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Autore: RubyChubb    03/11/2008    9 recensioni
Aspettava da un’ora, seduta sulla sua valigia grigia e rigida, tutta graffiata. Intorno a lei migliaia di viaggiatori di ogni nazionalità, persone che esibivano cartelli con strani nomi neri di pennarello e famiglie che si ricongiungevano, tra baci ed abbracci.
Ma ancora nessuno per Joanna…
Seguito di "Four Guys in her Hair" - RubyChubb & McFly
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Four Guys in Her Hair & And That's How I Realize...'
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I piedi trafficavano con le coperte, cercando di scansarle nella maniera più efficace possibile. Per tutta la notte aveva sofferto un caldo atroce, il suo stomaco aveva dato più volte i segni di volersi disfare del contenuto nella maniera più traumatica possibile. L’aveva passata quasi totalmente insonne, catturata da pensieri che morbosamente ricadevano sullo stesso punto fisso.
Danny e Tamara.
Tamara, soprattutto. Il suo sguardo si era incattivito e non aveva fatto niente per causarlo. Non si era messa a fare occhi dolci a Danny, aveva addirittura evitato di guardarlo, se non quando era stato strettamente necessario. Insomma, si era comportata impeccabilmente, tranne nel momento in cui lui gliel’aveva presentata, quando tutti i castelli di carte che aveva costruito erano stati spazzati via da una folata di vento, entrata con prepotenza dentro di lei.
‘Abbi rispetto per me.’
E lei lo aveva sempre avuto.
La sua valigia era già stata sistemata, tutto riposto al suo interno, solamente il necessario per la partenza era ancora fuori. Si era addormentata che era mattina inoltrata, l’aveva sentita partire per il lavoro e salutare Danny con uno schioccante bacio.
Lo so che lo hai fatto davanti alla porta di camera mia per farti sentire...
“A stasera.”, gli aveva detto Tamara, “Ti amo.”
“Ti amo anche io.”
E una pugnalata al cuore l’aveva colta, non del tutto inaspettata.
Era stato poco dopo quella tremenda frase che si era addormentata, disgustata per quello che stava affrontando. L’iperrealista Joanna era tornata ad imperare dentro di lei, fiera di tutti quei te l’avevo detto che sviolinava nella sua testa, con la sua vocetta stridula e soddisfatta. L’altra Joanna, quella innamorata, se ne stava invece rintanata in un angolo, le gambe strette al petto tra le braccia, e la testa rannicchiata sulle ginocchia, frignando in silenzio.
Si svegliò tardi, l’orologio ticchettava le undici e mezza passate ed un mal di testa atroce le stava togliendo la forza di stare in piedi. Le dolevano gli occhi, tenuti stretti tra le palpebre in quel sonno agitato e disturbato da sogni, che non ricordava ormai più. Se li bagnò più volte, rinfrescandoli con l’acqua del rubinetto, e si guardò allo specchio.
Quelle che aveva in viso non erano occhiaie, ma borse della spesa stracolme. Il bianco degli occhi scompariva sotto le piccole vene rossastre in rilievo, sembrava avesse pianto per tutta la notte... Infatti era quello che aveva fatto per gran parte di essa, interrompendosi soltanto dopo una saggia decisione suggeritale dall’iperrealista Joanna.
Smetti di piangere per qualcuno che non ha mai avuto le palle per stare con te, inventandosi una balla di scuse cretine, tra cui la distanza e il lavoro... Fottitene.
Tentò di sorridere a quel pensiero, mentre si sciacquava la bocca per togliere via un po’ del tipico brutto sapore mattutino. Si pettinò, indossò qualcosa di decente.
Danny se ne starà tutto il giorno a casa. A meno che i suoi programmi non cambino da un momento all’altro.’, suonò ancora la voce di Tamara nelle sue orecchie.
Dialetticamente, al momento la sua occupazione era diventata un impossibile tentativo di fuga dal giro di ceffoni in cui si era ficcata da sola. Se non c’era Tamara, c’era Danny, altrimenti c’erano tutti e due insieme.
Appena aprì la porta di camera, sentì il suono della sua chitarra.
 
