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Autore: Persej Combe    06/12/2014    3 recensioni
Un giorno, tanto tempo fa, ho incontrato un bambino. Non lo dimenticherò mai. È stato il giorno più emozionante di tutta la mia vita. Nessuno potrà mai avere la stessa esperienza che ho avuto con lui. Ciò che abbiamo visto, è precluso soltanto a noi.
...In realtà, non ricordo neanche il suo nome. Non ricordo nemmeno se ci siamo presentati, a dire il vero. Però non smetterò mai di cercarlo. Un giorno so che le nostre mani si uniranno di nuovo, come quella volta. Perché noi siamo destinati a risplendere insieme per l’eternità.

[Perfectworldshipping]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Elisio, Professor Platan, Serena
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Eterna ricerca'
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Salve a tutti e buon pomeriggio, la vostra Persej è tornata! ❀ In quest'ultimo periodo sono stata un po' impegnata con la scuola, perciò chiedo scusa a tutti quanti se questo capitolo si è fatto aspettare molto...
Come state voi? Tutto bene?
Nelle ultime settimane, come probabilmente avrete visto, ho fatto un po' una revisione generale dei capitoli e ho anche dato una sistemata all'aspetto estetico. Per quanto riguarda i primi non ho fatto tanti cambiamenti, ma ho aggiunto qualche cosa in più ai capitoli 5, 6 e 7 (quelli della Torre Maestra, per capirci!): avevo bisogno di dare un vero senso al perché Platan si interessi così tanto alla Megaevoluzione (rafforzando anche il significato della figura del Professor Rowan) e di definire di più quella parte del suo carattere un po' insicura. Mi raccomando, andate a darci un'occhiata! :D E poi che altro dire? A un certo punto mi sono trovata talmente presa da questo lavoro di rifinitura che avevo anche pensato di mettere qualche illustrazione fatta da me, ma poi ho cambiato idea: è più bello crearsi le immagini nella mente, anziché avere la "pappa pronta", non pensate? Dopotutto è questa la magia della lettura... E ognuno poi s'immagina ogni cosa in modo diverso da come potrebbe fare un'altra persona, anche se parte dalle stesse identiche parole... Questo pensiero mi emoziona sempre molto, perciò ho voluto lasciare da parte quell'idea per dare a tutti la libertà di vedere le cose nel modo che vi piace di più! [Appunto del 03-11-2017: A distanza di tanto tempo ho decisamente cambiato idea su questo punto, non penso proprio che tutto il lavoro che si spenda dietro ad un'illustrazione possa semplicemente essere liquidato con un'espressione simile a "pappa pronta". Trovo che scrittura e illustrazione siano due mezzi diversi che assieme possono concorrere nel tradurre un significato o un simbolo in comune che intendono comunicare. Scusatemi per il commento un po' stupido e random, ma essendo un argomento che ormai mi tocca personalmente ci tenevo a precisare questa cosa! Spero che i più puristi della scrittura non me ne vogliano...]
Anche per questo capitolo avevo pensato di mettere qualche disegno (ne ho fatti moltissimi per definirmelo bene in testa, vi dico che finora è stato il capitolo più impegnativo di tutti, addirittura ne ho scritte più di cinque versioni... Questa è la definitiva, spero vi piaccia!), ma ho lasciato perdere.
Non ho altro da aggiungere, se non un grazie speciale a tutti quanti! Grazie davvero!
Direi che ho parlato abbastanza: vi lascio al capitolo sperando che vi piaccia e vi auguro un buon ponte dell'Immacolata!

Buona lettura! ❀


..

16 . Il destino che è scritto nelle stelle


 

   Mi spiace lasciare le cose così, ma devo assolutamente rimettermi in viaggio.
  Spero che riusciate a porre rimedio ai danni di Golurk il più presto possibile.

  Comunque grazie per l’ospitalità.
  Spero che un giorno potremo incontrarci di nuovo.
  Nel frattempo, abbi cura di Elisio.

  A presto,

AZ


 Mise il foglio sul tavolino accanto al divano su cui Platan stava dormendo, rannicchiato accanto a Bulbasaur. Lo vide accarezzare il Pokémon nel sonno e sorrise: di certo ad Elisio l’affetto non sarebbe mancato. Si mise il sacco a tracolla ed uscì dall’appartamento cercando di fare il meno rumore possibile. Il portone del condominio si chiuse alle sue spalle con un cigolio e AZ cominciò ad incamminarsi per strada. Alzò lo sguardo. Era abbastanza presto: il cielo era ancora scuro e qui e lì si poteva scorgere qualche manciata di stelle. Si chiese stavolta quale Percorso avrebbe potuto prendere. Percorso 4? 5? 16? O il 13? Già li aveva attraversati tutti innumerevoli volte. Ne conosceva i punti più nascosti e inarrivabili, in tremila anni aveva memorizzato laghi, fiumi, monti, caverne, li aveva visti mutare secolo dopo secolo, e ogni cambiamento se lo era fissato nella memoria in modo indelebile.
   «Chissà adesso dove avrai trovato rifugio? Fa freddo, ci sarà qualcuno lì con te che ti offra protezione e calore?» sussurrò con un debole sospiro. Chiamò Torkoal fuori dalla Poké Ball, lo salutò e gli accarezzò la testa. Il Pokémon, mezzo assonnato, si stiracchiò e ruggì contento, poi prese a camminare accanto al suo Allenatore, riscaldandolo con i vapori che fuoriuscivano dal suo guscio roccioso.
   «Fratello mio! Fratello mio, calmati, te ne prego!» nella sua mente prese forma il ricordo del viso angosciato di suo fratello minore «Stai perdendo la testa! Vale davvero la pena distruggere tutto ciò che hai costruito di buono nel nostro regno per un Pokémon? Non pensi a noi altri che stiamo morendo di fame a causa di questa sciocca guerra? Si devono forse lasciar morire altri vivi invece di tirarli su?! Non c’è già abbastanza caos a questo mondo?! Ascoltami, fratello!».
   «Ti chiedo perdono, caro fratello, anche se le mie parole non basteranno mai a sanare la morte e il sangue che il mio orgoglio e la mia presunzione mi portarono a spargere», sibilò con mortificazione. Chiuse le mani riparate dentro le tasche del cappotto in due pugni, le dita nodose e sottili che tremavano lievemente. Spostò lo sguardo oltre la frangia di capelli e di fronte a sé vide due occhi azzurri e vispi. Sentì il sangue gelarglisi nelle vene per un istante e osservò con sbigottimento le due iridi chiare, tali e quali a quelle fraterne.
   «AZ,» quella voce profonda gli arrivò forte fin dentro alle orecchie.
   Dopo qualche istante la riconobbe, così rilassò le spalle rincuorato.
   «Elisio!» gli sorrise «Non sarà un po’ presto per andare a trovare il tuo fidanzato? Sta ancora dormendo, sai».
   Elisio lo osservò frastornato. Sapeva di loro due? Rise a denti stretti: certo, il fatto che il giorno prima si fosse tenuto l’uomo abbracciato a sé per tutto il tempo doveva avergli senza dubbio messo in testa qualche pensiero, e dopotutto era anche lecito. Tuttavia la cosa non lo infastidiva, non se ad esserne a conoscenza era AZ. Anche se di pochissimo, erano legati dal sangue che gli scorreva nelle vene, e, dal momento che il loro incontro era avvenuto, questo sarebbe stato l’occasione atta a favorirne di nuovi. Doveva cercare di stabilirci un rapporto il più stretto possibile e di ottenere la sua fiducia se voleva tentare di raggiungere lo scopo che si era prefisso.
   «Lo so, lo so. Platan non è proprio un tipo mattiniero», incurvò le labbra in un mezzo sorriso «Mi pare quindi di capire che tu abbia passato la notte a casa sua. Ti ha trattato bene?».
   «Sì, devo dire che mi sono sentito proprio bene in sua compagnia. Il Professor Platan è davvero una bella persona».
   “L’aggettivo “bello” non basta neanche in minima parte a descrivere ogni sua meravigliosa sfaccettatura”, rifletté il rosso nascondendo un leggero sorriso dietro la pelliccia bianca della giacca. Annuì manifestando il suo assenso.
   «Avete parlato di qualche cosa?» domandò ancora, con un tono che aveva un che di provocatorio e cauto nello stesso momento. AZ notò una scintilla brillargli negli occhi e riconobbe la stessa fiamma accesa che aveva scosso l’animo del suo giovane fratello.
   «Mi ha raccontato qualcosa a proposito del vostro rapporto, e io a lui del mio con il Pokémon eterno. Immagino che tu sappia già questa storia, per cui stavolta farò a meno di dilungarmi sulla faccenda. Comunque, Platan ti ammira molto più di quello che avevo intuito ieri: l’ho capito dal suo sguardo e dai suoi sorrisi mentre parlava di te. E a giudicare dall’espressione che hai adesso in viso, direi che la cosa è reciproca. Mi fa piacere che sia così, sono contento di sapere che tu abbia qualcuno che ti sostenga. Mi raccomando, Elisio: tienitelo caro. Persone così non si trovano tutti i giorni, e io, con tutti gli anni che mi porto alle spalle, credo di saperne qualcosa».
   «Senza dubbio», asserì con voce ferma. Lo squadrò con uno sguardo penetrante per secondi che ad AZ parvero interminabili, poi, vedendo che quello non reagiva, chiese: «Nient’altro?».
   «Nient’altro», fu la risposta un po’ incerta dell’anziano signore, intimidito dalla sua occhiata gelida. Elisio annuì e fece qualche passo in avanti, oltrepassando il vecchio. AZ si girò e osservò l’uomo che accennava ad andarsene.
   «Mi spiace doverti salutare adesso, ma ho un impegno urgente. Se dovessi tornare a Luminopoli, mi farebbe piacere ospitarti da me per bere un tè assieme e nel mentre scambiare due parole...» disse l’uomo incastonando gli occhi leggermente socchiusi come in un attimo di raccoglimento sulla chiave che il gigante portava appesa al collo. Mosse lo sguardo su Torkoal e sul viso gli si formò un sorriso tagliente.
   «E perché no, magari anche ingaggiare uno scontro fra i nostri Pokémon. Il mio Gyarados ultimamente è fuori esercizio e avrebbe bisogno di una bella lotta. La tua squadra dev’essere senza dubbio molto forte. Spero che accetterai il mio invito».
   Proseguì a camminare senza proferire altra parola e nemmeno rivolgere un cenno di saluto. Istintivamente AZ portò una mano sulla lama della chiave e la strinse fra le dita, avvertendo una fitta al cuore come se fosse stato ferito da una freccia finitagli in mezzo al petto. Torkoal premette la testa contro un suo braccio. Il vecchio lo accarezzò, continuando a fissare lo sguardo sul limite della via.
   «Abbine cura, e distoglilo dall’errore che il suo animo sta per spingerlo a commettere».
 
