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Autore: sasaneki    06/12/2014    2 recensioni
Vederlo ricoperto di sangue era stato per lui un incubo e, per la prima volta nella sua vita, aveva assaporato il terrore puro; aveva sentito il sangue farsi d'improvviso gelido, paralizzandogli ogni muscolo e ogni fibra del suo corpo.
Non si rendeva conto che, se fosse accaduto l'irreparabile, Sanji sarebbe stato nella merda fino al collo.

[Avvertenze: Sanji potrebbe risultare lievemente OOC, ma non me la sono sentita di inserire l'avvertimento, dal momento che non mi pare così palese.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: One Piece © Eiichiro Oda
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We are alive.



La cabina avvolta dalla penombra, illuminata appena dal fascio di luce che era riuscito a infiltrarsi all'apertura della porta.
L'aveva trovato in piedi, davanti al letto, intento a sfilarsi a fatica, dal petto possente, le bende imbrattate di sangue.
Non si erano ancora rivolti alcuna parola da quando quello spadaccino aveva deciso di sacrificare se stesso per salvare la ciurma, per salvare lui.
Lo ricordava fin troppo chiaramente, come un orribile incubo che si desidera cancellare dalla mente: Zoro, in piedi dinanzi a lui nella sua solita postura fiera e orgogliosa, ricoperto di quel liquido vermiglio che gli scorreva su tutto il corpo, su ogni centimetro della sua pelle ambrata, andando a sporcargli la maglietta mal ridotta e strappata.
Attorno a lui, solo una pozza di sangue.


Si chiuse lentamente la porta alle spalle, senza proferire alcuna parola, rivolgendogli una fugace occhiata.
Avrebbe desiderato con tutto se stesso di dargli addosso, di gridargli contro, di prenderlo a calci nonostante le gravi ferite che ricoprivano ancora il suo corpo forte e potente.
Avrebbe voluto vomitargli addosso i peggiori insulti di questo mondo, avrebbe voluto ribadirgli quanto fosse stato un idiota e un incosciente, ma le parole gli morirono in gola prima ancora che potesse aprire bocca.
Si avvicinò al compagno, con passi lenti ma decisi, portandosi in piedi dinanzi a lui.
"Dai, lascia. Faccio io!" disse atono senza incrociare il suo sguardo, andando ad afferrare con delicatezza le estremità delle bende che gli cingevano il petto, per poi sfilarle lentamente.
"Posso farcela da solo, cuocastro. Non ho bisogno del tuo aiuto" rispose il verde, leggermente scocciato, mentre tentava, senza successo, di fermare i movimenti del biondo.
Non era di certo una novità.
Roronoa Zoro detestava farsi soccorrere dagli altri, detestava essere aiutato, detestava l'idea che qualcuno potesse perdere la vita per salvare la sua. Figuriamoci se fosse stato il cuoco a fare una cosa del genere.
Sarebbe stato il disonore più grande per lui.
Come avrebbe potuto camminare ancora a testa alta, se qualcuno fosse morto per salvarlo?
Cosa ne sarebbe stato del suo orgoglio e del suo onore, se non era in grado di proteggere le persone a lui care, se non era in grado di proteggere lui?
Non si sarebbe mai perdonato, non sarebbe mai riuscito a convivere col rimorso fino alla fine dei suoi giorni.
Avrebbe preferito di gran lunga soccombere e, a dir la verità, ci era andato molto vicino.

Sorrise appena Sanji, sentendo quelle parole fin troppo conosciute e che ormai si era abituato a sentire come una nauseante cantilena.
Ma il suo non era un sorriso sincero, che si elargisce ad un compagno, ad un amico o ad un amante per compiacerlo.
No. Era un sorriso carico di disappunto, di rabbia e rammarico che per giorni si era portato dentro, gravandogli sul cuore, senza riuscire a dare sfogo a quella sgradevole sensazione di collera mischiata a tristezza.
"Non l'avrei mai detto" rispose ironico, mentre i suoi movimenti si facevano sempre più decisi, andando a sfilare le bende, saldamente attaccate alla carne viva dello spadaccino, con un po' più di forza.
"Mi fai male" brontolò il verde strizzando un occhio, accortosi che le mani dell'altro si erano fatte più pesanti e meno delicate.
"Come, un tipo coraggioso e forte come te che si lamenta per così poco?" chiese, nuovamente ironico, lasciando che questa volta, dalla sua voce, trapelasse quella rabbia che si portava dentro.
"Si può sapere che ti prende?" domandò lo spadaccino con tono infastidito, afferrandogli entrambi i polsi, accortosi dell'insolito comportamento del biondo.

