriti, con i morti.
E giù allora con i corpi crivellati, con i muri bucati, le strade minati e sminate, il filo spinato e la neve bianca colorata di rosso, come un bambino che dipinge un foglio bianco. Tutto per la libertà.
Non ci volle neanche una settimana, i ribelli vennero cacciati e incastrati dentro al Monte Corona, mentre Hoenn smise di esser chiusa in se stessa e le navi posizionate a occidente vennero fatte partire verso Sinnoh alla volta di Arenipoli. E la stessa cosa fece Unima, che invece cominciò a liberare da Canalipoli.
E poi arrivò l’ONU, e poi Emergency, e poi la Croce Rossa. E le persone bloccate dentro al Tunnel Roccioso tornarono ad essere persone e non più animali in gabbia. E tornarono a respirare l’aria dopo che gli era stato impedito di uscire perché non si volevano piegare alla follia dell’Uomo.
Ed ecco l’aria di libertà che accarezzava i loro volti. Ecco l’aria che si infilava tra i loro capelli e solleticava la polvere sotto il naso.
E l’aria viaggiava, faceva i chilometri, sorvolava l’oceano e arrivò a cullare i fili d’erba mentre le dita delle mani assaporavano la terra a cui erano appoggiate.
Froakie osservava Dream seduto sulla pancia, mentre gli occhi del ragazzo erano fissi sul timido sole di inizio Gennaio.
«Gennaio? La Lega Pokémon comincia a Gennaio a Kalos?».
«Sì, utilizziamo delle tempistiche diverse rispetto alla Repubblica. Il sette gennaio vengono distribuiti i pokémon a tutti coloro che ne fanno richiesta e poi a Novembre si ha la Lega Pokémon» rispose Platan, che poi osservando lo smarrimento del ragazzo, aggiunse: «Non si sente pronto per Gennaio? Vuole provare l’anno prossimo?».
Michael era seduto a gambe incrociate mentre osservava l’acqua del torrente del Percorso 2 scorrere lento davanti a suoi occhi.
«Hai sentito? Ieri hanno cominciato a liberare Sinnoh» disse Michael, con voce malinconica.
«Già...».
«Dicono che i civili stiano aiutando gli esercito a cacciare gli uomini di Giovanni...».
«Ho sentito anche questo...».
«Cosa ne pensi?».
Dream rimase in silenzio, continuando a contemplare il cielo, finché Michael si girò osservandolo, capendo che voleva una risposta.
«Fino a qualche giorno fa non ne avevo idea, Michael. Ma ecco, forse provo un po’ di orgoglio nei loro confronti. Combattono per la libertà, la loro. Così come ho fatto anche io, venendo qui».
Michael si alzò, lanciò le mani in aria per stirarsele.
«Come mai mi hai mandato da Platan a fare la richiesta? Volevi la mia compagnia?» chiese ritornando a volgere lo sguardo al torrente.
«Sì, volevo un po’ di compagnia. Sei in gamba, non mi farai perdere tempo...».
«Dillo che mi vedi come il tuo erede! Ammettilo».
Dream si coprì gli occhi con il braccio, poi rispose con un vago «Probabile».
Ancora il vento che li abbracciava. Dream si alzò e si sedette, mentre Froakie si allontanò avvicinandosi al Chespin di Michael.
«I lived my life like a masochist
Hearing my father say
"Told you so, told you so
Why can't you be like the other girls?"
I said, "Oh no, that's not me
And I don't think that it'll ever be" ».
Michael si girò di scatto, come se fosse distratto fino a quel momento: «Hai detto qualcosa?».
«No, niente».
Michael si sedette per terra, con uno sguardo sognante. Si morsicava le labbra, come se non avesse il coraggio di parlare. Ma poi lo trovò: «Me lo dai un consiglio?».
«Un consiglio per cosa?» chiese perplesso Dream.
«Per affrontare meglio quest’avventura».
Dream rimase in silenzio, incerto sul dire. Pensò agli ultimi due anni, pensò a quanto successo alla sua persona, all’evoluzione che ebbe nel corso della sua vita, da quando era uno studente timido i primi anni a quando diventò arrogante poco prima della premiazione del 1 Settembre 2001. Pensò quando era un allenatore alla ricerca dei pokémon, che insultava e sbeffeggiava chi lo voleva affrontare e all’amore che nutriva per i suoi compagni di viaggio. Pensò a Umbreon e al feroce lutto che lo aveva portato ancora più in fondo in quella spirale di dramma che era cominciata con una semplice “noia” nata dalle persone conosciute a Fiordoropoli.
Pensò a quella situazione in cui sentiva soffocare ma da cui non voleva liberarsi, come se fosse stato stregato.
Sì, pensò a tutte queste cose.
«Attento alla Sindrome di Stoccolma, Michael» disse Dream con una voce seria.
Michael strabuzzò gli occhi e domandava di che costa stesse parlando.
«La Sindrome di Stoccolma è quel disturbo che ti porta a provare emozioni positive nei confronti del tuo aguzzino».
«Ok… e chi è il mio aguzzino?» chiese insistente il ragazzino, curioso di sapere dove Dream voleva andare a parare.
«Il vuoto. Il vuoto è misterioso. Se tu guardi dentro il vuoto, il vuoto poi guarda dentro di te e ti consuma. Ti assorbe la linfa vitale, ti indebolisce, ti mangia. Ti distrugge. Ma tu non ne puoi far a meno, perché non te ne rendi conto».
Dream si alzò in piedi, si voltò verso la città. Si era illuso fino all’ultimo che Rosso sarebbe corso da lui con la sfera poké in mano.
«E’ sicuro che non ci sia alcun Rosso iscritto fino a questo momento?» chiese con faccia scocciata.
«Mi dispiace, Signor Dream. Nessun Rosso... ma le iscrizioni sono aperte fino alle ventitré e cinquantanove del sei Gennaio...» rispose Platan amareggiato nel comunicare quella notizia.
«Che dici, partiamo?» chiese Dream ritirando Froakie.
Michael annuì, ritirò Chespin e si mise vicino a Dream.
«Pronti...» pronunciò quest’ultimo.
«...partenza...».
«Via! Chi arriva per ultimo a Novartopoli è un figlio di Giovanni!» gridava Dream mentre cominciò a correre, diretto all’ingresso di Bosco Novartopoli.
«Dai, Dream, canta una canzone!» fece Michael che correva dietro di lui.
«So I took the road less travelled by
And I barely made it out alive
Through the darkness somehow I survived
Tough love, I knew it from the start
Deep down in the depth of my rebel heart».
«Sei un cuore ribelle?» domandò sarcastico Michael.
«No, Michael, no. Io sono solo Dream».