 
   L’aria era fredda e il cielo bianco. Sembrava di essere in una fiaba, pensava Platan osservando la città da dietro il vetro della finestra della camera d’albergo. La neve gli era sempre piaciuta molto. I rami degli alberi, neri e spogli, ne erano ricolmi. In giro i bambini giocavano con gli slittini o costruivano pupazzi in compagnia dei loro Pokémon. Era tutto così tranquillo! Si soffiò un po’ di aria calda sulle mani per riscaldarsele. Quanto avrebbe voluto avere Elisio lì con lui a guardare la strada, magari abbracciati l’uno all’altro e avvolti in una coperta di lana.
   Quel pensiero svanì in un istante. Non era molto propenso a quel tipo di fantasticherie, quella mattina. Scostò un ciuffo di capelli che gli penzolava davanti agli occhi e guardò l’orologio a pendolo sulla parete vicina.
 
   Quanto mancava ancora? Erano già entrati in azione? Avevano rubato qualche fossile? Erano stati bloccati in qualche modo?
   No.
 
   «Solo io posso fermarlo», disse, fissando il pendolo che si muoveva a destra e sinistra.
   Ad un tratto sentì qualcuno bussare alla porta.
   «Avanti», disse «La porta è aperta».
   Si affacciò una ragazza con gli occhiali, una degli assistenti che in quei giorni si era portato dal Laboratorio per fare quel sopralluogo a Fluxopoli. Si salutarono e la giovane informò il Professore dell’arrivo dei due mineralogisti con cui dovevano incontrarsi quella mattina.
   «D’accordo, finisco di sistemare alcune cose e scendo. Avverti anche il tuo compagno, vi raggiungo tra poco».
   «Va bene. Ah, e non si dimentichi l’anello!».
   «Certo, lo prendo subito! Merci, ma chère!».
   «Si figuri! A dopo!».
   Rimase da solo e sospirò. In quel momento aveva altro a cui pensare, lo volesse o meno.
   Prese la borsa che aveva lasciato cadere stancamente sul pavimento la notte prima dopo ore passate in biblioteca a studiare tutti i libri che trattavano della Meridiana e controllò che dentro ci fosse tutto quello che gli serviva. Infilò la mano in una delle tasche e tirò fuori una scatolina cubica di colore bianco. L’aprì.
   «Quanto tempo è passato da quel giorno?» si chiese prendendo in mano l’anello.
   Giorni, mesi, anni. Quella notte in cui aveva preso coscienza dei suoi sentimenti pareva far parte di un’altra epoca. Lanciò un’occhiata all’Holovox sul comodino, ancora attaccato all’alimentatore dal momento in cui era andato a dormire. Lo prese, staccò l’alimentazione, lo legò al polso e lo accese.
   «Almeno per sapere come sta...» sussurrò, mordendosi le labbra.
   Avviò la chiamata e aspettò qualche secondo.
   «L'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Il dispositivo potrebbe essere spento o...»
   Riattaccò. Glielo aveva detto, comunque, che probabilmente non sarebbero riusciti a sentirsi, pensò. Sospirò un’altra volta. Non aveva per niente voglia di incontrare quei due mineralogisti. Perché non si era portato un Pokémon di tipo Volante? Ad esempio c’era quel bel Charizard in Laboratorio che ogni mattina quando entrava nella serra a portare la colazione ai vari Pokémon si metteva a svolazzargli sopra la testa.
Ma cosa andava a pensare? Aveva preso questo impegno da parecchi mesi, ormai, e non poteva sprecare tutta la fatica e il denaro che aveva dovuto versare per ottenere una simile occasione. Inoltre, con il Laboratorio mezzo distrutto, non poteva permettersi di spendere male neanche un centesimo: ogni sera, a cena al ristorante, ordinava i piatti meno costosi per mettere da parte un po’ di risparmi che avrebbe poi utilizzato al suo ritorno per ricomprare le attrezzature danneggiate. Mise l’anello al solito dito e, prima di uscire, fece un’ultima chiamata.
   «Bonjour, mes garçones!» esclamò non appena nell’aria presero forma gli ologrammi di Sina e Dexio.
   «Professor Platan! Buongiorno!» risposero quelli in coro con due bei sorrisi «Come sta? E Fluxopoli com’è? Fa freddo? E la neve? C’è la neve?».
   Platan rise: sentirgli dire le stesse parole insieme gli faceva sempre venire il sorriso!
   «Avidi di informazioni, eh? C’est bien! Chiunque voglia diventare un Professore deve sempre essere guidato dalla curiosità e dalla passione!» disse «Comunque non c’è male, anche se fa freddo... Ma c’è così tanta neve, ragazzi, guardate!» e si accostò alla finestra con l’Holovox.
   «Che meraviglia! Professore, è davvero fortunato!».
   «Sì, Sina ha ragione!».
   «Voi invece cosa mi raccontate? Tutto bene? Come procedono i lavori in Laboratorio? Siete riusciti a riparare qualche cosa?».
   «Sì, in questi giorni abbiamo sistemato il cancello e il portone, ma nella stanza d’ingresso c’è ancora molto da fare... Alcuni tubi e cavi elettrici che passavano sotto il pavimento si sono danneggiati, ma Lem, il Capopalestra, è venuto qui a darci una mano! Speriamo che riesca ad aggiustare qualche collegamento... Lo sapeva? È molto bravo con questo genere di cose!» lo informò Dexio.
   «Il Capopalestra Lem?» si sorprese il Professore «Dite sul serio?».
   Sina annuì: «Ha detto che è un suo grande ammiratore, perciò sperava di poter dare una mano! E per ora sta facendo un ottimo lavoro, non credi anche tu, Dexio?».
   «Assolutamente!».
   «Beh, ne sono molto contento! E ringraziatelo da parte mia, è un onore ricevere anche il suo aiuto!».
   Rimase un attimo a pensare.
   «Ragazzi, potrei chiedervi un favore?» disse a un tratto, un po’ insicuro.
   «Sì, Professore. Che cosa succede?» chiesero ad una sola voce.
   «Ecco... Che cosa mi dite del PC? Il teletrasportatore funziona ancora?».
   «Ha bisogno che le inviamo qualche Pokémon?».
   Platan rabbrividì. Lo aveva chiesto davvero? Perché non riusciva a tenere a freno le emozioni, quando serviva?
   «No, no... Era solo per sapere...».
   «Ne è sicuro?» domandò il ragazzo, non fidandosi della sua risposta «Guardi che non c’è problema. Possiamo inviarle qualsiasi Pokémon. Il teletrasportatore fortunatamente funziona alla perfezione».
   «Esatto», continuò l’altra «Che Pokémon le serve? Avanti, non faccia il timido! Siamo i suoi assistenti, siamo qui per aiutarla!».
   Platan sospirò, però poi non poté fare a meno di incurvare le labbra in un sorriso: erano davvero efficienti e determinati pur essendo così giovani!
   «Charizard», rispose «Mi serve Charizard. Qui vicino c’è un Centro Pokémon, credo di riuscire a collegarmi da lì».
   «Bene!» esclamarono «Allora noi andiamo a preparare il Pokémon, non appena saremo pronti le manderemo un messaggio!».
   «Fate pure con calma, ragazzi, adesso ho un colloquio con alcuni colleghi. Appena mi libererò ve lo farò sapere, d’accordo?».
   «D’accordo! A dopo, allora!».
   «A dopo».
   Subito dopo che i due furono scomparsi, si posò la testa fra le mani.
   «Ma io non dovrei... Non dovrei...!» non riusciva a finire la frase.
   «Però devo», disse mentre usciva e chiudeva la porta della stanza a chiave.
 