"Che mi prende?" pensò Sanji, mentre il sangue iniziava a ribollirgli nelle vene, pulsando sempre più velocemente e ad un ritmo incontrollato, lasciando che la vena sulla tempia cominciasse ad ingrossarsi lentamente.
Davvero glielo stava domandando?
Davvero quella testa di muschio non si rendeva conto di cosa avesse fatto, di cosa Sanji avesse provato sapendo che si era quasi lasciato uccidere? E tutto per salvarlo, per impedirgli di compiere quel gesto di sacrificio.
Non si rendeva conto di quanto era stato incosciente e irresponsabile quella testa d'alga.
Ricordava distintamente il suo corpo e la sua voce tremante, dopo che si era fatto carico dell'immensa sofferenza di Rufy; ricordava il suo sguardo fisso nel vuoto, privo di espressione, come se le tenebre lo avessero avvolto per sempre.
Vederlo ricoperto di sangue era stato per lui un incubo e, per la prima volta nella sua vita, aveva assaporato il terrore puro; aveva sentito il sangue farsi d'improvviso gelido, paralizzandogli ogni muscolo e ogni fibra del suo corpo.
Non si rendeva conto che, se fosse accaduto l'irreparabile, Sanji sarebbe stato nella merda fino al collo.
Avrebbe avuto comunque i suoi compagni, questo è certo, ma nulla sarebbe stato più lo stesso senza di lui, senza quel maledetto marimo.
Non aveva pensato alle conseguenze, al vuoto immenso che gli avrebbe lasciato dentro se fosse scomparso per sempre, a come il suo cuore si sarebbe lacerato, straziato dal dolore.
Con Zoro sarebbe morta anche una parte di lui, ma forse, quel piccolo pezzetto era già morto, perché non era stato in grado di impedirgli di compiere quella mossa azzardata.
E si mangiava il fegato ogni volta, si malediceva, s'infuriava con se stesso per questo.
Non era riuscito a proteggerlo e, come se non bastasse, quello spadaccino si era portato via parte del suo orgoglio, facendolo a brandelli.
Si era fatto salvare come una donzella in pericolo, senza riuscire a schivare quel colpo a tradimento che Zoro gli aveva inferto con l'elsa della sua adorata katana, per evitare che compisse una sciocchezza.
Una sconfitta dura da accettare per lui, perché se Zoro fosse morto, non se lo sarebbe mai perdonato.
Probabilmente era più arrabbiato con se stesso che con quello spadaccino.
Nella sua testa aleggiava una tale confusione che non riusciva a mettere ordine a quei concetti, non riusciva a pensare, non riusciva a compiere ragionamenti logici.
Ogni cosa sembrava opprimere la sua mente e il suo cuore.
Percepiva un peso sul petto, come se gli avessero scagliato addosso un pesante macigno, come se qualcuno gli stesse tenendo il cuore stretto in una morsa, pronto a farlo esplodere. Non riusciva a respirare nonostante cercasse di incanalare più ossigeno possibile.
Annaspava, tentando di risalire in superficie, tentando di fuoriuscire da quella montagna di pensieri che lo stavano soffocando.
Avrebbe voluto vomitargli addosso ogni cosa, infischiandosene se fosse risultato ridicolo.