 
Annotò gli ultimi accordi e, con la matita tra le labbra, canticchiò le parole che erano venute alla luce insieme alle note.
Can’t believe we’re still strangers...
Ma in un attimo dei rumori al piano di sopra lo distrassero, facendo scappare via la perfetta conclusione di quel verso, costruitosi nella sua mente in una rima baciata molto dolce. Lo riportarono alla realtà, quella in cui era tuttora arrabbiato con Little e con Harry, per la loro stupidità del giorno precedente.
Era ancora infastidito dalle risate, uscite beatamente dalle loro bocche davanti a lui, preoccupato come poche altre volte nella sua vita.
You’ve put her life in danger’, si formulò nella sua mente, concordandosi in rima con il verso pensato. Entrambi erano stati in serio pericolo e non sembravano essersene accorti, trastullandosi con stupide sghignazzate. Non era accettabile, benché sapesse perfettamente che la stava facendo troppo lunga, come aveva cercato di fargli capire Tom dopo che gli aveva raccontato cosa era successo durante la giornata a cavallo, ma era una questione di principio.
Seduto sul divano, con la chitarra tra le mani e la matita che ancora sostava sulle labbra, decise di perseverare nella sua attività, come se non l’avesse mai sentita scendere le scale, sostare con esitazione sull’ultimo gradino ed andare silenziosamente in cucina, chiudendo la porta della stanza per non disturbarlo nel suo lavoro.
E si sentì in colpa.
Ok, quei due avevano sbagliato, ma lui stava veramente continuando a menare inutilmente il can per l’aia. Quando era tornato dallo show televisivo, prima di addormentarsi, aveva parlato con Tamara: gli aveva riferito della chiacchierata avuta con Little. Lei stessa l’aveva trovata abbastanza dispiaciuta per quello che era capitato: il temporale li aveva colti di sorpresa, mentre pranzavano sotto ad un albero di ciliegie, e i cellulari non funzionavano.
Che buone, le ciliege gli piacevano molto. Sarebbe stato più volentieri lì sotto assieme a loro che nei pressi della quercia, con Steven e Tamara, che cercavano inutilmente di trascinarlo in conversazioni noiose mentre lui si lambiccava il cervello su quello che stava succedendo ai suoi amici.
Non voleva farla stare male per il suo stupido orgoglio.
Magari, si era anche davvero divertita con Harry.
Accantonò il pensiero, posò la chitarra, si tolse la matita dalla bocca ed andò in cucina, sperando di potere attaccare parola offrendole il suo aiuto per preparare la colazione. Quello che vide gli fece comprendere di esserle del tutto inutile: l’angolo sinistro della tavola, nella sala da pranzo, era stato occupato da tutto il necessario per placarle la fame mattiniera. E lui si trovò con un palmo di naso.
“Ah... Pensavo avessi bisogno di una mano.”, le disse, sentendosi stupido, “Avevo sentito dei rumori strani... Di là.”
Little abbassò lo sguardo e si mise i capelli un po’ spettinati dietro le orecchie.
“Mi era caduta la forchetta.”, spiegò lei, mettendosi poi a trafficare con il latte caldo e il pane tostato. Aveva fatto tutto da sola, si era perfettamente ambientata...
O forse non aveva voluto il suo aiuto?
Si avvicinò a lei e le si sedette di fronte, appoggiando la mano sul mento, mentre il braccio sostava piegato sul bordo del tavolo.
“Dormito bene stanotte?”, le domandò.
In quella stessa frazione di secondo, vide il suo viso stanco, segnato da piccole occhiaie.
“Sì, abbastanza bene.”, mentì lei, senza lasciare che il suo sguardo salisse oltre le sue mani, indaffarate nella preparazione di una fetta imburrata.
“Fatto brutti sogni?”, le chiese, sorridendole.
Ma lei non lo avrebbe mai visto.
“Non li ricordo mai, li dimentico appena mi sveglio.”, rispose con calma.
Era risentita, ce l’aveva con lui.
“Senti, Little, mi dispiace per ieri...”, le fece, “E anche per prima.”
“Lascia stare.”, disse lei, abbozzando un sorriso, “Non è successo niente.”
L’arrendevolezza di lei di fronte alle sue scuse non gli rendeva le cose più facili. Anzi, le complicava. Sembrava quasi che non ne volesse parlare, scacciandolo via con un frettoloso ‘passiamoci sopra’. No, le cose andavano risolte, mai lasciate in sospeso.
“Davvero, Little, mi sono arrabbiato ingiustamente.”, le ripeté, con fermezza.
“Ma lo hai fatto perché sei stato a lungo in pensiero per noi. Ti capisco.”, continuò lei, “Non ti preoccupare.”
Alzò gli occhi, li strinse in un sorriso e tornò alla sua colazione.
Fu allora che le tolse la colazione dalla mano e, cogliendola di sorpresa, lasciò che la sua fetta imburrata cadesse rotta in due pezzi sul piatto e sulla tovaglietta sotto di esso. Le prese le mani e la fissò dritta dentro i suoi occhi sfuggenti.
“Little, dimmi cosa c’è che non va.”, le disse.
Voleva saperlo, doveva saperlo.
Lei si imbarazzò.
“Niente... E’ tutto a posto, davvero.”, si giustificò.
“Non ci crederei nemmeno se lo ripetessi un milione di volte.”, le fece.
La conosceva abbastanza bene, stava mentendo spudoratamente, ma sembrò comunque acquisire una sicurezza che poche volte aveva percepito in lei.
“Danny, sto bene.”, disse, con decisione ed occhi fermi, “Ho capito perché ti sei arrabbiato. Ti chiedo scusa per essere stata frivola con Harry quando potevamo essere davvero in pericolo. Va bene adesso?”
Rimase lievemente spiazzato.
“Sì...”, le fece.
Fu lui a sentirsi a disagio, in quel momento. Come gli era capitato più volte quando l’aveva conosciuta, Little aveva reagito in modo del tutto inaspettato. Non gli era più capitato, tutto perché i contatti tra loro si erano limitati a stupide mail e rare quanto rapide telefonate.
“Tutto a posto, Dan?”, chiese allora lei, vedendolo fuori fase.
“Oh sì, alla grande!”, le rispose, sogghignando.
“Cosa stavi facendo di bello?”, gli domandò Little, mordicchiando la sua fetta scomposta.
“Mi sono alzato con un motivetto in testa e lo stavo scrivendo sullo spartito.”, le spiegò.
“E come va con l’album nuovo?”, rinnovò lei il suo interesse.
Fino a quel momento non avevano mai avuto un momento tutto per loro sul quale chiacchierare. Adesso che avevano tutto il giorno libero davanti, avrebbero recuperato il tempo perso.
“Siamo statici su alcuni pezzi, dobbiamo ancora approvare i provini della grafica...  bla bla bla...”, le fece, gesticolando annoiato, “Siamo in alto mare e ce la siamo voluta prendere con calma, tanto per non fare cazzate.”
 “Non avete più la casa discografica che vi corre dietro come un mastino affamato?” chiese lei.
“Assolutamente no!”, esclamò lui, “Facciamo tutto da soli anche stavolta, e con i nostri soldi e la nostra etichetta”
Era il secondo album interamente prodotto da loro, senza alcuna etichetta che li sponsorizzasse tranne quella che avevano loro stessi fondato.  Un traguardo anni addietro impensabile.
“Bene, sono contenta per voi.”, disse Joanna, con la bocca sgranocchiante.
“Cosa vuoi fare oggi?”, le chiese, accomodandosi contro lo schienale della sedia.
“Non disturbarti.”, rispose Little, ridendo.
“E perché dovresti farlo? Tu devi disturbarmi, hai l’obbligo di farlo!”
E rise con lei.
“Davvero, vuoi che ti porti un po’ in giro?”, le rinnovò la domanda.
“No, tranquillo, non ho dormito bene.”, disse lei, rivelando la sua bugia di prima, “Molto probabilmente farò lo zombie tutto il pomeriggio. E poi tu hai da lavorare al tuo motivetto, non voglio toglierti tempo, magari diventerà una hit di grande successo.”
“Su questo non ci conto.”, le fece, “Non mi ricordo nemmeno più come faceva.”
Little sbuffò in una risata.
“Sei sicura di non voler fare niente tranne che una bella siesta?”, le domandò.
“Sicurissima!”, affermò lei.
“Bene... Vorrà dire che oggi farò il bagno in piscina da solo.. E’ una bella giornata afosa e calda, con ben 28 gradi al sole. E qua dentro stiamo al fresco perché l’aria condizionata è al massimo...”
 
 
Si era chiusa nell’accappatoio che aveva trovato in bagno. Profumava di vaniglia, un’intensa vaniglia che la faceva sentire un bignè, una torta millefoglie che attendeva solo di essere tagliata dai due sposini.
Se il giorno precedente si era sentita nuda, con quei pantaloncini attillati, adesso che era in costume le pareva di essere una radiografia sul pannello luminoso del medico radiologo, come quando si era rotta il braccio, molto tempo fa.
Si era fatta coraggio davanti allo specchio del bagno, ormai era diventato il suo confessore più intimo. Non aveva mai avuto molti costumi e, poco prima della partenza, dato che Danny le aveva già parlato della sua piscina, ne aveva comprato uno. Non aveva chiesto consigli ad Arianna durante l’acquisto, era andata da sola in un negozio di articoli sportivi qualunque, troppo restia a doverle dare spiegazioni sulle cicatrici che le segnavano il petto e la schiena.
Era una delle tante cose da fare sulla sua lista personale e, sotto quello stesso punto, c’era anche il nome di Danny. Doveva parlargli di quelle cicatrici, lui doveva sapere, ma non ne era più così tanto certa.
Aveva optato per un pudico costume intero, comunque inefficace nel coprirla totalmente. Quando Arianna l’aveva visto, aveva detto subito: ‘Era meglio un burqua.’. L’aveva subito sgridata per aver mancato di rispetto alle povere donne arabe costrette sotto quel vestito-prigione. Ma costume o non costume, il problema delle sue cicatrici era sempre lì. Aveva ripiegato su una t-shirt nera e sulla scusa ‘ho la pelle delicata’. Ma aveva sempre paura di uscire da quello stramaledetto bagno, lasciando la sua immagine incerta riflessa sullo specchio.
Danny in costume, al piano di sotto... E tu stai qui a riempirti di seghe mentali?
Zittì la vocetta stridula con un rimprovero mentale e la accontentò, uscendo dalla sua stanza. Prima, però, abbandonò l’accappatoio sul letto e dette un’occhiata alla valigia. Era ancora lì, come se non fosse mai stata aperta, l’aveva disturbata solo per prendere quello che indossava. Era indecisa, non sapeva cosa fare: dirgli chiaramente ‘la tua ragazza mi vuole fuori di casa e l’accontento’, oppure lasciar perdere tutto, ingoiare il rospo e far finta di niente?
Si buttò la serata precedente alle spalle, prese un profondo respiro e scese le scale.
La porta che dava sul retro si trovava in sala da pranzo: i vetri lavorati e colorati facevano trasparire una strana ma calda luce solare, che illuminava la stanza di verde e di giallo, i due colori che fondamentalmente componevano la decorazione. La aprì e si trovò, suo malgrado, direttamente su un giardino dal prato molto basso, tipicamente british.
“Hey!”, attirò subito la sua attenzione Danny, sdraiato su uno dei tanti lettini che contornavano la sua piscina, “Vieni che ci facciamo il bagno!”
Bagno? Quale bagno? Io non mi bagno!
Si irrigidì, ferma come un palo, a braccia conserte.
“Ma l’acqua è fredda!”, accampò la prima scusa che le era balenata in testa.
“Tutte scuse.”, disse lui, alzandosi ed avvicinandosi a lei, “Sono le due del pomeriggio, l’acqua è calda abbastanza.”, e incrociò le braccia sul petto.
“Preferisco… Sdraiarmi un po’.”, si oppose ancora Joanna, prendendo la sua via verso i lettini.
“Ho preso anche un asciugamano per te.”, la acciuffò di nuovo Danny.
Le passò oltre e si avvicinò alla sdraio accanto alla sua. Prese il telo e lo aprì, accomodandolo sul comodo materassino di gommapiuma rivestita, sistemato sulla sdraio per ammorbidirne la durezza.
“Ta-dah!”, esclamò, con un sorriso sulla faccia.
“Grazie.”, disse Joanna, sistemandosi i capelli dietro alle orecchie. Ora che erano più corti, non perdevano mai tempo per caderle sul viso e darle fastidio. Spostò di qualche centimetro il suo lettino e lo sistemò sotto l’ombra dell’albero, lì vicino e pieno di foglie di un intenso verde.
Era troppo caldo, stranamente afoso per il posto in cui si trovava: si era immaginata l’Inghilterra sempre piovosa e triste, così come l’aveva trovata quando vi era stata diversi anni prima, nei giorni in cui conobbe per la prima volta i McFly, alla tv, non aspettandosi mai e poi mai che in futuro si sarebbe trovata nelle strette vicinanze della piscina di uno di loro, con i quali aveva instaurato una bella amicizia… Finita per lei in un innamoramento sbagliato.
In quel momento suonarono nella sua testa le parole di una loro vecchia canzone.
 