 
   «Pancham, adesso scendi!».
   «Pan!» esclamò il Pokémon saltando giù dalla schiena della ragazza. Lo richiamò nella Poké Ball e si girò verso Rhyhorn.
   «Il Percorso 9 è così tortuoso che è possibile attraversarlo solamente in groppa ad un Rhyhorn... Sono proprio curioso di vedere come se la cava la figlia di Primula!» le aveva detto in tono di sfida qualche minuto prima Calem. Poi era salito sulla schiena di uno dei Rhyhorn messi a disposizione all’inizio del Sentiero Punzoni e si era incamminato verso la Grotta dei Bagliori. La ragazza sospirò e si vide costretta a fare lo stesso.
   «Adesso ti faccio vedere io, Calem!» esclamò aggrappandosi al Pokémon «Vai, Rhyhorn!».
   Rhyhorn si mise in piedi sulle quattro zampe, prese la rincorsa e cominciò a correre spedito contro l’altro Pokémon. Serena teneva strette le dita fra le sporgenze rocciose che aveva sulla schiena, tenendo basso il busto affinché il rinoceronte potesse andare più veloce. Aveva un buon equilibrio e, nonostante la corsa affannata del Pokémon la spingesse di qua e di là, riusciva a mantenere salda la sua postura. Le ore passate a giocare in giardino con il Rhyhorn di sua madre alla fine si erano rivelate utili! Alzò lo sguardo e pochi metri più avanti vide Calem. Sorrise con decisione e disse a Rhyhorn di raggiungerli.
   «Arrivo prima io!» gli gridò quando si trovarono uno vicino all’altra.
   «Ah, sì? Ne sei proprio sicura?».
   Senza preavviso, il Rhyhorn di Calem fece uno scatto in avanti, alzando una nuvola di terra e polvere che andò a finire negli occhi di quello di Serena. Il Pokémon s’impennò sulle zampe per il colpo improvviso e la ragazza strinse forte la presa per non rischiare di essere scaraventata giù. Il rinoceronte si dimenò per qualche istante, finché il bruciore agli occhi non si fu alleviato.
   «Ehi, ma così bari!» gridò da dietro al rivale, agitando con rabbia le braccia in aria.
   «Ci vediamo alla Grotta dei Bagliori!» fu la risposta, accompagnata da una risata beffarda.
   «Che stolto...» sibilò fra i denti, accarezzando la schiena del Pokémon «Tutto a posto? Hai ancora male agli occhi?».
   «Rhyhorn», grugnì. Alzò un poco la testa per far intendere alla ragazza che il dolore era passato e che era pronto per ripartire.
   «Bene, allora andiamo. Non preoccuparti, ci penserò io a quell’imbroglione di Calem...».
   Ricominciarono a correre su quella strada brulla, delimitata dalle montagne, spoglia e malconcia. Lungo il percorso dovettero fermarsi varie volte perché il sentiero ogni tanto era bloccato da dei grossi massi che impedivano di procedere oltre. Perciò Rhyhorn prendeva tutte le sue forze e con il corno colpiva le rocce più e più volte, finché riusciva a creare un passaggio da attraversare. Ed ecco che, dopo l’ennesimo masso, Serena riuscì a scorgere in lontananza l’entrata della grotta, contornata dai suoi minerali luminosi.
 
 
   «Le reclute sono state disposte secondo l’ordine prestabilito».
   «Bene», Elisio si alzò dalla poltrona della sua stanza all’interno dei Laboratori e scrutò dall’alto della piattaforma la donna che era venuta a comunicargli la cosa, senza che ella potesse percepire alcuna emozione dal suo sguardo. Si era improvvisamente fatto freddo, come accadeva ogni volta che aveva bisogno di concentrarsi quando c’era una missione in corso. E, in particolare, questa richiedeva la massima attenzione: da essa dipendeva il resto del cammino che il Team Flare avrebbe percorso.
   «C’è altro?» chiese, continuando a osservarla.
   «Al momento no, signore».
   «Se dovesse accadere qualcosa non in regola con i nostri piani, voglio esserne immediatamente messo al corrente».
   «Certo, signore».
   L’Ufficiale fece un leggero inchino e si dileguò, desiderando togliersi subito di dosso quello sguardo così soffocante. Il timore che le metteva su quell’uomo quando doveva fargli rapporto circa gli affari in cui era coinvolta l’organizzazione era senza pari. Eppure, spogliato della sua veste di Capo, appariva un uomo così calmo e mite...
   Prima di risedersi sulla poltrona nera aspettò qualche istante, per essere certo che la donna fosse abbastanza lontana. Poi mise mano al PC e analizzò attentamente ogni punto del piano che aveva progettato.
   Negli ultimi mesi, nella Grotta dei Bagliori, era stata trovata una grande quantità di fossili dai ricercatori del Laboratorio di Petroglifari. Il Team Flare disponeva di un gruppo di scienziati altamente qualificato, i cui membri erano stati scelti dai più prestigiosi ambiti delle scienze. Elisio ne aveva personalmente testato le capacità e, una volta entrati a far parte dell’associazione, si era assicurato di non fargli mancare nulla. Con i guadagni ricavati dalla vendita degli Holovox e dalla gestione della caffetteria, aveva potuto mettergli a disposizione le apparecchiature più sofisticate in circolazione nei laboratori più importanti di Kalos e delle altre regioni. Così, in una delle stanze dei suoi locali aveva potuto installare una macchina capace di far tornare alla vita i Pokémon racchiusi nei fossili, esattamente come quelle presenti nei laboratori dell’Isola Cannella nella regione di Kanto o di Petroglifari, appunto.
   Il Team Flare avrebbe sottratto i fossili che gli archeologi avevano trovato nella Grotta dei Bagliori e li avrebbe rivitalizzati con le proprie strumentazioni. Una volta che i Pokémon avrebbero riacquistato la vita, ne avrebbero sfruttato l’energia per alimentare l’Arma Suprema.
   L’unico punto ancora da chiarire era come.
   Un pomeriggio, tempo addietro, fra gli appunti di Platan sparsi sulla scrivania del suo studio, quando era andato a trovarlo, aveva letto distrattamente qualcosa riguardo ai monoliti che circondavano Cromleburgo. L’uomo però si era subito messo a riordinare i fogli e non aveva potuto leggere oltre. La tappa seguente, quindi, sarebbe stata la Strada dei Menhir, per accertarsi riguardo alle informazioni che aveva carpito da quella lettura sbadata.
   Sospirò e chiuse gli occhi, rilassando la schiena sulla spalliera della poltrona. Sentiva la tensione in tutto il corpo e la calma che di solito regnava padrona fra i suoi pensieri farsi leggermente più debole.
   Vide il suo Holovox confinato a un angolo del tavolo. Era lì dalla mattina prima, dopo essere entrato nei Laboratori non lo aveva più toccato. Lo prese in mano, lo accese. Trovò la chiamata di Platan. Osservò quella striscia blu per un paio di secondi, in silenzio.
   «Un giorno riuscirò a convincerti», disse «Ti convincerò e finalmente ti unirai a noi. Devi farlo! Perché se non lo farai... Se non lo farai...» terminare la frase con quella parola gli metteva un senso d’inquietudine addosso che non riusciva a tollerare, perciò non lo fece, lasciando che le parole incomplete si dissolvessero nell’aria di quella piccola stanza fattasi improvvisamente asfissiante a causa dei suoi pensieri. Si prese qualche secondo per calmarsi e riprendere contegno. Quello non era il momento adatto per certe riflessioni. Uscì nell’atrio principale e oltre le porte delle altre stanze vide i suoi sottoposti intenti a lavorare, alcuni che a distanza si occupavano della missione a Grotta dei Bagliori, altri che studiavano in che modo compiere le prossime mosse, e così via.
   «Elisio, eccoti qui!» era Xante che soggiungeva, chiamandolo con voce melensa e fastidiosa. Elisio roteò gli occhi lievemente irritato, perché sapeva cosa stava a significare quel tono. Si voltò verso di lui e lo guardò, in attesa di scoprire che cosa avesse da dirgli.
   «Posso offrirti un caffè?» chiese quello una volta ottenuta la sua attenzione, stando fermo con le braccia piegate dietro la schiena come a voler nascondere qualcosa.
   «Dimmi che cosa vuoi senza fare tutti questi giri come al solito. Oggi non ho tempo da perdere, lo sai».
   L’uomo scrollò le spalle con indifferenza e da dietro la schiena trasse un voluminoso rotolo di fogli.
   «Se la metti così sarà meglio andare nel tuo ufficio. Ho un favore da chiederti».
 
