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Autore: Empire_dawn    06/12/2014    0 recensioni
Quando mi avvicino alla porta sento dei rumori: grida soffocate e colpi. Corro più veloce che posso lungo il corridoio che pare infinito, mentre nella mia mente si fa strada l'atroce verità: ce n'era un altro, e non ero io l'obiettivo.
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-P-portala sempre-
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Note dell'autrice: Non leggere se siete persone allegre che amano le storie romantiche che puntualmente finiscono bene, se invece volete deprimervi questa è la storia per voi! Una recensione mi fa sempre piacere.

 

Odo dei forti rumori: stanno di nuovo percuotendo la porta di colpi.

Sono tornati, nonostante fossero più di tre mesi che, grazie a Dio, non mi degnavano della loro presenza. Mi passo una mano tra i capelli, cominciando a sudare freddo in vista dell'incontro. I miei occhi scuri percorrono ogni angolo della gioielleria, pensando a quanti sacrifici è costata a mio padre e a mio nonno. Quando Angus Fletcher è morto, ha lasciato a me questo negozio, ed è un tesoro per me.

Ma non cederò alle loro richieste, finché avrò vita.

-Apri questa maledetta porta!- sbraita uno di loro, sbattendo violentemente il pugno sul legno. Sprono le mie gambe a muoversi verso la soglia, e afferro la maniglia.

Devo farmi coraggio, sono un uomo.

Dinanzi a me si staglia una figura coperta da uno scuro impermeabile fradicio a causa del temporale, indossa un cappellaccio nero che gli copre parzialmente il volto.

L'uomo mi scosta bruscamente e si toglie l'indumento bagnato, per poi gettarlo su una delle migliori sedie in pelle del negozio, sporcandone l'imbottitura. Scopro che indossa un completo elegante con una cravatta scura, come se si trattasse di un onesto uomo d'affari. Mi mordo le labbra, tentando di nascondere la rabbia.

-Che cosa volete?- domando, con una voce fredda e sicura che stupisce più me stesso del losco individuo.

-Lo sai cosa gentilmente ti chiediamo, Fletcher. Semplicemente la tariffa della protezione, lo sai. Ora, hai racimolato questa sommetta?-

L'uomo si toglie il cappello, rivelando un volto serio e austero. Guardandolo con occhi estranei, non riuscirei neppure a immaginare che è uno di loro, che non è nulla di più che una feccia umana.

Se non darò loro cinquantamila dollari entro la fine del mese, sono certo che mi bruceranno il negozio. Ma non posso cedere, altrimenti bruceranno la poca dignità che mi rimane.

L'uomo sorride, increspa solo lievemente le labbra sottili, come una maestra che invita l'alunno a scrivere il proprio nome alla lavagna.

No, non scriverò il mio nome sulla loro lurida lavagna, insieme a tutti quei poveracci che hanno ricattato, che non avevano una seconda scelta e non potevano rinunciare alla loro unica fonte di guadagno.

Afferro l'impermeabile scuro, notando la macchia che ha lasciato sulla poltrona, e lo lancio addosso all'uomo. Quello si gira di scatto, sorpreso come un padrone morso dal proprio adorato cagnolino domestico.

A quel punto temo che tirerà fuori una pistola e metterà fine ai miei giorni, ma stranamente la prospettiva della morte non mi atterrisce. Il mio corpo è invaso da un'assurda euforia: sto facendo la cosa giusta, mi sto opponendo alla loro crudele disonestà.

-Ora, fuori dal mio negozio.-

L'uomo non fa una piega, mi sorprende. Si calca il cappello in testa, indossa l'impermeabile e cammina fino all'uscio. Lì si ferma e incrocia il mio sguardo; ha occhi verde veleno, intrisi di potere e malvagità. Solo gli occhi tradiscono il suo aspetto ordinario e onesto, ma bastano. Gli occhi bastano sempre.

-Sappiamo benissimo che hai altri tesori, signor Fletcher.-

Il suo volto è deformato da un sorriso, o forse dovrei dire un ghigno, che mi fa drizzare i peli sulla nuca, ma mi sforzo di rimanere immobile e stringo i pugni.