Goodbye to you, been wasting all my time,
You’re no longer mine
And now you’ve left me
I can’t seem to get you off my mind…
And that’s when I realized
You had me hypnotized…
 
Eh sì, Danny l’aveva proprio ipnotizzata e non se n’era nemmeno reso conto.
E’ un uomo, non capirà mai niente di te.
Sospirò e si appoggiò alla sdraio, raccogliendo le mani in grembo e flettendo leggermente le gambe, con lo sguardo catturato dal luccichio dell’acqua.
“Cosa c’è, Little?”, le fece lui, che si era silenziosamente avvicinato con il suo lettino a lei.
“Niente.”, rispose Joanna con un sorriso.
“Un sospiro porta sempre un pensiero con sé.”, disse lui, manifestando apertamente la sua curiosità.
“Com’è che non sei con gli altri?”, deviò prontamente il discorso.
“Beh… Mi sembra il minimo, tu sei qua, abbiamo tagliato qualche impegno meno importante.”, rispose lui.
“Oh...”, si lasciò sfuggire, “E quindi… Oggi niente lavoro.”
“No.”, fece lui, sdraiandosi sul suo lettino, anch’esso ammorbidito da un materassino di gommapiuma rivestita, “E questa giornata è veramente incantevole.”
Puoi dirlo forte, peccato per un piccolo particolare: la tua fidanzata.
“Allora, Little, che cosa ne pensi della mia tana?”, le domandò lui.
“Molto carina, non c’è nient’altro da dire.”, gli rispose con sincerità.
Era la verità più assoluta. Non era esageratamente grande, non come quelle case da celebrità hollywoodiane, in cui si poteva scegliere tra tre cucine, quaranta bagni e settanta camere da letto; non era un albergo.
Era comoda, spaziosa al punto giusto e arredata tutto sommato bene, a parte qualche accostamento da film dell’horror, come quello tra la moquette e il divano del soggiorno. Semplicemente da urlo, ma non pensava di saperne abbastanza sull’arredamento degli interni e non avrebbe mai espresso quel suo punto di vista. Ulteriori stanze non ne aveva viste, oltre alla cucina, alla sala da pranzo, alla sua camera ed al soggiorno, quindi non aveva la più pallida idea di come avrebbe trovato le altre.
“Quando Tamara si è trasferita da me, ha pensato bene di darle il suo tocco.”, si spiegò Danny, “Ora tutto è molto più femminile…”, disse ridendo, “Voi donne non perdete mai l’occasione di ricordarci che siamo uomini.”
Meno male che te ne rendi conto da solo.
“Beh… Fino a prova contraria lo sei.”, rispose lei.
“Oh sì, lo sono eccome.”, annuì lui ridendo, “E per questo Tamara si è sentita in dovere di capovolgere tutto. L’unica stanza che non ha toccato è la sala giochi, gliel’ho proibito. Uno di questi giorni ti ci porterò, ma non ti spaventare!”
Joanna rise, pensando che non avrebbe mai avuto il coraggio di fare una cosa del genere, in casa d’altri. Quando si era trasferita da Arianna, le aveva chiesto il permesso di poter appendere le fotografie scattate con loro, nella sua stanza, finendo poi col ricoprirla di tutti i poster che aveva staccato dalle pareti della sua vecchia camera…
Non poté fare a meno di ripensare ai terribili giorni in cui aveva deciso, suo malgrado, di lasciare Miki da solo. Un involontario flashback la trascinò indietro nel tempo di qualche mese, quando ricevette quello stupido pacco da Danny, che aveva fatto infuriare Michele come pochissime altre volte. Quello che le aveva gridato contro, parole pesanti che erano toccate a lei ed a Danny stesso, rimbombarono con forza nella testa, come un eco involontario dentro ad una stanza piena di persone infastidite.
All’inizio, quando Miki le aveva mostrato il contenuto della scatola appena ricevuta, Joanna aveva ironizzato: negli ultimi tempi suo fratello era cambiato lentamente, lasciandosi alle spalle la sua gelosia morbosa e la sua iperprotettività nei suo confronti. Aveva scherzato, ridendo, e gli aveva spiegato che quella era stata la piccola vendetta personale di Danny per avere mandato a sua madre quel mazzo di fiori, mentre se ne stava all’ospedale. Lui se n’era stato in silenzio tutto il tempo, ascoltando le sue spiegazioni con calma e lasciandosi sfuggire addirittura un sorriso. Joanna era stata sicura che avrebbe capito l’ironia, sebbene un po’ pesante, di quello scherzetto.
Ma aveva nettamente sopravvalutato il cambiamento di Miki.
Poco dopo, infatti, era andato su tutte le furie e, per giorni, aveva continuato ad accusarla di ogni più piccolo problema che aveva affrontato nella sua vita, come se lei fosse stata la causa di ogni suo errore o casualità che incrociava nel cammino.
E si era trovata di nuovo sola, senza il punto di riferimento che, dal giorno in cui aveva lasciato la casa natale, aveva trovato in Miki. Aveva trovato in Arianna una buona amica, una persona su cui poter fare affidamento, ma l’esperienza le aveva insegnato a non fidarsi più ciecamente di chi si trovava davanti.
Inutile dire per colpa di chi.
Non era mai riuscita ad andare oltre quello scalino nel rapporto con lei, nonostante Arianna avesse dimostrato fin troppe volte di volerle bene al tal punto di presentarla ad alcuni suoi amici come sua nipote. La donna, dal canto suo, non aveva genitori in vita, solo una sorella che viveva a Milano, con la sua famiglia. Aveva però una foltissima schiera di amici e pretendenti, più o meno desiderati, e diceva di non sentirsi mai sola. Era sicura, però, che la sua presenza dentro le quattro mura della sua villetta di periferia aveva allietato un po’ della solitudine che Arianna diceva di non provare.
L’unica costante erano le mail di Danny, sebbene l’iperrealista Joanna, prima che cadesse in amore con lui, avesse continuato a ripeterle fino allo sfinimento che non avrebbe dovuto contare su di lui e sulla sua presenza. E non si era affatto sbagliata.
“Little, ci sei?”, le fece Danny, posandole una mano sulla sua. Speditamente, Joanna tornò con la mente sulle spalle e, sentendo il calore di Danny su di sé ebbe un sussulto.
“Sì, scusami.”, rispose, imbarazzata.
“A cosa stavi pensando?”, le domandò.
“A troppe cose ed a nessuna.”
Danny sospirò.
“Lo so che non ti è mai stato facile parlarne… Però, ora che siamo qua, potresti anche farlo.”, le disse, “Io sono pronto ad ascoltarti senza dire una sola parola. Lo sai.”
“Certo che lo so.”, disse Joanna, scocciata con se stessa. Prese un profondo respiro, ma Danny la anticipò.
“Perché non mi dici cosa è successo con tuo fratello?”, le disse, “Avevi promesso che me ne avresti parlato, prima o poi.”
Argomento di riserva? Ho appena finito di pensare a quanto lo odio.
“E lo farò… ma non ora.”, disse Joanna, “Non voglio rovinarti il pomeriggio.”
“Allora di cosa vuoi parlare?”, le ampliò le possibilità di scelta.
“Beh… Come va il vostro nuovo album?”, deviò ancora una volta lei.
 