 
   «Perciò le mie intuizioni erano giuste...» disse il Professore mentre esaminava i dati che i mineralogisti avevano raccolto.
   «Sì», disse uno dei due, un uomo dai folti baffi bruni «In questi ultimi tre giorni abbiamo raccolto diversi campioni di tutte le undici pietre evolutive e abbiamo confrontato le loro caratteristiche con quelle delle Megapietre che ci aveva portato. Non ci sono dubbi: la loro struttura di base coincide al novanta percento».
   «Di ognuna di esse», precisò l’altro, un tipetto mingherlino e dai tratti del viso molto scavati.
   «Di ognuna di esse, esatto. I dati sono uguali per tutte le ventotto Megapietre».
   «Per cui si può estendere con certezza questa caratteristica anche a tutte le altre Megapietre che ancora non sono state identificate...» rifletté ad alta voce Platan. Quella sì che era una scoperta importante. Ritornò ad osservare le cifre scritte sulle schede e cercò di imprimersele nella memoria.
   «E per quanto riguarda la Meridiana?» domandò.
   «Purtroppo non siamo stati in grado di capire granché. Sarà pure un congegno antico di tremila anni, ma neanche con le tecnologie più avanzate a nostra disposizione siamo riusciti a estrarre qualcosa. I computer ci sono serviti a poco».
   «Non hanno riconosciuto nulla», precisò il magrolino.
   «Non hanno riconosciuto nulla, esatto. Un mistero».
   «Perciò non si hanno nemmeno prove circa un suo eventuale legame con la Megaevoluzione...».
   «Per il momento no, ma chissà? Un collegamento potrebbe esserci come no. Solo il tempo ce lo dirà... Sicuramente, non appena avremo nuove attrezzature con cui studiare più efficacemente la Meridiana, torneremo ad occuparcene, ma per ora siamo costretti ad accontentarci di ciò che abbiamo».
   «Ho capito. È un vero peccato! Ma d’altronde non si può scoprire tutto e subito, giusto? Si perderebbe tutto il divertimento... Vi ringrazio molto per il vostro aiuto, non mancherò di fare il vostro nome agli altri miei colleghi!» disse Platan mentre stringeva le mani ad entrambi «Il contributo che avete dato è di un’importanza inestimabile! Vi ringrazio davvero!».
   «Grazie a lei, Professore! Se dovesse avere ancora bisogno di noi, saremo a sua disposizione. E complimenti per la sua intuizione, alla fine si è rivelata più che veritiera!».
   «Formidabile!».
   «Formidabile, esatto!».
   Non appena i due furono usciti dal salone dell’albergo, Platan si fece scappare un’esclamazione di gioia. Abbracciò i suoi due assistenti, i quali si complimentarono con lui più e più volte, poi ordinò da bere per festeggiare.
   «Non vedo l’ora di dirlo ad Elisio!» disse dopo che ebbero fatto un piccolo brindisi. “Elisio...” pensò, guardando di sfuggita l’Holovox legato al polso.
   «Di’ un po’, ma secondo te in che rapporti sono?» bisbigliò la ragazza all’orecchio dell’altro.
   «Intendi Elisio e il Professore?».
   «Sì».
   «In effetti mi paiono molto intimi, ma non sono sicuro fino a che punto possano esserlo».
   «Vero? È quello che mi chiedo anche io».
   «Ti dirò, l’altro giorno li ho visti che si tenevano per mano sotto lo stesso ombrello mentre tornavano a casa. Sarà anche solo un modo per dimostrarsi reciprocamente la loro amicizia, ma ho notato che è un gesto che si scambiano spesso...».
   «Ora che mi ci fai pensare, hai proprio ragione! Si stringono sempre le mani, avrà un significato particolare?».
   «Non saprei, è come se volessero sostenersi a vicenda, eppure...».
   Il Professore si alzò e girò la testa verso di loro: «Ragazzi,» disse tendendogli le schede «potreste trascrivere questi dati sul mio laptop?».
   «Certo, Professore, ma l’ispezione alla Meridiana?» chiese la ragazza.
   «Ci andrò io adesso».
   «Da solo? Non vuole che la accompagniamo?» disse il giovane.
   «Non preoccupatevi, per il momento mi serve che voi due rimaniate qui. Se dovessi aver bisogno di qualcosa, vi chiamerò. Vado a prendere la giacca in camera ed esco».
   Oltrepassò il portone dell’albergo sentendo un brivido di gelo lungo la schiena. Si avvolse meglio la sciarpa attorno al collo e si avviò.
   Se doveva essere sincero, pensava mentre camminava sotto un leggero nevischio, in realtà non era ancora riuscito a capacitarsi del tutto riguardo a ciò che stava accadendo. Sembrava tutto talmente folle e assurdo, certe volte ci rifletteva su e stentava a credere che quella fosse la realtà.
   Riattivare l’Arma Suprema per creare un mondo di pace.
   Ma come? Come poteva Elisio pretendere di farsi portatore di un mondo prospero e sereno con un atto che andava rigorosamente contro ogni suo principio? Come poteva sperare di costruire il suo mondo perfetto debellato da guerre esercitando di fatto una così ignobile violenza? L’azione che andava a compiere era certamente un atto al limite della disperazione, ma per quanto lui lo ritenesse necessario ai fini di un futuro migliore, nulla, nulla poteva giustificare una cosa simile.
   Ripensò a quando poche sere prima AZ gli aveva raccontato in lacrime la sua storia. Non poteva perdonarlo per quello che aveva fatto, ma lo apprezzava poiché aveva capito l’errore che il suo orgoglio lo aveva spinto a commettere. Quanto soffriva... Quella era una cicatrice che si sarebbe dovuto portare dietro per l’eternità, che ogni mattina, svegliatosi dal suo giaciglio, mentre osservava la propria immagine nel riflesso dello specchio, non avrebbe mai potuto nascondere alla vista. Sempre lì, innegabile, incancellabile. Negli occhi, nei tratti duri e secchi del volto, non poteva far altro che riconoscere lo spettro di un mostro. E di questo spettro se ne sarebbe liberato solamente quando avrebbe ottenuto il perdono del suo amato Pokémon. Chissà se Floette glielo avrebbe mai concesso, si domandò. Non aveva avuto la forza di dire al vecchio gigante che il suo amico si trovava nel suo Laboratorio, e tuttavia non se l’era sentita di intromettersi in una faccenda così personale. Ma era sicuro che un giorno finalmente si sarebbero ritrovati: e quel giorno sarebbe stato il più lieto e felice che insieme avrebbero mai vissuto. Dopotutto, rifletteva, non avrebbero potuto continuare a evitarsi per sempre. Da quello che gli aveva detto Dexio sul comportamento che il Pokémon aveva avuto durante l’episodio con Golurk, aveva inteso che anche lui provava un grande affetto nei confronti di AZ. C’era solo bisogno di tempo.
   Se però Elisio fosse riuscito nel suo intento, anche lui allora sarebbe andato in contro a quella sofferenza. Perché non se ne rendeva conto? Platan non si sarebbe mai unito al suo gruppo. Sarebbe rimasto solo e da solo avrebbe dovuto compiangersi.
   Rabbrividì. Non poteva lasciare che precipitasse in quel futuro.
   «Che cosa diavolo ci faccio qui?» si pose quella domanda che lo aveva torturato per tutta la permanenza in quella città. Si fermò con passo incerto. In lontananza, il cristallo rosa della Meridiana, emergendo dalle profondità marine, si ergeva nella sua maestosità fino a sfiorare il cielo bianco. Dalle labbra gli uscì un sospiro, che condensandosi a contatto con l’aria fredda formò una nuvoletta di vapore.
   Si mise a correre. Le sue scarpe che battevano sulla strada ciottolata dove avevano appena spazzato via la neve creavano un gran rumore in quella città così tranquilla e silenziosa. In pochi minuti fu di fronte al Centro Pokémon, ma prima che potesse mettere la mano sulla porta per entrare, una donna, che stava uscendo in quell’esatto momento, gli si parò davanti come a volergli bloccare la strada.
   «Mi scusi», le disse, aspettando che si spostasse.
   Quella però non si mosse, ma sorrise con compassione, fissando gli occhi color pervinca sull’esile figura dell’uomo.
   «E così lei sarebbe il famoso Professor Platan... Alla fine è venuto veramente... Come avevo immaginato, certamente...».
   In mezzo alle sue folte sopracciglia violacee si formò una piccola ruga.
   «Era venuto qui per studiare la Megaevoluzione? Era questa la sua intenzione?».
   «Sì», rispose sorpreso: aveva cercato di parlarne il meno possibile in giro «Era questa...».
   La donna sbatté le ciglia come normalmente fanno tutti, ma a Platan, non sapeva perché, in quel gesto parve di scorgere una punta di contrarietà.
   «Mi chiamo Astra», si presentò «e di questa città sono la Capopalestra».
   Mosse qualche passo oltre di lui facendo svolazzare il mantello d’argento e poi si girò, tendendogli la mano, come a indicargli di seguirla.
   «Le mostrerò la strada per la Meridiana, così la sua venuta non sarà stata vana».
   «Ma io, veramente...».
   Un’occhiata alla sua espressione enigmatica lo fece zittire, e la seguì senza opporsi.
 