Non rispondo alla sua provocazione, lascio che se ne vada, e prego in cuor mio che la pioggia gli provochi una bella polmonite.

 

Central Park è incantevole, di sera, e lo è ancor di più se si è in compagnia di una bella ragazza. Siamo seduti sul prato, io e lei, e ammiriamo le stelle. Nonostante siano stupende, proprio non riesco a concentrarmi su di esse, perché solo la sua presenza mi distrae terribilmente. Noto che il suo sguardo è rivolto al cielo notturno, solca la volta celeste indisturbato, libero di compiere viaggi interminabili aldilà della comprensione umana. Il vento gioca con i suoi capelli neri, lisci come seta, che le arrivano un po' sotto le spalle. Mi ha mostrato alcune foto di quando li portava ancora più lunghi, ma io trovo che sia perfetta così. Passo al viso, uno scorcio del paradiso. A diciassette anni ha ancora lineamenti da bambina: dolci e cesellati, ma rendono solo più sublime la sua figura. La pelle bianca come il sale, la voluttuosità delle labbra irresistibile per qualunque uomo, e gli occhi...

Descrivere i suoi occhi è umanamente impossibile, anche per il miglior scrittore del mondo.

Una parola sfugge dalle mie labbra, senza che ci abbia nemmeno pensato:

-Colette...-

Lei si gira, e il suo sguardo incontra il mio. E mi perdo letteralmente nei suoi occhi, di un azzurro ghiaccio che è suo e suo soltanto. Ma quel colore, quella tonalità sconosciuta a chiunque se non a chi l'ha guardata, non emana un senso di freddo.

Al contrario, brucia.

I suoi occhi sono fiamme ardenti, che senza alcun controllo divampano per avviluppare con il loro calore tutto ciò che incontrano. Mi ricordano una città in fiamme, e non vedo l'ora di scottarmi.

-Dimmi, Henri.- Colette sorride, e quell'unico gesto illumina il mio mondo.

Non riesco a capacitarmi del fatto che lei possa ricambiare il mio ardente sentimento.

Lei, un angelo sceso in terra, che ricambia un ragazzo alto e gracile, con una perennemente disordinata zazzera di capelli biondicci e un'assurda passione per l'aviazione. Nonostante le mie ambizioni, so già che il mio futuro è nella gioielleria di mio padre, ma i sogni sono la parte migliore di noi.

Colette, notando il mio silenzio, mi esorta a darle spiegazioni, continuando a sorridermi.

-Non... non so perché ho pronunciato il tuo nome. Dev'esserci per forza un motivo?- balbetto, infine.

Lei scoppia a ridere, un suono cristallino e celestiale.

-Ne te inquiète pas, non dev'esserci per forza.- risponde, con il suo accento francese, che mi fa impazzire.

-Vedo che le stelle non ti interessano molto, non ti piace ammirarle?- aggiunge, poi.

Non so dove trovo il coraggio, ma le parole sgorgano fuori come il corso di un fiume trattenuto da una diga per troppo tempo:

-Amo molto osservare le stelle, ma non riesco a concentrarmi su di esse se sto vicino a qualcosa di infinitamente più bello.-

Colette si gira, il volto in fiamme.

Proprio quando sto per prendermi a schiaffi per aver fatto un madornale errore, si sporge verso di me.

Non siamo mai stati così vicini, riesco a sentire il suo respiro caldo sulla pelle. Prendo coraggio, mi sporgo in avanti e...

 

Scatto a sedere sul letto, gli occhi spalancati. Tento di gridare, ma sono stato bendato e qualcuno mi sta legando le mani. Mi divincolo in fretta, appena svegliato ho i riflessi pronti.

Il mio aguzzino a quanto pare non è un grande esperto, perché riesco ad atterrarlo facilmente e a liberarmi le mani. Indossa un passamontagna, cerco di levarglielo ma oppone resistenza. Cadiamo entrambi sul pavimento in un groviglio confuso di arti, e continuiamo a lottare finché io non mi ritrovo sopra di lui e gli premo il ginocchio sul petto.