Abbassò ancora di più lo sguardo, andando a posare le sue iridi chiare sul petto dello spadaccino, mentre continuò a rivivere quella scena spaventosa; continuò a pensare quanto avesse pregato e sperato con tutto se stesso che si risvegliasse dopo quel gesto mal sano.
Digrignò i denti e strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, voltando il capo per evitare di incrociare lo sguardo indagatore del compagno.
Cercò di liberarsi dalla presa ferrea con cui Zoro gli teneva fermi i polsi, ma fu inutile.
"Sei un idiota" disse a un tratto con un filo di voce e a denti stretti, mentre dentro urlava a squarcia gola.
"Mai quanto te" ribatté il verde, continuando a fissarlo con sguardo serio.
Sentì quegli occhi neri come la pece puntati su di sé, come se lo stessero trapassando da una parte all'altra, come se stessero cercando di leggergli dentro qualcosa che nemmeno lui stesso era stato in grado di decifrare e classificare come qualcosa di definito.
Aveva un mucchio di cose da dirgli, fin troppe, tanto che non riusciva a trovare le parole adatte.
Non sapeva nemmeno da dove cominciare, in quel momento fu solo capace di fare una delle pochissime cose che sempre gli sarebbe riuscita alla perfezione: insultarlo, come se in quell'unica parola avesse potuto racchiudere la moltitudine di pensieri che tanto gli attanagliavano il petto.
Ma si rese conto che, anche se ciò fosse stato possibile, quel maledetto spadaccino non avrebbe compreso nulla; avrebbe fatto finta di niente, come se tutto fosse stato normale, come se nulla fosse accaduto, come se ogni cosa fosse già stata dimenticata.
Continuò a strattonare i polsi, nel tentativo di liberarsi dalle mani callose del compagno.
"Vuoi lasciarmi andare, marimo di merda?" chiese irritato.
"E tu vuoi dirmi che cazzo ti prende?" rispose a tono, aumentando la stretta.
"Non sono affari tuoi, spadaccino!" mentì Sanji, con voce quasi tremante per la rabbia, mentre dentro stava per esplodere.
"Oh, io invece credo di sì" ribatté il verde, quasi fuori controllo.
Curioso come Zoro era in grado di leggergli dentro, ma al contempo tanto stupido da non capire in che razza di assurda situazione il cuoco si trovasse.
Aveva intuito che la causa di quel suo ambiguo comportamento fosse proprio lui, eppure ne ignorava totalmente il motivo, non riusciva a comprendere cosa mai avesse potuto fare di così grave da far infuriare Sanji.
Per lui era tutto così… normale.
"Astuto!" lo schernì il biondo, ormai giunto al limite, percependo la gola in fiamme per le parole che avrebbe voluto sputargli addosso.
"Senti, cuoco di merda, si può sapere che hai?" chiese nuovamente "Da quando sei entrato, non hai fatto altro che darmi contro senza motivo, anche se non è una novità".
"Possibile che tu sia così idiota da non capire?" chiese, ormai stracolmo di rabbia.
"Perché magari non me lo spieghi?" domandò retorico, anche lui in preda alla collera, assottigliando ancora di più il suo sguardo. "E guardami!" gli ordinò, avvicinando il volto a un palmo da quello dell'altro.
Non voleva guardarlo, non voleva incontrare quei suoi occhi.
Aveva paura di vacillare, di cadere, di perdersi in quel suo sguardo e in quei suoi buchi neri.
Aveva paura di scorgere, nel riflesso di quelle iridi scure, la figura di un uomo impotente, il quale non era stato in grado di proteggere la persona che per lui contava di più.
Aveva paura di non essere degno di incrociare lo sguardo di un uomo che era stato così valoroso e fiero, aveva paura di non essere alla sua altezza.
"Guardami!" gli ordinò di nuovo, con un tono leggermente più pacato.
Eppure, quell'ordine non gli suonò alle orecchie come un rimprovero, piuttosto come una supplica.
Alzò lentamente la testa, lasciando che finalmente le sue iridi chiare s'incatenassero a quelle nere e profonde dello spadaccino.
"Mi vuoi spiegare cosa ti prende?" domandò Zoro per l'ennesima volta, scandendo ogni singola parola, ormai esasperato, mentre allentava la presa sui polsi, fino a lasciarglieli liberi.
Non poteva più tirarsi indietro.
Non poteva più evitare il discorso.
Ormai era lì, ci era finito dentro, doveva uscire da quel labirinto contorto di pensieri che tanto lo stavano soffocando.
Lo avrebbe affrontato una volta per tutte.
"Ho vissuto l'inferno nonostante non abbia riportato ferite gravi quanto le tue" confessò, guardandolo fermamente negli occhi. "Per la prima volta in vita mia ho provato terrore allo stato puro, e tu non hai fatto una piega" proseguì, pronunciando quelle parole di getto, senza pensarci troppo.
Lo sguardo dello spadaccino divenne meno serio, lasciando spazio alla perplessità, non riuscendo a comprendere il significato di quelle parole.
"Hai la minima idea di come mi sia sentito vedendoti in quelle condizioni?" domandò il biondo "Hai idea di quanto mi sia sentito inutile e impotente? Avrei dovuto esserci io al tuo posto, ma tu sei talmente idiota ed egoista da non pensare mai alle conseguenze". Gli sputò in faccia quelle parole, mantenendo alto lo sguardo, senza piegare la testa.
Glielo aveva confessato, finalmente. Si era alleggerito quel peso che da giorni gli gravava sul petto, ma a quanto pare non abbastanza da renderlo completamente libero.
"Hai pensato a cosa avrei fatto se tu fossi morto? Hai pensato a come mi sarei potuto sentire, a come avrei potuto guardarmi allo specchio giorno dopo giorno, a come mi sia sentito in colpa vedendoti in un lago di sangue?" chiese ancora, alzando di più la voce "Ci hai mai pensato, Zoro?" ripeté, menzionando il suo nome con un filo di voce.
Nel pronunciare quelle parole fremette e un brivido intenso gli percorse inesorabilmente e ad una velocità impressionante la spina dorsale.
Era consapevole che ciò che aveva subito quello spadaccino non fosse minimamente paragonabile a quello che stava provando in quel momento. Non era così stupido e presuntuoso da credere che l'inferno che aveva vissuto e si portava dentro fosse sullo stesso piano di quello provato da Zoro.
Ma, d'altronde, com'è possibile equiparare dolore fisico e dolore mentale? Che cosa stabilisce quale sia più doloroso?
Le ferite che aveva riportato Sanji non erano sulla pelle, non erano visibili ad occhio nudo. Era come se qualcuno lo stesse squartando dall'interno, facendolo in minuscoli pezzettini, e sanguinava non dal corpo, ma dal cuore e dalla sua coscienza.
Si rimproverava ogni volta per aver permesso a quella testa d'alga di farsi ridurre come uno straccio. Senza rendersene conto, Zoro lo aveva salvato col suo sacrificio, ma nel farlo gli aveva strappato il suo orgoglio e, ovviamente, se ne era infischiato.