 
Danny scosse la testa, ma non avrebbe abbandonato la speranza, prima o poi sarebbe riuscito a tirar fuori dalla bocca della sua Little tutto quello che teneva dentro, ogni minima cosa. Sapeva che l’avrebbe potuta aiutare, che avrebbe potuto consigliarla.
E sapeva che sarebbe stata un’impresa titanica, lei si ostinava a tenersi tutto dentro, senza trovare una valvola di sfogo. Lui l’aveva nella musica, nel suonare, ed ogni volta che prendeva la sua chitarra le riversava addosso tutti i problemi, le insicurezze e le tensioni, sentendosi poi leggero e rilassato. Little non aveva questo privilegio, ne era certo, e si chiedeva come potesse sopportare ogni giorno tutta la pressione che le gravava sulle spalle.
Doveva farle capire che era lì per lei, che ci sarebbe sempre stato nonostante la grande distanza tra di loro e tutti i suoi impegni. Era più forte di lui, si era sempre comportato in quel modo con gli amici e non avrebbe cambiato il suo modo di essere per lei. Sperò che tutto quello non la infastidisse, che non pensasse che si stesse comportando da impiccione insolente.
No, voleva semplicemente aiutarla. Farle capire che era lì per lei. Con lei.
Si rammaricava del fatto che non avessero potuto parlarsi molto, tranne che per e-mail, dove non si erano potuti dire tutto quello che avrebbero voluto. Lui stesso non le aveva parlato di tante cose... Volendo, quelle stesse erano pubblicate ovunque, magari Joanna le conosceva già ma non si era mai espressa a riguardo per discrezione.
“Com’è che quando sei venuta via da Miki non sei tornata dai tuoi?”, le chiese.
Voleva battere quel chiodo e lo avrebbe fatto finché lei non si fosse rivoltata, a costo di farla arrabbiare. Non sapeva se nei prossimi giorni avrebbero avuto tempo per starsene con tranquillità a normalizzare il loro rapporto, quindi ne doveva approfittare.
Joanna fu colta alla sprovvista, forse era stato un po’ troppo rude. Ma doveva continuare.
“Beh... Sai, ormai non vivevo con loro già da tempo...”, disse lei, “E non volevo tornare alle loro dipendenze.”
Scusa accettabile, poteva anche essere la verità.
“Anche io avrei fatto come te.”, le rispose, “E’ la cosa più giusta. Spero che tuo fratello non ce l’abbia troppo con me.”
Era pura ironia.
“Oh... Per niente!”, disse lei infatti, con tono sarcastico.
“E come stanno i tuoi? Non me ne hai mai parlato.”, le fece.
Era vero, non sapeva niente dei suoi genitori. Né come si chiamassero, né che lavoro facessero, niente.
“Bene.”, tagliò corto lei, “Tua madre ha fatto un buon ritorno a casa?”
Eccola che di nuovo deviava la palla. Fossero stati in mezzo ad una partita di calcio, lei sarebbe stata una punta di diamante nella difesa.
“Sì, anche se mia sorella ha le capacità di guida di Mister Magoo.”, le rispose, sorridendo.
Adesso volle però provocarla.
“Non mi chiedi come mai non c’era anche mio padre?”, le fece.
Lei aggrottò la fronte, guardandolo con espressione interrogativa.
“Beh, quella domanda me la sono posta, eccome.”, disse Little, “Ma non te l’ho fatta perché non sapevo se tu volessi parlarmene o no. Tutto qui.”
Se diceva così, il motivo era solo uno: lei non sapeva veramente niente di lui, a parte le poche cose che lui stesso le aveva detto. Non andava in giro per siti in cerca di informazioni sul suo conto?
“Cosa gli è successo?”, domandò quindi Joanna.
Ogni volta che tornava col pensiero in quella direzione, era sempre un nuovo buco nel cuore.
“Se n’è andato di casa con un’altra.”, disse, “Pubblicizzandolo sui giornali.”
Lei rimase in silenzio.
“E’ successo mentre ero in America a girare il film Just My Luck.”, le spiegò, “E non è stata una bella mossa, da parte sua. O meglio, da parte della sua amante.”
Con la frequenza di una parola sì ed una no le lanciava occhiate, per leggere cosa le passasse per la testa. Forse aveva perso la capacità di vedere i pensieri affiorare nei suoi occhi verdi, forse lei aveva imparato a nascondersi bene...
Non vide niente, solo un po’ di smarrimento e di disagio.
“Io e Vicky abbiamo anche scritto una canzone sull’argomento... Lo sapevi?”, le chiese. Quella era la prova del nove: mentiva, oppure ne era totalmente all’oscuro. E si fidava troppo di lei per pensare che Joanna stesse facendo il doppio gioco.
“No... Dovrei conoscerla quella canzone?”, fece lei, arrossendo.
“Beh sì, è Don’t know why.”, le rivelò, con un sorriso.
Joanna parve mettersi a riflettere.
Canticchiò silenziosamente le parole più significative, impresse nella sua memoria.
 
I don’t want to know your game, let alone her name.
No matter what you say to me, we are not the same.
Why do you make me cry? Try to justify…
Don't right your wrong with my mistakes ’cause my head's held high...
 
“Già...”, disse poi, “Se ci avessi riflettuto bene, avrei potuto capirlo da sola.”
“Ecco quindi perché mio padre non c’era.”, le fece sorridendole, e chiudendo la sua questione personale.
“Mi dispiace, Dan.”, fece lei, mettendosi una mano sul petto, “Non ti meriti una cosa del genere.”
“Ma è successa.”, scrollò le spalle, “Così come è successo che una ragazza mi abbia venduto ai giornali dopo essere venuta a letto con me.”
Joanna diventò paonazza.
“Davvero, non sto mentendo!”, le fece, “Questa è andata a dire che lo faccio tenendomi i calzini!”
Lei scoppiò in una risata, coprendosi gli occhi con una mano, in imbarazzo. Si ricordava dell’ultima volta in cui si erano stati insieme, nella sua camera d’albergo, e quell’argomento aveva avuto su di lei lo stesso identico effetto di tanto tempo fa.
“Ma lasciamo perdere.”, disse, ripristinando la situazione, “Adesso ti va di stare un po’ in acqua?”
“Tra un po’... Forse.”, rispose lei, cercando di sembrare convincente.
“Eh no!”, si oppose lui.
L’avrebbe buttata in acqua addirittura vestita. La prese in braccio.
Era sempre più leggera.
 “Mettimi giù!”, protestò lei.
Si avvicinò al bordo della piscina e, nonostante lei si fosse stretta al suo collo, supplicandolo di lasciarla tornare a terra e guardando l’acqua con timore, se ne liberò.
Gli schizzi freddi lo bagnarono, mentre rideva dello scherzetto.
 