-Adesso chiamo la polizia- affermo, anche se mi trema un po' la voce; non mi è mai capitato di ritrovarmi a lottare con un ladro.

-Fa' come ti pare, signor Fletcher. Non era nostra intenzione rubare nulla.-

I miei pensieri cominciano a vorticare confusamente, mi duole la testa. Devono avermi seguito fino a casa, e ora hanno mandato uno di loro a tentare di uccidermi. Io e mia moglie non siamo più al sicuro, qui.

-Mi dispiace per voi, ma non siete riusciti ad ammazzarmi.-

Il delinquente si esibisce in una risata sguaiata, fredda e agghiacciante.

-O, ma non sei tu l'obiettivo.-

Il mio cuore perde un battito. La mano scatta senza il mio controllo, afferro l'abat-jour e la sbatto in testa al malvivente, tramortendolo.

Mi precipito su per le scale, verso la stanza degli ospiti dove stanotte Colette ha deciso di dormire, visto che durante la giornata avevamo litigato.

Quando mi avvicino alla porta sento dei rumori: grida soffocate e colpi. Corro più veloce che posso lungo il corridoio che pare infinito, mentre nella mia mente si fa strada l'atroce verità: ce n'era un altro, e non ero io l'obiettivo.

Finalmente giungo alla porta della stanza, cerco di aprirla usando la maniglia, ma è bloccata. Non ho tempo da perdere e la sfondo con un potente calcio.

E resto immobile.

 

Chiunque fosse il complice del mio aggressore, è fuggito dalla finestra aperta quando mi ha sentito arrivare. Ma non m'importa nulla di loro, i miei occhi sono fissi su una figura accasciata a terra.

Corro da lei, la mente completamente svuotata di ogni pensiero.

Dal suo petto spunta l'elsa di un pugnale, dalla ferita sgorga un fiume di sangue scarlatto. Afferro il cellulare per chiamare i soccorsi, ma le dita zuppe del sangue di mia moglie scivolano sui tasti. Alla fine riesco a comporre il numero e a pronunciare il mio indirizzo e due parole: -Venite subito.-

Le incornicio il volto con le mani, puntando il mio sguardo in quello ceruleo di lei, ormai vitreo.

-Non morire, Colette, non morire!-

Grido, mentre lacrime calde mi solcano copiose le guance. Registro ogni dettaglio del suo viso, che non ha più i tratti infantili dell'adolescenza. Nonostante i suoi quarant'anni, è ancora splendida come il giorno in cui l'ho conosciuta, forse è ancora più bella, il viso più maturo e splendente.

Ma nel pallore delle guance, nelle labbra viola e gonfie, nei suoi occhi vuoti non c'è nulla che risplenda. Le guance perdono lentamente colore, facendosi candide come tazze di porcellana, e la vita e il sangue scorrono fuori dal suo corpo.

Mi stringe forte la mano, dove porto la fede. Non so dove abbia trovato la forza, ma gliela stringo anch'io. Il suo sangue si riversa da una ferita sulla spalla sulle nostre mani unite, e in quell'attimo non si direbbe ch'è un liquido e nient'altro, perché è vita liquida, che suggella un'ultima volta la nostra unione.

-P-portala sempre-

Quelle parole escono dalla bocca di mia moglie in un lieve sbuffo di fiato. Le lacrime mi bagnano la camicia, mentre realizzo che i soccorsi non arriveranno in tempo, che quello era il suo ultimo respiro. Che era morta per colpa loro, e per colpa mia.

Mi sporgo verso di lei e le bacio le labbra fredde, in un muto addio.

-Forse ci rivederemo, Colette, amore mio. Forse la morte non è la fine di tutto, come dicono. Ma se dovessimo rincontrarci, ricordati di non innamorarti di me.-

Le mie dita si allungano verso i suoi occhi, mentre li guardo per un'ultima volta. Le chiudo lentamente le palpebre.

L'ultima volta che i nostri sguardi si sono incrociati, il suo non ardeva più.

Ma come può una fiamma che brucia di così tanta luce, di così tanto amore, di così tanto tutto, vivere per poco più di un attimo?

   
 
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