"Adesso smettila" disse il verde con un filo di voce, abbassando lo sguardo.
"Sei un irresponsabile" continuò il cuoco, senza più riuscire a frenare le parole "Non pensi mai alle conseguenze, fai sempre di testa tua e non accetti l'aiuto di ness---" ma prima che potesse finire la frase, si sentì circondare dalle possenti braccia del verde, ricoperte dalle ferite ancora fresche, e percepì il suo petto caldo premere contro la camicia.
"'Sta zitto!" gli sussurrò all'orecchio, mentre un braccio andava a cingergli la schiena, per tirarlo ancora di più a sé, e una mano andava ad insinuarsi fra i fini capelli biondi.
"Lasciami" lo ammonì Sanji, tentando di allontanarsi, ma Zoro aumentò la stretta, senza però procurargli alcun dolore.
"Pensi che non lo sappia?" chiese a un tratto il verde "Pensi davvero che sia così sciocco da non capire cosa tu abbia dovuto sopportare?".
Quella domanda fu l'ennesimo colpo basso, al quale Sanji fu costretto ad arrendersi.
Abbandonò ogni tentativo di scansarsi da quel corpo caldo e possente, mentre le braccia andavano automaticamente a posarsi sulla schiena del compagno.
Maledetto marimo.
Lo aveva incastrato per bene, lo aveva fottuto di nuovo.
"Sarò pure un egoista come dici, ma siamo vivi" aggiunse, sussurrando quelle parole al suo orecchio.
Avvertì la testa e il cuore farsi totalmente leggeri, liberandosi improvvisamente di quella morsa che gli opprimeva il petto.
Ogni cosa attorno a lui sembrò scomparire, tranne le braccia di quell'uomo.
Si lasciò invadere dal piacevole tepore che il corpo di quello spadaccino emanava, assaporando con ogni fibra del proprio corpo la sua essenza, ispirandone a fondo l'aroma intenso e virile, avvertendo l'odore ferruginoso del sangue di quelle ferite che ancora non si erano rimarginate del tutto.
Lo strinse a sé senza pensarci, come se quel gesto gli fosse risultato meccanico.
Sentì, sotto i polpastrelli delicati, la pelle dura e temprata di quello spadaccino, la consistenza di ogni suo muscolo.
Poteva sentire il suo respiro caldo solleticargli il collo e l'orecchio; poteva sentire il suo braccio possente che gli cingeva la schiena, mentre la mano ruvida gli stringeva la chioma bionda.
Poteva sentire il suo petto vigoroso e il battito del suo cuore leggermente accelerato.
Roronoa Zoro era vivo, Sanji era vivo. Era questo che contava davvero.
Poteva sentirlo, toccarlo, guardarlo e udirlo, senza avere il dubbio che si trattasse della sua immaginazione o che si trovasse al cospetto di un fantasma.
Zoro era vivo, e lo stava stringendo a sé come non aveva mai fatto prima, in un abbraccio troppo dolce e piacevole che sembrava non appartenere all'indole di quell'uomo.

