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Autore: tndproject    05/12/2014    13 recensioni
[Storia ad OC] [AU]
«Non m'importa, non voglio, non possono costringerci».
Tsunami sospirò pesantemente; poi socchiuse gli occhi neri in due fessure con cui prese a scrutare il ragazzino.
[...] «Ti sei mai chiesto perché?».
«Perché tu non hai paura di niente?».
Scosse violentemente la testa, come per scacciare quella che sembrava essere un'assurdità.
«Non scherzare, nessuno ha paura di niente. Ti dico io la risposta: è perché so godermi la vita, al contrario tuo». Allungò la mano e lo colse all'improvviso con un pizzicotto sul braccio che lo fece sussultare più di quanto avrebbe dovuto.
[...] «Ho paura, Tsunami».
«Di cosa?».
«Di rovinarmi la vita».
Non rispose subito, ma continuò a fissarlo e fissare i denti che andavano a torturare le labbra, gli occhi che scattavano da una parte all'altra, le dita che, frementi, si cercavano tra di loro.

(.tratto dal prologo)
[iscrizioni aperte fino al 28 / 12] [ispirato a "Caste Heaven" di Ogawa Chise]
Genere: Angst, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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«Tra poco suona la campanella».
Tachimukai aveva le labbra schiuse e gli occhi liquidi di pianto. Scosse il capo con forza e Tsunami lo guardò mordersi il labbro, far scorrere gli occhi sulle mura, portare le mani alla camicia bianca immacolata e stringerla con forza, scosso da spasmi improvvisi.
«Voglio tornare a casa».
Il ragazzo alzò un sopracciglio, come se quello che avesse detto fosse qualcosa di troppo impossibile anche solo per essere preso in considerazione.
«Non puoi, lo sai».
La classe era rumorosa come al solito. Gli studenti parlavano come se non fosse ora di lezione e il professore si ostinava a girare per i banchi con un libro in mano, tentando di sovrastare le risate e il brusio leggendo un verso di quello che riconobbe come L'Isola del Tesoro; nell'aria volavano biglietti, aeroplani di carta, gomme e penne di colori diversi. Erano tutti talmente impegnati nei propri discorsi che non sembravano far minimamente caso a loro.
«Non m'importa». Tachimukai tremava e continuava a far scorrere le dita sulla stoffa.
«Non m'importa, non voglio, non possono costringerci».
Tsunami sospirò pesantemente; poi socchiuse gli occhi neri in due fessure con cui prese a scrutare il ragazzino che non accennava a voler incrociare lo sguardo con lui.
«Sai cosa succede a chi si rifiuta, amico?», e giurò di vedere il tremore lungo la sua schiena aumentare nel sentire quell'appellativo, «ti conviene stare al tuo posto».
Il ragazzo fece per parlare schiudendo le labbra, ma le serrò immediatamente e lanciò l'ennesima occhiata nervosa agli studenti che continuavano a farsi gli affari propri. Il professore sembrava essersi arreso e adesso sedeva alla cattedra, sfogliando il registro di classe.
«Tanto vale provarci», continuò, non sentendosi arrivare nessuno risposta, con un pigro sorriso che si stirava sulle labbra.
Tachimukai abbassò lo sguardo.
«E' così facile, parlare, per te».
Tsunami era in seconda superiore benché avesse già diciotto anni. Il rifiutarsi di voler anche solo aprire un libro e i continui marinamenti l'avevo ridotto a un paio di bocciature di cui non si lamentava mai – ma al contrario di come succedeva con gli altri ragazzi più grandi, con cui non poteva che sentirsi schifosamente a disagio, era uno dei pochi che continuava a parlargli e per questo Tachimukai gli era grato. Poteva anche essere stupido, pigro o violento, ma trattava tutti allo stesso modo e i particolari che portavano gli altri studenti ad allontanarsi da certi individui gli sembravano essere completamente indifferenti.
Tsunami era suo amico anche adesso che lo fissava con una certa severità.
«Ti sei mai chiesto perché?».
«Perché tu non hai paura di niente?».
Scosse violentemente la testa, come per scacciare quella che sembrava essere un'assurdità.
«Non scherzare, nessuno ha paura di niente. Ti dico io la risposta: è perché so godermi la vita, al contrario tuo». Allungò le dita e gli diede un pizzicotto su un braccio che lo fece sussultare più di quanto avrebbe dovuto.
«...Non devi sempre essere così sull'attenti».
«Ho paura, Tsunami».
«Di cosa?».
«Di rovinarmi la vita».
Non rispose subito, ma continuò a fissarlo e fissare i denti che andavano a torturare le labbra, gli occhi che scattavano da una parte all'altra, le dita che, frementi, si cercavano tra di loro.
«Non succederà».
«Come fai ad esserne così sicuro?».
Non riuscì a trattenere un sorriso nel ricordare tante cose – tante memorie.
«Non è nulla in confronto alla vastità dell'oceano, amico».
«Tutto non è nulla in confronto all'oceano, Tsunami».
E scoppiò a ridere.