 
 
L’acqua fredda la gelò in un istante ed immediatamente un brivido la scosse dalla testa ai piedi, bloccandole i muscoli. Il respiro si fermò in petto, inghiottito insieme all’acqua della piscina. Affondò dentro il liquido trasparente, riusciva ad aprire gli occhi a fatica, sentendoli bruciare dal cloro.
C’era solo un piccolo problema.
Si chiese dove fosse il pavimento della piscina, non riusciva a toccarlo con la punta delle dita, annaspava con forza in cerca d’aria. L’acqua le entrava con prepotenza nella bocca, non riusciva a sputarla via, i polmoni erano secchi dentro di lei.
Muoveva le gambe ma ogni volta le sembrava di andare sempre più a fondo, sempre più giù. Vedeva solo le ultime bolle d’aria passarle davanti, le sentiva uscire via dal naso e dalla bocca, incapace di trattenerle per salvarsi la vita.
Sentì come un’onda d’urto, uno spostamento della massa liquida intorno a lei. Un braccio la afferrò con decisione intorno ai fianchi e la superficie dell’acqua arrivò in un baleno. L’aria, e non l’acqua, si fece spazio dentro alle sue narici, dentro alla gola, e prese a tossire con una violenza che non aveva mai trovato dentro di sé.
Danny l’appoggiò contro al bordo della piscina, continuando a sostenerla mentre riversava fuori l’anima a colpi di tosse, respirando come se fosse stata affetta dall’asma più virulenta.
“Little... Calmati, Little...”, le diceva.
Calmati un cazzo, mi stavi ammazzando!
Ci volle un po’ prima che Joanna si sentisse in grado di alzare gli occhi dalla grata di plastica che contornava tutta la piscina e li posasse su quelli di Danny, con rabbia.
“Non so nuotare!”, gli disse, con voce roca per lo sforzo, “Ecco perché non volevo fare il bagno!”
“Beh... Scusami.”, rispose lui, con aria colpevole.
In quel momento ebbe la voglia di dargli uno schiaffo, non seppe per quale motivo si trattenne dal farlo.
Forse perché è a trenta centimetri dalla tua faccia?
“Esagero sempre con gli scherzi che ti faccio.”, disse, “Perdonami ancora.”
“Lascia stare.”, gli disse, con tono scocciato.
Non gli resisteva, era ufficiale. E prese subito a rammaricarsene.
Avrebbe fatto meglio a dirgli che era il caso di lasciare tutto e tornare a casa, non doveva continuare a starsene lì sapendo che ne avrebbe sofferto e basta. Si fece coraggio e, dopo un nuovo colpo di tosse, prese un bel respiro. Sperò che l’aria intorno a lei contenesse un po’ di spavalderia, cosa che a Danny non mancava mai e che lei invece non aveva nemmeno per un solo briciolo.
“Senti, Danny...”, gli fece, attirando la sua attenzione.
“Togliti questa maglietta, altrimenti ti bloccherà ogni movimento.”, disse lui, senza ascoltarla.
No, la maglietta non si tocca.
“Aspetta un attimo.”, lo bloccò.
“E prenderai il sole a chiazze!”, perseverò lui, ridendo, “Sembrerai un muratore.”
“Danny!”, esclamò Joanna, “Mi vuoi ascoltare?”
“Dimmi tutto, Little.”, fece lui.
Era così vicino che non poteva fare a meno di guardarlo negli occhi. Se ne stava col braccio appoggiato sul bordo, piegato, la mano che penzolava nell’acqua. L’altro, invece, ancora sostava intorno ai suoi fianchi, con una presa decisa ma comunque delicata.
Forse era il caso che lo togliesse, che si allontanasse da lei, liberandola dalla sua presenza... Che posasse altrove i suoi occhi troppo blu, che non le sorridesse più, che non continuasse a starsene lì, bagnato... Che la buttasse fuori di casa, che la odiasse e che non le volesse più parlare. Così almeno se ne sarebbe fatta una ragione, si sarebbe definitivamente rassegnata ed avrebbe concentrato la sua attenzione altrove, non su di lui.
Sospirò, incrociando le braccia sulla grata di plastica e appoggiandosi su di essa.
“Allora?”, le fece lui.
“Niente, solo una stupidata.”, si limitò a dire.
“Dai, parlamene pure.”, insistette lui, “Lo sai che non aspetto altro che tu mi parli.”
“Ti volevo... dire che...”, farfugliò Joanna, lasciando perdere le lentiggini sul suo viso, “Ho la pelle delicata, non posso togliermi la maglietta.”
Inghiottì il magone in gola.
“Sì, la tua pelle è talmente chiara che si scotterebbe subito.”, annuì lui, “Comunque se vuoi ho un po’ di crema solare.”
“Ne sono allergica.”, assestò definitivamente l’ultimo colpo.
“Allora come vuoi, Little!”, si accontentò lui, “Adesso ti porto dove puoi toccare il fondo, qua l’acqua è profonda quasi due metri e mezzo.”
Joanna impallidì.
 “Sali in spalla.”, le fece Danny, mostrandole la schiena.
Chiuse le braccia intorno al collo e le gambe intorno alla vita di Danny che, senza un briciolo di fatica, iniziò a scorrere lungo il bordo della piscina. Una volta che anche i suoi piedi toccarono il fondo piastrellato di celeste, si fermò, lasciandola libera di riprendere fiato e di calmare le palpitazioni da infarto.
“Com’è che non sai nuotare?”, le chiese.
“Preferisco la montagna.”, spiegò.
Non aveva mai avuto il coraggio di imparare a nuotare, eppure non odiava l’acqua e non ne aveva paura. Semplicemente era sempre stata troppo pigra per andare in piscina e mettersi in costume... O forse aveva sempre avuto qualche livido addosso che non voleva mostrare ad occhio insolente.
“Dici? Io adoro il mare.”
“Non che mi dispiaccia, anzi.”, approfondì Joanna, “E’ che sono sempre stata in vacanza sulle montagne... Qua, in Francia, in Svizzera.”
“Beh, le montagne sono belle, ma preferisco nettamente il mare.”, ripeté lui.
Allungò una mano sul pelo dell’acqua e ne alzò un po’, schizzandola.
Scherzi idioti: dieci e lode, Danny Jones promosso all’anno successivo.
“Perché non rifarsi del principio di annegamento con una gara di schizzi?”, ironizzò Joanna, controbattendo.
“Non mi batterai mai...”, sibilò Danny.
I muri d’acqua che alzarono l’uno contro l’altra erano troppo alti ed impenetrabili. Si voltarono di spalle ridendo, cercando di mirare nel punto giusto, con le mani frenetiche che cercavano di sollevare più schizzi possibili.
“Te l’avevo detto!”, gridava Danny, cercando di passare oltre al loro rumore, “Non mi batterai mai!”
“Certo che ti batto!”, rispose lei, sebbene le braccia fossero già indolenzite.
Premeva contro l’acqua più che poteva, finché non si sentì prendere per i fianchi e sollevare di nuovo, ferma nella presa forte di Danny.
“E’ troppo facile farti volare!”, le disse lui, ridendo, e facendola tornare a terra, o meglio, nell’acqua, “Sei una piuma, dovresti mangiare di più.”
Joanna ne approfittò per guardare le sue braccia. In confronto a quelle di Danny, sembravano quasi degli stuzzicadenti di scarsa qualità.
“Eppure ti ho vista mangiare...”, continuò Danny, “Se Tamara mangiasse tanto quanto te, sarebbe una mongolfiera.”
Joanna scoppiò in una risata, placata all’istante per non passare da maleducata.
“Oh, grazie mille.”, qualcuno tuonò.
Si voltarono entrambi, trovando una Tamara abbastanza infastidita sul bordo della piscina.
“Hey!”, esclamò Danny, cercando di muoversi velocemente nell’acqua, abbastanza goffo.
Zittì la vocetta in piena ribellione dentro di lei e la salutò, cercando di non sentirsi colpevole per aver passato degli ottimi momenti con il suo fidanzato, nonché convivente.
“Ciao Tamara!”, le fece, aggiungendo anche un sorriso ed un cenno della mano.
Sì, sembrò amichevole perfino a se stessa.
“Salve!”, rispose lei.
Inaspettatamente, sembrava quasi contenta di vederla.
“Com’è che sei tornata così presto?”, le domandò Danny, uscendo dalla piscina.
“Avevo voglia di stare un po’ a casa.”, rispose lei, con tranquillità, “Magari potremmo portare Joanna un po’ in giro per Londra. Che ne dici?”
“Buona idea!”, esclamò Danny, posando lo sguardo su di Joanna, “Cosa ne dici?”
Joanna non sapeva cosa rispondere. La sera precedente Tamara le aveva fatto chiaramente capire di non essere gradita, ora faceva tutta la gentile con lei.
Già, c’era Danny.
E allora perché darle soddisfazione?
“Beh... Non so, forse è meglio un altro giorno.”, rispose, “Mi devo fare la doccia, poi ho da fare diverse chiamate...”
L’immagine di quei due, mano nella mano, le fece venire una certa nausea.
“Ne sei sicura?”, le domandò Danny, “Guarda che potremmo anche rimanercene fuori a cena, in città.”
“Per la miseria, no!”, esclamò, incontrollabile.
Che cazzo dici!
“Cioè... Ehm, volevo dire”, si ripristinò Joanna, “Per la miseria no... Nel senso che... Insomma, magari Tamara è stanca... E io poi non ho dormito bene stanotte...”
“Come vuoi tu.”, le disse Danny, con un sorriso, “Comunque dobbiamo prepararci bene per domani!”
“Perché?”, domandò Tamara, seguita a ruota dallo sguardo interrogativo di Joanna.
“Siamo tutti invitati a casa di Tom per un pranzo.”, spiegò lui, contento, “Cucinerà Gi, non sai quanto sia brava, ci sarà da star male per tutto il pomeriggio.”
All’istante, Joanna si sentì angustiata. Era felice per l’invito, molto felice...
Finché non si metteva a pensare a chi altri fosse stato esteso quell’invito. Pregò con tutta l’anima che Dougie fosse stato escluso, ma era sicura che non era successo.
“Ti vuoi unire a noi? Vuoi fare un bagno?”, domandò Danny a Tamara.
Joanna si voltò per dare la loro privacy, mettendosi a giocherellare con l’acqua, ma comunque con l’orecchio teso verso i due.
“Oh no, grazie, ho un paio di cose da sbrigare.”, rispose lei, “E ti devo anche parlare di un problema.”
“Mi riguarda?”, le chiese, con tono preoccupato.
“Sì.”
“Allora parliamone subito.”, le disse, “Rimani qua, Little?”
Si girò.
“Pensavo di uscire, mi fa un po’ male la pancia.”, mentì, non sarebbe mai e poi mai rimasta nella piscina da sola.
“Quanto male?”, le chiese lui.
“Non tanto.”, lo rassicurò.
“Se tra un po’ dovesse farti ancora male, dimmelo. Ti do qualcosa per fartelo passare.”
“Ok.”, annuì con la testa.
“Non farlo peggiorare, mi raccomando, non essere timida.”
“E dai!”, protestò Tamara, “E’ grande e vaccinata!”
Una serie di insulti cifrati tempestarono la punta della lingua di Joanna, ma lì rimasero.
 