 
   Serena e Calem camminavano uno vicino all’altra all’interno della grotta. Il cammino gli veniva via via mostrato dai cristalli che riflettevano la propria luce sul sentiero roccioso.
   «Dillo che non vuoi sfidarmi perché hai paura di perdere!» sbottò Serena dopo un po’.
   «In realtà vorrei risparmiarti il dolore che dovrai provare quando verrai sconfitta. Sappiamo tutti e due che il più forte qui sono io... E poi è così che vuoi vendicarti di me per quello che ho fatto prima a Rhyhorn? Andiamo, era solo un po’ di polvere negli occhi!».
   «Diciamo che il tuo comportamento non è stato proprio carino, ecco. Insomma, non era neanche un tuo Pokémon!».
   «Va bene, va bene, ho capito!».
   «Allora mi sfiderai?».
   «Cosa? Qui? Sei matta! In un sito archeologico! Rischiamo di fare qualche danno! Magari dopo, quando torneremo a Petroglifari...».
   La ragazza lo guardò e sorrise: «Guarda che ci conto, eh!».
   Proseguirono per un breve tratto, fra la moltitudine di gallerie che si diramavano nella caverna.
   «Dovremmo essere quasi arrivati», disse Calem guardandosi intorno.
   Serena si fermò e sul suo viso si dipinse un’espressione interdetta e confusa.
   «Scusa, Calem, da quando i ricercatori portano una divisa rossa?».
   «Serena, ma che stai dicendo? I ricercatori portano il camice, proprio come il Professor Platan!».
   «Beh, quelli non mi pare che abbiano molto a che fare con il Professore...» e dicendo questo puntò un dito verso un gruppo di persone, tutte vestite di un rosso sgargiante e delle stravaganti capigliature ciuffate dello stesso colore che ricordavano la forma di una fiamma.
   «E quelli chi diavolo sono?» esclamò inquieto il ragazzo «Non so te, ma non mi convincono per niente...».
   «Neanche a me... Ehi voi! Che cosa state facendo con quei fossili?!» gridò nel momento in cui si accorse che stavano trascinando via una carriola piena di fossili.
   Uno di quelli sussultò. Si girò verso i due ragazzini e sogghignò.
   «Ah? Cosa abbiamo qui?» disse sistemandosi gli occhiali da sole, «Due Allenatori curiosi venuti a ficcare il naso!» sibilò avvicinandosi a loro e osservandoli meglio da dietro le lenti, rosse anch’esse.
   Calem si mise sulle difensive, accostandosi più vicino a Serena.
   «Si può sapere chi siete?!» grugnì il ragazzo.
   Quello ridacchiò di nuovo: «Ah, non lo sapete? Beh, noi siamo l’elegante Team Flare, e basta il nome per far tremare i mocciosi! Il nostro obiettivo è ottenere un futuro radioso solo per noi! Per farlo siamo disposti a tutto. Chi se ne importa di che cosa succederà agli altri Allenatori e ai loro Pokémon!».
   «Un futuro radioso solo per voi?» ripeté Serena.
   «Siete solo due sciocchi ragazzini, cosa pensate di capirne?» sbuffò «Fareste meglio a sparire, e alla svelta... È un saggio consiglio, non trovate?» e dalla tasca tirò fuori una Poké Ball. I suoi compagni lo imitarono, lanciando dei sorrisi malevoli ai due ragazzi.
   «Sparite. Ora», sibilò puntando la sfera contro i due.
   Serena lo osservò con astio. Calem la scuoteva per un braccio, intimandole all’orecchio che sarebbe stato meglio andarsene e chiamare qualcun altro che se ne sarebbe occupato sicuramente meglio di loro, che erano soltanto due ragazzini. La ragazza si strattonò e afferrò una delle sue Sfere Poké.
   «No, Calem, dobbiamo combattere! Saremmo anche due sciocchi ragazzini come dice lui, ma il futuro è anche nostro! Non ho idea di che cosa abbiano intenzione di fare, ma... Non mi dicono nulla di buono! Non lascerò che mi strappino via il mio destino così facilmente! Frogadier, vieni fuori!».
 
 
   «Siamo giunti al nostro traguardo», disse la Capopalestra fermandosi accanto all’aiuola della piattaforma circolare che conduceva alla Meridiana. Si fermò e indicò al Professore l’imponente cristallo.
   «Prego», disse, invitandolo a proseguire.
   Platan avanzò, osservando dal basso la Meridiana pieno di stupore. Nonostante fosse lì da più di tre giorni non aveva ancora avuto il tempo di vederla così da vicino. Salì sul ponticello che vi era di fronte e guardò oltre il foro che aveva al centro. Avvertì un brivido lungo la mano sinistra. L’alzò e vide che la pietra incastonata nell’anello aveva cominciato a brillare di una luce intensa.
   «Eppure un legame deve esserci...» si disse, nonostante sapesse che ancora non era stata appurata alcuna prova che accertasse un collegamento fra il Megacerchio e la Meridiana.
   «Professore, che cosa sa al riguardo?» chiese Astra avvicinandosi a lui.
   «Non molto in realtà,» confessò «tante cose sono ancora avvolte nel mistero. Però sembra che la luce della Meridiana sia in grado di indicare la posizione delle Megapietre. Da alcuni esperimenti che abbiamo fatto sulla base di una mia supposizione, abbiamo scoperto che le Megapietre e le pietre normali, come la Pietrafocaia o la Pietraidrica, hanno una struttura di base molto simile, addirittura quasi identica. La mia ipotesi è che le prime in realtà non siano altro che il prodotto di una mutazione subita dalle seconde. E la causa di questa mutazione sarebbe... La causa di questa mutazione sarebbe...».
   “La luce irradiata dall’Arma Suprema”, pensò, senza riuscire a dirlo ad alta voce.
   «Mi scusi», disse in tono fermo, abbassando lo sguardo «Ma io devo andarmene da qui. Non posso rimanere un minuto di più. Non c’è altro tempo».
   Scese la scalinata del ponte senza degnare Astra di uno sguardo, preso dai suoi pensieri, e oltrepassò l’aiuola circolare al cui centro vi erano incastrati in modo concentrico tanti anelli d’oro.
   Perché si era fatto trascinare fin lì? Aveva ragione, il tempo era poco, e ad ogni secondo che passava diminuiva sempre di più. Forse se fosse riuscito a fermarlo già dal principio avrebbe avuto più possibilità di riportarlo sulla retta via. Affrettò il passo, con accanto il rumore del mare che mano a mano cresceva e si faceva più forte esattamente come le sue preoccupazioni.
   «Fermati!» gli gridò a un tratto la donna voltandosi verso di lui «Il tuo destino, insieme al mio e a quello di tutti noi altri, è questo, rassegnati!».
   Platan si arrestò all’improvviso. Si girò di scatto e la fissò incupito. La donna sospirò e abbassò la testa: non aveva il coraggio di dirglielo guardandolo negli occhi.
   «Mi rincresce confessarlo, ma...».
   E rimaneva zitta.
   Quel suo silenzio lo faceva innervosire, perché il suo sguardo non gli piaceva affatto. Era dunque vero che Astra fosse capace di vedere nel futuro? Cosa aveva visto di così cupo da farla impietrire in quel modo? Qualche presentimento ce l’aveva e, seppur cercava di eliminarlo dalla mente, non poteva fare a meno di figurarselo.
   «Cosa c’è?! Avanti, parla!» urlò fremendo, mosso dalle sue stesse paure.
   Astra alzò lo sguardo. Quindi voleva davvero saperlo? Gli avrebbe spezzato il cuore, senza dubbio. Ma sarebbe stato meglio per lui venirne a conoscenza in quel momento, anziché quando ormai sarebbe stato troppo tardi, si disse. Almeno avrebbe avuto il tempo di farci i conti ed accettarlo.
 