Il Castello di Carte

(not) just a game

I corridoi erano deserti e i passi veloci di Kidou rimbombavano tra le due mura, un libro stretto in una mano e gli occhiali da vista che gli scivolavano sul naso. Si portò le dita al volto per rialzarseli in un gesto abituale e meccanico.
Quando fece per svoltare l'angolo, fu costretto a bloccarsi a causa di un'ombra che, con i suoi quindici centimetri buoni in più di altezza, lo guardava dall'alto. Alzò gli occhi e, riconosciuta la figura, si fece sfuggire un sospiro irritato.
«Fammi passare». Era un ordine, uno di quelli che raramente accettavano proteste; ma Gouenji, invece di obbedire, appoggiò il palmo aperto su una parete, allungando il braccio e serrandogli bruscamente la strada.
«Stai marinando lezione, Kidou? Non me lo aspettavo, da te».
Gli lanciò un'occhiata severa.
«Quello che faccio non sono affari tuoi. E se sei qui a tenermi compagnia, significa che non sono l'unica che marina».
Schioccò la lingua contro il palato, seccato.
«Mi stavo solo sgranchendo un po' le gambe».
«Appunto, marinando», soffiò. «Lasciami passare».
Ma invece di obbedire, Gouenji incurvò le labbra in un sorriso – un sorriso incalzante, beffardo, irritante, che costrinse Kidou ad indietreggiare.
«Tra poco comincia, Yuuto».
Un brivido gli percorse la schiena, ma fu ben attento a non far trasparire nulla.
«Lo so». Il sorriso sul volto di Shuuya sparì veloce come era arrivato.
«Potremmo vedere delle novità, non trovi?».
Kidou si concesse di osservarlo e rimuginare per qualche secondo prima di rispondere.
Avrebbero potuto. Mancava poco all'inizio del gioco e il silenzio che cullava in quel momento sarebbe stato spazzato via dalle urla, dal suono di passi svelti, da inciampi e sudore che colava a terra e studenti che si spintonavano tra loro – e se ti rifiutavi di giocare, di unirti alla mischia, diventavi quello.
Un misero, schifoso obbiettivo. La casta più bassa di tutte a cui aspettavano solo giorni di paura; ed erano pochi gli obbiettivi che riuscivano a resistere ad insulti, lividi e risate per sei mesi, oh, se erano pochi! Kidou aveva perso il conto di quanti si erano suicidati a nemmeno tre mesi di distanza dalla fine del gioco – che durava a malapena due ore ma che influiva sulla tua vita per sempre.
O impari a giocare, o vieni calpestato da tutti. Kidou si morse il labbro inferiore.
Il Re.

«Per quel che mi riguarda, è sempre la stessa storia; non m'importa. Adesso, fammi passare».
Gouenji chinò di poco la testa e tolse la mano dal muro, ma non si spostò del tutto.
«Sei sempre così... sfuggente», mormorò, le labbra sottili contratte in una smorfia d'indifferenza. Allungò una mano verso i capelli del ragazzo, ma quest'ultimo fu più veloce e si spostò prima che quelle dita abbronzate riuscissero ad afferrargli i rasta. Lo guardò con severità e un disgusto che non riconobbe come tale.
Gouenji sorrise di nuovo e si spostò completamente, liberandogli la strada; Kidou non se lo fece ripetere due volte e lo sorpasso con passi veloci ma mai frettolosi. Lo fissò per qualche secondo allontanarsi.


 