 
 
Seguì Tamara fin dentro la loro camera, chiedendosi come mai avesse lasciato il suo amato lavoro per tornarsene a casa prima del solito. Lo aveva fatto rare volte ed ognuna di queste non aveva  un buon posto nei suoi ricordi. Incrociò le dita nella speranza che anche quella non fosse da annoverare nella sezione ‘brutte litigate senza apparente motivo’, ma sapeva di non potervi fare tanto affidamento.
Quando lei chiuse la porta Danny attese che si mettesse a parlare, che gli esponesse quale problema aveva avuto. Era certo che fosse stata solo una scusa ma lei, con tranquillità, si sedette sul letto.
Lui, che aveva indosso solo un accappatoio preso dal bagno del pianterreno, non fece altrettanto per paura di bagnare la coperta, così si limitò ad appoggiarsi al muro. Vedendola restia nell’iniziare a parlare, la esortò.
“Cosa ti è successo?”, le domandò.
Lei sospirò. Appoggiò i gomiti alle ginocchia e immerse il viso tra le mani, segno di una litigata imminente. Cercò di salvare il salvabile, avvicinandosi e inginocchiandosi davanti a lei.
“Va tutto bene, Tam?”, le fece, chiamandola con quel nomignolo che usava solo in sua presenza, davanti a nessun altro.
“Non lo so.”, rispose lei, “Dimmelo tu se va tutto bene.”
Classica domanda retorica.
Se avesse risposto sì, lei lo avrebbe accusato di essere uno stronzo. Se avesse risposto di no, lei avrebbe rivoltato la frittata, rimproverandolo di non aver fatto niente per cambiare le cose. Ormai conosceva abbastanza le dinamiche di una discussione con una donna.
Preferì non rispondere, in ogni caso sarebbe stato uno sbaglio.
“Lasciamo perdere.”, sentenziò quindi Tamara, “Non ti interessa capire.”
“Non è che non mi interessi... E’ che semplicemente non ci riesco se non mi parli.”, le disse con sincerità.
“Basterebbe che aprissi un po’ di più gli occhi per capire!”, lo fulminò lei.
“Io li apro e vedo solo te.”, le disse, “Se semplicemente mi spiegassi cosa c’è che non va, potremmo parlarne civilmente.”
“Tu non ne vuoi parlare, lo so!”, protestò lei, alzando il tono della voce.
Odiava quando lei lo trattava in quel modo, non lo sopportava.
“No, sei tu che non ne vuoi parlare!”, le rispose, “Io voglio sapere che cos’hai!”
Tamara si alzò in piedi, sbuffando con forza.
“Vuoi che te lo dica?”, lo provocò, incrociando le braccia.
“Ovvio che lo voglio!”
Lei scosse la testa.
“Se lo facessi davvero, non ci crederesti.”, disse Tamara.
“Parla.”, la invitò Danny, sospirando di rassegnazione.
“Joanna non mi piace.”, gli disse, secca, “Non riesco a capire che cosa voglia da te.”
E Danny davvero non credette alle sue parole.
“Ma cosa stai dicendo!” , le fece.
“Sto dicendo che Joanna è venuta in casa nostra con qualche scopo particolare... E sicuramente la mia presenza l’ha distratta!”
La cosa che lo faceva più incazzare era che Tamara, fino a quel momento, non aveva mai parlato di Joanna in quel modo. Non l’aveva invitata dentro casa loro, anzi, casa sua, senza che lei sapesse niente. Gliene aveva parlato per un mese, lei non si era mai opposta e, oltretutto, aveva anche mentito.
Avrebbe dovuto essere sincera con lui.
“Tam, stai dicendo un mucchio di fesserie...”, le disse, col tono più calmo che poteva trovare.
“Apri gli occhi!”, sentenziò, prima di chiudersi in bagno.
La discussione era finita, ora poteva anche andarsene.
Danny si portò una mano sulla fronte, aveva improvvisamente bisogno di qualcosa per il mal di testa: un aspirina, un antidolorifico per tori... Qualsiasi cosa. Era inutile rimanere lì dentro, ed uscì dalla camera.
Fece due passi a testa china, gli occhi che bruciavano per le pulsazioni del sangue nelle tempie e quando li alzò trovò Joanna, ferma sulla porta della sua stanza.
“Hey...”, le fece, “E’ tutto a posto?”
Se ne stava lì, a reggere il pomello, con aria preoccupata.
“Beh... Sinceramente no.”, rispose, ed esalò un lungo respiro, “Danny, forse è veramente il caso che io torni a casa, mi sento di troppo qua dentro.”
Strabuzzò gli occhi, era incredibile quante cose assurde avesse sentito nel giro di pochi secondi.
“E perché dovresti sentirti di troppo?”, le disse, avvicinandosi a lei, che prontamente si ritirò.
Sperò che non avesse sentito nessuna delle parole di Tamara.
“Perché... Insomma, tu... Tamara...”, disse, chiudendosi nelle spalle, “Avete litigato...”
Indicò con lo sguardo la porta di camera sua, alle sue spalle. Ecco, aveva sentito tutto. Danny sospirò ancora, chiedendosi che cosa avesse fatto di male per causare tutto quello.
“Little, non ti preoccupare, tu non sei mai di troppo.”, le disse, ma sapeva che sarebbe stato inutile, “E’ che Tamara ha avuto una pessima giornata... E se la rifà sempre con gli altri, tu non c’entri niente.”
“No, Danny, c’entro eccome.”, disse lei, premendo la mano sulla maniglia ed aprendo la camera.
La seguì dentro.
“No, Little, lascia perdere...”, le fece.
Aveva già messo mano alla sua valigia, prendendola e mettendola sul letto. Doveva fermarla. Le prese le mani, bloccandola.
“Little, lascia perdere Tamara, ha avuto solo una delusione sul lavoro.”, le ripeté, anche se non era la verità, “Se l’è presa con te perché è arrabbiata... E quando lo è, spesso non si rende conto di quello che dice.”
“No, Danny, lei sa perfettamente di cosa sta parlando.”, gli rispose, liberandosi delle sue mani. I suoi occhi erano più arrabbiati di quanto volesse far vedere.
Si ribellò, le tolse le mani dal bagaglio, che trafficavano per fare spazio tra i suoi vestiti, e le bloccò di nuovo.
“Rimani.”, le disse, guardandola dritta negli occhi, “Ti giuro che andrà meglio.”
 