Postfazione
 
Dream ora andrà nel cassetto dei miei ricordi, e ci rimarrà per un po’. Certo, ci sarà il capitolo 21, ma diamo tempo al tempo, l’allenatore ha bisogno di essere lasciato da solo e di vivere per un po’.
E chissà se, 21 a parte, Dream tornerà, magari quando capiterà qualcosa di talmente strano e incredibile che solo uno come lui potrà raccontare. Mi ci sono forse affezionato a questo personaggio, come se fosse un amico a cui son successe un sacco di cose.
Non mi mancherà Lost and Found. E non per le polemiche, gli haters, le minacce e gli avvertimenti «Ti stai facendo nemici nel fandom» e chi se ne frega.
Non mi mancherà perché mai avrei pensato che un racconto potesse entrare così dentro di me, coinvolgermi e sconvolgermi a tal punto. Era partito come un racconto semplice, che doveva essere più un amarcord, per ricordarmi le sensazioni di quando a sei, sette anni giocavo con il mio Game Boy Color (la scena di Violapoli del Capitolo 13, prima scena ideata della storia, è nata proprio per questo motivo) ed è nata una fan fiction che ho assurdamente e con discreto azzardo definito neo-neorealista.
Un racconto che ad un certo punto non sapevo neanche dove stesse finendo e fino all’ultimo ho lasciato che la mia testa andasse per conto suo, e le mie dita scrivessero quello che mi sentivo.
Sono soddisfatto? “Nì”, potevo fare di meglio. Alcuni capitoli o frammenti di essi continuano a non soddisfarmi per quanto io ci abbia lavorato sopra e riflettuto per intere settimane.
Ma il lavoro perfetto non esiste e forse, la lezione più grande che questo racconto può insegnare, la insegna esattamente a me. I limiti esistono e mi circondano.
D’altra parte, ho migliorato tutto quello che sentivo e pensavo di poter migliorare, e ora che finalmente questo Capitolo 20 è terminato, mi sento quasi svuotato.
Ecco, i “Brandelli di anima” che la Fallaci lasciava su ogni rapporto umano, io li ho lasciati qui, su questo racconto lungo 20-21 Capitoli, perché seppur è vero che non ho mai posseduto un pokémon, è anche vero che sarei autobiografico anche parlando di una sogliola, come disse una volta il caro Fellini.
E allora teneteli da parte questi brandelli, io ve li regalo.
Grazie di cuore a chiunque sia arrivato fin qui.
 
Dream.

 
   
 
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