Afuro era sempre stato così, fin da bambino. Tadashi se lo ricordava fin troppo bene, i capelli ancora a caschetto e una frangia mal curata; capriccioso e infantile.
Sedici anni compiuti e non era cambiato di una virgola, se non fosse stato per il viso un po' più affilato, gli occhi più allungati e le spalle più larghe, tanto che adesso era davvero difficile scambiarlo per una ragazza anche con quei lunghi capelli biondo cenere che gli sfioravano i fianchi. Si credeva ancora al di sopra del mondo, con quella faccia di angioletto che nascondeva un carattere malefico, ed era viziato e arrogante e rumoroso – avrebbe potuto andare avanti tutta giornata ad elencare i suoi difetti, eppure lo stava seguendo. Lo seguiva in silenzio e lo guardava anche adesso che, davanti a lui, saltava i gradini delle scale della scuola invece di scenderle come una persona normale; anche adesso che aveva raggiunto il pianerottolo e si era voltato verso di lui e gli sorrideva (un sorriso furbo, maledetto).
«Ta~ da~ shi~». Allargò le braccia in sua direzione e ridacchiò tra sé e sé, mentre Hera rabbrividì nel sentirsi storpiare il nome in quel modo.
«Qui, tra le mie braccia~».
Lo fissò per qualche secondo, indeciso se assecondare il suo ennesimo capriccio, poi scosse la testa e finì di scendere i gradini, ignorando la sua richiesta e le braccia rimaste a mezz'aria.
Terumi gonfiò le guance come il bambino che era.
«Cattivo. Mi neghi anche un po' d'affetto?».
Hera gli lanciò un'occhiataccia.
«Non ti passa mai per la testa l'idea che potrebbe esserci qualcuno in giro?».
Il ragazzo dai capelli biondi sorrise; probabilmente si aspettava quella risposta ma non sembrava infastidito. Inseguì Tadashi che l'aveva già superato e gli buttò le braccia al collo con allegria, appoggiandosi alla sua schiena.
«E allora?», stava di nuovo ridacchiando come un bambino, «non m'importa degli altri, Tadashi~».
A me invece sì” avrebbe voluto rispondere l'altro, ma si costrinse a stringere i denti e a tacere, lasciando che Afuro si appendesse e lo toccasse come più gli piaceva.
Non passarono nemmeno due minuti di silenzio che la campanella suonò, lo stridio acuto che rimbombava tra i corridoi, costringendo Hera ad abbassare lo sguardo.
«Dovremmo tornare in classe». Fu un sussurro, più diretto a sé stesso.
Afuro schioccò la lingua, sovrappensiero.
«Sì, dovremmo».
Si staccò con sorriso e un bacio sulla guancia.

 

Ad Aki avevano sempre fatto paura.
Sembravano uno la fotocopia dell'altro. Ragazzi in divisa, alti e slanciati, il volto coperto da una busta di carta. Irrompevano nelle classi una volta ogni sei mesi e non c'era modo di sottrarsi al loro gioco ingiusto e crudele – o forse, un modo c'era, ma nessuno sembrava essere abbastanza coraggioso (o stupido) da metterlo in pratica.
Prima di parlare aspettarono che la classe si zittisse, cose che non impiegò più di qualche secondo.
«Siamo il comitato esecutivo del Caste Game, e abbiamo bisogno di decidere il nuovo ordine».
Un brivido le percorse la schiena, seguito da un conato di vomito che dovette reprimere a forza.
«Le regole le sapete», continuò un altro, «trovate le carte sparse nella scuola. Riportatele in classe e cercate di ottenere il rango più alto».
«Vi sarà data qualche ora di tempo. Chiunque non partecipi o disobbedisca diventerà un – ».
«Non voglio». Fu una frase appena sussurrata, ma bastò perché tutta la classe si girasse a guardarla, stupita, scioccata, disgustata.
Il ragazzo senza un volto chinò un po' il capo.
«Come, scusa?».
«Non voglio», ripeté Aki, ma la voce le stava tremando, «non voglio giocare, non voglio trovare una carta. Mi rifiuto».
Adesso per i banchi si era sparso un brusio generale. Sentivo i loro sguardo addosso, parole piene di veleno le giungevano alle orecchie.
«Interessante».
E Aki giurò di vederli sorridere, dietro quelle maledettissime maschere.

 

 

«...Tadashi?».
«Cosa c'è?». Il ragazzo fu costretto a fermarsi, richiamato da una voce un po' troppo acuta.
«La troverai per me, vero?».
Non ci fu bisogno di chiedere cosa. Si morse il labbro a sangue.
«...Sì».
La sua risata era rimasta la stessa – sembrava lo stesse prendendo in giro, stridula, insopportabile.
«Perché noi siamo amici, vero? Tadashi».
Strinse i pugni talmente forte che le unghie gli si conficcarono nella carne.
«Non mi farò mettere i piedi in testa da nessuno, Tadashi».



 

La carta del Re.

 

















(angolino non molto ino)