"Non potevo permetterti di prendere il mio posto. Non lo avrei sopportato così bene come hai fatto tu" confessò.
Suonò quasi come un complimento, alle orecchie di Sanji, uno stupido complimento, come se con quelle parole volesse chiedergli perdono per avergli fatto passare le pene peggiori.
Zoro immaginava fin troppo bene quanto fosse stato in pensiero, quanto fosse stato difficile per lui attendere e sperare il suo risveglio, quanto faticava ad accettare l'idea di essere stato salvato.
Da uomo orgoglioso qual era, Zoro lo comprendeva fin troppo bene.
Sapeva cosa significava essere feriti nell'orgoglio, ma ora poco importava.
Quello che contava veramente era essere lì, in piedi, con le braccia avvinghiate al corpo di quel cuoco e sentirne quel piacevole odore di tabacco mischiato a quello pungente delle sue adorate spezie, sentire le sue mani delicate poggiate sulla sua schiena nuda, sentire il suo respiro leggero sulla pelle sensibile del collo.
"Sappi che se fosse necessario rifarei ogni cosa, senza pensarci due volte" precisò "E non m'interessa se non saresti d'accordo, stupido cuoco".
Ma Sanji sembrò non fare caso a quelle parole che, solo un attimo prima, l'avrebbero fatto infuriare.
Niente sembrava avere più importanza del presente, poco importava cosa avrebbe fatto o come avrebbe reagito quello spadaccino. Ciò che contava davvero era quello che poteva stringere fra le mani in quel preciso momento.
Si rese conto che non c'era spazio per i rimpianti e i rimorsi, che era giusto contemplare ciò che di bello si possedeva in quel determinato istante.
"Stai zitto" disse, nel medesimo istante in cui gli circondò delicatamente il collo con entrambe le mani, andando a poggiare i pollici sugli zigomi. Lo scrutò, fissandolo in quei due occhi neri, per poi congiungere impetuosamente le proprie labbra alle sue.
E Zoro non poté fare altro che assecondare i gesti del biondo, schiudendo la propria bocca, accogliendo la tacita richiesta del compagno, lasciando che le loro lingue s'intrecciassero in un movimento lento e deciso quanto passionale. Lo strinse ancora di più a sé, per quanto fosse possibile, mentre sentiva le sue mani insinuarsi fra i capelli verdi.
Riversò tutto se stesso in quel bacio, come per testimoniare a Sanji il proprio affetto. E non importava cosa fosse successo o cosa sarebbe accaduto in futuro, non c'era tempo per fare ipotesi.
Assaporò quell'istante con tutto se stesso, con anima e corpo, vivendo quel momento in tutta la sua essenza, vivendo Sanji come mai aveva fatto prima di allora.
Il cuoco abbandonò per un istante la bocca dello spadaccino, tornando a guardarlo in quelle iridi scure, per poi sussurrargli sulle labbra alcune semplici parole…
"Quello che conta è che siamo vivi, no?".












NdA: So che ci saranno circa una cinquantina di fanfiction ambientate in questo arco di tempo, dopo lo scontro con Orso Bartholomew, e che quindi l'idea non è per nulla originale, ma non ho saputo resistere alla tentazione di scrivere questa oneshot. E' stato più forte di me.
   
 
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