   «Non riuscirai a salvarlo».
 
   Sottili e taglienti come lame d’acciaio. Secche. Dure, e fredde più del ghiaccio.
   Un’onda più grande delle altre si abbatté contro la pedana, ricadendo nel mare con un fragoroso frastuono.
   Platan indietreggiò.
   «No... Non è possibile...» mormorò dopo minuti, con ancora la testa piena di vuoto.
   Il suo terrore più grande. L’essere inutile nonostante gli sforzi. Una virgola intonata male e tralasciata fra le parole. Sarebbe andata a finire così?
   «Molto presto, avverrà il ritorno del fiore maledetto. Questo è ciò che ho predetto».
   Lo vide girarsi e nascondere il viso tra le mani. Sollevò la testa ed osservò il cielo bianco.
   «Presto comincerà a nevicare forte. Andiamo. Sarà meglio ripararsi oltre le porte».
 
 
   «...E cosa dovrebbe avere di speciale questa tuta?» chiese Elisio mentre esaminava con sguardo inquisivo le carte che Xante aveva messo sul suo tavolo.
   «Capo! Capo!» l’Ufficiale si azzardò ad entrare nell’ufficio senza chiedere il permesso. Elisio si alzò subito dalla sedia, notando l’aspetto agitato della ragazza. Xante fece altrettanto, lasciando da parte i suoi progetti.
   «Cosa succede?» chiese il rosso con fermezza, senza farsi prendere da alcuna emozione.
   «C’è un problema! Degli esterni si sono intromessi nello svolgimento della missione!».
   «Degli esterni, hai detto?».
   Le si avvicinò e fece cenno a Xante di seguirli. Si spostarono con passo svelto nella camera di controllo principale ed Elisio si mise ad osservare con interesse le immagini proiettate sugli schermi della stanza nera.
   «Questo proprio non lo avevo messo in conto. Che sorpresa...» proferì accarezzandosi il mento con le dita. Sulle sue labbra si formò un sorriso divertito.
   «È una tua conoscenza, per caso?» chiese una donna poggiata con la schiena al muro e le braccia incrociate sotto il seno, intenta a studiare la scena con un’espressione apparentemente disinteressata.
   «Di persona l’ho vista solo una volta, ma Platan non manca mai di darmene notizie».
   «Ah, perciò è una dei marmocchi che lavorano per il Professor Platan... Pensi che l’abbia mandata lui, insieme a quell’altro ragazzino?».
   «Che intendi dire?».
   «Non hai detto che sta continuando ad opporsi?».
   L’uomo capì dove voleva andare a parare e disse: «È indubbio che voglia fermarmi, ma se avesse voluto agire, lo avrebbe fatto lui personalmente. Di questo sono più che certo, Malva».
   «Non capisco come mai continuiate a desiderare così tanto di farlo entrare nella squadra. Non ha nulla di speciale», s’intromise Xante.
   «Elisio ne è innamorato fino al midollo, ormai è chiaro. Oh, andiamo, e mi guardi pure così? Dopo quella scenata è praticamente ovvio per tutti quanti, qui dentro... Ti salverò, ti salverò! Risplenderemo insieme! Ma sul serio? Ma sentivate cosa vi dicevate, almeno? Peggio dei romanzetti rosa che leggevo da adolescente...» disse sarcastica.
   «Non una parola di più», sibilò guardandola dritta negli occhi e facendola rabbrividire.
   «Va bene, capisco la posizione di Elisio, ma tu? Perché lo vuoi?» chiese lo scienziato.
   «Ci sarebbe davvero bisogno di qualche bel viso qua dentro, sennò sai che noia...» e cautamente lanciò uno sguardo a Elisio, per assicurarsi che non s’infiammasse di gelosia «E dopotutto è il Professore della regione di Kalos, non uno qualunque. È bello, ma mica è scemo. Potrebbe esserci molto utile».
   «In un mondo in cui i Pokémon non esisteranno più, non vedo tutta questa utilità...».
   «Pazzesco, ne ha sconfitta un’altra!» esclamò il ragazzo seduto di fronte al monitor. Si girò verso i tre e disse: «È la settima... La quarta che batte da sola... Siamo a corto di reclute, Elisio, che cosa facciamo? Devo dire agli altri di annullare la missione?».
   «Annullarla? E perché mai?» disse «Non mi pare di avere dato quest’ordine. Non fare nulla. Sono curioso di vedere fino a quando riuscirà a contrattaccare. Finora non se la sta cavando affatto male, quindi perché fermarla?».
 