…ehm, yo?
Non so esattamente come iniziare, dico la verità. Sono entusiasta di essere riuscita a pubblicare almeno il prologo di una storia che avevo in mente di scrivere da tanto tempo, ma allo stesso tempo sono terrorizzata perché ho paura che possa essere un fiasco totale – so che una storia ad OC è un grande impegno, e probabilmente finirà per essere dimenticata dal mondo, ma voglio provarci. E se mi sosterrete, non potrò che essere felice! ;A;
Prima di tutto, ringrazio chi è riuscito a leggere fin qui; come ho già specificato nell'intro, questa storia è ispirata al fumetto BL* Caste Heaven di Ogawa Chise che potete trovare in italiano qui (http://der.himmel.blogfree.net/?t=4887145) o, se preferite in inglese, qui (http://mangafox.me/manga/caste_heaven/). Adoro tutte le opere di questa autrice, ma Caste Heaven è il lavoro che mi ha colpita di più, quindi ho pensato, perché non sfruttare selvaggiamente le sue magnifiche idee scriverci sopra una long?
E visto che per il progetto che ho in mente mi servono più personaggi originali, ecco che è nata l'idea di una storia ad OC!
La storia è incentrata appunto su questo gioco che si tiene in tutte le scuole ogni sei mesi, il Caste Game. A cosa serve? Semplice; a stabilire le caste e gli ordini delle diverse classi.
Viene dato un pomeriggio di tempo a tutti gli studenti per cercare le carte sparse per tutto l'istituto – chi trova la carta più alta, ovvero la carta del Re, è autorizzato a fare ciò che più gli piace e ha il controllo assoluto su tutta la scuola e su tutti i ragazzi. Sotto il re ci sono diverse carte che posso essere di classe alta, media o bassa.
Le carte sono queste – il Re è la carta assoluta, quella più alta di tutte, seguita dalla Regina. Subito sotto c'è la carta del jack, amico intimo del Re, quella del valletto e quella dell'intrattenitore, entrambi adulatori del Re e anche essi figure di alto livello. Poi c'è la classe media, che comprende il messaggero, ovvero i controllori della classe più alta, il criminale, la cui maggior parte sono studenti eccellenti, e il pigro che è spesso e volentieri anche un idiota.
Poi c'è la classe più bassa, che comprende lo strambo, il goth e il cervellone. All'ultimo posto, poi, ci sono gli obbiettivi, vittime di bullismo rappresentati dalla carta del joker. Fuori dai ranghi, ovvero senza una classe alta, media o bassa, ci sono il cattivo ragazzo, delinquenti da cui tutti preferiscono stare alla larga, e il vagabondo, persone perennemente avvolte da un alone di mistero.
Per chi dopo tutto questo papiro non ha ancora capito, ecco alla buona la piramide che riassume i valori delle diverse carte: http://i58.tinypic.com/xonqz9.jpg.
Ci tengo anche a specificare che c'è solo una carta del Re, così come c'è solo una carta della Regina, una carta del Jack, una del Valletto e una dell'Intrattenitore; di tutte le altre carte appartenenti alla classe medio/ bassa/ fuori dai ranghi c'è ne sono molte di più, abbastanza per far sì che ogni studente abbia un ruolo.
...ebbene, mi sono spiegata abbastanza bene? Se c'è qualcosa che non avete capito, non esitate a chiedermelo, via recensione o via MP, vi risponderò nella maniera più esaustiva possibile!
E dopo questa (lunga) premessa, ecco la scheda OC per chi avesse voglia di far parte del progetto:
 

nome e cognome (attinenti alla nazionalità che decidete di dare al vostro pg):
età e classe (prima, seconda, terza. In caso di bocciature, specificare):
aspetto fisico:
carattere (per favore, ci terrei a caratterizzare al meglio tutti gli OC, quindi chiederei qualcosa un po' di più di una riga):
casta a cui appartiene (e qui sono costretta a dirvi che, ahimè, il ruolo di Re, Regina, Jack, Valletto e Intrattenitore sono già stati occupati dai personaggi dell'opera originale per motivi di trama. Quindi rimangono messaggero, criminale, pigro, strambo, goth, cervellone, obbiettivo, cattivo ragazzo e vagabondo):
con chi vive (genitori, fratello, zia, bisnonno, cugino di quarantaseiesimo grado... mi va bene tutto, ma in caso di OC minorenni che vivono da soli o con qualcuno che non siano i loro genitori, preferirei una spiegazione):
fobie:
eventuale cotta o fidanzato/a (accetto gay, lesbo, het e tutto ciò che vi passa per la testa, ma mi duole dirvi che alcuni personaggi sono occupati sempre per motivi di trama – e questi personaggi sono Afuro Terumi, Hera Tadashi, Aki Kino, Ichinose Kazuya, Tachimukai Yuuki e Shirou Fubuki):
 

Ripeto che sarò eternamente grata a chiunque deciderà di partecipare ma vi smonto subito i vostri sogni di gloria e vi avverto che, perché decida d'inserire un OC nella storia, questo OC deve almeno minimamente ispirarmi qualcosa. Il fatto è che mi sarebbe davvero difficile scrivere su un OC che non mi dice niente e di sicuro mi uscirebbe anche male, quindi preferirei evitare ;A;!
Ringrazio ancora una volta tutti coloro che decideranno di degnare anche solo di uno sguardo questa patetica long e che mi permetteranno di proseguire donandomi un OC o due. Per ultima cosa, preferirei che tutti i pg mi venissero inviati per MP entro il 28 / 12.
Ancora grazie a tutti, ci vediamo!

nicki

 

*BL = boys love, quindi se non vi piacciono i maschioni che copulano tra loro come conigli vi consiglio di non leggere.
   
 
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