 
Fino a quel momento aveva resistito alle sue parole, alle sue mani sulle proprie. Ma la coltellata finale, arrivata dritta sulla schiena, gliel’aveva data guardandola in quel modo. No, non poteva essere così meschino, non poteva volerle così male da supplicarla con quegli occhi.
Diventasse improvvisamente privo di quelle due armi di distruzione di massa!
Non era possibile dirgli di no.
“Va... Bene.”, disse, controvoglia.
Abbassò lo sguardo sui suoi piedi, almeno quelli non erano attraenti, ed incrociò le braccia, stufata e incazzata con se stessa. Aveva trovato la forza giusta per fare le valige ed andarsene, pescandola nelle parole dette ad alta voce da Tamara. Lui non poteva permettersi di far crollare quella fortezza con un semplice sguardo.
“Grazie.”, le disse, abbracciandola, “Perdonala, se puoi, posso assicurarti che non è sempre così.”
Contaci.
“Ok.”, gli disse, asetticamente.
Ignorò il bacio che le dette sulla testa, ignorò la sua mano che passò lungo la schiena, per tranquillizzarla. Ignorò il fatto di essere praticamente ancora in costume, con solo l’asciugamano legato sul petto, e la maglietta nera zuppa d’acqua indosso.
Lasciò perdere tutto, era immersa in quell’abbraccio.
And that’s when I realized, you had me hypnotized…
La strofa di quella canzone rimbombò ancora nelle sue orecchie, concludendosi con i gorgheggi finali del coro e con gli ultimi battiti della musica.
“Andiamo, facciamoci una doccia e vediamo come risolvere la serata.”, disse Danny, con tono stanco.
“Io me ne rimango qua in camera.”, rispose Joanna, “Devo chiamare Arianna... Con calma.”
Era un modo per dirgli che si voleva tirare fuori dalla questione, che non sarebbe scesa fin quando i suoi problemi con Tamara non fossero conclusi. Non era venuta lì con l’intenzione di riprendersi ciò che era suo, perché niente le era mai appartenuto. Fino a prova contraria in quella casa non c’era niente di sua proprietà, tranne il contenuto della sua valigia...  Danny era di Tamara, fine della questione, e lei aveva sempre rispettato i confini degli altri. Che cosa ne avrebbe guadagnato altrimenti? Niente, solo ulteriori seccature e problemi, ed aveva già le sue complicazioni personali da sopportare, non ne voleva altre.
“Come vuoi, Little, come vuoi.”, le disse Danny, sorridendole, “Io vedo di darmi una sistemata, ti chiamo per cena.”
“Perfetto.”
Aveva capito.
Attese che lui lasciasse la stanza, sorridendole ancora prima di chiudere la porta, e si sedette sul bordo del letto, sconfitta. Si alzò solo per prendere il telefono e comporre il numero di Arianna.
A che ora arrivi?”, squillò subito la donna, saltando il rituale pronto.
“Alla fine di questa vacanza.”, le rispose.
No, intendevo a che ora arrivi all’aeroporto oggi.”, ripeté Arianna, non comprendendola.
“Non lo farò... a meno che non riesca a liberarmi di quel mostro.”, si specificò meglio Joanna.
Dio, Jo, togliti da quella casa!”, sbottò subito Arianna, “Ne uscirai a pezzi!
“Lo so...”, sospirò Joanna, “Ma cosa devo fare!”
Prendere il primo aereo e tornare a casa, stupida!”, la rimproverò sonoramente Arianna, “Adesso!
“Volevo dire: cosa devo fare per togliermelo dalla testa...”
Smettere di pensarci.”, la liquidò Arianna, “Ora fai la valigia e torna a casa.
“Ci sentiamo domani.”, chiuse subito la chiamata.
Sbuffò, rassegnata, e ripose il cellulare sul comodino, spegnendolo. Si era cacciata in un vicolo cieco, un dead end inaspettato. Entrò in bagno e, dopo essersi liberata del costume e della maglietta bagnata, si infilò sotto la doccia.
Sotto lo scorrere fluido e caldo dell’acqua, rifletté.
Non aveva avuto molto tempo di meditare su come mai la madre di Danny si fosse presentata da sola, senza nessuno al suo fianco, aveva avuto altre questioni da valutare e sintetizzare, molto più pressanti di quella, ma aveva catalogato un’eventuale riflessione in argomento nella sua lista di cose tra fare, tra cui si trovava anche il già citato ‘Parlare ad Arianna e a Danny di mio padre’, ed anche l’inedito ‘Visto che domani vedrai sicuramente Dougie, dagli un secondo calcio nelle palle, più forte del primo e rompergli un altro basso’.
Sbuffò, rimuovendo quel personaggio dai sui pensieri.
E quindi, anche con Danny aveva in comune il condividere particolari genetici con persone da dimenticare.
Così come con Dougie.
Premette un immaginario tasto canc che fece volatilizzare di nuovo la sua faccia, incuneatasi senza permesso tra le sue riflessioni. Eppure non fu in grado di evitare che quella immagine si ripresentasse, portando con sé una domanda.
Perché era stato così facile parlare di suo padre con Dougie, mentre non trovava la forza per fare altrettanto con Danny?
Seguendo un percorso logico che aveva ritenuto infallibile, giustificava l’aver confessato la sua vita a Dougie non solo perché si era fidata di lui, ma anche perché avevano avuto quell’aspetto paterno in comune. Per cui, dato che gli stessi due elementi si era ripresentati con Danny... Come mai ancora non gliene aveva parlato?
Eh beh, eri sicura di farlo finché non si è presentata la variabile Tamara.
Sì, poteva essere possibile. Quando l’aveva vista comparire, con il suo bel sorriso smagliante e gli occhi verdissimi, erano cadute tante certezze, tra cui anche quella. Se ne convinse e terminò la doccia, interrompendo il getto caldo dell’acqua. Si asciugò i capelli, si vestì e si sdraiò sul letto. Chiuse gli occhi quasi subito, cadendo in un leggero torpore.
La risvegliarono i colpi alla sua porta. Era arrivata l’ora di cena.
L’ora del supplizio.
La fame che aveva le passò all’istante.
 