 
   Varcarono la porta della Palestra e si ritrovarono in una stanza accogliente. Sulla parete opposta, al centro, in mezzo a due cassettiere di legno, vi era un camino acceso che diffondeva un bel tepore nella sala. Platan si crogiolò un po’ in quel calore e riprese colorito.
   «Dammi pure la tua giacca. Oh, e anche quella sacca», disse la donna tendendogli la mano. L’uomo le porse sciarpa, cappotto e borsa, ella li appese all’attaccapanni accanto alla porta e poi mosse qualche passo in avanti, fermandosi al centro del tappeto.
   «Ora seguimi, ti condurrò nel resto della Palestra. Mi raccomando: nessun'azione maldestra».
   «Il resto della Palestra?» si guardò attorno con un’espressione confusa. Ma se non c’erano porte! La donna scosse la mano, facendogli intendere che non aveva nulla da temere. Non avendo possibilità di controbattere, Platan le si avvicinò e si fermò al suo fianco.
   «Pronto?».
   Le pareti ed il pavimento scomparvero all’improvviso per dare spazio ad una vista meravigliosa. L’uomo rimase a guardare quello spettacolo incredibile con gli occhi sgranati. Si allontanò da Astra e mosse qualche passo in giro. Si sentiva leggero, e ogni volta che poggiava i piedi a terra, un bagliore colorato sotto alle scarpe gli mostrava un pavimento trasparente.
   «Siamo nel cielo?» chiese ingenuamente.
   Intorno a lui vi era un’immensa distesa di stelle e di galassie.
   «Questa è la mia casa», disse «Qui è dove mi fermo ad osservare le sorti delle genti e a trascrivere ogni mio resoconto. Posso offrirti qualche cosa?».
   Accanto alla donna apparve una cucinetta, e quella si mise a riempire un bollitore con dell’acqua per preparare del tè. Platan la osservò stupito. Si trovava forse dentro un sogno? Un mezzo incubo? Come era possibile una cosa del genere? Era vero quello che vedeva?
   «Caro Professore, non sono solo i Pokémon ad avere qualche potere speciale...» disse Astra, intuendo i suoi pensieri «Piuttosto, come stai? Ti senti ancora male?».
   «Quindi è da qui che vedi tutto? Intendo i nostri destini», domandò, ancora con gli occhi che gli brillavano. Pareva essersi distratto almeno un po’ dalle sue ansie.
   «Il destino è scritto nelle stelle», rispose la donna versando il tè in due tazze di porcellana riccamente decorate «Sono loro a dirmi ciò che accadrà nel futuro, splendenti e belle. Dal modo in cui si dispongono posso vedere come la vita di ognuno si intreccia con quella degli altri e gli avvenimenti che nasceranno da queste unioni, anche i più scaltri».
   Si avvicinò all’uomo e gli porse la tazza. Poi fece apparire due poltrone e ci si sedettero.
   «Ero molto giovane quando scoprii di avere questo talento», raccontò «All’inizio ne ero spaventata. Essere capaci di vedere nel futuro non è cosa da poco, ma un incredibile portento... Tuttavia con il tempo ho capito che non dovevo averne paura. Ho trovato il mio scopo nella vita: quello di aiutare la gente attraverso le mie previsioni, donare ad esse una qualche sorta di cura».
   «Sarebbe per questo che mi hai bloccato prima che entrassi nel Centro Pokémon?».
   «Esatto. Dovevo avvertirti prima che il tuo gesto impulsivo venisse fatto».
   «E cosa ne è di Elisio?» eruppe all’improvviso «Non dovresti aiutare anche lui?».
   «È impossibile. Ti ho detto prima che non puoi salvarlo. E se non puoi salvarlo tu, allora nessun altro potrà farlo».
   La tazza gli scivolò dalle mani, ma invece di rompersi continuò a fluttuare fra le stelle, con il liquido che si disperdeva nell’aria in tante gocce.
   «Prima stavi parlando di un fiore maledetto. Immagino che ti stessi riferendo all’Arma Suprema, non è così?».
   «Precisamente.»
   Le stelle erano spettatrici silenziose di quella conversazione.
   «Il destino non può essere cambiato», lo precedette Astra, abbassando la testa «Sarà così e basta. Non c’è speranza che cambi, nonostante, in effetti, ci abbia pensato...».
   «Siamo tutti condannati a morire, quindi? Ed Elisio? Che ne sarà di lui?».
   Astra poggiò la tazza sulle gambe e scrutò il viso bianco dell’uomo. Il suo sguardo innocente assomigliava a quello di un bambino. E tutte quelle domande non facevano che rafforzare ancora di più quel paragone di fronte ai suoi occhi.
   «D’accordo. Ho inteso il tuo desiderio. Ti mostrerò ciò che ho visto», disse la donna alzandosi in piedi.
 “Nonostante potrebbe essere deleterio... Ma se è questo ciò che vuole, allora, ad ogni costo...” pensò, mordendosi le labbra carnose.
   Con un gesto fece sparire poltrone, tazze e tutto il resto, lasciando che nell’infinità dell’universo ci fossero solo loro, minuscoli e insignificanti davanti alla grandezza di quel cielo eterno. Poi diede un’ultima occhiata a Platan. Quello la guardava con decisione. Ogni parte del suo corpo era estremamente tesa di fronte alla possibilità di poter vedere ciò che il destino gli avrebbe riservato. Era più che sicuro di volerlo fare, non c’erano dubbi. La donna sospirò e si preparò a dire per sempre addio a quel bimbo innocente che si affacciava continuamente dalle finestre dei suoi occhi.
   Alzò le braccia sopra la testa. Congiunse le dita tenendo gli indici sollevati. Improvvisamente il cielo cominciò a girare vorticosamente su sé stesso, diffondendo bagliori di luce ovunque.
   Sempre più veloce, sempre più veloce.
   Il mantello di Astra si scuoteva con violenza mentre Platan guardava quello spettacolo terrificante con gli occhi sbarrati. Per quanto l’ansia nel suo corpo stringesse sempre più forte tra le dita il suo cuore che batteva all’impazzata, non riusciva a distogliere lo sguardo.
   Era spaventoso e affascinante allo stesso tempo.
   I poteri psichici di Astra erano strabilianti.
   Dopo vari secondi in cui si erano ritrovati immersi in quel vortice di luce, il cielo si fermò. Poi un bagliore bianco. E ad un tratto ogni stella e cometa cominciò a spostarsi verso il centro dell’universo, posandosi sulle dita della donna.
   Intorno buio e silenzio. Quell’unico punto bianco e sfavillante luccicava nelle tenebre. Platan non riusciva neanche più a distinguere le fattezze della donna.
   Il bagliore scoppiò improvvisamente, diffondendosi ovunque, lasciando il posto a un’immagine raccapricciante.
   L’Arma Suprema sovrastava le loro teste, bella, lucente, orrenda. Il cristallo rosso e blu riluceva chiaramente nel buio.
   «Questo è il nostro futuro. Il cielo ne è anticipatore», disse Astra.
   Platan avvertì un fischio assordante nelle orecchie. Alzò la testa in alto e vide piovere centinaia, migliaia di croci che si fracassavano al suolo rompendosi in innumerevoli cocci che nessuno sarebbe più stato in grado di ricomporre. E lui stava lì a guardare, senza poter fare nulla per impedire a quella pioggia maledetta di scendere ancora. Gridò in preda all’angoscia, portando le mani alla testa. E quando le allontanò, vide i palmi e le dita grondanti di sangue.
   «Elisio... Oh, Elisio, che cosa hai fatto?!» urlò con le lacrime agli occhi.
   «Il sangue versato non sarà mai abbastanza per sanare il dolore», disse la donna con voce ferma.
   L’uomo serrò le palpebre per impedirsi di guardare più a lungo quella scena terribile. Era davvero quello il futuro? E lui non avrebbe potuto fare nulla per impedire una cosa del genere? Non avrebbe potuto salvare Elisio dalla sua follia? Perché era questo il destino che aveva inteso per lui: sarebbe impazzito all’inverosimile, ma non avrebbe mai potuto trovare pace. Quindi ogni suo sforzo per stargli accanto e incoraggiarlo a credere negli altri e nel mondo sarebbe stato inutile?
   Ritornò il silenzio e la calma. Quando Platan riaprì gli occhi, stavano di nuovo prendendo il tè. Sentiva le ciglia e le guance umide. Non si era neanche accorto di aver cominciato a piangere.
   «Ma allora quella promessa... Che senso ha quella promessa in un futuro così atroce...?» chiese con voce stridula. Di nuovo la tazza che aveva tra le mani tremava.
   «Di che promessa parli?» domandò Astra, continuando ad osservare affranta il modo in cui quello aveva reagito alla visione.
   «Quel giorno... Tanto tempo fa...» provò ad articolare, inutilmente.
   La donna prese le sue mani e gliele accarezzò con apprensione. Rimasero a lungo così, senza dirsi nulla.
   «Tu sai leggere le mani e i suoi segni, non è vero?» chiese.
   «Sì», rispose «Ma adesso non dovresti guardarl...».
   «Devo sapere! Devo sapere che senso ha!» la interruppe «Non riuscirei ad andare avanti tenendomi questo dubbio addosso! Te ne prego, fallo! Fallo, e non avere pietà di me!».
   Allungò le mani verso di lei. Astra lo guardò spaesata. Possibile che fosse ancora così tenace, nonostante tutto? Girò le sue mani e si mise ad osservare le linee che gli correvano lungo i palmi. E percorse tutto ciò che era accaduto quel giorno, tanto tempo fa, scoprì ogni emozione che lui e l’altro avevano avvertito insieme e non poté fare a meno di provare gioia nel veder crescere un sentimento così grande. Poi però si fermò e il suo sguardo si rabbuiò. Scosse la testa.
   «No, non posso farlo», proferì.
   «Non avere pietà di me», disse l’uomo «Di qualunque cosa si tratti, l’accetterò».
   E che doveva fare davanti a quello sguardo che bruciava, che la implorava di dirgli la verità? Prese un grande respiro, chiuse gli occhi. Sulla sua guancia scivolò una lacrima.
   «È solo un sogno».
 
 
   Le pareti della caverna tremarono come mai, la roccia sul soffitto s’increpava fino a rompersi e a cadere a terra. Calem, rannicchiato ad un angolo per cercare di ripararsi, osservava sbigottito la potenza dell’ultimo attacco del Pancham dell’amica.
   «Finiscilo!» gridò la ragazza puntando l’indice contro il Crobat indifeso e ormai stremato dell’avversario, steso a terra senza alcuna capacità di muoversi. E di nuovo la terra tremò e Calem strinse le Poké Ball tra le dita temendo che sarebbe accaduto il peggio.
 
 
   «Mandane un’altra», ordinò Elisio, ormai estremamente preso da quella situazione. Serena era stata capace di mandare a segno ogni colpo progettato con incredibile astuzia e non aveva mai fatto un passo falso. Mai, nemmeno una volta.
   «Avanti, che stai aspettando? Ho detto mandane un’altra!».
   «Signore, non ne abbiamo più... Quella era l’ultima...» disse il giovane, con la coda tra le gambe.
   Elisio tremò. L’ultima? Ciò voleva dire che aveva battuto tutte e ventitré le reclute che aveva mandato in missione?
   «Sconfitti da una poppante. Meraviglioso», sibilò la donna «Bene, Elisio. A questo punto direi che il piano è fallito. Cosa intendi fare, adesso?».
   «Nulla. I fossili che siamo riusciti a recuperare, anche se pochi, basteranno lo stesso. Avremo altre occasioni per prenderci una rivincita. Solo, mi chiedo... Che lei sia davvero... una prescelta?».
 
 
   «Prescelti?».
   «I prescelti sono coloro che possono cambiare il futuro», rispose pazientemente Astra mentre camminavano per strada «Se un prescelto dovesse venire alla luce, allora forse sareste in grado di vivere il vostro destino imperituro. Ma questo va oltre i miei poteri: non posso sapere se avverrà la venuta di un eletto o fare in modo che si avveri».
   Aveva smesso di nevicare e con il calare della sera era sceso anche un vento leggero. Platan si strinse nella giacca. Sentiva molto più freddo del solito.
   «E siamo tornati qui», disse la donna nel momento in cui si affacciarono nuovamente alla pedana della Meridiana. Platan alzò lo sguardo e rimase stupito. La luce del sole che tramontava passava esattamente al centro del foro fino a toccare la sfera dell’aiuola di fronte, e intorno ad essa gli anelli che quella mattina erano stati immobili ruotavano fra loro in modo armonioso e incantevole.
   «Puoi andare, se vuoi».
   «Dove?».
   «Al Centro Pokémon, come ti eri prefisso in questo dì».
   «Tanto non servirebbe più a nulla...» rise amaramente.
 
 
   Quella stessa sera decise di tornare a Luminopoli. I suoi assistenti non fecero obiezione, anche se non riuscivano a capire il perché di quella scelta così improvvisa.
   «Ho raccolto tutti i dati di cui avevo bisogno», aveva detto «Non serve a nulla rimanere ancora qui».
   E così, dopo essere passato a casa a lasciare le valigie, era salito in macchina per andare al Caffè.
   Due ragazze stavano discutendo, sedute al bancone a bere un drink.
   «Ma sì, ti dico, non dargli retta!».
   «Che cosa?».
   «Insomma, se ti fa stare così, tanto vale fare finta di nulla...».
   «Ma come si può fare finta di nulla di fronte a una cosa del genere?».
   Platan le riconobbe: le aveva viste qualche tempo prima nei Laboratori Elisio, quando si era intrufolato lì per cercare di far ragionare il suo innamorato.
   «Ma c’è ancora qualche possibilità?» bisbigliò, incerto. Si avvicinò alle due e le salutò. Quelle lo guardarono sorprese.
   «Professor Platan, buonasera», la prima a parlare fu Akebia.
   «Possiamo fare qualcosa per lei?» chiese Bromelia.
   «Guarda, guarda...» sorrise lievemente «Come mai tutte queste attenzioni?».
   «Non dovrebbe neanche chiederselo, sapendo chi è il nostro capo...».
   «Stava cercando lui? Mi pare che sia andato alla Torre Prisma per fare quattro passi».
   «Ah, ho capito. Vi ringrazio, buona serata», e subito uscì.
   «Sai, Bromelia, a volte cerco d’immaginarmi come potrebbe comportarsi Elisio quando è da solo con lui...» disse mentre lo vedeva andarsene «Dev’essere molto diverso da come si comporta con noi, non credi anche tu?».
 
 
   Quando le porte dell’ascensore della Torre si aprirono, Platan uscì e si guardò attorno in cerca di Elisio. In realtà provava un po’ di timore a doverlo fronteggiare. Erano passate pochissime ore da quando aveva visto quella visione che in ogni istante gli si imprimeva in testa, ogni volta più brutale della precedente. Confusione, ancora tanta confusione. Ad un tratto vide l’uomo poggiato al parapetto, intento a guardare il cielo. Gli si avvicinò e disse: «Mi hanno detto che avrei potuto trovarti qui».
   Elisio si girò e gli sorrise.
   «Non è la prima volta che torni all’improvviso...» disse poi, preoccupato «È successo qualcosa?».
   «No».
   «Sicuro?» lo guardò dritto negli occhi.
   «Sì... È che volevo stare un po’ con te...».
   Perché nonostante tutto, solamente con lui sentiva che sarebbe potuto stare bene.
   Dopo aver dato una rapida occhiata in giro per accertarsi che nessuno li stesse guardando, Elisio si avvicinò ancora di più a Platan, gli posò un braccio sulle spalle e gli diede una carezza.
   «Però mi sembri un po’ stanco... Vuoi che andiamo a casa?».
   «Sono uscito proprio per venire qui, non mi va di tornare subito. Stiamo così. In silenzio, così. E basta».
   Il rosso sospirò. Gli accarezzò per un po’ il braccio con la mano e si rimise a guardare il cielo. Anche se la luce di Luminopoli era molto forte, nel cielo si poteva vedere qualche stella. Dovevano essere molto luminose se riuscivano a fronteggiare il bagliore della città della luce.
   «Come risplendono, eh?» disse mentre le osservava con sguardo assorto.
 
   «Come risplendono, eh?».
 
   Platan tremò all’improvviso. “È solo un sogno!” si ripeteva “È solo un sogno!”.
 
   «Come risplendono, eh?».
 
   Ma l’eco di quelle parole argentine gli si faceva sempre più forte nelle orecchie e non riusciva a farlo tacere. Si strattonò da Elisio e lo guardò con terrore, riconoscendo quel mostro che si insinuava nella sua anima.
   «Non c’è più speranza» disse con voce flebile «A che cosa serve vivere ancora, se il destino a cui andrò in contro non potrà portarmi che a questo?».
   Voltò lo sguardo oltre il parapetto e vide il vuoto, lo stesso vuoto che gli gonfiava la testa. E decise di farla finita lì. Mentre cadeva di sotto però, sentì qualcosa di caldo tra le dita e una voce lontana.
 Scosse la testa e si ritrovò di nuovo accanto a Elisio, che lo chiamava per avere la sua attenzione. Le sue mani stringevano con dolcezza le sue.
   “Questo calore... Questo calore è uguale a quello che provai quel giorno, ed è così vero...” pensò.
   Strinse forte le sue dita, forse anche facendogli male. Posò la testa sul suo petto e sentì il suo cuore che batteva; batteva e lo faceva all’unisono con il suo.
   «Non lasciare le mie mani...» disse «Non farmi cadere in questa pazzia... Rimani con me...».
   Elisio restò ad osservarlo frastornato per qualche secondo. Poi spinse la testa contro la sua con le loro guance che si toccavano e ricambiò la stretta.
   «Non le lascerò mai», sussurrò, lasciando che potesse sentire la presa sicura delle sue dita. E Platan la avvertì, intensa e forte.
   «Platan, l’Holovox...» disse ad un tratto Elisio «Dovresti spengerlo ogni tanto».
   Neanche si era accorto che stava squillando.
   «Lo penso spesso anche io, quando siamo insieme... Ecco, aspetta un attimo».
   Rispose alla chiamata per dire che in quel momento era occupato, ma lasciò perdere nel momento in cui vide che erano Sina e Dexio. Li aveva lasciati aspettare per tutto il giorno insieme a Charizard e alla fine aveva deciso di non fare nulla senza dirglielo. Si scusò con loro più volte.
   «Professore, semmai dovremmo essere noi a chiederle scusa...» disse Sina notando che con lui c’era anche Elisio «Possiamo richiamarla più tardi».
   «Non preoccupatevi, non c’è problema. Cosa dovevate dirmi?».
   «Prima ha chiamato Serena! Professore, è successa una cosa incredibile!» esclamò Dexio.
   Elisio si fece scappare un sorriso.
   «Si ricorda del Team Flare? Serena e Calem lo hanno sconfitto!».
   «Che... Che cosa?».
   «Ancora non lo avevi saputo?» domandò Elisio dopo che Platan ebbe finito di parlare con i suoi assistenti e spento lo strumento.
   «Sei stato battuto da una coppia di ragazzini?».
   «Diciamo da una soltanto... L’altro è andato fuori gioco quasi subito».
   «E avete addirittura dovuto sospendere la missione?».
   «Ha mandato allo sbaraglio tutte e ventitré le reclute che avevo inviato. E venti completamente da sola. Le ultime due con solamente un Pancham in squadra».
   «Incredibile...» sussurrò sbigottito. Alzò lo sguardo al cielo e fissò quelle stelle che aveva osservato per tutto il giorno e che gli avevano rivelato il destino.
   Serena era stata capace di cambiare ciò che lui non aveva potuto contrastare. Sentì un brivido lungo la schiena e una strana sensazione. Forse riusciva veramente a capire la natura di quel certo Je ne sais quoi che aveva visto in lei la prima volta che l’aveva incontrata... E stringendo più forte le dita di Elisio, si chiese: “Che sia lei la prescelta?”.

 

***
Angolo del francese.
     * Bonjour, mes garçones! = Buongiorno, ragazzi miei! ;
     * C'est bien! = Bene! ;
     * Je ne sais quoi
= Non so che .




 


P.S. dell'ultimo minuto: se mentre avete letto vi siete chiesti come mai Astra parli in rime, è perché nel gioco parla proprio così, quindi mi sono adattata. Non sono una poetessa, ma ho cerato di fare il meglio che potevo!
  
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