 
Non aveva risolto la litigata con Tamara, né la scocciatura di Little. Non aveva risolto niente e non riusciva a capire per quale motivo dovesse preoccuparsi di qualcosa che era nato dentro la testa della sua fidanzata, senza motivo.
Non le piaceva Joanna, perfetto.
Non se lo sarebbe aspettato, ma doveva prenderne atto. Non comprendeva però per quale motivo lei gli avesse detto che Little volesse qualcosa da lui; il problema esisteva solo nella testa di Tamara e lei non aveva la benché minima intenzione di parlargliene.
Per tutta la cena, infatti, se n’era stata in silenzio a guardare la televisione. Non era riuscito a trascinarla in alcuna conversazione, né sarebbe stato sensato innervosirsi ancora con lei, soprattutto davanti a Joanna. Anche lei, oltretutto, non aveva trovato mai la forza per andare oltre ai monosillabi ed ai sorrisi, ed alla fine Danny aveva lasciato ogni intento di ristabilire una situazione persa.
Si era stancato talmente tanto che si congedò con una scusa qualsiasi, lasciando la sala da pranzo per stendersi sul letto. Sebbene avesse preso qualcosa il mal di testa tornato a ripresentarsi, anche più forte di prima, ed aveva bisogno di dormire.
Riuscì a chiudere occhio ed a disconnettere il cervello.
Si risvegliò di lì a poco, non appena il letto si mosse, accogliendo anche il peso di Tamara.
“Che ore sono?”, le domandò, stropicciandosi gli occhi.
“Le undici.”, rispose lei, in tono asettico.
“Sei ancora incazzata?”
“Sì.”
“Perfetto.”, rispose, alzandosi e lasciando la stanza.
Prima però prese la sua chitarra, appoggiata alla costola dell’armadio, e scese in soggiorno. Ormai il mal di testa se n’era andato, ma non i nervi a fior di pelle: sicuramente qualche nota notturna lo avrebbe rilassato, avrebbe voluto aggiungerci volentieri anche una birra. Appoggiò la bottiglia sul tavolino e si mise a suonare qualcosa.
Improvvisamente, il motivetto che aveva composto quella mattina stessa gli tornò in mente. Era l’ora di ampliarlo, magari ne sarebbe venuto fuori qualcosa di buono. Come le ciliegie, una nota tirò l’altra e ben presto il motivetto era diventata una canzone assodata dei McFly, poi un’altra sentita qualche giorno prima alla radio, una del Boss, una di Eva Cassidy ed infine una degli Aerosmith, di cui non ricordava né il titolo né le parole.
Si era rilassato così tanto che, per comodità, si era steso completamente sul divano, lasciando a penzolare fuori una gamba, e teneva la chitarra sulla pancia.
“Dan...”, si sentì chiamare.
Appoggiò il suo strumento a terra e si alzò, passando oltre alla spalliera del divano.
“Little...”, le fece, stranito, “Che ci fai in piedi a quest’ora?”
“Beh... Facevi troppo rumore e non riuscivo a prendere sonno.”, disse lei, “Non è che si potrebbe abbassare il volume della tua chitarra?”
Rimase qualche attimo perplesso, poi sbuffò in una piccola risata.
“Sì, tranquilla.”, le rispose, “Mi stavo quasi per addormentare, avrei smesso di suonare comunque.”
“Ok... Grazie.”, disse lei.
Gli fece un cenno della mano e riprese la via della sua stanza.
“Little?”, la richiamò.
“Sì?”, fece lei, fermandosi.
“Possiamo scambiare quattro chiacchiere?”, le domandò, “Se non hai troppo sonno...”
“Me lo hai tolto suonando Walk This Way.”, rispose lei sorridendo, e ricordandogli così il titolo della canzone che aveva esplorato fino a qualche attimo prima.
“Conosci questa canzone?”, le fece, incuriosito.
“Certo, ed anche bene, mi piacciono molto gli Aerosmith.”, disse lei, venendosi a sedere accanto a lui.
“Non ho mai capito quale tipo di musica tu sia capace di ascoltare!”, esclamò, riflettendo brevemente sulla veridicità di quella affermazione.
“Hai presente quella che passano alla radio?”, disse lei, con tono scherzoso.
“Oh... Sì.”
“Ecco, niente del genere.”, rispose lei, aggiungendo una risata simpatica.
“Perfetto, allora andremo d’accordo.”, concluse con quello il breve excursus sui suoi gusti musicali.
Cercò di fare mente locale: anche se non aveva previsto quella conversazione, sapeva benissimo cosa chiederle.
“Ti posso fare una domanda schietta?”, le chiese.
“Fai pure.”
Sembrava calma, addirittura si era accomodata sul divano.
“Che cosa pensi di me, Little?”
Lei aggrottò la fronte, sicuramente si stava chiedendo quale fosse il significato di quella domanda.
“Beh... Penso che tu sia un buon amico. Un ottimo amico.”, rispose, con incertezza, “Ma perché me lo chiedi?”
Le sorrise. Quella risposta era più che sufficiente per zittire ogni possibile ritorno di Tamara in argomento.
“Perché per un attimo ho pensato che non mi sopportassi.”, le disse.
“Oh, se ci penso bene, farei meglio a trovarmi qualche altro amico, oltre che a te.”, rispose lei, ridendo.
Fece una finta faccia scandalizzata, roteò gli occhi e spalancò la bocca.
“Buonanotte Dan.”, gli disse Joanna, alzandosi e lasciandolo ad arrabbiarsi da solo, scherzosamente.
 
 
 
 
 
My mamma don’t told me,
when I was in pigtails...
My mama don’t told me, oh...

Si buttò sul letto, braccia aperte, faccia in giù.
‘Che cosa pensi di me, Little?’
‘Beh... penso che tu sia un buon amico. Un ottimo amico.’
Era la semplice verità, una constatazione di fatto. Danny sapeva essere un ottimo amico: l’aveva sostenuta quando era triste, l’aveva fatta ridere quando aveva voluto piangere. Tutto questo solo grazie alle parole scritte nelle sue mail.  

A man is a two-face, he'll give you the big eye...

Quando le aveva lette, nella sua testa era sempre echeggiata la sua voce calda e profonda. Aveva sentito la sua risata, le sue esclamazioni proverbiali. Tutto, come se accanto a lei ci fosse sempre stato lui.
 
And when the sweet talking's done.

E poi...
 
A man is a two-face,
a worrisome thing who'll leave you to sing
the blues in the night...









Eccomi arrivata, ho aggiornato!  Una volta a settimana, il lunedì è il mio giorno, ho deciso così. Vi riposate nel fine settimana, poi arrivo io con il mio nuovo capitolo XD e i sette giorni saranno migloio! Faccio pena.

Il titolo di questo capitolo è una canzone originariamente di Eva Cassidy, forse molte di voi non la conosce né ne ha mai sentito parlare. Fino a sei mesi fa ero nella vostra situazione, ma la sentii nominare da Danny, che ne parlava molto bene come artista blues. Personalmente, adoro il blues e mi aiuta a scrivere, quindi ho approfittato del suo consiglio ^^
Comunque, questa versione di "Blues in the Night" è di Katie Melua, altra cantante blues, ed è anche la canzone che cito in fondo al capitolo. 

Ovviamente tutto senza scopo di lucro, così come per "Walk This Way" degli Aerosmith e "Don't Know Why" dei soliti vecchi e cari McFly.
Nel caso in cui mi fossi scordata di qualche credit, dico: qualsiasi fatto/canzone/vip citato in questo capitolo non è nominato per scopo di lucro.

Ringrazio tutte voi, mie care lettrici *.* stavolta siete state più numerose del solito :) e grazie anche alle totali inaspettate!

Vi bacerei tutte, ma per il momento mi limito a darvi un abbraccio.

A chi ha avanzato l'ipotesi Jo-Harry... Avete presente cane e gatto? Beh, ogni tanto anche quei due fanno pace... Ma se ne dimenticano presto!
E poi la mente di Joanna è troppo impegnata da quell'operaio, come l'ha definito Ciribiricoccola...
Spero di non deludervi, anche se è molto presto per dirlo. Finora la storia è piuttosto statica, nel senso che deve succedere quello che deve succedere... Tutto nel prossimo capitolo XD

Ci leggiamo!



   
 
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